Capitolo 49

Don Bosco ritorna a Torino - Convenzione per messe e suffragi con, una benefattrice - Nuova edizione della Storia Ecclesiastica - Gran concorso di gente intorno a Don Bosco - Circolare ai parenti morosi nel pagar le pensioni, con minaccia di rimandare i loro figli a casa - Motivi ed effetti di questa circolare; carità di Don Bosco verso i buoni giovanetti - Uno spiacevole incontro di Don Albera coll'Arcivescovo - Don Bosco sempre rispettoso e amorevole verso Monsignore - Lettera di Don Bosco riguardo i suoi chierici al Rettore del Seminario.

Capitolo 49

da Memorie Biografiche

del 05 dicembre 2006

Rientrato in Torino, Don Bosco recavasi a pranzo dal Cav. Felice Archini, col quale, come con tutta la sua famiglia, era in grande attinenza. Siccome questo nome figurerà più d'una volta nel corso di queste pagine, diremo, fin da questa volta, di una sua convenzione per messe e suffragi.

Il Venerabile soleva spesso rammentare ai ricoverati il nome e i meriti dei loro benefattori e l'obbligo perpetuo della riconoscenza. Pochi giorni prima egli aveva convenuto, nei patti seguenti, colla famiglia Archini.

Convenzione tra la Nobile Donna Serafina Archini Cauvin di Nizza Marittima, del fu Giacomo, e moglie del Nobile Cav. Felice Colonnello in ritiro, ed il M. Rev. Don Bosco Giovanni, Direttore dell'Oratorio di S. Francesco di Sales in Valdocco, o per lui il suo rappresentante. Di consenso col suo diletto Consorte il sig. Cav. Felice, la signora Archini

consegna al prefato Don Bosco Giovanni la rendita di L. 100 annue alle seguenti condizioni:

1° Che vita durante la medesima Donna Serafina Archini, sino al giorno del di Lei decesso, vengano celebrate ogni anno alcune messe, di cui una da requiem coll'intervento e comunione dei ragazzi dell'Oratorio, e preghiere in suffragio dell'anima del fu Barone ed amico Cav. Francesco Bozzi, addì 27 maggio, giorno del suo anniversario.

2° Alla morte poi della Donna Serafina Archini deve cessare detta messa per il Barone Cav. Francesco Bozzi, per essere convertita in perpetuo in una eguale messa da requiem e preghiere all'anima della prelodata Donna Serafina Archini.

3° Tre altre messe lette dovranno frattanto essere celebrate annualmente come segue: una in onore della SS. Vergine Addolorata al Venerdì di Passione; altra alli 4 maggio in suffragio della fu Margherita (Milita) Castelli Cauvin; e la terza alli 7 settembre in suffragio del fu Giacomo Cauvin.

4° Alla morte del Cav. Felice Archini le succitate tre messe lette dovranno essere convertite in una messa da requiem da celebrarsi ogni anno coll'intervento, comunione e preghiere dei ragazzi dell'Oratorio, nel giorno del di Lui anniversario.

Il Sottoscritto Don Bosco Giovanni direttore dell'Oratorio di San Francesco di Sales, o per Lui il suo rappresentante, si obbliga di eseguire quanto nella presente convenzione si contiene.

 

Torino, 17 aprile 1869.

Sac. Gio. Bosco.

Donna SERAFINA ARCHINI CAUVIN

Sac. MICHELE RUA,

Prefetto dell'Orat. di S. Franc. di Sales.

 

Speciali strettezze costrinsero Don Bosco a qualche altra simile convenzione, ma poi stabilì di non accettarne più in via ordinaria, specialmente se perpetue: 1° Perchè si consumano i capitali e ai posteri restano gli oneri; 2° Perchè l'intervento dei giovani a queste messe cantate è spesso un disturbo all'orario della casa.

Intanto egli aveva ripreso il suo lavoro intorno a una nuova edizione della Storia Ecclesiastica accresciuta di molto, e corretta e ricorretta in cento luoghi. Le tolse la forma di dialogo sicchè riuscì un'opera nuova. Fra i tanti avvisi che dava ai giovani, ne aggiunse uno per metterli in guardia contro la Società Segrete.

In questi lavori era molto disturbato dal concorso dei fedeli. Il 24 aprile D. Francesia scriveva alla Madre Galleffi: “ Don Bosco sta bene, assediato veramente da migliaia di persone. Ci prepariamo al mese di maggio e alla novena di Maria Ausiliatrice. Si sperano molte cose in quel giorno e molte grazie che sicuramente Maria concederà ”.

Contemporaneamente, per rimediare a un grave sconcio nell'amministrazione dell'Oratorio, al fine del secondo trimestre dell'anno scolastico il Venerabile faceva inviare una circolare ai parenti e ai benefattori degli alunni studenti, che avevano promesso di pagare una retta mensile di 5, 10, 12, e il primo trimestre di 15 ed anche di 24 lire, e che dopo non si curavano, con animo deliberato o per trascuratezza, di compiere il loro dovere.

Erano migliaia e migliaia di lire che annualmente il Prefetto non poteva esigere: grave deficienza nel bilancio di chi aveva da mantenere gratuitamente altre centinaia di alunni.

La circolare era del tenore seguente:

 

.... Signore.

 

Mi fo premura di significare a V. S. che secondo il regolamento di questa casa ogni pensione o quota stabilita nell'accettazione degli allievi deve pagarsi a trimestri anticipati, e che l'inadempimento di questo articolo indica il richiamo del giovanetto presso ai parenti medesimi.

Se pertanto V. S. non adempie a questo articolo del regolamento fra giorni 15 dovremo, nostro malgrado, rinviare a V. S. l'allievo stesso per sollecitare quanto è di dovere.

Gradisca i sensi di stima e di rispetto con cui godo professarmi Di V. S.,

Dev.mo Servo

D. MICHELE RUA,

Prefetto dell'Oratorio.

 

Questo provvedimento non era davvero una semplice questione di danaro. Era un mezzo opportuno per allontanare gli indegni e i poltroni dall'Oratorio; per rivendicare i diritti della giustizia, poichè certe persone benestanti con inganni e per sordida avarizia facevano mantenere e istruire dalla pubblica carità i loro figliuoli; era un mezzo per ricordare la beneficenza concessa ai ricoverati nell'Oratorio.

Don Rua, fedele esecutore degli ordini di Don Bosco, era esemplare nei doveri del suo ufficio. Qualche somma potè esigere, qualche giovane rimandò ai parenti, e Don Bosco, al quale i più si appellavano invocandone la carità, faceva rispondere benignamente concedendo more al pagamento e anche il condono del debito. Questo favore l'ebbero molti giovani veramente buoni, che Don Bosco ritenne con sè, qualunque fosse l'animo e le condizioni delle loro famiglie. Era sempre il trionfo della carità.

Fra i numerosi e commoventi aneddoti, che accaddero in proposito, ne raccontiamo due soli.

Un ottimo giovanetto aveva i parenti poveri, che non potevano più pagare l'esigua pensione promessa. Avendo egli saputo della intimazione giunta ai suoi, si presentò tutto commosso a Don Bosco, supplicandolo a non permettere che fosse mandato a casa.

 - Sta' tranquillo; gli rispose il Servo di Dio.

 - Ma intanto...

 - Se ti fanno uscire dalla porta dell'Oratorio, tu rientra da quella della Chiesa di Maria Ausiliatrice, e nessuno ti disturberà.

Il cuore del giovane si legò sempre più a Don Bosco, e si confermò in lui la vocazione allo stato religioso.

Un altro fatto che prova la carità di Don Bosco ce lo narra il confratello D. Antonio Aime:

Era l'anno 1877 e tutto l'Oratorio celebrava con grande fervore il mese di marzo in onore del Patriarca S. Giuseppe. Verso la metà di detto mese ricevetti una lettera da mia sorella in cui mi diceva che essa non poteva più pagare nè la mia pensione, nè le spese mie qui nell'Oratorio, e quindi che io avrei dovuto ritornare al paese per intraprendere un'altra carriera; tanto più che il Prefetto le aveva scritto che se non pagava, mi avrebbe mandato a casa. Non posso spiegare l'angoscia che provò il mio cuore in quel giorno, nella notte e nel mattino seguente. Piansi, pregai, perchè il Signore mi ispirasse quello che doveva fare. Il giorno dopo mi sentii ispirato a ricorrere a San Giuseppe; feci ricorso a Lui, lui prostrai ai piedi del suo altare, gli offersi le orazioni di tutti i miei compagni così buoni e fervorosi, e rimasi per lungo tratto di tempo, come per aspettare una risposta. Mi alzai ed uscii dalla chiesa cogli occhi gonfi di lagrime.

Alla porta della sacrestia trovai il Sac. D. Gioachino Berto, il quale, vedendomi così triste e sconsolato, insistette perchè glie ne dicessi la causa. Non potendo io parlare per l'emozione, gli consegnai la lettera di mia sorella, la fattura e la lettera del Prefetto. Don Berto dopo averle lette: - Sta' tranquillo, mi disse, vieni con me. Don Bosco aggiusterà tutto. - Mi accompagnò alla stanza dell'amato Padre, cui consegnò i documenti indicati. Don Bosco li lesse attentamente, poi sorridendo mi fece sedere sul sofà vicino al suo tavolo e, tolta da un cassetto una scatola di tabacco spagnolino, volle che ne prendessi un pizzico. Quando mi vide starnutare fragorosamente, si mise a ridere in modo, che anch'io mi sentii obbligato a ridere con lui. Allora il buon Padre mi disse: “ Adesso sono contento, perchè ti vedo allegro. Va' subito dal sig. Prefetto e digli che Don Bosco si incarica di pagare i tuoi debiti passati, presenti e quindi che d'ora innanzi presenti sempre a me i tuoi conti ”.

Lascio... immaginare qual fu la mia consolazione, e la riconoscenza che da quel momento sentii nel mio cuore verso il gran Patriarca S. Giuseppe ed il nostro amato Padre Don Bosco.

Da quel giorno mi sentii salesiano e colla grazia di Dio spero di morire nella nostra amata Congregazione.

Sul fine di aprile accadde un fatto spiacevole che ci pare di non dover passare sotto silenzio. Non si potrebbe avere una giusta idea della lotta sostenuta dalla nascente Pia Società, qualora si tacessero certi episodii.

L'Arcivescovo Mons. Riccardi erasi recato ad amministrare la cresima a None, patria di D. Albera. Il Priore Teol. Abrate aveva radunati i preti della sua parrocchia e molti parroci circonvicini: e con questi il teol. Borel e D. Albera Salesiano, da lui beneficato. D. Albera, per far piacere al Priore, che gradì molto il pensiero, lesse una poesia all'Arcivescovo il quale però non gli volse neppure lo sguardo, sicchè lo stesso domestico di Sua Eccellenza brontolava lamentandosi di quella trascuratezza.

Sul fine del pranzo Don Albera fu presentato all'Arcivescovo, che lo prese per mano, gli pose un braccio attorno al collo e stringendogli il capo al petto prese a dirgli:

- Voi non sapete chi sia il vostro Arcivescovo, voi non lo amate, voi amate solamente Don Bosco: per voi Don Bosco è tutto, e non pensate che a lui.

Don Albera rispose:

 - Io amo il mio Arcivescovo, ma se io sono prete lo debbo...

L'Arcivescovo lo interruppe dicendo:

 - Tacete, tacete. Non so spiegarmi come abbiate tanta affezione a Don Bosco. Che santità è la sua? Un prete che osa scrivere al suo Vescovo. Mi stupisco! perchè gli ho ordinato che mandi i suoi chierici a compiere il IV anno di Teologia in Seminario. Egli è un superbo, che non vuole stare soggetto. Egli vuol fondare una Congregazione per sottrarsi all'autorità dell'Arcivescovo. Se è santo, lo dimostri coll'essere ossequente al suo Superiore.

Don Albera, lagrimando, voleva parlare, voleva difendere Don Bosco e: - Monsignore: - incominciò. Ma l'Arcivescovo fissandolo riprese: - Tacete! tacete! Seppi da Roma che hanno approvata la vostra, così detta, Congregazione; ma che cosa è questa vostra Congregazione? è una miseria e io son certo che di qui a 10 anni non se ne parlerà più: non può essere altrimenti. Vedremo! vedremo! ... - E continuava a campane doppie contro Don Bosco.

I presenti approvavano quasi tutti quanto diceva l'Arcivescovo. Don Albera, triste e addolorato, si trovava in una tortura di nuovo genere. Tentò di svincolarsi, ma non potè, e il braccio dell'Arcivescovo lo tenne stretto per dieci minuti, cioè per tutto il tempo che durò quel colloquio.

Quindi l'Arcivescovo se ne andò alla vettura accompagnato dal Clero, e a Don Albera, che pur lo seguiva rispettosamente, non disse più una parola.

Il Priore, che in tempo del suddetto colloquio era assente, informato di ciò che era accaduto, esclamò:

 - Mi rincresce di non essermi trovato presente, perchè gli avrei risposto io e gli avrei detto che Don Bosco, dietro mia raccomandazione, mantiene anche ora, istruisce, ed educa nel suo Oratorio una decina di alunni della mia parrocchia, i quali danno speranze di riuscire pii e zelanti sacerdoti.

Il Servo di Dio, che non dagli uomini, ma dal Signore aspettava aiuto e compenso, non si confondeva per questo e diceva a Don Albera che gli aveva narrato ciò che eragli occorso a None:

 - Monsignor Riccardi non ha mal animo contro Don Bosco e i suoi: ciò che lo muove talvolta a parlare, è, direi, gelosia d'amore troppo spinto alla sua diocesi, o effetto di un rapporto malevolo di qualcuno che ci osteggia.

Simili frasi udirono pi√π volte dalle labbra di Don Bosco altri salesiani.

Per parte sua il Venerabile rimase sempre rispettoso e amorevole verso Monsignore, anzi cercò sempre di togliere ogni malinteso. Una lettera da lui scritta al Can. Vogliotti Rettore del Seminario e Provicario Generale, diceva:

 

 

Rev.mo Signor Rettore,

 

Ecco la nota dei chierici della Diocesi di Torino che intendono di far parte della Congregazione di S. Francesco di Sales e prima dei quattordici anni ricevuti in questa casa. Due passavano l'età; un d'essi è Mussetti, che forse ora è qui senza ferma risoluzione di permanere assolutamente. Adesso egli non ha nè di che vestirsi, nè alloggio, nè vitto, perciò credo non sia caso d'interpellarlo pel timore che la necessità lo spinga a dire in un modo colle parole e poi nel suo cuore abbia altro divisamento. La sua condotta per altro è buona. Nelle prossime vacanze autunnali ho in animo che ognuno faccia una muta di regolari esercizi e in quella occasione pesare bene la vocazione di ciascuno, perchè si metta nei dovuti rapporti col Superiore Ecclesiastico, qualora non apparissero abbastanza chiari i segni di vocazione religiosa.

Le domando, come vero favore, di volermi sempre dar quegli avvisi e quei consigli ch'Ella giudicherà tornar alla maggior gloria di Dio. E professando a Lei la più sentita gratitudine, le auguro ogni benedizione celeste e mi professo

Di V. S. Rev.ma

 

Torino, 20 maggio 1869,

Obbl.mo Servitore

Sac. Gio. Bosco.

 

P. S. Mi farà pure un vero piacere se si servirà di noi e di questa casa in tutto quello che sarà capace.

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