Capitolo 5

Gli Oratorii festivi - Cooperazione del Clero secolare regolare della città - I priori nelle feste - L'avvicinamento delle classi sociali e l'amore dei giovani ai loro nobili benefattori - Morali soddisfazioni - Amore al sacerdote e suoi effetti salutari - Catechismi quaresimali - Ammirabile costanza di un giovane nel frequentare L'Oratorio - D. Bosco cede a Rosmini il campo comprato dal Seminario per l'erezione della tipografia D. Bosco a Castelnuovo e guarigione sorprendente di un giovanetto - I beni del Seminario di Torino sequestrati.

Capitolo 5

da Memorie Biografiche

del 27 novembre 2006

Gli affari e le Letture Cattoliche non diminuivano zelo di D. Bosco per gli Oratorii Festivi. I giovani accorrevano numerosi per apprendere il catechismo. I chierici alla domenica e nelle feste erano occupati da mane a sera insegnando la dottrina cristiana, sorvegliando continuamente in chiesa e fuori, prendendo parte a tutte le ricreazioni per animare i diverti­menti. Nell'Oratorio di Valdocco dopo le funzioni vespertine D. Bosco una volta al mese tirava a sorte qualche oggetto di vestiario, commestibili e libri a favore dei giovani si interni che esterni; e specialmente di questi ultimi per eccitarli a frequentare con assiduità le sue radunanze domenicali.

  Negli altri due Oratorii vigeva la stessa usanza. In quello di S. Luigi i chierici dovevano pensare a provvedere gli oggetti per quel lotto e D. Demonte donava loro fino al 1861 cinque lire ogni mese a questo scopo, ed essi da abili amministratori con tale somma sapevano procurarsi tanti oggetti da contentare i giovani. Era loro incombenza, mancando talvolta il direttore D. Felice Rossi, giovane di molto zelo, ma di precaria salute, andare per Torino in cerca di un sacerdote che acconsentisse di celebrare la S. Messa, predicare e confessare nella prossima domenica. E trovavano sempre chi si prestava volentieri a quest'opera di carità. Anche per le solennità della Chiesa e per l'esercizio di buona morte ricorrevano a confessori della città, e, qualora questi fossero stati impediti per le loro occupazioni, i buoni chierici salivano al convento del Monte; ed il Padre Guardiano dei Cappuccini mandava loro qualcuno de' suoi religiosi, i quali caritatevolmente per ore ed ore ascoltavano i giovani penitenti. E ciò accadde molte volte e per più anni.

  Per le distribuzioni annuali dei premi e le feste patronali, era necessario preparare accademie con prose, poesie e un po' di musica e canto; ed ecco che a tempo nulla mancava di lustro e attraenza a quelle solennità. A tutto pensavano i chierici. Anche si consigliavano sui Priori da scegliere, e ai scelti si recavano a far visita, pregandoli a voler accettare quella specie di presidenza. Sovente il Priore era un giovane distinto di cospicua famiglia, e nel suo giungere all'Oratorio, nel tempo delle funzioni e nel dipartirsene era trattato con tutte quelle distinzioni, che si usano colle persone, dalla presenza delle quali ci teniamo onorati. L'avvocato Garelli, che fu in predicato di essere sindaco di Torino, ci narrava con molto piacere che nell'età di venti anni era stato Priore a Porta Nuova.

   Sia quivi come in Vanchiglia al Priore riserbavasi, nelle accademie e nelle distribuzioni dei premi, un seggio dei più onorevoli, e sul finire, uno dei chierici faceva la parlata di chiusura ovvero invitava il Priore a indirizzare qualche parola alla moltitudine dei giovani, alla presenza dei loro parenti e dei benefattori. Se quegli non era troppo esperto nel maneggio della parola, oppure manifestava timidità, il chierico gli stava al fianco, suggerivagli un'idea provocava un applauso per incoraggiarlo, se vedevalo impacciato; e talora gli prendeva la parola di bocca e continuava egli stesso a nome dell'oratore, approvando quanto quegli aveva detto fino a quel punto. Ciò faceva però con tale garbo, che l'uditorio di nulla accorgevasi; e il chierico Rua aveva nel dare questo aiuto una grande prontezza di spirito. Il Priore poi soleva con una generosa oblazione concorrere alle spese della festa.

   D. Bosco adunque, date a' suoi chierici certe norme generali, lasciandoli in libertà di cercare i mezzi per raggiungere il fine proposto, assuefacevali a fare da sè, pronto egli però sempre a porger loro efficace aiuto.

  Ma se l'Oratorio festivo era una palestra utilissima per i chierici, recava ai giovani, oltre a tutti i benefizi già accennati altrove, il vantaggio di togliere dalla loro mente certi pregiudizii che sarebbero stati perniciosi per il civile consorzio. Tale era l'avversione che le invettive degli arruffapopoli, libri, giornali, teatri ispiravano nelle plebi contro alle classi superiori della società. Nel vedere infatti molti signori prendere parte alle loro sacre funzioni, inginocchiarsi in chiesa nei loro banchi, far la comunione al fianco di essi, insegnar loro il catechismo, stare in mezzo alle ricreazioni, far da maestri nelle scuole serali, essi li stimavano, li amavano, li trattavano con famigliarità, facevano loro festa, li salutavano per via, ne imitavano i buoni esempi, e si gloriavano di averne fatta la conoscenza.

   In questi personaggi non vedevano solamente il patrizio, il banchiere, il medico, il professore, l'avvocato, il notaio, lo studente dell'Università, ma eziandio e molto più l'amico del poveretto. Così erano tolte le distanze e le avversioni sociali. Il figlio dell'operaio toccava con mano quanto, fossero bugiarde le massime dei rivoluzionarii; e imparava che Dio opera sapientemente nel far nascere gli uomini in condizioni diverse, perchè il ricco è fatto pel povero e il povero è fatto pel ricco: questi dando il superfluo de' suoi beni a chi manca del necessario, quegli contraccambiando il beneficio coll'affetto, coll'aiuto e col lavoro. Riconosceva che ambedue sono creati da Dio per la sua gloria: umile dover essere il dovizioso nell'avvicinarsi al miserello, ed umile il povero nel sopportare i disagi del proprio stato: e ciascuno nella propria condizione avere il mezzo per giungere alla felicità eterna. Nello stesso tempo era consolato dal gran pensiero, che Gesù benedetto volle nascere da famiglia nobilissima, ma visse povero, proclamando beati i poveri e che i poveri rappresentavano la sua stessa divina persona.

   E dei poveri giovani quei signori erano realmente i patroni ed i benefattori, e molti di quelli, allora derelitti come furono adulti ci dissero: - Se mi sono formato una sociale onorevole condizione, se ho guadagnato una fortuna, che provvede abbondantemente a tutti i bisogni della mia. vita, lo debbo a D. Bosco, alle virtuose abitudini, alle conoscenze, alle commendatizie, ai soccorsi, che tanto mi giovarono per aver io frequentato l'Oratorio. - Per dire di una sola ne abbiamo prova nella seguente lettera scritta da D. Bosco il 1° aprile 1854 al Conte Zaverio Provana di Collegno: “ Eccole il Morra, cui credo si possa affidare il ragazzo di cui nella carità Ella prende parte. È disposto di fare tutte le agevolezze possibili. Sentirà da lui il regime domestico. Mi ami nel Signore e in tutto quello che posso me Le offro di cuore ”.

   Eziandio questi signori guadagnavano non solo ricchezze di meriti per le loro anime, benedizioni per le loro famiglie, ma anche la ricompensa di veder coronate nell'Oratorio le loro fatiche e la loro fede. “ Nei giorni di festa, diceva l'avv. Belingeri, ciò che attiravaci irresistibilmente all'Oratorio, era lo spettacolo delle comunioni dei nostri biricchini. Si vedevano sporgere dalla balaustra centinaia di quelle facce, le cui sembianze poco tempo prima erano o insignificanti, o rozze, o maliziose, o beffarde, o superbe e alcune direi quasi truci. Ebbene, in quel momento si trasfiguravano e prendevano un'aria di candore, di semplicità, di fede, di amore e di bellezza, quale prova della presenza reale di Gesù Sacramentato nei loro cuori. Ciò serviva per noi di grande edificazione ”.

   Ma il grande trionfo dell'Oratorio festivo, si era l'amore,e il rispetto al sacerdozio, anche allorquando coloro che lo avevano frequentato da fanciulli erano divenuti uomini. Da questo ne scaturiva la perseveranza nel vivere morigerato, il ritorno sulla buona via di chi erasi lasciato trascinare dalle passioni, il cercare, un saggio consigliere e benefattore nei dubbi, nelle difficoltà della, vita e nei disastri; e a tutti il cuore additava ognora la strada che conduceva in Valdocco e la stanza o la chiesa dove D. Bosco stava sempre aspettandoli.

   Quante belle pagine si potrebbero scrivere su questo .argomento; si vedrebbe essere l'Oratorio maestro della vita per le sue tradizioni, per la riuscita di tanti giovani che lo frequentarono, per gli svariati accidenti che occorsero a ciascuno di questi, non solo dalla loro prima età fino al conseguimento della loro vocazione, stato, o professione, ma fino all'ora della loro morte. Un numero stragrande, di biografie potrebbero scriversi, le più istruttive,e dilettevoli del mondo. Tutte le virtù, tutti gli errori, tutte le perfezioni, tutti i difetti col loro principio, svolgimento e col loro esito finale si vedrebbero passare a rassegna, intrecciati cogli aneddoti più vari, e talora .eziandio i più strani, nella maggior parte dei quali risplende la misericordia di Dio e la protezione di Maria SS.

   Ma frutti così preziosi ben si può dire che germogliassero in modo speciale per la buona semente gettata nei catechismi giornalieri della quaresima. I campi evangelici erano benedetti dal Signore in proporzione del lavoro de' suoi agricoltori. In quest'anno la quaresima incominciava il I° di marzo. D. Bosco aveva coraggiosi seguaci emulatori del suo spirito di sacrificio.

   Nei giorni feriali i chierici coi giovani catechisti destinati a Porta Nuova e a Vanchiglia dovevano anticipare il loro pranzo, per correre più chilometri e fatto, il catechismo andare alla scuola in Seminario; e tante volte dopo aver cenato attendevano all'istruzione religiosa di qualche classe speciale di operai. Erano, queste, fatiche da veri missionarii.

   D. Bosco in una sua lettera a D. Abbondioli, curato di Sassi, faceva cenno dei catechismi in Valdocco. Mentre la grazia di Dio riviveva nei cuori, egli pensava anche a far rinverdire l'orticello di mamma Margherita e così scriveva in modo scherzevole:

 

Torino, 4 Aprile 1854.

 

 

Carissimo Sig. Curato,

 

  Sebbene mia madre abbia qui molti fagiuoli, e ben grossi, tuttavia desidera di averne di quelli di Sassi, e a tale fine si raccomanda a Lei perchè le doni un po' di semente di certi fagiuoli detti della Regina, di cui fu altra volta da Lei favorita.

  Desidera pure di avere alcuni altri erbaggi, se pure Ella ne è in grado di averne e che il portatore meglio Le dirà a bocca.

  Ho circa quattrocento catechizzandi al catechismo quotidiano del mezzodì. Vuol dire che la moralità nei poveri giovani non è ancora perduta.

  Mi ami nel Signore e mi creda in tutto quel che posso, tutto suo.

Di V. S. Carissima

 

Umilissimo servitore

Bosco GIOVANNI Capo dei birichini.

 

P. S. Dopo Pasqua avrà una visita.

 

L'affermazione di D. Bosco era giusta, che cioè la moralità fosse conservata tra i giovani esterni. Questi poveretti, malgrado tutte le seduzioni del male e l’affievolimento delle virtù pubbliche e cristiane, si lasciavano attrarre al bene dalla sua parola semplice ed affettuosa. Nessuno può calcolare i salutari effetti dei catechismi uditi nell'Oratorio. Si vedevano perfino famiglie intiere di operai guadagnati al Signore dai loro giovanetti, che nell'Oratorio avevano, cercato un sicuro rifugio contro i mali esempi e le deplorabili lezioni della casa paterna.

E non pochi si mostrarono eroi perseverando nel bene. Basti un sol fatto. - Se tu andrai ancora, diceva un padre, capo di bottega, al giovanetto suo figlio, che lavorava sotto di lui, se tu andrai ancora la domenica ad impacciarti con quella canaglia di preti non ti terrò più come lavorante. Va pure se il vuoi, ma io ti sospenderò il salario che cominciavi a guadagnare ogni dì. - E il fanciullo persisteva a frequentare l'Oratorio, continuando a lavorare senza veruna mercede nella bottega del padre, e mostrando ardor maggiore ed una abilità pari a quella di qualunque de' suoi compagni. Questi, facendo coro col padre, colmavanlo degli sciocchi loro motteggi; ma venne il dì in cui il suo coraggio e la sua fede furono ricompensate dalla conversione del padre suo.

  In questo frattempo il sig. D. Carlo Gilardi, procuratore generale dei Rosminiani era venuto a Torino. Esaminato il progetto proposto da D. Bosco per l'edifizio della tipografia, smise subito l'idea di comperare la casetta Coriasco, e senz'altro domandò di far acquisto dello spazio più largo del terreno triangolare che prima apparteneva al Seminario. Noi crediamo che D. Bosco esitasse alquanto ad accondiscendere a quel contratto, perchè a poco a poco si vedeva sfuggir di mano un luogo, al quale per tante ragioni portava amore. Stretto dalla necessità, l'8 marzo, il 10 aprile del 1849, e il 10 giugno del 1850, aveva dovuto rivendere alcune pezze di terreno che la via Cottolengo divideva dalla sua attuale proprietà e che erano un accessorio, ma di grande importanza, dello spazio indicato ne' suoi magnifici sogni. Ed ora avrebbe dovuto rinunciare, alla stessa zolla benedetta, sulla quale gli era parso che posasse i piedi la Regina degli Angeli. Ma il bene della gioventù costringevalo a fare questo sacrifizio, e quindi acconsentì, lasciando alla Divina Provvidenza la cura di condurre a compimento i vaticinii.

   Perciò, dopo il mezzogiorno del io aprile, lunedì della Settimana Santa, mentre i giovani incominciavano a prepararsi per la Comunione Pasquale, con atto rogato dal notaio Turvano vendeva al D. Carlo Gilardi, rappresentante l'Abate Rosmini, tavole Si, piedi 10 e once 5 di terreno pari ad ettari 0,19,48 per il prezzo di dieci mila lire. Il podere confinava all'est colla casa Coriasco e con D. Bosco, all'ovest con altra possessione del Seminario, al sud colla strada Cottolengo ed al nord coll'Oratorio.

   Nello stesso tempo per convenzione privata l'Abate Rosmini condonava a D. Bosco il debito gratuito di 3000 lire ed assumevasi il suo obbligo di 5000 lire verso il Seminario di Torino. Rimanevagli però sempre il credito con D. Bosco di 20.000 lire al quattro per cento impiegate nella compera di casa Pinardi.

   D. Bosco pertanto lieto per la speranza di veder sorgere la tipografia, pagati alcuni de' suoi creditori più esigenti, nella seconda settimana dopo la Pasqua andava a Castelnuovo d'Asti col Vescovo d'Ivrea, che era stato invitato dal Teol. Cinzano ad amministrare la S. Cresima.

Uno studente, S. A., giaceva a casa in Pranello, oppresso da grave male di occhi, per modo che la sua guarigione era disperata da' medici e già da più di un anno aveva dovuto interrompere gli studii. Prima di ritornare a Torino Don Bosco volle andarlo a vedere accompagnato dal giovane Turchi Giovanni. “ Là giunti, è Turchi che narra, si apre la camera dell'ammalato. Egli giaceva in letto con gli occhi bendati. Il letto era circondato da una coperta che scendeva dalla volta. Chiusa la finestra, una doppia e spessa cortina ne toglieva tutta la luce; eppure bastava aprire l'uscio della camera perchè l'infermo gridasse di chiuderlo per non soffrirne. D. Bosco entra e noi stemmo fuori. Ciò che là dentro sia avvenuto non ho saputo mai questo so, che il giorno dopo l'ammalato cominciò a sbendarsi gli occhi, poi aprirli, poi leggere, poi levarsi, poi guarire del tutto. Dopo pochi giorni si recò all'Oratorio, ove da quel tempo in poi non dette mai indizio di aver avuto male agli occhi ”.

  D. Bosco rientrato in Torino, colla seguente lettera a D. Carlo Gilardi dava gli ultimi schiarimenti richiestigli, per una memoria da mandarsi a Roma onde ottenere l'approvazione del loro contratto.

 

Carissimo Sig. D. Carlo,

 

Ho ricevuto le carissime sue lettere con gli oggetti entro nominati, cioè: un libro pel chierico Olivero, che gli fu rimesso; e la commedia: -Il Gianetto, che mi piace assai e che vedrà presentarsi al primo ritornare che Ella farà a Torino. Ho pure, veduto il Sig. D. Setti Luigi, il quale non può dimorare regolarmente in casa dell'Oratorio, per le molteplici scuole cui deve attendere ad ore diverse ed irregolari. A giorni le manderò l'istrumento di vendita, quale il notaio Turvano mi ha promesso.

  Per rapporto alla memoria da darsi a Roma credo che non produca effetto alcuno, perchè nello stato presente Roma non può, autorizzare alcuno a fare l'istrumento; non il Seminario cui fu interdetta l'amministrazione; non l'Economato, che finora non ne è ancora riconosciuto padrone. Il Sig. Dorna nel bisogno di comperare egli pure una striscia di questa fatta, avendone parlato coll'Abate Vacchetta e al Ministero, gli fu risposto di attendere fino ad una decisiva risposta di Roma. Così giudico possiamo, fare anche noi.

  Del resto noi abbiamo sempre in bocca D. Carlo, e ci fu una sensibile novità quando non cel vedemmo più fra noi.

Mia madre, tutti i nostri chierici, il sig. Dorna ed un gran numero dei nostri giovani La salutano cordialmente; ed io, salutando rispettosamente il Padre Generale, auguro a Lei ogni bene dal Signore con raccomandarmi alle sue divote orazioni, e dichiarandomi

Di V. S. Carissima

Torino, 9 maggio 1854.

 

Aff.mo amico

Sac. Bosco G. Capo dei birichini.

 

La cagione di certe frasi di D. Bosco riguardanti l'Autorità Ecclesiastica è quella che siamo per dire.

   Il 2 marzo un decreto reale aveva ordinato all'Economo, Abate Vacchetta di assumere l'amministrazione del Seminario Arcivescovile, già prima convertito in ospedale militare e poi in magazzino per strumenti militari e foraggi. All'indomani l'economo, senza farne parola al Vicario Generale, erasi affrettato a presentarsi al Rettore Can. Vogliotti, e senz'altro avevagli intimato di consegnargli le somme cospicue, custodite nelle casse, gli Archivii, e quanto apparteneva a quel ragguardevole patrimonio. Il Can. Vogliotti erasi ricusato a tale consegna; senonchè, alla minaccia dell'intervento dei reali carabinieri, dovette cedere alla forza, protestando. Con ciò i Seminari di Bra e di Chieri mancarono del necessario, poichè le rendite di quello di Torino provvedevano agli insegnanti e al mantenimento degli alunni. I Valdesi però abbondavano di oro, spedito dall'Inghilterra e dall'America.

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