D. Bosco in sua patria e parole del Teol. Cinzano - I giovani dei paesi circostanti ai Becchi - Lettera ad uno studente - L'Ospizio condotto a compimento e sua povertà - Disposizioni materiali - Laboratorio de' falegnami - Maria SS. rimedia ad una grande imprudenza - Iscrizioni sotto i portici - Il Teol. Borel conferma le predizioni di D. Bosco.
del 28 novembre 2006
Don Bosco partiva colla prima sua squadra per i Becchi, ove incominciava la novena del S. Rosario; e il giorno 28 settembre trasferivasi a Castelnuovo in occasione della festa di Maria SS. Addolorata per farvi la predica.
  Il Teol. Antonio Cinzano era fuor di sè dalla gioia quando poteva averlo in parrocchia. “ Si stava cenando nella Canonica, raccontò il giovane Giuseppe Reano, e il Vicario incominciò a lodare le geste di D. Bosco. - Tu,. D. Bosco, hai sempre avuto una memoria di ferro; mi recitavi dei quinternetti interi di teologia! Che pazienza! Non la finivi più! Tu, D. Bosco, sei un portento! Tu, Don Bosco, a Torino fai prodigi, e fra non molti anni scommetterei che farai parlare di te mezzo mondo. - E via di questo passo. D. Bosco ascoltava, e con aria tutta ilare e placida, rispose: - Vi sono dei sarti che fanno dei vestiti elegantissimi e che vanno a pennello alla persona; e ve ne sono di quelli che li rattoppano soltanto; io sono di questi ultimi ”.
I giovanetti ai Becchi furono trenta trai quali G. B. Piano, ora Curato della Gran Madre in Torino, il quale osservò come in queste passeggiate, che duravano due settimane, non avvennero mai inconvenienti di qualche riguardo, per l'attività e la prudenza di D. Bosco nel disporre le cose. Alla vigilia della festa arrivò la banda musicale che, aspettata con vivo desiderio, raddoppiava colle sue armonie l'entusiasmo dei terrazzani. Non era però cosa nuova la musica ai Becchi. Un'orchestrina di violino, chitarra, armonium e flauto, avea rese più belle le sacre funzioni e i teatrini o le accademie negli anni passati, e continuò negli anni venienti. Tomatis, Cerutti e Bersano maneggiavano questi strumenti con molta maestria; ed ora eseguivano fantasie, accompagnavano romanze, ed ora essi stessi cantavano i pezzi di Opera scelti fra i migliori.
  Se gli alunni pel numero non potevano essere tutti alloggiati con D. Bosco, qualcuno di essi albergava presso buoni vicini. Nei primi anni affluivano ai Becchi anche molti giovani d'Asti, di Chieri, di Buttigliera, di Castelnuovo, di Capriglio, di Mondonio e di altri paesi per assistere alla festa. Prendevano alloggio nelle cascine e nelle borgate dei dintorni, e, quando in quei pressi non si trovava posto, quelli de' paesi lontani si cercavano una stanza a Castelnuovo, percorrendo mattino e sera la lunga strada che metteva ai Becchi. D. Bosco per tutti costoro faceva preparare una grossa polenta colla conveniente pietanza. E que' buoni figliuoli si meritavano tale cortesia.
perchè andare a prendere parte alla festa con D. Bosco era sinonimo di andarsi a confessare ed a ricevere la S. Comunione.
   Ai Becchi tra le molte altre lettere a D. Bosco ne era stata consegnata una proveniente da Sanfront scritta da uno studente di terza grammatica latina, figlio del signor Avvocato Cav. Roggeri, ed egli rispondeva:
 
Torino, 8 ottobre 56.
Car.mo Giuseppino,
 
   Hai fatto bene a scrivermi e ne provai piacere. Quando l'altarino sia aggiustato di tutto punto, io ci andrò a fare una predichetta, come ho promesso, e in quel tempo continueremo a parlare della nostra amicizia e dei nostri affari particolari. Ti ricordi del contratto che abbiamo stipulato e conchiuso tra noi? Essere amici, e unirci insieme per amare Dio con un cuore solo ed un'anima sola.
   Il piacere che mi scrivevi di provare sul divertirti intorno alle cose sacre è buono, e vuol dire che Dio ti vuol bene, e che tu pure dar ti devi grande sollecitudine per amarlo. - Vuole poi dire un'altra cosa che mi riserbo di manifestare a te solo quando giungerai a Torino.
   Mi farai cosa molto grata se saluterai Papà e Maman da parte mia: al Signor Vicario darai un buon giorno, al tuo fratellino farai una carezza.
   Dio vi conservi tutti in sanità e grazia sua, e se tu mi vuoi essere amico va a recitare una Salve alla B. V. per me, che di tutto cuore ti sono
 
aff.mo amico
Sac. Bosco GIOVANNI
 
Qualche giorno dopo la festa del Rosario, D. Bosco lasciava i Becchi. Ma passando per Chieri, non di rado recavasi a Moncucco distante due miglia, per visitare la famiglia Moglia, nella quale era stato servo di campagna. L'umiltà teneva viva nel suo cuore una sincera riconoscenza. E da Chieri eccolo coi giovani di ritorno in Torino.
   Intanto, sul principio di ottobre la nuova fabbrica era ultimata, e muratori e falegnami avevano compiuto ogni lavoro. D. Bosco stesso aveva loro indicato le divisioni dei locali, dicendo che nelle case di educazione non si deve trascurare la minima cosa che possa concorrere al bene morale dei giovani; e non volle mai, come ci attesta D. Carlo Ghivarello, che le porte delle stanze intime avessero nessun gancio interno per tenerle chiuse.
   L'edifizio è lo stesso che oggigiorno cinge da tre lati il cortile intitolato D. Bosco, meno i portici che fiancheggiano la chiesa di S. Francesco di Sales, e gli ultimi due vani in punta al braccio di levante. Riuscì quale ei lo volle, della massima semplicità. Non ammise scialo di locali, disapprovò corridoi e scaloni troppo ampli; e i costruttori fecero tali passaggi che non permettessero l'innoltrarsi più d'una persona alla volta. Quando Monsignor Alessandro Ottaviano di Netro Vescovo di Savona venne a visitare questa casa al vedere il corridoio che dava adito agli uffici centrali, si volse a chi lo accompagnava e disse scherzevolmente: - Osservate che grandiosità! Non so se potremo trovare conventi che abbiano scale e corridoi così stretti! - Era presente D. Michele Rua.
   E D. Bosco faceva dar sesto all'intera casa, ed a ciascuna stanza assegnava la destinazione. Per parlatorio nell'inverno, cioè per la sala ove tenere il discorso della sera, stabiliva l'attuale refettorio detto prima dei confratelli, sottratto però lo spazio di due finestre, presso la chiesa, costrutto e destinato a sagrestia nel 1852. A pian terreno dell'altra parte della scala centrale vi erano tre grandi stanze. La prima fu laboratorio per i calzolai, la seconda per i legatori di libri; la terza, la quale comprendeva anche un largo vano sotto le camere di D. Bosco, ove stava la sala da pranzo dei superiori e la cucina, doveva essere occupata dai falegnami. Era una quarta classe d'artigiani, ritirata dalle officine della città e accolta nell'Oratorio. Pel fine dell'anno fu provvista di banchi, di svariati ferri di quel mestiere e di un magazzino di legnami. Il primo capo e maestro fu un certo Corio, il quale imparava la musica, avendo una bella voce da tenore.
   Al secondo piano, una camerata degli artigiani sotto le camere di D. Bosco; esposta a mezzogiorno la sala dello studio; al di là della scala, la stanza di ricevimento per i forestieri, l'ufficio del prefetto, il laboratorio dei sarti; e le scuole mutavano sito secondo l'opportunità.
   Al terzo piano sulla cappella della Madonna era la stanza per la scuola della musica vocale, del Ch. Cagliero, sulla cui porta fece poi scrivere D. Bosco da Reano nel 1859: Ne impedias musicam. Quindi, sempre dalla parte di mezzogiorno, la sala per la musica istrumentale, la dispensa, l'infermeria, l'abitazione di mamma Margherita e delle sue coadiutrici e, nell'ultima estremità, uno stanzone per il vestiario e la biancheria della comunità. Il rimanente della casa a settentrione era occupato dai dormitori, come pure tutte le soffitte, le quali però al sud avevano una fila di cellette per gli insegnanti e per alcuni chierici più anziani.
  Nelle costruzioni del 1853 tra le mura delle fondamenta erasi lasciato il terrapieno, che così rimase per alcun tempo; ma in quelle di quest'anno si scavarono i sotterranei, sicchè a mezzo giorno si ebbe il refettorio dei superiori e a mezzanotte quello più ampio dei giovani, e la cucina.
  Molte però di queste stanze non potevano essere abitate per l'umidità delle mura e delle volte; eppure urgeva il bisogno di averle in pronto. Già si avvicinava la cattiva stagione, e che fare? D. Bosco non si smarrì. Troppo dolendogli di lasciare più a lungo esposti nell'abbandono e nella miseria un buon numero di poveri giovanetti già da lui accettati, ottenne coll'industria ciò che indarno avrebbe aspettato dalla natura. Fece pertanto provvedere larghi braceri, e diede ordine che si mantenessero accesi con gran fuoco nelle nuove camere, giorno e notte, affinchè le pareti si asciugassero più presto, e così vi si potesse dormire senza pericolo della sanità. L'operazione riuscì felicemente; ma ci volle la protezione evidente di Maria SS. per impedire una grande disgrazia. In una camera vicino al campanile arse continuamente per quindici giorni un grande recipiente di ferro pieno di carbon fossile. La finestra era sigillata ermeticamente, la porta quasi sempre chiusa. Eppure al mattino alcuni giovani inesperti, non ricordando gli avvisi de' superiori, vi si rintanavano per riscaldarsi, poichè faceva molto freddo; e altri che per lo stesso motivo quivi avevano trasportato la loro materassa continuarono per qualche notte a dormirvi con tranquillità. Fu un vero miracolo, perchè sì gli uni che gli altri, in un'atmosfera asfissiante, nella quale era impossibile fermarsi anche pochi minuti senza morire, non ebbero a patirne il minimo male di testa.
  Per questo grave pericolo e per gli altri motivi di vigilanza doverosa, D. Bosco rinnovò l'ordine che dovessero star chiuse le scuole, le camerate, i laboratori e la sala di studio, usciti che fossero i giovani, specialmente in tempo di ricreazione, e che le chiavi si consegnassero a chi aveva l'ufficio di custodirle.
Disposta così ogni cosa per l'ordine materiale, occupato ogni individuo dell'Ospizio il posto assegnato, Don Alasonatti sottentrava a D. Bosco, e d'accordo con lui, ad assestare l'amministrazione interna in ciò che riguardava gli alunni. Perciò aveva affisso sulle mura dei portici il seguente avviso, che noi riportiamo per essere il primo documento conservato di questo genere.
 
   “ Al cominciare del primo del mese di ottobre in questa casa vi sarà al primo piano della scala una camera per distribuire e ricevere oggetti reciprocamente tra superiori, allievi e loro attinenti.
   ” In questa camera il sabato sera dopo la cena e dopo il pranzo della domenica vi sarà persona incaricata di intendere, ricevere, notare le relazioni che i giovani artisti saranno per avere coi loro padroni o Capi d'arte e le rimostranze loro, non che le varie domande di abiti e di altri oggetti che fossero loro necessari.
   ” Da essa camera nella mezz'ora prima di colazione e mezz'ora prima della scuola pomeridiana si forniranno agli studenti le cose occorrenti per lo studio e per le scuole.
   ” Di là partiranno pure i conti particolari e i depositi fatti per le minute spese e per le riparazioni di vestiario, di calzoleria di legatoria ecc. ”
   Ma D. Bosco voleva coronare degnamente quest'opera sua, e scialbati i portici e dato loro il bianco, pensò, in cima agli archi che facevano le volte appoggiandosi al muro maestro e sopra i pilastri, far stampare da Pietro Enria e a grossi caratteri maiuscoli alcune iscrizioni tratte dalla Sacra Scrittura. Voleva che perfino le mura della sua casa parlassero della necessità di salvarsi l'anima. Era solito dire: - Sotto questi portici talora i giovani si arrestano stanchi dal giuoco, ovvero passeggiano. I forestieri che vengono per vari affari all'Oratorio, qui si fermano aspettando il momento di avere udienza. Gli uni e gli altri vedendo le iscrizioni sono presi dalla curiosità di leggere, se non altro per passare la noia, ed ecco un buon sentimento che loro resta scolpito nella mente e può a suo tempo produrre un frutto salutare. - Le iscrizioni erano latine e sotto erano tradotte in italiano.
  Incominciamo dalle nove iscrizioni poste sul muro e dalla prima a fianco della porticella a pie' della scala del campanile e che metteva nella sagrestia della chiesa di S. Francesco di Sales.
 
     I. In ea omnis qui petit accipit, qui quaeriti nvenit et pulsanti aperietur. MATT. VII, 8.
Nella casa del Signore chiunque dimanda riceve, chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
     II. Unus autem ex illis qui erat primus sic ait: Quid quaeris et quid vis discere a nobis? Parati sumus mori, magi  s quam patrias Dei leges praevaricari. MACHAB. VI, 2.
Ma uno dei giovanetti Maccabei che era il primogenito disse: Che cerchi tu, o che vuoi sapere da, noi? Noi siam pronti a morire, piuttostochè trasgredire le leggi paterne dateci da Dio.
     III. Quorum remiseritis peccata remittuntur eis ci quorum retinueritis retenta sunt. JOAN. XX, 23
Disse Ges√π ai suoi Apostoli: Quelli cui rimetterete i peccati, sono rimessi, quelli cui li riterrete sono ritenuti.
     IV. Confitemini ergo alterutrum peccata vestra e/ orate pro invicem ut salvemini: multum enim valet deprecatio justi assidua. JAC. V, 16.
Confessate dunque l'uno all'altro i vostri peccati e orate l'un per l'altro per essere salvi: imperciocchè molto può l'assidua preghiera del giusto.
     V. Si confiteamur peccata nostra fidelis est et justus Deus, ut remittat nobis peccata nostra et emundut nos ab omni iniquitate. I JOAN. I.
Se confessiamo i nostri peccati Dio è fedele e giusto per rimetterci i nostri peccati e mondarci da ogni iniquità.
     VI. Et tibi dabo claves regni coelorum et quodcumque ligaveris super terram erit ligatum et in coelis, et quodcumque solveris super terram erit solutum et in Coelis. MATT. XVI, 19.
E a te darò le chiavi del regno dei cieli e qualunque cosa avrai legata sopra la terra sarà legata anche ne' cieli; e qualunque cosa avrai sciolta sopra la terra sarà sciolta anche ne' cieli.
     VII. Donec confiteantur iniquitates suas et majorum suorum quibus praevaricati sunt in me et ambulaverunt ex adverso mihi. LEV. XXVI, 40.
Fino a tanto che confessino le loro iniquità e quelle de' loro maggiori colle quali hanno offeso me e mi hanno fatto guerra.
     VIII. Delictum meum cognitum tibi feci et injustitiam meam non abscondi. Dixi: Confitebor adversum me injustitiam meam Domino: et tu remisisti impietatem peccati mei. PSAL. XXXI.
A te il delitto mio feci noto e non tenni ascosa la mia iniquità. Io dissi: Confesserò contro di me stesso al Signore la mia ingiustizia: e tu mi rimetterai l'empietà del mio peccato.
     IX. Et steterunt et confitebantur peccata sua et iniquitates patrum suorum. II ESDR. IX, 2.
E stando dinanzi al Signore confessavano i loro peccati e le iniquità de' padri loro.
Queste iscrizioni sono un vero trattato sulla confessione. La prima pone in fondamento la preghiera, la seconda la risolutezza di stare in grazia di Dio, la terza l'istituzione del Sacramento e la facoltà sui peccati data da nostro Signore agli Apostoli, la quarta il precetto di confessare i peccati, la quinta la certezza del perdono, la sesta la piena podestà di Pietro sul sciogliere e legare colle censure e colle riserve, la settima e l'ottava la sincerità in confessione, la nona l'uso degli Ebrei di confessare le loro colpe.
   In testa al portico dalla parte della chiesa fu collocata in una nicchia una bella statua della Madonna, innanzi alla quale, adornata con tappezzeria e lumi nel mese di maggio, dicevano le orazioni della sera i giovani studenti nella bella stagione. Sotto la nicchia in un quadro solevansi esporre i fioretti e le giaculatorie proposte per ogni giorno del mese di Maria e delle principali novene. Ma quella nicchia per verità aspettava un'altra statua, che per dieci anni aveva fatta la guardia a casa Pinardi dal 1846 al 1856, ed era scomparsa nei lavori di demolizione. E come era andata la cosa? D. Giacomelli aveva trovato modo di trafugarla. Volendo ritenere per sè ciò che esso chiamava il più insigne monumento della fondazione dell'Oratorio, cioè delle grazie di Maria, la trasportò ad Avigliana nella sua casa paterna, ove da lui e dalla sua famiglia ebbe sempre ed ha anche oggi dopo la sua morte, culto di preghiere, lumi e fiori.
   Nel muro di ricontro alla statua nel portico stesso, innanzi a colei che è tutta pura era quest'altra iscrizione.
 
Qui faciunt peccatum ei iniquitatem hostes sunt animae suae. TOB. XII.
     Coloro che commettono peccato ed iniquità sono nemici dell'anima propria.
 
Eziandio ciascuno degli undici pilastri sulla parte interna portava la propria iscrizione. Era il decalogo:
 
I.... Dominum Deum tuum adorabis ei illi soli servies. MATT. IV.
    Adorerai il Signore Iddio tuo e servirai a lui solo.
II... Non assumes nomen Dei tui in vanum.
Non nominerai il nome del Dio tuo in vano.
III. Qui blasphemaverit nomen Domini morte morietur. LEVIT. XXIV.
Chi bestemmierà il nome del Signore sarà punito colla morte.
IV .... Memento ut diem Sabbati sanclifices. EXOD. XX.
Ricórdati di santificare le feste.
Qui polluerit illud (Sabbatum) morte morietur.
      Chi lo violerà sarà mandato a morte.
V..... Honora patrem et matrem tuam ei longaevus eris super terram. EXOD. XX.
Onora tuo padre e tua madre e vivrai lungo tempo sopra la terra.
Qui maledixerit patri vel matri aut eos percusserit morte moriatur.
         Chi oserà maledire o percuotere suo padre o sua madre sia punito colla morte.
VI .... Non occides. EXOD: XX.
Non amazzare.
      Omnis homicida non intrabit in regnum coelorum.
Niun omicida entrerà nel regno de' cieli.
VII ... Non moechaberis EXOD. XX.
Non fornicare.
      Impudici non intrabuni in regnum Dei.
Gli impudici non entreranno nel regno di Dio.
VIII. Non furtum facies EXOD: XX
Non rubare.
      Neque fures neque avari regnum Dei possidebunt.
Nè i ladri nè gli avari entreranno nel regno di Dio..
IX.... Non loqueris contra proximum tuum faIsum testimonium EXOD. XX.
Non dire il falso testimonio contro il tuo prossimo.
Os quod mentitur occidit animam. SAP. I, II.
      La bocca che mentisce dà morte all'anima.
X…  .Non desiderabis uxorem proximi tui. EXOD. XX.
         Non desiderare la persona d'altri.
         Qui viderit mulierem ad concupiscendam eam, jam moechatus eseam in corde suo. MATT. V, 28.
          Chiunque guarda una persona con cattivo fine, ha già com­ messo peccato in cuor suo.
XI  ....Non concupisces domum aut servum proximi tui. EXOD. XX.
   Non desiderare la roba d'altri.
     Qui volunt divites fieri incidunt in tentationem et in laqueum diaboli. I AD Tim.
     Quelli che vogliono farsi ricchi cadono nella tentazione e nel laccio del demonio.
 
Ai piedi della scala centrale a sinistra stava una buca colla seguente scritta:
 
Limosina per l'Oratorio.
 
Eleemosyna a morte liberal et purgat peccata et facit invenire miseri­cordiam et vitam aeternam. TOB. XII, 9.
L'elemosina libera dalla morte e purga i peccati e fa trovare la misericordia e la vita eterna.
 
D. Bosco fu molto contento quando Enria ebbe finita la pittura di queste iscrizioni. Nei sermoni della sera egli soleva spiegarle brevemente; e passeggiando con qualche forestiero sotto il porticato, si dilettava spesso a leggere quelle massime bibliche, qualificandole articoli del suo codice, che costituiscono, come diceva, l'arte di ben vivere e di ben morire.
            Di tutta questa fabbrica ne fu anche pienamente soddisfatto il Teol. Borel, il quale un giorno venne a visitarla, e poi diceva al Ch. Rua: - Vedo proprio che si avvera ciò che D. Bosco mi preannunciava allorquando egli era tenuto per pazzo. Mi diceva di veder già il suo Oratorio ed ora io lo vedo precisamente nella forma che egli mi indicava. E il mucchio di terra sul quale D. Bosco diceva che ivi si sarebbe fondato l'altar maggiore della chiesa di San Francesco di Sales? Passarono sette anni e quel cumulo lo vedevamo sempre là. E finalmente quella terra scomparve e a suo luogo sorse l'altare predetto.
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