Udienza fissata dal Ministro degli Interni e preghiere nell'Oratorio - Conferenza importante di D. Bosco coi Ministri Farini e Cavour - Promesse e speranze di pace - Compra di Casa Filippi -Annunzio di questa compra ai giovani.
del 30 novembre 2006
Il 15 luglio D. Bosco ricevette una lettera dal Conte Guido Borromeo, la quale informavalo che nel giorno seguente verso le 11 ant. il Ministro Farini gli avrebbe accordata udienza.
Dopo le orazioni nel sermoncino della sera D. Bosco raccomandò che al domani tutti pregassero per un affare di alta importanza, ascoltassero la S. Messa con maggior divozione del solito, e potendo si accostassero eziandio alla Santa Comunione secondo la sua intenzione; e ordinò che tutti i giovani andassero per torno in chiesa a far la visita al SS. Sacramento, finchè egli non fosse ritornato a casa.
La sua parola non cadde invano:
L'indomani 16 luglio, festa della Madonna del Monte Carmelo, D. Bosco pieno di fiducia nella protezione della Beata Vergine usciva dall'Oratorio. Il motivo di tanta sua sicurezza l'aveva un giorno spiegato a Mons. Cagliero: - Io non lascio mai di fare un'opera che so essere buona e da farsi, per quanto siano numerose e grandi le difficoltà che mi si presentano. Si tratta di andare a far visita ad un grande personaggio, il quale io sappia eziandio essermi contrario? Ci vado senza più! Ma prima di incominciar quell'impresa dico un Ave Maria: la dico pure prima di presentarmi a qualsivoglia altra persona. Poi avvenga quel che vuole. Io pongo tutto ciò che è in me, il resto lo lascio al Signore.
D. Bosco adunque detta la sua Ave Maria si trovò per tempo al palazzo del Ministero, dove, poco prima dell'ora fissata, giunse pure il Comm. Farini. Da chi lo accompagnava, i chierici G. B. Francesia e G. B. Anfossi, abbiamo saputo che il Ministro appena vedutolo gli strinse la mano con parole improntate di cortesia, lo condusse in una sala, dove stavano scrivendo alcuni segretarii; e colà ebbe luogo una conferenza delle più importanti, perchè doveva decidere della vita o della morte dell'Oratorio. Farini era di quelli che “ parlano di pace col prossimo loro, ma nei loro cuori covano il male: non hanno intese le opere del Signore ”.
- Lei è dunque l'Abate Bosco, cominciò Farini. Noi ci siamo già visti una volta a Stresa in casa dell'Abate Rosmini, e godo rinnovare sua conoscenza. Mi è noto il bene che ella fa alla povera gioventù, ed il Governo le è molto tenuto pel servizio, che gli presta con quest'opera filantropica e sociale. Ora mi dica quello che desidera da me.
- Desidero sapere la ragione delle reiterate perquisizioni, che mi furono fatte in questi ultimi mesi.
Sì, gliela dico e con quella schiettezza, colla quale desidero che ancor lei mi risponda. Fino a tanto che la
S. V. si è occupata di poveri fanciulli, fu sempre l'idolo delle Autorità governative; ma da che lasciò il campo della carità per entrare in quello della politica, noi dobbiamo stare sulle vedette, anzi adocchiare i suoi andamenti.
- Questo appunto mi sta a cuore di sapere, soggiunse D. Bosco. Fu sempre mio vivo desiderio tenermi estraneo alla politica, e perciò bramo di conoscere quali fatti mi possano su tale materia compromettere.
- Gli articoli che lei scrive pel giornale L'Armonia, i convegni reazionarii che tiene in casa sua, le corrispondenze coi nemici della patria, ecco i fatti che rendono inquieto il Governo sul conto suo.
- Se Vostra Eccellenza mel permette farò alcune osservazioni sopra quanto si compiace confidarmi, e parlerò colla schiettezza che mi domanda. Premetto anzitutto che niuna legge, che io mi sappia, proibisce di scrivere articoli nè su L'Armonia, nè sopra qualsiasi altro giornale; ciò non di meno posso assicurare la E. V. che io non iscrivo sopra giornale alcuno, e non vi sono neppure associato.
- Lei può negare  finchè vuole, ma il fatto sta ed è che una buona parte degli articoli inseriti in quel diario escono dalla penna di D. Bosco. Ciò è confermato da tali argomenti, che niuno può mettere in dubbio.
- Argomenti che io non temo, signor Ministro, ed asserisco francamente che non esistono.
- Vuole forse dire che io imputi fatti non esistenti, e che sia un mentitore e calunniatore?
- Non dico questo, perchè V. E. relata refert, asserisce quanto le fu deferito; ma se la relazione che le fu fatta non è veridica, sono di lor natura non veri i fatti che si deferirono. In questo caso la calunnia cade a vergogna di chi la fece e non di chi in buona fede la ricevette.
- Si persuada che i nostri impiegati sono persone oneste e che non sono capaci di dire una cosa per un'altra. E sono questi stessi che l'accusano.
- Eppure si sono ingannati.
- Dunque lei osa accusare il Governo di impiegare al suo servizio persone senza onore, capaci di false delazioni e calunniatrici!
- Io non dico questo; solamente affermo che sul conto mio si dissero falsità.
- Ma insomma lei così parlando, signor Abate, censura i pubblici e privati funzionari, censura lo stesso Governo, ed io la invito a correggere le sue espressioni.
- Mi ricrederò e correggerò di tutto se Vostra Eccellenza mi prova non aver io detto il vero.
- Non è da buon cittadino il censurare e calunniare le pubbliche Autorità.
Mi scusi, sig. Commendatore, io non intendo di censurare Autorità alcuna, ma dire solo la verità, colla schiettezza dell'uomo onesto, che si difende da false imputazioni, e col coraggio del buon cittadino, che mette in sull'avviso il Governo, affinchè non si lasci menare a giudizi e ad atti ingiusti contro a sudditi fedeli, coprendoli d'infamia presso le genti civili. Or bene, per essere uomo onesto e buon cittadino debbo dire, come dirà sempre, che il tradurmi quale autore di articoli di giornali, che non ho immaginato, il chiamare la mia casa di beneficenza luogo di convegno rivoluzionario, il farmi corrispondente coi nemici dello Stato, questo è un calunniarmi. Cotali accuse sono prette invenzioni di uomini maligni, deferite allo scopo di ingannare le Autorità, e spingerle a commettere falli madornali a sfregio della giustizia e della libertà.
- Questa franchezza di parlare di D. Bosco non potè  non colpire il Farini, il quale stupefatto ed insieme rammaricato giudicò d'intimorirlo prendendo un tono autocratico e un cipiglio minaccevole, e continuò.
- Lei, signor Abate Bosco, si lascia trasportare da troppo calore e da indiscreto zelo; e si mette in compromesso, non badando che parla al Ministro.
- Faccia quel che vuole: io non ho paura.
- Ma lei non vede che dipende da una sola mia parola, farlo tradurre su due piedi in prigione?
- Replico, che ciò non mi spaventa.
Farini si volse al segretario particolare Conte Borromeo, e ad altri, che cessato lo scrivere, erano tutti intenti a quel dialogo: -Romeo, Romeo. - Il Conte si avvicinò cogli altri e Farini disse loro: - Udite, udite, ciò che dice D. Bosco.
- Sì, continuò D. Bosco, io non temo punto quello che mi possano fare gli uomini per aver detta la verità, temo solo quello che mi può fare Iddio, se pronunciassi la menzogna. Del resto poi, la E. V. è troppo amante della giustizia e dell'onore, e non sarà mai per commettere l'infamia di far gettare in carcere un cittadino innocente che da 20 anni consacra vita e sostanza a vantaggio del suo simile.
- E se io facessi appunto una tal cosa?
- Non credo possibile che l'onestà del Commendator Farini si muti in viltà, e se ciò avvenisse ho dei mezzi per far valere le mie ragioni.
- E in che modo?
- Imitando il suo esempio.
- Varrebbe a dire?
- La E. V. ha scritto di storia e segnò alla pubblica riprovazione certi personaggi che giudicava colpevoli. Io pure ho scritto la Storia d'Italia: non avrei che da aggiungervi un capitolo, pubblicando ciò che occorse fra di noi.
- Oh questo poi .....
- E che? soggiunse D. Bosco con un sorriso; potrei ben fare lo stesso anch'io e perpetuare la memoria delle perquisizioni fatte nell'Oratorio. Io dirò a tutto il mondo come vi sia stato un Ministro del regno, il quale impiegò la sua potenza nello spaventare i fanciulli di un istituto di carità per ridurlo al niente.
- Ma lei non lo farà!
- Non lo farò? questo dipende da me. Ma sappia V. E. che lei non si è regolata da quel signore compito, che realmente è, e adorno di pregi così eletti, e che io riconosco. Il contraccolpo delle armi indirizzate contro di me, ricadrebbe su quei poveri giovani beneficati da lei per mano mia, avendoli ella raccomandati. Io non credeva di essere ripagato in questo modo delle mie premurose accondiscendenze... Ma basta: Iddio giusto ed onnipotente vendicherà a suo tempo l'innocente oppresso.
I segretari si guardavano in faccia. Alcuni sorridendo ed altri pensierosi.
Intanto Farini ripeteva:
- Ma lei è pazzo, signor Abate, lei è pazzo. E se io la fo mettere in prigione, come potrà ella scrivere e tramandare queste cose alla stampa?
- Ancorchè in prigione crederei che la E. V. mi lascierebbe per mio conforto almeno una penna, un po' di carta con inchiostro; e ove poi fossi privato anche di tali oggetti e financo della vita, sorgerebbero ben altri scrittori a fare in tempo opportuno le veci mie.
E lei avrebbe il coraggio di tramandare fatti alla storia, che potessero infamare un Ministro ed un Governo?
Chi non vuole essere infamato non ha che da regolarsi onestamente. Per altro io credo che lo scrivere e pubblicare la verità sia un diritto ed un dovere che spetta ad ogni buon cittadino, e di più un servizio che si rende alla civile società; e tale compito lungi dall'essere biasimevole, è commendevolissimo; anzi è una gloria. Dal canto mio sono lieto di pensare che siano pur queste le considerazioni, che indussero la E. V. a scrivere varie sue opere, massimamente Lo Stato Romano.
Qui il Farini tacque; per un istante parve che fosse assorbito in seria riflessione, e poi ripigliato il tono primiero e cessando dalle minacce, ritornò sulla sostanza della questione e domandò:
- Ma lei, signor Abate, potrebbe in coscienza affermare che in casa sua non si tengono radunanze reazionarie, e non mantiene carteggio coi Gesuiti, coll'Arcivescovo Fransoni e colla Corte Romana a scopo politico?
- Eccellenza, se lei ama la verità e la schiettezza mi permetta che le dica che io mi sento mosso a sdegno, non contro di lei che rispetto quale Autorità, ma contro a quei cotali, che le deferirono siffatte menzogne a mio carico; contro a quei miserabili, che per un turpe guadagno, calpestano ogni principio di onestà e di coscienza, e fanno mercato dell'onore e della tranquillità di pacifici cittadini. Sì, le ripeto in tutta coscienza, che io non ho fatto nulla di quanto le fu deferito contro di me e del mio Istituto e attendo da Lei anche solo una prova, che smentisca questa mia affermazione.
- Ma le lettere .....
- Che non esistono.
- E le relazioni politiche coi Gesuiti e con Fransoni e col Cardinale Antonelli...
- Che non vi sono e non vi furono mai. Dei Gesuiti in Torino ignoro persino la dimora; e con Mons. Fransoni e colla Santa Sede non ho mai avuto altre relazioni, fuori di quelle che un sacerdote deve mantenere coi suoi superiori ecclesiastici, per quelle cose che spettano al sacro Ministero.
- Ma pure abbiamo lettere, abbiamo testimonianze.
- Ma se vi sono lettere, se vi sono testimonianze contro di me, perchè dunque la E. V. non me ne produce alcuna? A questo punto, signor Ministro, io non dimando grazia, ma dimando giustizia. A lei e al Governo dimando giustizia, non per me, ma per tanti poveri fanciulli, che sono costernati dalle ripetute perquisizioni e dalle comparse di poliziotti nel loro pacifico ospizio, e piangono e tremano pel loro avvenire. A me più non regge il cuore il vederli in tale stato, segnati dalla stampa persino alla pubblica riprovazione. Per essi adunque ripeto giustizia e riparazione di onore, affinchè loro non venga a mancare il pane della vita.
A queste ultime parole il Farini apparve turbato e quasi commosso. Laonde alzatosi in piedi, si pose a passeggiare silenzioso per la sala. Egli possedeva la lettera sequestrata dell'Arcivescovo Fransoni; avrebbe potuto presentarla a D. Bosco; ma forse il trattenne la vergogna di aver per tal modo violato il segreto postale. Per altra parte quel foglio non provava nulla, perchè non scritto da D. Bosco, ma da Monsignore. Avrebbe dunque dovuto riconoscere che uno dei motivi, per cui il Governo aveva preso D. Bosco in sospetto, era un fatto in cui egli entrava per niente.
Dopo alcuni minuti ecco che si apre una porta, e compare il Conte Camillo Cavour, allora Ministro degli Esteri e Presidente del Consiglio. Con aria sorridente e fregandosi le mani: - Che cosa c'è? - domandò egli, come se fosse ignaro di tutto. - Oh! si usi un po' di riguardo a questo povero D. Bosco, - proseguì poscia con tutta bonarietà - e aggiustiamo le cose amichevolmente. Ho sempre voluto bene io a D. Bosco e gliene voglio ancora. Che cosa c'è dunque, - ripetè egli, prendendolo per mano e invitandolo a sedere. - Quali sono questi guai?
Alla vista di Cavour, e a queste sue benevole espressioni, D. Bosco previde che l'affare sarebbe andato a finir bene, non già perchè Cavour in politica fosse migliore di Farini, poichè l'uno valeva l'altro, ma perchè era stato con D. Bosco in amichevole relazione, conosceva la natura e lo scopo dell'Oratorio. E perciò con grand'animo rispose:
- Signor Conte, quella casa di Valdocco, che fu tante volte da lei visitata, lodata e beneficata, la vogliono distruggere; quei poveri fanciulli raccolti dalle vie e dalle piazze, ed avviati colà ad una vita laboriosa ed onesta, e che furono già l'oggetto delle sue compiacenze, me li vogliono rigettare nell'abbandono e al pericolo del malfare; quel sacerdote, che V. E. ha sovente portato a cielo colle sue lodi quantunque immeritate, lo si traduce ora come un reazionario, anzi come un capo di ribelli. E ciò che più d'ogni altro mi addolora si è che senza addurmi ragione alcuna fui perquisito, molestato, pubblicamente disonorato con grave danno della mia istituzione, sostenuta sinora dalla carità pel suo buon nome. Di più; la moralità, la religione, i sacramenti furono dagli agenti del Governo fatti segni alla derisione in casa mia e in presenza dei giovanetti, che ne rimasero scandolizzati. Tacio più altre cose gravissime, che mi pare impossibile essere state ordinate di consenso colla Eccellenza Vostra. Io non so che sarà di me; ma questi fatti non possono durare a lungo nascosti agli uomini, e presto o tardi saranno pur vendicati da Dio.
- Si dia pace, soggiunse Cavour, si dia pace, caro D. Bosco e si persuada che niuno di noi le vuol male. Noi due poi siamo sempre stati amici, e voglio che continuiamo sempre ad esserlo per l'avvenire. Lei peraltro è stato ingannato, caro D. Bosco, e taluni abusando del suo buon cuore l'hanno tratto a seguire una politica, che conduce a tristi conseguenze.
- Che politica e che conseguenze! Il prete cattolico non ha altra politica, che quella del santo Vangelo e non teme conseguenze di sorta. I Ministri intanto mi suppongono colpevole, e come tale mi proclamano ai quattro venti, senza portare innanzi nè anche una prova delle accuse che si vanno spacciando contro di me e del mio Istituto.
- Giacchè vuole obbligarmi a parlare, riprese Cavour, io parlerò e dico nettamente che lo spirito da alcun tempo dominante in lei e nella sua istituzione. è incompatibile colla politica seguita dal Governo; onde ragiono così: Lei è col Papa; ma il Governo è contro il Papa; dunque Lei è contro il Governo. Di qui non si scappa.
- Eppure io scapperò dal suo sillogismo, signor Conte. Anzitutto osservo che, se io sto col Papa, ed il Governo sta contro del Papa, non ne segue già che io stia contro il Governo, ma piuttosto che il Governo sta anche contro di me: ma lascio questo a parte e dico: In fatto di religione io sto col Papa e col Papa intendo di rimanere da buon cattolico sino alla morte, ma ciò non m'impedisce punto di essere pure buon cittadino; imperocchè non essendo mio uffizio di trattar di politica, io non me ne immischio, e nulla fo contro il Governo. Sono vent'anni che vivo in Torino, ho scritto, parlato, operato pubblicamente, e sfido chiunque a recare in mezzo una mia linea, una parola, un fatto, che possa meritare censura dalle Autorità governative. Se la cosa è altrimenti, si provi; se sono colpevole, mi si punisca pure; ma se non lo sono, mi lascino attendere in pace all'opera mia.
- Ha bel dire, signor Abate, uscì fuori Farini, ma lei non mi darà mai ad intendere che divida le nostre idee, le idee del Governo.
- Ecchè? signor ministro; in tempo di tanta libertà di opinione, vorrebbesi persino dare aggravio ad un cittadino, se in privato la pensa come gli pare e piace? Vorrebbesi portare la tirannia sino ad imporgli o incatenargli le idee ?
- Ma non posso persuadermi come ella vivendo in un paese le cui leggi sono affatto contrarie alle sue opinioni, se ne stia là incantucciato come un fantoccio.
- E non potrà egli un uomo qualunque ritenere nel suo interno che quel cotale opera malamente, e intanto non dire, nè fare cosa alcuna contro di lui, o perchè l'opporglisi riesce inutile od anche dannoso, o perchè un siffatto uffizio non è di sua spettanza? Or bene qualunque sia la mia privata opinione intorno alla condotta del Governo, su certi affari del giorno, io ripeto che, nè fuori nè dentro in casa mia, non ho mai detto, nè fatto cosa veruna, che possa dare appiglio a trattarmi quale nemico della patria, e questo deve bastare alle Autorità. Ma io fo di più, Eccellenza; poichè raccogliendo in casa mia centinaia di fanciulli poveri ed abbandonati, ed avviandoli ad una carriera onorata, vo cooperando col Governo al benessere di molte famiglie e della intera società, diminuendo i vagabondi ed i fannulloni, ed accrescendo i cittadini laboriosi, istruiti e morigerati. Questa è la mia politica e non ne ho altra.
I due Ministri non poterono non trovar buona la risposta di D. Bosco, tanto pi√π che era corroborata con fatti; ma il Cavour piccandosi di religione e di Vangelo, gli fece da buon sofista quest'altro sillogismo:
- Senza dubbio D. Bosco crede al Vangelo; ma il Vangelo dice, che colui il quale è con Cristo, non può essere col mondo; dunque se lei è col Papa e perciò con Cristo non può essere col Governo. Sit sermo vester est est, non non. Siamo schietti: o con Dio o col diavolo.
- Con questo ragionamento, rispose D. Bosco, sembra che il signor Conte voglia far credere che il Governo sia non solo contro il Papa, ma contro il Vangelo, contro Gesù Cristo medesimo. In quanto a me stento a persuadermi che il Conte Cavour e il Comm. Farini siano giunti a tale eccesso di empietà da rinunziare persino a quella Religione in cui son nati e furono educati, e verso la quale colle parole e cogli scritti si mostrarono più volte pieni di rispetto e di ammirazione. Ma comunque sia il Vangelo che la E. V. mi cita risponde a puntino alla difficoltà, là dove Gesù Cristo dice: Date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che e di Dio. Perciò secondo il Vangelo un suddito di qualsiasi Stato può essere buon cattolico, stare con Gesù Cristo, sentirla col Papa, fare del bene al suo simile, e nel tempo stesso stare con Cesare, vale a dire, osservare le leggi del Governo, eccettuato il caso che si abbia a fare con persecutori della religione, o con tiranni della coscienza e della libertà.
- Ma l'est est, non non, non obbliga egli forse un cattolico a dichiararsi sinceramente per qual partito tiene, se per Cristo e contro di Lui?
- L'est est, non non è una sentenza del Vangelo, che come sacerdote sono in grado di spiegare alle loro Eccellenze. Queste parole non hanno nulla da fare colla politica; ma significano che, sebbene in conferma della verità il giuramento sia lecito, non lo si deve tuttavia usare, se non quando la necessità lo richiede; significano che ad una persona dabbene, per essere creduta, basta l'asserire semplicemente se la cosa sia o non sia, senza aver punto bisogno di ricorrere al giuramento; significano in fine, che le persone oneste e civili devono credere a chi afferma così, senza pretendere che giuri. Il fare altrimenti è indizio o di diffidenza degli uni, o di mala fede degli altri e di poco e niun rispetto di tutti al nome santo di Dio, che non va mai invocato vanamente. Ora stando al caso nostro e non ostante le mie asserzioni, crede forse il signor Conte che D. Bosco sia un cospiratore, un nemico della patria, un mentitore?
- Non mai, non mai. Io ho anzi sempre ravvisato in lei il tipo del galantuomo; e perciò intendo fin d'ora che tutti i guai siano finiti, e lei sia lasciato in pace.
- Sì, ripetè Farini, tutto sia finito e D. Bosco vada a casa, si occupi tranquillo dei suoi fanciulli; chè  così facendo non solo non avrà più molestie, ma la riconoscenza e la protezione del Governo e del Re. Ma prudenza, caro Abate, prudenza, poichè  siamo in tempi difficili, ed un moscherino può apparire un camello.
- Posso dunque stare sicuro di non essere più molestato per parte del Governo? domandò D. Bosco. Posso credere che il Governo sia disingannato sul conto mio, e persuaso che nel mio Istituto non vi fu, nè vi è cosa alcuna, che possa interessare le viste fiscali?
- Sì, l'assicuriamo, rispose Farini, che niuno più le recherà molestia, e tutti siamo convinti della sua onestà personale e della natura benefica della sua istituzione; ma l'avverto che si guardi da taluni, che le si danno come amici, e intanto sono i suoi traditori
- Ed io la prego, signor Ministro, se avesse qualche consiglio, avviso o provvidenza a darmi per l'Oratorio, voglia farlo come padre che desidera il bene dei suoi figli; ma non con minacce perchè ciò cagionerebbe danni irreparabili ad un'opera che costò sollecitudini al Governo ed ai privati. Infatti ne' miei bisogni eccezionali ho sempre fatto ricorso ai Ministri e sempre ottenni da loro aiuti.
- Siamo d'accordo... E stia sempre lontano della politica.
- Io non ho da star lontano dalla politica, perchè non ci sono mai stato vicino. Io sono di nessun partito.
- Dunque - alzatisi e strettagli ambidue la mano - noi siamo intesi, conchiuse Cavour, e saremo amici ancora per l'avvenire; e lei.... preghi per noi.
- Sì, pregherò Dio che li aiuti in vita ed in morte,- terminò D. Bosco, e se ne ritornò in Valdocco pieno il cuore di gratitudine al Signore, per averlo assistito in quel cimento, che avrebbe potuto riuscire funestissimo non tanto a lui, quanto ai giovani raccolti all'ombra della sua carità.
Rientrava nell'Oratorio verso le 2 pomeridiane, e nello stesso giorno, in cui temevasi per la conservazione dell'Oratorio, il Signore sembrava che scherzasse rendendo vano il malvolere degli uomini. Così si legge nella cronaca dell'Oratorio.
 “ Con atto 16 luglio 1860 Rog. Lomello la signora Lucia fu Gaetano Ganna vedova Filippi e i figli Gaetano e Rita vendono a D. Bosco Ettari 1.10.14 dì terreno comprendente casa, cortile, tettoie orto e prato per il prezzo di lire 65.000 ”. D. Bosco in quella stessa sera ne dava annunzio ai giovani:
- Vedete i primi effetti delle persecuzioni. Lo voleva negli anni scorsi comprare la casa dei Filippi, andai a far visita ai padroni, proposi condizioni molto vantaggiose, ma mi fu risposto che a nessun costo mi si voleva fare quella cessione. Ora senza che io riapicassi nessuna pratica, il signor Filippi è venuto a farmi proposta per la vendita della sua casa, e mi domanda una somma inferiore a quella che io gli aveva offerta. Avendogli io risposto che ora non possedevo danaro, egli mi assicurò di non aver premura e che avrebbe aspettato il mio comodo. Quindi il contratto venne stipolato. Questo fatto è una caparra della protezione di Maria.
Versione app: 3.25.0 (fe9cd7d)