Capitolo 49

D. Bosco in mezzo ai giovani e ai popolani - Oratorii festivi - Le prime Letture Cattoliche - IL CATTOLICO ISTRUITO NELLA SUA RELIGIONE - Difficoltà della Revisione - I Valdesi e la festa dello Statuto - NOTIZIE STORICHE INTORNO AL MIRACOLO DEL SS. SACRAMENTO IN TORINO - Ristampa ordinata al Ch. Rua pel 1903 - Feste del quarto centenario del miracolo - D. Chiatellino a Borgo Cornalense.

Capitolo 49

da Memorie Biografiche

del 27 novembre 2006

Le premure di D. Bosco per l'Ospizio non impedivano la prosperità degli Oratorii festivi e per nulla lo distraevano dall'intrattenersi coi biricchini, coi monelli, colla gente più meschina. Ciò era per lui una vera delizia non solo nell'Oratorio ma anche per Torino. Perfin sulle piazze e sulle pubbliche strade continuava a far sentire la parola del Signore. “Più volte in varii anni mi avvenne, testifica D. Rua, di accompagnarlo per le vie della città. I fanciulli vedendolo, correvano chi a baciargli la mano, chi a domandargli medaglie; e gli facevano larga circolo intorno intorno. Gli adulti, al vedere quella numerosa schiera di giovanetti in mezzo alla quale stava in piedi un sacerdote, si fermavano per curiosità, e D. Bosco non si lasciava sfuggire così bella occasione per indirizzare a tutti esortazioni adattate allo stato di ciascuno. Parecchie altre  volte, giungendo egli ad un crocchio di giovani che si divertivano, mettevasi a partecipare ai loro divertimenti; ma dopo pochi istanti io lo vedevo ritto in piedi, in mezzo ad una turba silenziosa, far intender loro una salutare istruzione ”. Era a tale scuola che si accendeva lo zelo de' suoi catechisti, e fra questi di Giovanni Cagliero, che ora da secolare e poi da chierico all'Oratorio, a S. Luigi di Portanuova e in Vanchiglia farà le prime prove di apostolato.

La festa di S. Francesco di Sales con questi mezzi aveva dato il solito frutto di numerosissime comunioni. D. Bosco lamentava però l'assenza di D. Chiatellino Michelangelo e a suo nome il Ch. Reviglio, presentandogli i saluti come pure quelli del Ch. Danusso, di Mamma Margherita e di tutta la casa, scrivevagli a Carignano: “Fummo tutti offesi sommamente, ed ha illusa l'aspettazione dei più; e ciò basti!”.

Venuta la quaresima, che aveva principio col 9 febbraio e finiva col 27 marzo, preparava i giovani ai catechismi per la pasqua colla santificazione degli ultimi giorni di carnovale. E in questi giorni mandava il Ch. Rua ed altri chierici alla ricerca di giovani in tutti i dintorni coll'incarico di condurli alle funzioni; e perchè li allettassero a venire, rifornivali preventivamente di regalucci da distribuire.

Ma l'oratorio che aveva bisogno di speciale sostegno, era quello di S. Luigi a Portanuova, sì perchè il più vicino ai Valdesi e sì perchè difettava alquanto di personale dirigente. Il Sac. D. Pietro Ponte aveva avuto per successore il teologo Felice Rossi, uomo di molto zelo, ma di precaria salute.

Per questo motivo D. Bosco per più anni, mentre nella quaresima non aveva requie nel confessare i giovani di Valdocco, volentieri si prestava ad ascoltare anche le confessioni di una parte di quelli di S. Luigi. “Mi rammento, narrava il Teol. Leonardo Murialdo, che allorquando trattavasi di compiere il precetto pasquale, molti giovani venivano raccolti all'Oratorio di S. Luigi a Portanuova, e di là attraversando tutta la città erano accompagnati all'Oratorio di Valdocco ove D. Bosco li confessava. Questi giovani erano già grandicelli, e generalmente discoli e scapestrati. Ma D. Bosco aveva un'attitudine speciale per allettarli ai sacramenti e per migliorare anche i più cattivi”.

Del resto D. Bosco non mancava di visitarli nel loro oratorio, come anche quelli di Vanchiglia. Talora mandava ad avvisarli una settimana prima della sua venuta, e quel giorno era festa solenne, accompagnata dal pane e salame.

Incominciava il mese di marzo 1853, e mentre egli coi giornalieri catechismi istruiva nella quaresima una moltitudine di figli del popolo, ecco uscire alla luce dalla tipografia De Agostini il primo fascicolo delle Letture Cattoliche. Aveva per titolo: Il Cattolico istruito nella sua religione: trattenimenti di un padre di famiglia co' suoi figliuoli, secondo i bisogni del tempo, epilogati dal Sacerdote Bosco Giovanni. Il padre di famiglia rappresentava per D. Bosco l'avv. Luigi Gallo da Genova, col quale aveva amichevoli relazioni quando componeva questo libro, di 452 pagine diviso in sei fascicoli in 32. Era un trattato, si può dire completo, ma popolare sulla vera religione. Confutava gli errori, le empietà, le contraddizioni dei ministri protestanti e valdesi, dimostrava la loro malafede e le sacrileghe alterazioni introdotte nei testi della Bibbia; e intanto narrava la vita scellerata ed oscena dei Capi della Riforma. D. Bosco però riputava suo dovere di far osservare qua e là, che le espressioni le quali potessero a taluno sembrare un po' vibrate, riguardavano unicamente agli scritti eretici ed escludevano qualsiasi allusione alle persone dei Valdesi. Concludeva il suo lavoro rivolgendo alcune parole ai Ministri Protestanti, dimostrando loro la tremenda responsabilità che si assumevano al tribunale di Dio, strappando le pecorelle al suo ovile. “Queste sono parole di un vostro fratello che vi ama, e vi ama assai più che voi nol credete. Parole di un fratello, che offre tutto se stesso e quanto può avere in questo mondo pel vostro bene Tutto compreso da terrore e da spavento per l'incertezza della salute dell'anima vostra e dei vostri seguaci, alzo gli occhi e le mani al cielo, invitando voi e tutti i buoni a pregare il Dio delle misericordie onde vi voglia tutti illuminare coi raggi della sua celeste grazia, sicchè facendo ritorno al paterno ovile di Gesù Cristo, possiamo procurare una grande allegrezza a tutto il paradiso, pace alle anime vostre, e fondata speranza di salvezza per tutti”.

Questi sei fascicoli si pubblicarono dal marzo all'agosto alternati da altre operette, e raccolti poi in un sol volume tutta la loro edizione fu presto esaurita. D. Bosco però la ristampava nel 1882, notevolmente aumentata e corretta sotto il nuovo titolo che oggi giorno ritiene: Il Cattolico nel secolo ecc. Si legga questo prezioso libro e si intenderà come D. Bosco giustamente sia stato chiamato il martello dei Protestanti.

Nel mese di aprile si distribuiva la vita di Santa Zita serva e di S. Isidoro contadino, con un'appendice di tre racconti morali.

Contro i protestanti così si ragionava: “Fra i molti argomenti che dimostrano la santità della Chiesa Cattolica havvi pur questo, che in ogni tempo molti de' suoi membri risplendettero per insigni virtù e per miracoli, e che tutti i suoi figli sono chiamati alla santità.

”Le altre religioni al contrario portano con sè  improntato il marchio del vizio. Nella stessa loro origine, ben lungi dall'essere predicate da uomini distinti per virtù e santità, furono predicate da uomini viziosi o apostati; e se qualche virtù si scorge ne' seguaci delle medesime, si deve attribuire ai sentimenti da Dio Creatore inseriti nel cuore dell'uomo coi dotarlo di ragione, oppure a ciò che ritennero dalla SS. Religione cattolica.

”Del resto noi possiamo sfidare i Calvinisti, i Luterani i Valdesi, gli Anglicani, tutti insieme gli eretici d'ogni setta a mostrarci tra loro una sola persona cosi eminentemente virtuosa in grado eroico come esige la Chiesa Romana ne' suoi figli per innalzarli agli onori degli altari.... E sono mai essi i protestanti stati da tanto di saper mostrare un miracolo fatto, o dai loro capi o da altri loro settarii? Non mai! Invece nel seno della Chiesa Cattolica Romana si sono operati e tutt'ora si operano veri miracoli, e chiunque il voglia, può farsene certo e sicuro leggendo i processi apostolici Ora chi non sa che i miracoli sono un'evidente prova della verità e della santità della Religione?.... Dio non può concorrere con prodigi ad autorizzare una Chiesa, che non sia quella stabilita da Lui, unico fonte di verità e di santità; altrimenti egli stesso spingerebbe all'errore. Ma nella Cattolica Chiesa Romana vi sono e santi e veri miracoli; dunque necessariamente essa è la vera Chiesa di Dio sovrano autore di ogni santità e di tutti i miracoli”.

Questa libertà di parola, ispirata dal praedicate super tecta comandato dal Divin Salvatore, metteva in serii pensieri la Curia Arcivescovile, la quale conosceva i propositi feroci delle sette. D. Bosco, dopo aver preparati i fascicoli, prima di darli alle stampe li presentava per la debita revisione; ma, fatto singolare! i soli fascicoli dei primi sei mesi portano la scritta: Con approvazione della Revisione Arcivescovile, ma nessuno dei delegati aveva voluto apporvi la propria firma. In fine niuno accettava di assumersi l'uffizio di Revisore.

Adducevano per ragione essere affare pericoloso in quei giorni lanciarsi in battaglia contro i Protestanti e Framassoni, che, per disfarsi dei loro avversarii, si facevano lecita qualsiasi arma. In prova del che, ricordavano l'assassinio del Conte Pellegrino Rossi, di Mons. Palma e dell'Abate Ximenes, Direttore del giornale il Labaro di Roma, e di altri molti difensori della verità, pugnalati in quel tempo. Nè  per una parte avevano tutto il torto a temere così: poichè quello che poco dopo accadde nella stessa Torino all'intrepido Direttore dell'Armonia di allora, il Teol. Giacomo Margotti, diede a divedere ciò che da certi settarii poteva aspettarsi un cattolico scrittore. Tuttavia, dopo alcuni riflessi di D. Bosco, il Can. Giuseppe Zappata si compiacque di arrendersi alle sue domande, e prese a rivedere un manoscritto; ma ne aveva letto appena un mezzo fascicolo, quando tutto atterrito, fattolo chiamare a sè , gli ritornò il quaderno dicendo: “Si riprenda il suo lavoro. Ella piglia di fronte e sfida i nemici. In quanto a me non giudico di sottoscrivermi ed entrare in lizza, perchè non posso mettere a cimento la mia vita”.

Che fare adunque? D'accordo con Mons. Vicario Generale, D. Bosco espose la cosa all'Arcivescovo, il quale dal suo esiglio non cessava di porgergli ogni possibile aiuto. Sapute pertanto queste difficoltà, lo zelante Prelato inviò a D. Bosco una lettera da presentarsi a Mons. Luigi Moreno, Vescovo d'Ivrea. Con quella l'esimio Arcivescovo pregava il suo suffraganeo a voler assistere le Letture Cattoliche colla sua Revisione, e Mons. Moreno vi si prestò di buonissimo grado. A quest'uopo delegò l'avv. Pinoli suo Vicario Generale per rivedere i fascicoli da pubblicarsi, permettendogli tuttavia di tacere il proprio nome nella sottoscrizione.

D. Bosco stava adunque fermo al suo posto di battaglia. “Aveva ricevute minacce per lettera ed a parole, afferma D. Rua, ma egli confidando in Dio non desistette. Era suo gran conforto che le Letture Cattoliche, appena erano state come assaggiate, avevano contentato il gusto di tutti gli associati”. Pei mesi di Aprile e di Giugno egli faceva stampare un volumetto anonimo diviso in due fascicoli, che portava il titolo: La buona madre di famiglia: conversazioni morali adatte alle classi del popolo più semplice. È questa una signora, che raduna in casa alcuni abitanti del suo villaggio e spiega loro con avvisi morali il simbolo apostolico. L'autore anonimo così scriveva al cristiano lettore: “Sebbene non mancarono in ogni tempo nemici della salvezza eterna delle anime, tuttavia questi formarono ai giorni nostri tale formidabile lega, che forse non incontrasi nel passato.

”Uomini rotti ad ogni vizio, mal sapendo sopportare il giogo della verità, guidati da basso e vile interesse, con sottili e perfide cavillazioni, non arrossiscono di attaccare e calunniare quella Santa Religione nella quale per tratto speciale della divina misericordia nacquero e furono educati. Costoro sotto aspetto di illuminare e condurre il popolo a soda virtù, spargono in questa classe più semplice, negli operai, negli artieri e nei contadini le massime della più perversa e falsa dottrina; si affannano con iscritti e stampe immorali a propagare l'incredulità, insinuando l'indifferentismo, il peggiore di tutti i mali; blandiscono le passioni, e fanno bere agli incauti e semplici il pervertimento dei costumi, la seduzione e la corruzione dei cuori, facendoli partecipare a vizii che insidiano e rovinano sordamente la umana società...

”A confortarvi pertanto, o cristiani lettori, nel turbine di tante procelle, negli assalti di tanti nemici, mentre avete nei trattenimenti: Il Cattolico istruito nella sua Religione, i principii fondamentali della nostra santa Religione, alla quale dovete inalterabilmente essere attaccati colla fede, nelle presenti semplici conversazioni vi sono date salutari istruzioni, le quali vi metteranno in grado di operare costantemente secondo la medesima e di render ragione a voi stessi della vostra credenza....”.

D. Bosco strenuamente combatteva l'eresia, ma questa alzava sempre più tracotante il suo capo. La sera dell'8 maggio, festa dello Statuto, il novello tempio dei Valdesi fu illuminato con gran lusso e sfoggio, e gli studenti, ordinati a drappelli e guidati dai loro professori, seguiti da molte delle società operaie, istrutti nei principii di libertà della Gazzetta del popolo, compiuta una fragorosa ovazione al monumento Siccardi, in sfregio al Clero, trassero al tempio Valdese, rispondendo con Evviva a certe voci stentoree che proferivano le acclamazioni edificanti: Viva la libertà dei culti! Viva la libertà di coscienza!

Nel maggio il fascicolo era scritto dallo stesso D. Bosco.

NOTIZIE STORICHE INTORNO AL MIRACOLO DEL SS. SACRAMENTO avvenuto in Torino il 6 giugno 1453, con un cenno sul quarto centenario del 1853.

 

“Al lettore. - In mezzo alla comune esultanza cui prendono parte tutti i buoni Cattolici per la solennità del Centenario in memoria del miracolo del SS. Sacramento da Dio operato in questa nostra città, spero non debba riuscire discaro un racconto storico, breve e semplice per modo che possa rendere abbastanza istruiti i meno colti, e quelli cui mancano libri opportuni, e non hanno tempo a percorrere i volumi stampati intorno a questo glorioso avvenimento.

Chi desiderasse di avere più estese cognizioni di tal fatto potrebbe leggere qualcuno degli autori notati in fine del libretto dai quali furono ricavate queste notizie. Qui io mi limito ad un racconto storico del miracolo aggiungendo alcune cose che riguardano alla prossima solennità, coll'aggiunta di un dialogo famigliare intorno ai miracoli.

Benedica il Signore tutti i Torinesi e conservi tutti i Cattolici nella Santa Cattolica Fede, unica religione che possa presentare veri miracoli in conferma delle verità che professa.

Sac. Gio. Bosco”.

Solenne il miracolo che i Torinesi si preparavano a celebrare. La sera del 6 giugno 1453 passava per Torino un uomo, conducente un mulo carico di mercanzia. Egli veniva da Exilles, luogo vicino a Susa che per alcuni trambusti di guerra era in quell'anno stato messo a sacco. Fra le spoglie poste sul mulo vi era un ostensorio, derubato alla chiesa di quel luogo con entro un'ostia consacrata. Ed ecco che giunto in Torino innanzi alla chiesa di S. Silvestro il mulo diviene restio, traballando si ferma e cade a terra. Il condottiere si adopera a più non posso perchè si alzi il giumento e cammini. Intanto scioltesi le fasce dell'involto, s'innalza in aria il sacro vaso e risplendente più che il sole compare alla vista di tutti gli astanti. Avvisato, il Vescovo Monsignor Ludovico dei Marchesi Romagnano accorre col clero e con gran folla di popolo, alla cui presenza cade prima l'ostensorio rimanendo raggiante in aria l'Ostia divina, la quale poi mentre si esclamava da tutte parti: Dimorate con noi, o Signore, a poco a poco scende nel calice presentatole dal Vescovo e viene solennemente portata al duomo. Nel luogo dove seguì così prodigioso avvenimento fu eretta la chiesa del Corpus Domini. - Questa fu l'origine della singolare divozione che i Torinesi mostrano verso il SS. Sacramento.

Non si poteva dare prova più splendida contro i Valdesi della presenza reale, permanente di Gesù Cristo nella SS. Eucarestia. D. Bosco nel suo libretto non tralasciava di riportare alcune frasi di un'apposita pastorale che Mons. Fransoni da Lione aveva indirizzata al clero e al popolo. L'Arcivescovo, accennati i gravi pericoli in cui si trovavano i suoi diocesani per le insidie colle quali gli eretici si sforzavano di sedurre gli incauti, ricordava loro che il primo potentissimo mezzo, per non cadere vittima dell'errore, era quello “di legarsi indissolubilmente all'autorità della Chiesa Cattolica e perciò al Romano Pontefice suo Capo visibile, successore di San Pietro”.

D. Bosco epilogava l'operetta, esponendo l'Orario delle sacre funzioni del Corpus Domini il quale comprendeva un triduo ed un ottavario solennissimi.

Il libretto fu presto esaurito; ma D. Bosco, con quella intuizione dei futuro, che ben si può dire, gli era propria, un giorno ritornando col Ch. Michele Rua dalla villa del prof. D. Matteo Picco, ove soleva ritirarsi per alcuni giorni attendendo a lavori di tavolino, giunto nel Borgo detto allora dei Santi Bino ed Evasio dietro la Gran Madre di Dio, fece cadere il discorso sulle feste centenarie di Torino e sulla buona accoglienza e larga diffusione del suo opuscolo. Quindi portando il suo pensiero più avanti disse al buon chierico che gli faceva da segretario: - Quando nel 1903 si celebrerà il cinquantenario del miracolo, io non ci sarò più, ma tu ci sarai ancora; fin d'adesso ti affido l'incarico di ripubblicare questo libretto.

- Ben volentieri, rispose il Ch. Rua, accetto così dolce incarico; ma se la morte mi facesse qualche scherzo e mi togliesse da questo mondo, prima di quell'epoca?

- Sta' tranquillo: la morte non ti farà nessun scherzo, e tu potrai compiere l'incarico che ora ti affido.

Il Ch. Rua, inteso D. Bosco a parlare con tanta sicurezza, ne mise in disparte una copia, e superate varie gravi malattie, nel 1903 traevala fuori e ne faceva l'edizione affidatagli.

Splendidissime riuscirono queste feste. La chiesa del Corpus Domini era stata riccamente ristorata. Da ogni parte del Piemonte vi confluirono le confraternite coi popoli per fare la loro comunione. Nel giorno della solennità il Re e la sua famiglia in grande gala vi si recava ad assistere alla Santa Messa. Dodici tra Arcivescovi e Vescovi accorsero al triduo ed all'ottavario. Per due notti la città fu tutta una luminara e forse per l'ultima volta si videro i palazzi del Municipio, del Senato e della Accademia delle Scienze adorni di lumi per feste religiose. La sola Camera dei Deputati, il ghetto degli Ebrei, il tempio in costruzione dei Valdesi brillarono per la perfetta oscurità. Due volte si incominciò la processione trionfale, nel giorno 6 di giugno e in quello dell'ottava; tuonavano le artiglierie, suonavano tutte le campane; ma ambedue le volte violenti procelle non permisero che proseguisse. La fazione dei libertini, che a quello spettacolo di fede si rodeva dalla rabbia, se ne riscattò con un battimano contumelioso e con fischiate quando videro sbrancarsi la processione. Ma quello sfogo di dispettosa compiacenza, meritava qualche compatimento. Credevano Torino mezzo protestante e la videro tutta cattolica. La Gazzetta del Popolo in quei giorni era stata oscenamente ed impunemente blasfema, e con essa la stampa liberale. D. Bosco, che aveva preso parte al sacro corteo, era tornato due volte all'Oratorio cogli abiti così impregnati d'acqua, che faceva compassione ai giovani.

D. Bosco in quei giorni trattando le cose grandi non dimenticava le cose piccole. Intendeva dar prova di sua riconoscenza a D. Michelangelo Chiatellino, maestro di metodica a Carignano, che in tante occasioni avealo aiutato nell'Oratorio. Incontratolo per Torino, gli disse graziosamente: - Mi paghi una tazza di caffè? - D. Chiatellino guardò meravigliato l'amico, che facevagli una domanda per lui così strana e inaspettata, e: - Volentieri, volentieri, gli rispose. Entrarono adunque in una bottega da caffè e D. Bosco gli espose come fosse mancato il maestro alla scuola di Borgo Cornalense e aver egli pensato essere quel posto adattato per un sacerdote come lui amante della tranquillità.

Nello stesso tempo egli sarebbe cappellano della Signora Duchessa di Montmorency proprietaria della scuola e che a Borgo abitava nel suo palazzo. Arrise l'idea a D. Chiatellino, ringraziò; ma propose che prima di accettare fosse consultato D. Cafasso. Questo fu il motivo delle seguenti lettere.

 

Carissimo Sig. D. Chiatellino,

 

Ho parlato a D. Cafasso del nostro affare senza dire che ne aveva già parlato con Lei, e senza alcuna esitazione mi rispose essere questo un posto conveniente, e di scriverle immediatamente per avere il suo parere; sicchè di qui non havvi più difficoltà. Ci pensi, e qualora mi dia un'affermativa, andremo, statuto tempore, a fare una visita alla Signora Duchessa.

In fretta, ma di tutto cuore me le offro nel Signore.

Torino, 16 giugno 1853.

Aff.mo amico

Sac. BOSCO GIO.

 

Carissimo Sig. Chiatellino,

 

Ieri fu qui a Torino la Signora Duchessa Laval Montmorency, e fu conchiuso quanto riguardava alla sua magistratura. Ora Ella desidera di parlare con V. S. per intendersi per la scuola, modo di farla, vitto, modo di farselo ecc. C'è  locale per Lei e per una persona di servizio; pare che gradirebbe anche una sua sorella; ma, Ella dice, che questa sorella servisse il prete e non fosse servita. Ma queste sono cose di poca entità, le quali si aggiusteranno con facilità parlandosi. Se può fare una passeggiata a Borgo per giovedì 23 corrente, è aspettato; io non ci posso andare, ma comincerebbe andare V. S. Se ha insieme il Teol. Appendini, potrebbe essere bene; del resto aetatem habes, interroga et videbis. Non ho tempo a scrivere di più. Saluti i suoi parenti e gli altri miei amici e mi ami nel Signore.

Torino, 21 giugno 1853.

Aff.mo BOSCO G.

 

E D. Chiatellino, finchè visse la Duchessa, abitò in Borgo Cornalense edificando colle sue virtù la scuola, il paese ed il palazzo. La sua virtù si faceva ammirare per una speciale santità di costumi ed una esattezza nel compiere i suoi doveri. I suoi allievi lo amavano come un padre, e imparavano il modo di vivere in famiglia e in società. Di quando in quando veniva a trovare i giovanetti di Valdocco e portava tra essi la gioia, come la visita di un amico. D. Bosco se ne serviva in tempo di vacanze, per alcune predicazioni di esercizi spirituali e non ne ricevette mai ripulsa. Per anni ed anni la novena del Santo Rosario ai Becchi fu sempre riservata a D. Chiatellino. La sua parola ispirata alla salute delle anime riusciva a guadagnarne molte al Signore.

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