Una causa del prestigio di D. Bosco sui giovani - La vista perduta e riacquistata - Benedizione che guarisce dal male di denti - Una intera famiglia sfamata con quattro soldi - D. Bosco legge nei cuori e vede le cose lontane - Una storpia guarita istantaneamente - Da morte a vita e al paradiso - Testimonianze - Umiltà di D. Bosco - Una distrazione - Giudizio del Padre Giuseppe Franco e dell'Arcivescovo di Siviglia - Parole di Mons. Cagliero.
del 14 novembre 2006
 L’oratorio di S. Francesco di Sales e quello di S. Luigi, riordinati facilmente dopo la breve, ma pericolosa perturbazione politica, avevano ripresa l'andatura ordinaria, condotti con mano ferma e soave dallo zelo mirabile di D. Bosco.
Il prestigio che egli aveva sui giovani, derivava dall'essere essi di continuo testimoni delle sue grandi virtù, e persuasi che fosse veramente uomo amico di Dio. Lo riguardavano come un vangelo vivente, come il tipo del vero sacerdote, come il ritratto fedele di N. S. Gesù Cristo. A lui i giovani ricoverati e quelli dell'Oratorio festivo e i piccoli e i grandi attribuivano fin da questi anni il potere di far cose meravigliose, che asserivano averle egli fatte, e col crescere degli anni non perdettero mai questa intima inalterabile persuasione. Li abbiamo uditi a centinaia parlare di quanto essi stessi avevano visto, oppure era stato loro raccontato dai compagni, e lo stesso Mons. Giovanni Cagliero ci scriveva: “ Sì, Don Bosco possedeva il dono dei miracoli. Ciò, per noi che siamo stati tanti anni al suo fianco, è cosa evidente. Anzi molti degli antichi allievi assicurano, che prima della mia entrata nell'Oratorio, già ne avesse operati e che per lui si moltiplicassero le sacre particole ”. Noi qui riportiamo alcuni avvenimenti che ci furono trasmessi per iscritto, e i primi raccolti da D. Cesare Chiala.
D. Bosco anche in piazza faceva talora veri catechismi, vere prediche, ma famigliari. Una volta, a Porta Palazzo, trovandosi attorniato da un certo numero di popolani, incominciò i suoi ragionamenti sulla necessità di ascoltare la parola di Dio. Erano tra gli altri presenti alcuni giovinastri dei più sfrontati, che non volendo ascoltare, disturbavano eziandio l'assemblea. Più volte D. Bosco li avvertì di star quieti, ma indarno. Un certo Botta, alzando di più la voce diceva
 - Noi non vogliamo udire prediche di sorta.
Allora D. Bosco gli disse: - Ma... e se diventassi cieco in questo momento, vorresti allora ascoltare la parola di Dio? - Uhm! Vorrei vedere chi fosse capace d'accecarmi!
 - E intanto si volge al compagno e grida arrabbiatamente
 - Birbante! Perchè fuggi? Hai paura? Vieni qua! E il compagno: - Ma se sono vicino al tuo fianco!
 - Ma se non ti vedo:.... ma.... come...., ma io non ci vedo più...
Fu uno spavento generale: tutti si misero a supplicare D. Bosco perchè restituisse la vista a quel disgraziato. Botta stesso lo scongiurava! - D. Bosco, preghi per me. Domando perdono. - E si gettò in ginocchio piangendo.
D. Bosco allora disse: - Ebbene; recita l'atto di contrizione; noi pregheremo, ma intanto prometti di andarti a confessare, e allora il Signore ti concederà di nuovo la vista.
 - Sì, sì: io mi confesso subito. - E voleva confessarsi in quello stesso luogo. D. Bosco e gli altri recitarono allora qualche preghiera e il giovane sul fare della notte si fece condurre a confessarsi. - Ciò fatto, riebbe la vista.
D. Bosco era pur celebre a dare benedizioni a coloro che erano afflitti pel male di denti. Un giorno, mentre andava verso la città attraversando la piazza Emanuele Filiberto, presso piazza Milano, alcuni giovani accompagnavano un loro amico. Costui tormentato da forte dolor di denti, gridava come in delirio, e bestemmiava orribilmente. I compagni, visto D. Bosco da lungi - Guarda, guarda, gli dissero; c'è Don Bosco che viene alla nostra volta; raccomandati a lui, digli che ti dia la sua benedizione. - Ma quegli, sempre furioso, imprecava eziandio contro D. Bosco e le sue benedizioni. Intanto D. Bosco gli giunse vicino; ma quel poveretto non voleva ascoltare le parole che il buon prete si sforzava di ripetergli. Il quale però tanto fece colle sue amorevoli esortazioni, che l'altro si calmò, s'inginocchiò, recitò l'atto di contrizione domandando perdono a Dio delle bestemmie che aveva pronunciato, e promise dì andarsi a confessare. Allora D. Bosco gli diede la benedizione e il suo male di denti cessò.
Una tale notizia si era poi così divulgata che i tormentati da simili dolori correvano a farsi benedire da lui, e guarivano istantaneamente. Ma D. Bosco per diminuire un simile concorso, e perchè a lui non fossero attribuite tali guarigioni, prese a suggerire, o a far consigliare da altri, a tali infermi qualche speciale atto di pietà in onore del SS. Sacramento, di Maria SS., o di S. Luigi. E appena compiuta quella devozione, il male svaniva. E ai giovani dell'oratorio non mancava tale sollievo.
Carlo Gastini ci narrava più volte che, soffrendo egli una Domenica gran male di denti, era andato in camera gettandosi sul letto. D. Bosco verso le 11 antimeridiane, finite le funzioni nella cappella, sentendolo piangere e lamentarsi, si recò subito presso di lui.
 - Che cosa hai, mio caro Gastini? - gli chiese. Il giovinetto a mala pena rispose poichè si dimenava per l'atroce dolore. D. Bosco allora prese la testa di lui, l’appoggiò al suo, petto, la strinse e il dolore sparì subito come per incanto. Non una sol volta con questo mezzo operò simili guarigioni nell'Oratorio.
Ma finora non abbiamo detto che una piccola parte di ciò che sappiamo intorno a quei tempi. Brosio Giuseppe così ne scriveva a D. Giovanni Bonetti: “ Un giorno mentre lo era nella camera di D. Bosco si presentò un uomo domandandogli l'elemosina dicendo che aveva quattro o cinque ragazzi ai quali dal giorno antecedente non aveva potuto provvedere il cibo e che i poveretti basivano di fame. D. Bosco lo guardò con aria di compassione e poi fruga di qua, fruga di là, finalmente trovò quattro soldi e glieli diede, accompagnandoli con una benedizione. Quell'uomo dopo, averlo ringraziato se ne andò per i  fatti suoi.
Rimasti soli, D. Bosco mi disse, che gli rincresceva molto di non avere avuto denari per dargliene di più: che se avesse avuto cento lire, tutte gliele avrebbe donate, perchè quei poveretto gli aveva detta la verità. Io gli risposi: - E come lei può sapere che quest'uomo abbia detto la verità, mentre lei non sa nemmeno dove abita? Costui non potrebbe essere uno di quegli scrocconi che fanno mestiere di chiedere l'elemosina, gabbando le persone caritatevoli per poi andare, all'osteria, e bere e mangiare a ufo, beffandosi di tutti e particolarmente dei preti?
- No, mi rispose D. Bosco; non parlar così, mio caro Brosio. Quest'uomo è sincero e leale: anzi aggiungerò che è laborioso e molto affezionato alla sua famiglia; fu ridotto in  uno stato così miserabile dalla sola sventura.
 - E come fa lei a sapere tutto questo? - io gli chiesi.
Allora D. Bosco mi prese per mano e stringendomela mi guardò fisso in faccia, e poi in atto di farmi una segreta confidenza, mi disse: - Gli ho letto in cuore.
 - Oh bella! Ma allora lei vede anche i miei peccati? - gli domandai.
 - Sì, ne sento l'odore, mi rispose, ridendo. - Difatti ne sentiva proprio l'odore, o, meglio direi, mi leggeva nel cuore perchè se mi dimenticava di dirgli qualche cosa in confessione, subito mi poneva sotto gli occhi la cosa precisa tal quale era. E come faceva a saperlo, se non mi leggeva in cuore? Poichè io abitavo mezzo miglio almeno lontano da lui.
Un altro aneddoto a questo riguardo: Un giorno avevo fatto un'opera di carità, ma mi era costato un grande sacrificio, e questo era segreto a tutti. Essendo io andato all'Oratorio, D. Bosco, appena mi vide, mi venne incontro, prendendomi per mano secondo il solito, e dicendomi: - Oh che bella cosa ti sei preparata per il paradiso, con quel sacrificio che tu hai fatto! - E qual sacrificio ho fatto io? - Gli domandai.
E D. Bosco mi spiegò punto per punto tutto quello che io aveva fatto in segreto. Egli dunque leggeva nel cuore e vedeva le cose lontane. E ne ebbi un'altra prova.
Una sera incontrai in Torino quell'uomo al quale D. Bosco aveva dati i quattro soldi; mi riconobbe, mi fermò e disse che con quei soldi era andato a comprarsi della farina di meliga ed aveva fatta la polenta mangiandone egli e tutta la famiglia a sazietà, sicchè per quel giorno non ebbero più fame; e che dopo aver ricevuto quella benedizione di Don Bosco, gli affari di sua casa andavano migliorando tutti i giorni: aggiunse che D. Bosco era veramente un santo e che non si sarebbe mai più scordato di lui. E mi ripeteva: In famiglia noi lo chiamiamo il prete del miracolo della polenta, perchè con quattro soldi di farina, al prezzo che si paga, c'è n'era scarsamente per due persone, ed invece ne mangiarono ben sette.
Sovente mi accadde di essere testimonio oculare di fatti consimili ai suddetti e anche pi√π sorprendenti.
Una mattina si presentò a D. Bosco una signora che camminava con una gruccia ed un bastone, accompagnata da un'altra donna, e camminava così stentatamente che per muovere un passo ci voleva il suo tempo; ciò forse per una indisposizione di nervi. Avendo ella detto a D. Bosco che voleva parlargli, io per prudenza mi ritrassi alquanto da parte. Ma quando questa signora uscì, la vidi camminare senza gruccia e senza bastone e mi disse: “ D. Bosco mi ha fatta guarire ”.
Ma ciò che accadde di più straordinario nel 1849 è quanto siamo per raccontare.
Un giovanetto sui quindici anni, chiamato Carlo, che era solito a frequentare l'oratorio di S. Francesco di Sales, cadde nel 1849 gravemente ammalato, e in poco tempo si trovò agli estremi di sua vita. Abitava in una trattoria ed era figlio dell'albergatore. Vistolo in pericolo, il medico consigliò i genitori ad invitarlo a confessarsi, e questi dolentissimi chiesero al figlio quale sacerdote volesse che gli fosse chiamato. Egli mostrò gran desiderio che si andasse a chiamare il suo confessore ordinario, che era D. Bosco. Si mandò subito per lui, ma con grande rincrescimento si ebbe per risposta che era fuori di Torino. Il giovane manifestava un grande accoramento, e si chiese del vice parroco che tosto venne. Un giorno e mezzo dopo egli moriva domandando spesso di parlare con D. Bosco.
Appena D. Bosco fu di ritorno, tosto gli fu detto che erano stati più volte a cercarlo per quel giovane Carlo, da lui ben conosciuto, che si trovava in pericolo di morte e aveva chiesto di lui con vive istanze. Egli si affrettò a far quella visita, caso mai, egli diceva, fosse ancora in tempo. Colà giunto, incontrò pel primo un cameriere a cui tosto domandò notizie dell'infermo: - Troppo tardi è venuto, gli rispose: è morto da una mezza giornata! - Allora D. Bosco esclamò sorridendo Ohibò! Esso dorme, e voi credete che sia morto!
Il servo lo guardò stupito e con aria ironica. Ma Don Bosco quasi scherzando, replicò: - Volete giocare una pinta che non è morto?
In quel mentre gli altri di casa, che erano sopraggiunti a queste sue parole, scoppiarono in dirotto pianto, asserendo che pur troppo Carlo non era pi√π. D. Bosco allora: - Debbo crederlo? Permettete che io vada a vederlo. - E fu subito condotto nella camera mortuaria dove erano la madre e la zia che pregavano vicino all'estinto. Il cadavere, rivestito per la sepoltura, era avvolto e cucito, come allora si soleva, dentro ad un logoro lenzuolo, e coperto di un velo; vicino al letto una lucerna accesa.
D. Bosco gli si avvicinò e pensava: “ Chi sa se avrà fatta bene la sua ultima confessione! Chi sa qual destino avrà incontrata l'anima sua! ”. E rivoltosi a chi lo aveva introdotto, gli disse: - Ritiratevi; lasciatemi solo! - Fatta quindi una breve, ma fervorosa preghiera, benedisse, e chiamò due volte il giovane in tono imperativo: - Carlo, Carlo, alzati! - A quella voce il morto cominciò a muoversi. Don Bosco nascose subito il lume e con forte strappo d'ambo le mani scucì il lenzuolo, perchè il giovane restasse libero, e gli scoperse il volto. Quegli, quasi si svegliasse da profondo sonno, apre gli occhi, li volge attorno, si alza alquanto e dice: - Oh! Come mai mi trovo così? - Quindi si volta, fissa lo sguardo su D. Bosco, e appena lo riconobbe, esclamò: - Oh! D. Bosco! Oh! se sapesse! L'ho sospirato tanto! Io cercava appunto di Lei... Ho molto bisogno di Lei. È Dio che l'ha mandato... Ha fatto tanto bene a venire a svegliarmi!
E D. Bosco gli rispondeva: - Di' pure tutto quello che vuoi; sono qui per te.
E il giovanetto proseguì: - Oh! D. Bosco! Io doveva essere in luogo di perdizione. L'ultima volta che mi sono confessato, non osai palesare un peccato commesso da qualche settimana... È stato un compagno cattivo con i suoi discorsi... Ho fatto un sogno che mi ha grandemente spaventato. Sognai di essere sull'orlo di un'immensa fornace e di fuggire da molti demoni che mi perseguitavano e volevano prendermi: e già stavano per avventarmisi addosso e precipitarmi in quel fuoco, quando una signora si frappone tra me e quelle brutte bestie, dicendo: - Aspettate: non è ancor giudicato! Dopo alcun tempo d'angoscia udii la sua voce che mi chiamava e mi sono svegliato; e ora desidero di confessarmi.
La madre intanto, spaventata da quello spettacolo e fuori di sè, ad un cenno di D. Bosco, era uscita colla zia dalla stanza e andava a chiamar la famiglia. Il povero figliuolo, incoraggiato a non aver più paura di quei mostri, incominciò subito la sua confessione con segni di vero pentimento, e mentre D. Bosco lo assolveva rientrava la madre colla gente di casa, che potè così essere testimone del fatto. Il figlio, rivoltosi allora alla madre le disse D. Bosco mi salva dall'inferno.
Così stette circa due ore, pienamente padrone della sua mente. In tutto questo tempo, per quanto egli si muovesse, guardasse, parlasse, il suo corpo rimase sempre freddo come prima di risvegliarsi. Tra le altre cose ripetè a D. Bosco di raccomandare tanto e sempre ai giovani la sincerità in confessione.
D. Bosco in fine gli disse: - Ora sei in grazia di Dio: il cielo è aperto per te. Vuoi andare lassù o rimanere qui con noi?
 - Desidero andare al cielo, rispose il giovane
 - Dunque a rivederci in paradiso! - E il fanciullo lasciò cadere il capo sull'origliere, chiuse gli occhi, rimase immobile e si riaddormentò nel Signore.
Non è però da supporre che si sia sparso in città un gran rumore di quanto si è narrato. D. Bosco aveva agito colla massima semplicità, affermando che il giovane non era morto; il continuo trambusto politico e guerresco dei primi mesi di quell'anno distraevano e occupavano troppo le menti; e poi il sentimento delicato di onore e di rispetto alla memoria del figlio, dovette impedire che si entrasse dalla famiglia in discorso di simile avvenimento con estranei, sicchè anche coi vicini si mise in tacere, se pure non si tacque fin da principio.
Tuttavia ne corse subito voce tra i compagni del morto, e la fama durò nell'oratorio incontrastata per lunghi anni come di cosa certissima. Conoscevasi il posto e l'insegna di quella locanda, il nome dei giovane, il cognome, la nazionalità della famiglia, e la sua amicizia da più anni con Don Bosco, il quale infatti sul principio del 1849 era andato a visitarla per invitare un fratello di Carlo a venire egli pure all'Oratorio festivo. Quegli andò una volta sola, partì per la guerra come volontario, combattè a Novara, cadde ferito e riportato a casa, quivi morì.
E per citare alcuni nomi fra le centinaia di coloro che conobbero questi avvenimenti, addurremo in primo luogo Giuseppe Buzzetti, il quale se non fu testimonio oculare, lo fu certamente subito dopo auricolare di chi era stato presente, poichè egli poi già avanzato negli anni, non ne ammetteva dubbio, come più volte ci affermò. Questa certezza condivisero con lui Mons. Giovanni Cagliero, Enria entrato nell'Oratorio nel 1854, e nel 1857 D. Garino e D. Bonetti furono subito edotti dai condiscepoli di questo portento. Nel 1864 lo narravano a Bisio alcuni dei primi allievi dell'Oratorio e la damigella Teresa Martano che prima ancora del 1849 conosceva D. Bosco e già abitava in Torino.
D. Sala Antonio andando a Parma nel 1889 incontrò sulla ferrovia un vecchio Fratello delle Scuole Cristiane che era di casa religiosa a Parma. Venuto a parlare di D. Bosco, il buon Fratello gli narrò come egli si trovasse in Torino maestro di classe elementare nel 1848, 1849 e come fosse cosa certa e provata la risurrezione momentanea di un giovanetto già estinto.
D. Rua Michele afferma frequentando nel 1849 in Torino le classi elementari presso i Fratelli delle Scuole Cristiane, - D. Bosco veniva sovente a confessarci: e mi ricordo di averlo allora udito a raccontare, nella predica, dei giovane Carlo, morto, ritornato in vita dalla voce del proprio confessore sopraggiunto, e quindi passato alla sua eternità dopo essere stato assolto dai peccati. Chi fosse tale confessore, D. Bosco non lo disse, ma in seguito lo intesi raccontare questo fatto portentoso da varie persone, le quali lo attribuivano a D. Bosco stesso. Io qualche tempo dopo, valendomi della confidenza che aveva con lui, lo richiesi una volta, mentre io era già prete, o per lo meno prossimo al presbiterato, se fosse proprio egli l'autore di quel fatto, che a lui da molti veniva attribuito. Egli mi rispose: - Io non ho mai detto che fossi io l'autore di quel fatto. Non andai più oltre, bastandomi il vedere che non negava che fosse esso, ma solo negava di averlo attribuito a se stesso; e non volli, insistendo, abusare della sua confidenza.
Oltre a ciò D. Bosco lo raccontava più di cinquanta volte ai giovani dell'Oratorio e centinaia di volte a quelli delle altre sue case, senza però far mai cenno di sè, senza far mai il nome di nessuno e senza dare indicazioni del luogo, e omettendo ogni particolarità che potesse dar sospetto trattarsi di lui, ma sempre colle stesse identiche circostanze, senza mai nulla mutare o aggiungere, sicchè si vedeva come egli fosse stato presente ad un fatto profondamente rimasto impresso nella sua memoria. Se non chè una sera del 1882 si tradì senza accorgersene, raccontando questo avvenimento ai giovani di Borgo S. Martino dopo le orazioni della sera. Avendo egli la mente stanca all'estremo, a metà della descrizione, repentinamente mutò modo di parlare, la terza persona in prima, dicendo: - Io entrai nella camera, io gli dissi, egli mi rispose, e proseguì la sua narrazione per lungo tratto, e sul finire ritornò alla terza persona. Lo scrittore di queste memorie era presente. I Salesiani si guardavano alla sfuggita con occhiate significative, i giovani lo contemplavano come estatici.
Quando ebbe finito, attraversò le loro file per recarsi in camera, e mentre tutti gli facevano ressa intorno, si vedeva dal suo sguardo e dalle sue parole la perfetta incoscienza di ciò che era avvenuto, e nessuno osò fargliene motto per non offendere la sua umiltà.
Finalmente ciò che soprattutto mi sta a cuore è l'esporre un giudizio che ne dava persona competente.
 
 Roma, via di Ripetta, 246
24 Febbraio 1891
 
Rev. Sig. D. G. B. Lemoyne
 
Veggo da un giornale che V. S. va cercando ragguagli e appunti per comporre una vita del compianto D. Giovanni Bosco, di cui sono cominciati i processi canonici per la introduzione della causa di beatificazione, quando ne sarà tempo; e veggo che note eziandio di non grande estensione sono accettate e gradite per cotesto scopo. Mi affretto dunque a contribuire la mia pietruzza all'edificio.
Ho trattato col venerando uomo più volte a Torino, a Genova, a Firenze, e alcune volte assai a lungo da solo a solo e con intimità. L'impressione che egli mi faceva nel primo entrare in discorso era d'un uomo di non grande levatura, ma semplice e buono. Se non che bastavano poche sue parole, perchè mi si ingrandisse il concetto primo e udendolo ragionare mi brillava come uomo di eletto e profondo giudizio, di mirabile prudenza, di rettissimi e santi intendimenti. Il suo discorso piano e senza sussiego mi pareva così aggiustato ed importante, che si sarebbe potuto con frutto stampare a verbo, come gli usciva naturalmente dal labbro. Non saprei quale persona al mondo, parlando meco mi abbia suscitato maggiore ammirazione. Sentivo dì parlare con un santo .....
Io l'ho tenuto e lo tengo per un uomo straordinario e pieno di grazia divina. Mi nasceva tale concetto di lui dalla considerazione della sua vita, dei suoi portamenti e delle sue intraprese. Mi dava somma edificazione colla carità e collo zelo che egli mostrava sincero, efficace, fecondo verso i fanciulli del volgo e i monelli d'ogni maniera, per ritrarli dal vizio, provvederli, istruirli, educarli e soprattutto guadagnarli a Gesù Cristo. Vedevo in cotesto qualche cosa di altamente conforme allo spirito di Gesù Cristo, e lontano affatto da ogni inclinazione umana: era il charitas Christi urget nos in tutto il suo splendore.
Tanta era la persuasione che nutriva in me della sua straordinaria bontà, che mi sembrava cosa come naturale che egli operasse dei veri miracoli: essendo consueta provvidenza divina, che ai grandi servi di Dio tale dono si conceda. L'udirne raccontare qualche saggio non mi avrebbe recato pertanto veruna meraviglia, se anche la cosa fosse frequente.
Ne intesi poi in realtà raccontare... ” E dopo aver esposto un fatto sorprendente di D. Bosco del quale ben presto noi parleremo, continua: “ Udii pure raccontare tra persone colte e pie, in Torino, che D. Giovanni fosse stato una volta chiamato ad assistere un ammalato giovane, e che essendo arrivato tardi, quando cioè il giovane era già passato, D. Giovanni lo risuscitò, e lo confessò nelle circostanze presso a poco che si legge avere S. Filippo Neri risuscitato il giovane dei Massimi. In quella occasione udii che alcuno ne aveva fatto ricordo per iscritto, e conservava i documenti dei fatto per valersene appunto a glorificare D. Giovanni, quando non fosse più tra i vivi.
Ecco, Rev. Signore, quel pochino che io posso accertare. Ne faccia liberamente l'uso che crederà migliore .....
 
P. Giovanni Giuseppe Franco
della Comp.a di G.
 
 Appoggiato su questi stessi motivi, Mons. Spinola, ora Arcivescovo di Siviglia, stampando a Milo il fascicolo “Don Bosco e la sua opera”, non esitava ad ammettere la circostanza della morte e risveglio del giovane Carlo.
Ma ciò che a noi più di tutto importa sono le conversioni e le confessioni sincere senza numero che D. Bosco ottenne con questo suo racconto; e furono portenti morali, ciascun dei quali vai quello che abbiamo esposto. L'efficacia della parola che Dio gli aveva concessa si manifestò in tante guise da far apparire l'intera sua vita come un inno continuo all'onnipotenza, provvidenza e misericordia divina. Tuttavia Mons. Cagliero, testimone di tante giornaliere meraviglie, aggiungeva: - Per me il maggiore dei miracoli di D. Bosco fu l'aver lottato per quasi cinquant'anni, conducendo a felice termine una navigazione procellosa tra continui scogli e marosi, che minacciavano sommergere l'opera degli oratori e la Congregazione di S. Francesco di Sales.
 
 
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