Capitolo 47

Il Sistema Preventivo - Sua applicazione - Suoi vantaggi.

Capitolo 47

da Memorie Biografiche

del 27 novembre 2006

Dal complesso di quanto abbiamo esposto nei volumi precedenti, i nostri lettori si saranno formati un criterio esatto del sistema tenuto da D. Bosco nell'educare la gioventù. Questo non era il così detto sistema repressivo, ma sibbene il preventivo, sistema più consentaneo alla ragione ed alla Religione. Infatti la Religione insegna la carità che combatte la superbia, l'egoismo, rende socievoli, grati e rispettosi gli uni verso gli altri, obbedienti spontaneamente a coloro che hanno diritto ed obbligo di comandare, e adorna persino di una certa ingenua gentilezza anche i più rozzi perchè esclude il timore.

La ragione poi dimostra coll'esperienza che senza vera affezione è inutile il ministero dell'educatore. La prima felicità di un fanciullo è il sapere di essere amato. Ed egli corrisponde a questo amore, si persuade di quanto il maestro asserisce, ama tutto ciò che il maestro insegna, a lui piace quello che piace al maestro, si affeziona per tutto il tempo della vita alla verità e alla dottrina da lui apprese, e sentesi perfino inclinato alla stessa professione, anche sacerdotale o religiosa del suo educatore, e lo ama come il padre dell'anima sua.

Per giunta in questi anni il sistema preventivo era divenuto una necessità. Le aspirazioni popolari ad un governo più mite, assecondate dai rispettivi Principi, facevano sì che i giovanetti ancora esigessero dai loro superiori una direzione più affettuosa e paterna. Quindi un sistema di educazione ruvido e repressivo, quale in qualche altro tempo erasi praticato, sarebbe stato ripugnante alla natura dei tempi, e tra gli altri avrebbe prodotto due gravissimi mali. Avrebbe allontanati i giovani dall'Oratorio, dove si portavano spontaneamente, e donde potevano eziandio partirsene di pieno arbitrio senza che alcuna legge od autorità ne li trattenesse; e per soprappiù avrebbe confermate presso di loro le male dicerie, che prezzolati giornalisti, saltimbanchi e teatranti andavano largamente spargendo, essere cioè i sacerdoti altrettanti tiranni, nemici della libertà e del popolo. Ma col mezzo del suo sistema D. Bosco impedì che un tanto malanno s'infiltrasse tra i suoi giovanetti. Perciò l'Oratorio fu sempre frequentatissimo, da rendere necessaria l'apertura di nuovi in varie parti della città; e per altro lato se qualche lingua maledica veniva a sparlare dei sacerdoti alla presenza dei giovani che vi usavano, bastava che si richiamassero alla mente i tratti di squisita bontà che praticava D. Bosco, per dare ai maldicenti una solenne mentita. Difatto nelle officine accadde loro più volte di addurre questo argomento contro di coloro che tagliavano le legna addosso ai preti, e parecchi ricordano che allora, non sapendo più che rispondere, i mormoratori rispondevano: Se i preti fossero tutti come il vostro D. Bosco, avreste ragione; ma non è così. Essi per altro, che vedevano un Teol. Borel, un Teol. Chiaves, un Teol. Carpano, un Teol. Murialdo, un Teol. Vola, un Teologo Marengo e più e più altri esemplarissimi sacerdoti a far splendida corona a D. Bosco, e studiarsi d'imitarlo nel volere bene e trattare i giovani e persino i monelli da amici e da padri, persistevano saldi nelle loro convinzioni, e giudicavano le maldicenze siccome calunnie, quali erano, e tiravano innanzi. In siffatta guisa, insieme coll'amore e attaccamento alla Religione Cattolica, nutrivano sempre verso i suoi ministri un'alta stima e una profonda venerazione; e non vi è da peritarsi nel dire che questi frutti erano dovuti all'educazione che loro impartivano D. Bosco e i suoi pazienti coadiutori.

Questo sistema D. Bosco lo aveva sperimentato di sì felice riuscita pel benessere morale dei giovanetti, che dopo averne instillata la pratica a tutti i suoi aiutanti e tenutene varie conferenze col Teol. Eugenio Galletti Canonico del Corpus Domini, in fine ne scrisse brevemente dimostrando in che consistono i due sistemi preventivo e repressivo, adducendo le ragioni per cui è da preferirsi il primo, insegnandone la pratica applicazione e svelandone i grandi vantaggi. Questo utilissimo scritto vide poi la luce nel Regolamento per le Case Salesiane; e noi crediamo dell'interesse dei lettori il qui riprodurlo per loro norma e governo.

“Due sono i Sistemi, così D. Bosco, in ogni tempo usati nella educazione della gioventù: Preventivo e Repressivo. Il Sistema Repressivo consiste nel far conoscere la legge ai sudditi, e poscia sorvegliare per conoscerne i trasgressori ed infliggere, ove sia d'uopo, il meritato castigo. In questo Sistema le parole e l'aspetto del Superiore debbono sempre essere severe e piuttosto minaccevoli, ed egli stesso deve evitare ogni famigliarità coi dipendenti. Oltre a ciò il Direttore per accrescere valore alla sua autorità dovrà trovarsi di rado tra i suoi soggetti, e per lo più solamente quando si tratta di punire e di minacciare. Questo Sistema è facile, meno faticoso, e giova specialmente nella milizia, e in generale tra le persone adulte ed assennate, che devono da sè  stesse essere in grado di sapere e ricordare ciò che è conforme alle leggi e alle altre prescrizioni. ”Diverso e, direi, opposto è il Sistema Preventivo. Esso consiste nel fare conoscere le prescrizioni e i regolamenti di un Istituto, e poi sorvegliare in guisa, che gli allievi abbiano sempre sopra di loro l'occhio del Direttore o degli assistenti, che come padri amorosi parlino, servano di guida ad ogni evento, diano consigli ed amorevolmente correggano, che è quanto dire: Mettere gli allievi nella impossibilità di commettere mancanze. Questo Sistema si appoggia tutto sopra la ragione, la religione e l'amorevolezza; perciò esclude ogni castigo violento, e cerca di tenere lontani gli stessi castighi leggeri. Sembra che questo Sistema sia preferibile per le seguenti ragioni:

”I. L'allievo preventivamente avvisato non resta avvilito per le mancanze commesse, come avviene quando esse vengono deferite al Superiore. Il giovane non si adira per la correzione fatta o pel castigo minacciato od inflitto, perchè vi è sempre una parola amichevole, che lo ragiona, e che per lo più riesce a persuaderlo e guadagnargli il cuore, cosicchè il colpevole conosce la necessità del castigo e quasi lo desidera.

”II. La ragione più essenziale è la mobilità del giovane, che in un momento dimentica le regole disciplinari e i castighi, che quelle minacciano. Perciò spesso un fanciullo si fa trasgressore di una regola e meritevole di una pena, alle quali nell'istante dell'azione punto non badava, ed avrebbe per certo diversamente operato, se una voce amica l'avesse ammonito.

”III. Il Sistema Repressivo potrà impedire disordini, ma difficilmente farà migliori gli animi. Si è osservato che i giovanetti non dimenticano i castighi subiti, e per lo più conservano amarezza con desiderio di scuotere il giogo ed anche di farne vendetta. Sembra talora che non ci badino, ma chi tien dietro ai loro andamenti conosce che sono terribili le reminiscenze della gioventù. Dimenticano facilmente le punizioni dei genitori, ma assai difficilmente quelle degli educatori. Vi sono fatti di alcuni, che in vecchiaia vendicarono bruttamente certi castighi, toccati giustamente in tempo di loro educazione. Al contrario il Sistema Preventivo rende amico l'allievo, che nell'assistente ravvisa un benefattore che lo avverte, vuol farlo buono, liberarlo dai dispiaceri, dai castighi, dal disonore.

”IV. Il Sistema Preventivo tratta l'allievo in modo, che l'educatore potrà parlargli sempre col linguaggio del cuore e in tempo della educazione e dopo di essa. Con siffatto Sistema l'educatore guadagnandosi il cuore del suo protetto potrà esercitare sopra di lui un grande impero, avvisarlo, consigliarlo ed anche correggerlo allora quando si troverà negli impieghi, negli uffizi e nel commercio.

”Per queste e molte altre ragioni pare che il Sistema Preventivo debba preferirsi al Repressivo”.

Dopo ciò D. Bosco passa a dire della sua applicazione e continua così:

”La pratica di questo sistema è tutta appoggiata sopra le parole di S. Paolo che dice: Charitas patiens est, benigna est, omnia suffert, omnia sperat, omnia sustinet; ed anche sopra queste altre dirette ai genitori: Padri, non provocate ad ira i vostri figliuoli, affinchè non si perdano d'animo. Perciò soltanto il cristiano può con successo applicare il Sistema Preventivo. Ragione e Religione sono i mezzi, di cui deve costantemente far uso l'educatore, se vuole ottenere il suo fine. Ecco pertanto le principali regole di applicazione del suddetto Sistema.

”I. Il Direttore deve essere tutto consacrato ai suoi educandi, nè  mai assumersi impegni, che lo allontanino dal suo uffizio; anzi deve trovarsi sempre co' suoi allievi tutte le volte, che non sono obbligatamente legati da qualche occupazione, eccetto che siano da altri debitamente assistiti. ”II. I maestri e gli assistenti devono essere di moralità conosciuta. Studino di evitare come la peste ogni sorta di affezione od amicizie particolari cogli allievi, e si ricordino che il traviamento di un solo può compromettere un Istituto educativo. Si faccia in modo che gli allievi non siano mai soli. Per quanto è possibile gli assistenti li precedano nel sito dove devonsi raccogliere; si trattengano con loro fino a che siano da altri sorvegliati, non li lascino mai disoccupati neppure in tempo di ricreazione.

”III. Si dia ampia libertà di saltare, correre, schiamazzare a piacimento. La ginnastica, la musica, la declamazione, il teatrino, le passeggiate sono mezzi efficacissimi per ottenere la disciplina, giovare alla moralità ed alla sanità. Si badi soltanto che sia ben scelta la materia del trattenimento, siano oneste e non pericolose le persone che v'intervengono, e non biasimevoli i discorsi che vi hanno luogo. Fate tutto quello che volete, diceva il grande amico della gioventù S. Filippo Neri, a me basta che non facciate peccati.

”IV. La frequente Confessione e la frequente Comunione sono le colonne, che devono reggere un edifizio educativo, da cui si deve tenere lontana la minaccia e la sferza. Non mai costringere i giovanetti alla frequenza dei santi Sacramenti, ma soltanto incoraggiarli e porgere loro comodità di approfittarne. In occasione poi di Esercizi spirituali, tridui, novene, predicazioni e catechismi, si faccia rilevare la bellezza, la grandezza la santità di quella Religione, che presenta dei mezzi così facili, così utili alla civile società, alla tranquillità del cuore, alla salvezza dell'anima, quali appunto sono i santi Sacramenti. In questa guisa i fanciulli restano spontaneamente invogliati di queste pratiche di pietà, vi si accosteranno con convinzione e con frutto.

”V. Si usi la massima sorveglianza per impedire che nell'Istituto s'introducano compagni e libri cattivi, o persone che facciano mali discorsi. La scelta di un buon portinaio è un tesoro per una casa d'educazione.

”VI. Ogni sera dopo le preghiere comuni, e prima che gli allievi vadano a riposo, il Direttore, o chi per esso, indirizzi alcune affettuose parole in pubblico, dando qualche avviso o consiglio intorno a cose da farsi o da evitarsi; studii di ricavare le massime da fatti avvenuti in giornata nell'Istituto o fuori; ma il suo discorso non oltrepassi i cinque minuti. Questo sermoncino ben condotto è come la chiave della moralità e del buon successo della educazione.

”VII. Si tenga lontana la pestifera opinione di taluno, che vorrebbe diferire la prima Comunione ad un'età troppo inoltrata, quando per lo più il demonio già ha preso possesso del cuore di un giovanetto a danno incalcolabile della sua innocenza. Secondo la disciplina della Chiesa primitiva si solevano dare ai bambini le ostie consacrate, che sopravanzavano dalla Comunione degli adulti. Questo serve a farci conoscere quanto la Chiesa ami che i fanciulli siano ammessi per tempo alla santa Comunione. Quando un giovanetto sa distinguere tra pane e pane, e palesa sufficiente istruzione, non si badi più all'età, e venga il Sovrano celeste a regnare in quell'anima benedetta.

”VIII. Riguardo alla Comunione i catechismi ne raccomandano la frequenza. San Filippo Neri la consigliava ogni otto giorni ed anche più spesso. Il Concilio di Trento dice chiaro che desidera sommamente che ogni fedele cristiano quando va ad ascoltare la santa Messa faccia eziandio la Comunione, non solo spirituale, ma sacramentale, affinchè ricavi maggior frutto da questo augusto e divino Sacrificio”.

L'utilità di questo Sistema di educazione non può sfuggire alla considerazione di una persona assennata; tuttavia a fine di meglio persuadernela D. Bosco prosegue:

 “Taluno dirà che questo Sistema è difficile in pratica. Osservo che da parte degli allievi riesce assai più facile, più soddisfacente, più vantaggioso. Da parte poi degli educatori racchiude alcune difficoltà, che però restano diminuite, se l'educatore si mette con tutto zelo all'opera sua. L'educatore è un individuo consacrato al bene dei suoi allievi; perciò deve essere pronto ad affrontare ogni disturbo, ogni fatica, per conseguire il suo fine, che è la civile, morale e scientifica educazione dei suoi alunni. Oltre ai vantaggi sopra esposti aggiungo ancora i seguenti:

”I. L'allievo sarà sempre pieno di rispetto verso l'educatore e ricorderà ognora con piacere la direzione avuta, considerando quali padri e fratelli i suoi maestri e gli altri superiori.

”II. Qualunque sia il carattere, l'indole, lo stato morale di un giovanetto all'epoca della sua accettazione, i parenti possono vivere sicuri che il loro figlio non potrà peggiorare, e si può dare per certo che si otterrà sempre qualche miglioramento. Certi fanciulli che erano la desolazione dei parenti, e persino rifiutati dalle case correzionali, coltivati invece secondo i principii di questo Sistema, cangiarono indole, mutarono carattere, si diedero ad una vita costumata, e presentemente occupano onorati uffizi nella società, e sono il sostegno della famiglia e il decoro del paese.

”III. Gli allievi che per avventura entrassero in un Istituto con tristi abitudini non possono danneggiare i loro compagni. Nè  i giovanetti buoni potranno ricevere nocumento da costoro, perchè non avvi nè  tempo, nè  luogo, ne opportunità, per essere sempre amorevolmente assistiti e protetti”.

D. Bosco conchiude il suo trattatello con una parola sui castighi: Che regola tenere, egli domanda, nell'infliggere castighi? E risponde: Se è possibile, non si faccia mai uso dei castighi; ove poi la necessità chieda repressione, si ritenga quanto segue:

“I. L'educatore tra gli allievi cerchi di farsi amare, se vuol farsi temere. In questo caso la sottrazione di benevolenza è un castigo, ma un castigo che eccita l'emulazione, infonde coraggio e non avvilisce mai.

”II. Presso ai giovanetti è castigo quello che si fa: servire per tale. Si è osservato che uno sguardo non amorevole sopra taluni produce maggior effetto, che non farebbe uno schiaffo. La lode per una bell'azione, il biasimo per una colpevole trascuratezza, può servire ottimamente di premio o di castigo.

”III. Eccettuati rarissimi casi, le correzioni, i castighi non si diano mai in pubblico, ma privatamente e lungi dalla vista dei compagni. Si usi poi la massima prudenza e pazienza per fare che l'allievo comprenda il suo torto colla ragione e colla religione.

”IV. Il dare titoli villani, il percuotere in qualunque modo, il mettere in ginocchio con posizione dolorosa, il tirare le orecchie ed altri atti consimili, debbonsi assolutamente evitare, perchè sono proibiti dalle leggi civili, irritano grande- mente i giovani, ed avviliscono lo stesso educatore.

”V. Il Direttore faccia ben conoscere le regole, i premi ed i castighi stabiliti dai Regolamenti di disciplina, affinchè l'allievo non si possa scusare dicendo: Non sapevo che ciò fosse comandato o proibito.

”VI. Prima d'infliggere una qualunque punizione si osservi quale grado di colpabilità si trovi nell'allievo, e dove basta l'ammonizione non si usi il rimprovero, e dove questo sia sufficiente non si proceda più oltre.

”VII. Nè  in parole nè  in fatti non si castighi mai quando l'animo è agitato; non mai per falli di semplice inavvertenza; non mai troppo sovente ”. Così D. Bosco.

Il sopradescritto sistema, seguito da lui e raccomandato sin dal principio dell'Oratorio e dell'Ospizio, è quello che si studia e si pratica ancora oggidì in tutte le Case Salesiane; e i Superiori sanno che esse appunto maggiormente fioriscono e danno buoni frutti, quanto più il detto sistema è meglio conosciuto e più esattamente eseguito.

I principii di questo sistema di educazione davano a Don Bosco argomento perle conferenze che teneva ai suoi coadiutori. Ricordava sovente le parole di San Francesco di Sales: “Si colgono più mosche con un cucchiaio di miele che con un barile d'aceto”. E pativa se alcuno mostravasi duro coi giovanetti e colle persone dipendenti, volendo che tutti fossero guadagnati colla carità. - Non dimenticate mai, ei diceva continuamente a chiunque avesse autorità sugli alunni, che i ragazzi mancano più per vivacità che per malizia, più per non essere ben assistiti che per cattiveria. Bisogna aver di essi sollecita cura, assisterli attentamente senza aver l'aria di farlo, e prendere anche parte ai loro giuochi, tollerare i loro schiamazzi e le noie che arrecano, poichè eziandio il Divin Salvatore disse in tali circostanze: Sinite parvulos venire ad me. - Ed egli vigilavali attentamente ovunque fossero. Con frequenza veniva nello studio e andava nelle officine. Mai che accadesse la più piccola infrazione alle regole, senza che egli subito se ne avvedesse e vi rimediasse con prontezza. Conferiva sovente cogli altri superiori informandosi della condotta dei giovani e dando sempre norme pel buon andamento della disciplina. Prescrisse che ogni settimana si desse a ciascun alunno il voto di condotta, di studio e di lavoro, ed egli stesso leggeva pubblicamente i voti alla domenica sera, incoraggiando i diligenti e ammonendo i negligenti.

Don Bosco aveva la certezza che ordinariamente colla riflessione si riducono tutti i giovani a riconoscere i propri mancamenti ed a correggerli. Quindi non stancavasi mai di avvisare e consigliare; e la sua pazienza fu veramente eroica. Quando alcun superiore era incerto della buona riuscita di un giovane per accettarlo o per congedarlo, egli suggeriva di mettere in pratica, anche in questo caso, la massima di San Paolo: Omnia probate, quod bonum est tenete; e a ciò doveva condurre la vigilanza e l'avviso opportuno. Sul principio dell'anno, se veniva a subodorare che taluno dei nuovi accettati potesse recar danno ai compagni, lo chiamava a sè , lo avvisava colle più vive espressioni di dolore, lo faceva sorvegliare in modo speciale. Con tale sollecitudine riuscì a corregerne molti, che venendo dal mondo, portavano seco il mal vezzo, pur troppo comune, del turpiloquio.

Difficile enunciare a parole il segreto che aveva D. Bosco di guadagnare i giovani a sè  e tirarli al servizio del Signore. Egli possedeva nell'ordine della natura e della grazia tali doti e prerogative, che, preso a sè  un giovane e parlatogli in confidenza in un orecchio, per quanto fosse discolo o ribelle alla grazia difficilmente avveniva che non si arrendesse a' suoi paterni consigli ed ammonimenti. E questi non potevano riuscire inefficaci, poichè D. Bosco per le anime avrebbe data cento volte la vita se fosse stato mestieri.

Le sue parole aprivano i cuori, ed egli sovente insisteva sulla sincerità da usarsi specialmente coi superiori nelle cose dell'anima, ne descriveva i vantaggi, la chiamava la chiave della pace interna, l'arma più efficace per cacciare la melanconia, il segreto più sicuro per trovare la contentezza in vita ed in morte e di giungere a gran perfezione. Con tale raccomandazione non mirava ad altro che ad impedire il peccato, o distruggerlo colle sue conseguenze.

Era solito a dire a' suoi coadiutori: - Bisogna che teniamo lontano il peccato dalla casa e che i nostri giovani si mettano tutti in grazia di Dio: senza di questo le cose non possono andar bene. - E soggiungeva sovente: - Ricordatevi che il primo metodo per educar bene, è il far buone confessioni e buone comunioni. - Egli nella frequenza di questo sacramento riponeva tutta la forza della sua missione in mezzo alla gioventù. Procurava che i suoi alunni vi si accostassero regolarmente, anzi con molta frequenza, ma senza pressione di sorta. Li esortava e voleva che fossero esortati, ma non li obbligava. Quantunque egli si trovasse tutte le mattine a confessare, e fosse generale il desiderio di confessarsi da lui, tantochè non aveva tempo di soddisfare al desiderio di tutti, tuttavia voleva che si trovassero altri confessori esterni, specialmente nelle feste e loro vigilie. Lasciava a tutti la massima libertà; non faceva osservazioni e non voleva che se ne facessero intorno a chi si confessava da lui o chi da altri sacerdoti. E anni dopo diede per norma ad un suo sacerdote: -Fa' in modo di non dare mai alcun segno di parzialità verso di chi si confessa a preferenza più da uno, che da un altro. - Così pure non si piegò mai a permettere che nei giorni di comunione generale si facessero uscire i giovani dai banchi ordinatamente per fila per andare all'altare, acciocchè chi non era preparato, non si lasciasse vincere con suo gran danno dal rispetto umano, o fosse segnato a dito dagli altri. Meglio la libertà e un po' di confusione. Alla messa quotidiana della comunità erano così numerose le comunioni, che parecchi forestieri chiesero più di una volta quale festa si celebrasse perchè loro sembrava di aver assistito ad una comunione generale.

Del resto il bene che operò D. Bosco per mezzo della confessione è tanto, che oseremmo chiamarlo l'apostolo della confessione. Egli ispirava tale tranquillità e fiducia in Dio e nelle sue misericordie, che molti, lasciato l'Oratorio stentavano quasi ad abituarsi ad altri confessori. Egli inculcava ai penitenti la massima di S. Filippo Neri: - Peccati e malinconia non voglio in casa mia - e con ciò voleva che confidassero pienamente nella eterna loro salvezza.

E la frequenza ai sacramenti era la molla potente che spingeva tutti per la via dell'obbedienza con pace ed allegrezza. Quindi la nota caratteristica dell'Oratorio era una chiassosa spigliatezza di modi, una vivace distribuzione di giuochi, unita ad una religiosità e moralità somma e diligenza nei proprii doveri. Questa era personificata in un gran numero di ottimi giovani, veri modelli ed esemplari per gli altri compagni. Centinaia di antichi allievi, sacerdoti e laici, attestano non ricordarsi essere accaduto ai loro tempi alcun grave disordine.

Scrisse il Can. Ballesio “Il freno al male, l'eccitamento al bene, la giocondità e la soddisfazione nostra, l'ordine nella casa, la nostra riuscita nello studio e nel lavoro, tutto nasceva dalla pietà razionale, intima e fervorosa che il servo di Dio sapeva infonderci, col suo esempio, colle prediche, colla frequenza de' sacramenti a quei tempi quasi nuova fra i giovani, co' suoi discorsi e coi racconti vivi ed edificanti. Nello stesso tempo, con certe sue parole, con cenni, con sguardi, dissipava le tenebre, le ansietà dello spirito, c'innondava l'anima di gioia e ci infervorava all'amore della virtù, del sacrificio e dell'obbedienza”.

Oh! come risuonavano care sulle sue labbra quelle espressioni a lui così famigliari mentre traspariva dal suo volto la fede che aveva in cuore: - Come è buono il Signore con noi che non ci lascia mai mancar nulla! Serviamolo volentieri! - Amiamo Iddio; amiamolo perchè è nostro padre.

Tutto passa: ciò che non è eterno è niente!

Risalta adunque evidente, e in molte altre pagine ne riparleremo, come il metodo di educazione scelto da D. Bosco fosse la bontà adattata sapientemente e soavemente all'età giovanile. Ma oh quanto sarebbe desiderabile che tal sistema venisse introdotto in tutte le famiglie cristiane, in tutti gli istituti di educazione pubblici e privati, maschili e femminili! Quanto più facile si renderebbe l'esercizio del bene alla gioventù, come pronta sarebbe la medicina al primo apparire del male, quale sicurezza per i fanciulli onesti ed innocenti contro i cattivi esempi dei pervertiti Allora non si tarderebbe ad avere una gioventù più morigerata e pia; una gioventù che sarebbe la consolazione delle famiglie e un valido sostegno per la civile società. E così l'intesero un gran numero di educatori di varie nazioni e specialmente dell’Inghilterra. Qui molti collegi, destinati alla gioventù povera e cattolica, presero a modello, dopo la morte di D. Bosco, l'Oratorio di Torino e il suo regolamento: i fondatori studiarono la vita di D. Bosco e il suo sistema pratico di educazione, seguirono i suoi esempi con gran frutto per le vocazioni ecclesiastiche, e il ritratto dell'uomo di Dio occupa in quegli istituti il posto d'onore ed anche ne' seminari.

Pure fra i protestanti D. Bosco ebbe imitatori. Don Giovenale Bonavia il 12 giugno 1903 ci scriveva dalla nostra Casa di Londra. “Le spedisco due periodici che contengono qualche osservazione su D. Bosco; non sono cattolici, ma appartengono a quanto pare alla sezione anglicana detta Chiesa Alta ossia ritualista o puseista. Lo scrittore, certo Norman Potter, credo sia la stessa persona della quale mesi or sono uno dei nostri sacerdoti fece personale conoscenza. Egli si trova Direttore di un Ospizio di giovani non molto distante da noi e chi lo visitò vide nella camera di ricevimento il ritratto di D. Bosco coi motto: Da mihi animas, caetera tolle; Questo signore ha viaggiato in Italia, visitate alcune nostre case e l'Oratorio di Torino. Imita D. Bosco in quanto può.

Ha un cappellano (protestante) nel suo Istituto. Credo che legga anche il Bollettino Salesiano.

“Egli adunque nei due articoli suddetti dà un cenno storico di D. Bosco.

“Il primo Goodurtl (Buon volere), stampato nel 1900 è il più breve con ritratto. Il secondo Common wealth (Bene pubblico) fu stampato quest'anno, è più diffuso e dà anche uno schizzo del sistema preventivo tratto dal regolamento delle nostre case. Dove si parla della frequente confessione e comunione e della messa giornaliera, traduce la parola Messa in Eucharist per evitare forse la parola Mass che è offensiva a molti anche Anglicani. Conchiude tutti e due gli articoli facendo voti che il Signore susciti qui in Inghilterra uomini collo spirito di D. Bosco, di cui vi è tanto bisogno”.

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