Capitolo 50

'L'Enologo Italiano' - Morte di Gregorio XVI - Elezione di Pio IX - Le preghiere per il Papa - Frenetiche dimostrazioni di gioia per il nuovo Pontefice - Prudente circospezione di Mons. Fransoni e di D. Bosco - La Santa di Viù.

Capitolo 50

da Memorie Biografiche

del 27 ottobre 2006

 Sull' orizzonte politico incominciava a comparire qualche nube. Ai primi del maggio 1846 usciva a Parigi nella “Revue mensuelle” la pubblicazione del Conte Camillo Cavour: “Des chemins de fer en Italie”. In essa esponevasi non tanto il bene fisico del paese a causa del commercio, risultante dalle nuove ferrovie abbreviatrici delle distanze, quanto il bene morale di tutta l'Italia. Molti altri libri dopo questo si stamparono in Piemonte, per dare vita ad un'opinione popolare favorevole al partito liberale. In tutti l'idea dominante era la riscossa per l'indipendenza dallo straniero, e in nessuno sostenevasi la distruzione del potere temporale dei Papi. Questo però era voto giurato nelle vendite carbonaresche e studiosamente nascosto, per non spaventare le coscienze del popolo cattolico.

Si cercava intanto un'occasione per spingere Carlo Alberto alle agognate imprese, quando venne a porgerla lo stesso Governo austriaco. I Ministri del Re avevano da due anni permesso ai Ticinesi di provvedersi di sale estero nei porti di Genova e di Marsiglia, e di trasportarlo al loro paese passando per il Piemonte. L'Austria aveva fatti subito richiami, allegando certi suoi diritti doganali, che il Piemonte non volle riconoscere; lunga fu la contesa. Infine l'Austria, vedendo che non poteva spuntarla, perchè infondate le sue pretese, il 20 aprile di quest'anno 1846, per ricatto, accrebbe di più dei doppio il dazio sui vini, attirandosi l'odio dei Piemontesi pel danno gravissimo che loro arrecava. I liberali ebbero un meraviglioso piacere di questo screzio. Il Re, avendo fatto pubblicare nel giornale ufficiale un articolo forte e reciso in difesa dei diritti e dell'onore del regno, Roberto d'Azeglio gli preparò una grande dimostrazione di gioia popolare, che doveva farsi al grido di Viva il Re d'Italia, nel giorno che era solito passare in rivista le truppe. Ma Carlo Alberto, avvisato, non uscì di palazzo per non precipitar gli avvenimenti. Andato a vuoto questo maneggio, formossi una società vinicola per il commercio, e ne fu pubblicato il manifesto; dopo questo vennero lodi al Re, poesie, festeggiamenti e congressi scientifici, che dovevano servire ad intendimenti politici. In Mortara nell'assemblea degli agrari Lorenzo Valerio usciva a dire che Carlo Alberto, arridendogli i fati, caccerebbe lo straniero dall'Italia.

In mezzo a tale fermento compariva un volume di 150 pagine dal titolo: “L'Enologo Italiano”, opera di D. Bosco, del quale non ci venne fatto di trovare copia non ostante lunghe ricerche. In esso libro, dopo aver accennato alla coltura delle viti, alle condizioni di una buona cantina, alla preparazione dei tini, delle botti e degli altri vasi vinari, egli insegnava tutte le diverse maniere di produrre il vino, il tempo di travasarlo, il modo di conservarlo sano, d'impedire che inacetisca o prenda gusti cattivi, pei quali tante volte una povera famiglia si vede andare a male le fatiche e il reddito di un intero anno. Egli aveva incominciato questo scritto sul finire del 1844, quasi, egli disse, per darsi uno svago, occupandosi eziandio del benessere materiale de' suoi compaesani. Ma D. Bosco non operava mai a caso, mai fuori di tempo. Pare che un suo primo trattato siagli riuscito molto compendioso e che ora lo svolgesse con maggiori ragguagli. Consegnatolo alle stampe, lo diffondeva a più migliaia di copie fra i contadini e ne faceva un presente ai parroci, ai medici, ai sindaci di sua conoscenza; di propria mano lo donava in Torino ad alcuni di quelli che si proclamavano paladini delle libertà popolari, e non dimenticava di farne ossequio a certi membri più influenti dei vari Congressi. Non era entrato in politica, ma faceva proprie con questo libro le idee e le aspirazioni del popolo in ciò che si riferiva alla sua prosperità. Dappertutto si parlava di commerci e di dazi pel vino; quindi con “L’Enologo” D. Bosco si dimostrava, quale era, un amante de' suoi concittadini, un fautore di progresso e di civiltà; e guadagnavasi la simpatia di molti, dei quali importavagli assicurarsi l'appoggio.

Intanto fra questi principi di agitazioni politiche, D. Bosco pensava sempre al Papa e di lui teneva con frequenza ragionamento ai giovani del suo Oratorio, i quali, nel mese di giugno di quest'anno medesimo, ebbero occasione di mostrare quanta venerazione ed affetto portassero al Capo visibile della Chiesa di Gesù Cristo. Nei primi giorni di detto mese una dolorosa notizia si sparse in Torino, confermata ben tosto dal lugubre suono di tutte le campane, che produceva in ogni cuore bennato una grande emozione. Era morto in Roma il Papa Gregorio XVI in età di 80 anni, amareggiato dalle continue ribellioni di sudditi guasti dalle sette e da previsioni di tempi tristissimi. La domenica susseguente D. Bosco, parlando ai giovani del defunto Pontefice, disse del suo animo invitto, e fece rilevare la grave perdita che nella sua morte aveva fatto la Chiesa, specialmente in quei giorni. Nella stessa circostanza tra le altre cose ricordò la bella prova di benevolenza che aveva lor dato l'anno innanzi: imperocchè, a semplice sua domanda fatta per iscritto, quel grande Pontefice aveva avuto la bontà di concedere una speciale Indulgenza plenaria, da lucrarsi al punto di morte, a 50 persone, le quali, a giudizio di D. Bosco medesimo, fossero tra le più zelanti e sollecite nel prestarsi a benefizio spirituale e temporale dei giovanetti. Fatta poscia una calda esortazione, li invitò a recitare con lui la terza parte del Rosario della Beata Vergine in suffragio dell'anima sua, invito a cui essi aderirono di gran cuore.

Soddisfatto questo tributo di gratitudine al Papa defunto, D. Bosco disse che non potendo la Chiesa rimanere senza Capo visibile a governarla, come non può un gregge rimanere senza pastore, glie ne sarebbe dato un altro; e intanto esortò i giovani a pregare anch'essi che lo Spirito Santo illuminasse e dirigesse i Cardinali ad eleggere presto un nuovo Papa; ed essi pregarono con singolare fervore. Ed ecco il 16 dello stesso giugno 1846 uscire eletto il Cardinale Giovanni Mastai Ferretti, Vescovo di Imola, che assumeva il nome di Pio IX. Anche le umili volte della nuova cappelletta di S. Francesco di Sales risuonarono poco dopo dell'inno di ringraziamento a Dio, per aver dato in sì breve tempo un altro Capo alla sua Chiesa, un altro Padre a tutti i fedeli cristiani, ed in cui l'Oratorio avrebbe acquistato sì grande benefattore.

Il nuovo Pontefice era d'animo mite, generoso, ma fermo, e di una bontà di cuore incomparabilmente grande; di svegliato ingegno, di molta scienza, di facile parola, di soda e profonda pietà, esperto nelle cose politiche, conoscitore delle arti settarie. A tutti eran noti i naturali sentimenti di patria, cristianamente da lui accarezzati; Già predicatore di missioni in Sinigallia, Segretario del Nunzio nel Chilì, era amantissimo della Vergine Immacolata, e aveva una predilezione speciale per i fanciulli poveri, essendo stato Presidente dell'Ospizio di Tata Giovanni e dell'Ospizio di S. Michele. Nutriva adunque le stesse inclinazioni di D. Bosco, del quale avrebbe compreso così bene le idee, da farsi suo munifico e affettuoso protettore.

Appena salito al trono, pubblicò alcuni editti di riforme amministrative e il 17 luglio concedeva un largo perdono a quelli che erano carcerati o esiliati per delitti politici, ossia a più di mille, tutti convinti di congiura o di ribellione. Appena proclamata l'amnistia, il grido di viva Pio IX risuonò in tutta l'Italia e in tutto il mondo. Roma repentinamente sembrò in preda ad un delirio di gioia, ad un'orgia insolita. Dimostrazioni popolari, feste, banchetti, passeggiate patriottiche, archi trionfali, illuminazioni, inni, musiche, ovazioni di un popolo immenso ovunque il Pontefice movesse il piede. Raccomandava egli moderazione come prova di obbedienza; ma le sette organizzatrici di quei moti popolari, contenuti dentro ai limiti voluti dai caporioni segreti; aiutati inconsciamente per fede ed amore dall'immensa maggioranza dei veri Cattolici; continuavano per le loro trame ad agitare le masse del popolo col pretesto di esaltare il Papato. Fu un lavorio incredibile per spingere Pio IX di concessioni in concessioni, facendogli sempre cadere sull'augusto capo nembi di fiori. I settari andavano gridando, Pio IX essere un Papa liberale, colla speranza che non venisse smentita la loro calunnia. Scrittori avvezzi ad insultare il Papato, ora levavano alle stelle Pio IX. I principali giornali d'Europa acclamavano al suo amor patrio al fine di vincere la perplessità e le resistenze di Re Carlo Alberto. Massimo d'Azeglio scriveva articoli per sette giornali, tra cui due riviste, una inglese e l'altra francese, nelle quali si esaltava e magnificava Pio IX come speranza d'Italia. Fingevasi essere lui un Papa quale avealo dipinto le Istruzioni settarie del 1820. Torino faceva eco a Roma, e l'impulso a libertà, che bugiardamente si proclamava venuto dal Vaticano, si comunicava eziandio al clero. I Mazziniani tacevano, e supplicavano Mazzini che tacesse e lasciasse libero il campo a Gioberti, ad Azeglio, a Mamiani e ad altri che lavoravano a raggiungere lo stesso suo fine, ma provvisoriamente non colla repubblica, sebbene colla preparazione di un governo costituzionale.

D. Bosco però, non ostante il suo affetto e il suo entusiasmo per il Papa, non si lasciò illudere da tanta lirica piazzola. Quantunque sembrasse che gli onori resi a Pio IX fossero un giusto tributo alla sua divina autorità, alle sue virtù, pure in essi egli scorgeva un germe di gravi rivolgimenti politici e perniciosi alla Chiesa. Quindi avvertiva i suoi collaboratori e i giovani più avanzati e più giudiziosi di tenersi all'erta, non lasciarsi ingannare dalle voci popolari, ma stare uniti al Papa ed all'Arcivescovo, pronti ad essere ossequenti alle loro istruzioni. Eziandio Mons. Fransoni, il quale, forse primo tra i Vescovi, intravedeva il precipuo movente di quelle dimostrazioni, l'ipocrisia e le bieche mire delle sette, non tardò molto a premunire con sicurezza i suoi diocesani, e specialmente i suoi più intimi, tra i quali era presente D. Bosco, a non lasciarsi accalappiare da quelle parvenze di libertà e di amore al Papato. Per ciò andava crescendo in certe consorterie il sordo malumore contro l'esimio Prelato, il quale pronto a soffrire qualunque persecuzione piuttosto che venir meno al proprio dovere, con mirabile serenità di animo, continuava a reggere tranquillamente la sua diocesi, provvedendo con sollecitudine ai bisogni delle singole parrocchie. Infatti Monsignore di questi giorni incaricava D. Bosco di andare a Viù nelle valli di Lanzo, perchè facesse inquisizione sulla condotta di una donna, la quale per certo suo modo di vivere creduto soprannaturale, erasi acquistato il soprannome di Santa di Viù. Essa non contraddicente, si era sparsa la voce che da gran tempo non fosse stata vista da alcuno prendere cibo. Delle molte elemosine che riceveva ne faceva però buon uso, beneficando fanciulle povere ed orfanelle. La gente ricorreva a lei per consigli e per raccomandarsi alle sue preghiere.

D. Bosco obbedì e, prese informazioni esatte, conobbe essere quella donna di buona condotta morale e osservatrice delle leggi della Chiesa; ma sospettò che in lei andassero a pari una grande ignoranza e la vanagloria. Trattavasi adunque di investigare la vantata santità della sua vita, giudicandola per la schiettezza delle sue intenzioni; e senza perder tempo nell'esaminare i fatti meravigliosi che si narravano di lei.

Intanto D. Bosco, dopo aver accompagnato D. Cafasso a .S. Ignazio per gli Esercizi spirituali, disceso a Lanzo prese con sè l'amico suo, il signor Melanotti caffettiere, e andò a Viù. Quivi giunto, si recò dal parroco e mandò il Melanotti ad annunziare alla santa, il prossimo suo arrivo, ma con termini che non indicavano aver egli molta premura di vederla, nè dare alcuna importanza a simile visita. Il signor Melanotti, bene indettato e incaricato di osservare ogni benchè minimo gesto o parola di quella donna, portò l'ambasciata. La santa parve poco lusingata dal freddo annunzio, e poi frenò a stento qualche atto d'impazienza, poichè era passata una grossa ora e il suo visitatore non compariva. D. Bosco finalmente giunse e fu introdotto alla presenza di costei che, circondata da un certo numero de' suoi ammiratori, ne stava seduta in mezzo, ma però in un seggio isolato. Ella aspettavasi che D. Bosco le si presentasse con riverenza e con modi cortesi; ma D. Bosco senza far motto, senza guardarla, andò a sedersi vicino a coloro che le facevano corona ed ascoltava i loro ragionamenti.

A un tratto il signor Melanotti a lui si rivolse e gli disse:

 - Ecco, signor D. Bosco, che noi abbiamo la ventura di avere fra di noi la Santa e di ascoltare i suoi saggi e spirituali ammaestramenti.

 - Tutto sta bene, rispose D. Bosco; ma io vorrei parlare in disparte con questa signora, e intrattenermi con lei in affari confidenziali e di grande importanza.

La donna, già punta dal contegno di D. Bosco e presentendo ora in confuso come le sovrastasse una minaccia, si levò in piedi e con aspetto e tono di voce magistrale, disse: - Amo di parlare in pubblico, e in modo che tutti sentano e vedano il mio modo di diportarmi. Non cerco sotterfugi. Io voglio l'est est, il non non del santo Vangelo.

 - Sia pure, replicò D. Bosco: io rispetto la vostra massima e la vostra interpretazione della Santa scrittura; ma vogliate udirmi un momento, e credo di potervi soddisfare con notizie delle quali vi compiacerete pienamente.

Essa allora, dopo un momento di esitazione, uscì dalla sala, invitando D. Bosco a seguirla. Melanotti si postò subito in maniera di poter essere testimonio di ciò che sarebbe accaduto. Giunti nella stanza vicina e rimasta la porta aperta, colei attendeva ciò che D. Bosco dir le volesse; e dopo un po' di silenzio il buon prete incominciò sottovoce: - Da quanto tempo voi fate questo mestiere di ingannatrice, di ipocrita, di cialtrona?

 - Come? come? rispose la donna, a stento frenando la stizza: noi non c'intendiamo!

 - E perchè non c'intendiamo, ripeto la mia domanda, soggiunse tranquillamente D. Bosco.

 - Io un'ipocrita! Io un'ingannatrice! Esclamava inviperita, quella donna.

 - Sì, sì, proseguiva D. Bosco, voi siete un'ipocrita, una superba, che abusando del nome di Dio, ingannate il volgo ed il mondo colle vostre male arti.

 - Siete voi un superbo:... gridò allora quella donna; e, perduto il lume degli occhi, era per vomitare un'infinità d'ingiurie.

D. Bosco sull'istante le troncò la parola, e sorridendo le disse pacatamente: - Io non ebbi alcuna intenzione di offendervi. Sapete perchè ho incominciato a parlarvi nel modo che voi avete udito? Null'altro mi spinse a ciò se non il dovere di assicurarmi se voi eravate santa davvero, oppure se il vostro genere di vita fosse una finzione. Ma la mancanza assoluta che io ho trovato in voi della virtù essenziale ed indispensabile a tale uopo, cioè della santa umiltà, mi ha persuaso, pienamente che la vostra santità non è che una mala arte, un iniquo mestiere col quale voi volete vivere a spese altrui, ed essere nello stesso tempo stimata e venerata dai gonzi che vi credono. E ciò io vi dico in nome dell'Arcivescovo che mi ha mandato. - E le svelò, francamente, come cosa certa, ciò che per congettura aveva colla sua fina mente indovinato. Le dipinse eziandio la vergogna e il danno che gliene sarebbero venuti se, come era facilissimo, un giorno o l'altro qualche incredulo curioso, spiandola, avesse sorpreso il suo segreto.

Quella donna allibì e rimase di sasso alle parole risolute di D. Bosco. Conosceva in lui un uomo rivestito di autorità e in quei tempi simile impostura smascherata era severamente punita anche dalle leggi civili. Quindi dopo alcune altre parole piene di carità dette da D. Bosco, colle quali paternamente esortavala ad aggiustare le partite di sua coscienza, ad ordinar la sua vita in modo più cristiano e a cessare da quei maneggi menzogneri, essa riconoscendo la sua colpa rispose: - Non credeva che la S. V. fosse così sagace: La ringrazio de' suoi consigli che saranno da me posti fedelmente in pratica, ma La scongiuro a voler tacere quanto è occorso fra di noi; io prometto solennemente di smettere subito la mia arte.

D. Bosco le concesse di ritirarsi, senza che gliene venisse danno o scapito di onore, da quella via nella quale sconsigliatamente si era messa, e da quanto seppe di poi, quella donna mantenne la sua promessa. Presa stanza per qualche tempo in un altro paese, si mostrò come ogni altro mortale bisognosa di sostentare col cibo la vita, e a questo modo smentì ogni falsa opinione sul conto suo. In lei D. Bosco aveva riconosciuto molta ignoranza e anche buona fede, sicchè per soccorrere le sue fanciulle aveva creduto lecito un mezzo che era riprovevole. Monsignor Fransoni ebbe da D. Bosco relazioni dell'esito di quella visita: fu contento di veder rinsavita quella povera donna, disillusi que' credenzoni che si erano lasciati ingannare, e nello stesso tempo si congratulò seco medesimo di possedere un Ecclesiastico che sapea compiere così bene la parte sua. Questo fatto venne raccontato dallo stesso signor Melanotti.

 

 

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