Capitolo 50

La casa Pinardi e D. Cafasso - D. Bosco suo penitente - Sua famigliarità e unione di spirito col Direttore del Convitto Ecclesiastico - Generosità di D. Cafasso verso l'Oratorio e suoi lumi sovranaturali - Le vocazioni - Riconoscenza di D. Bosco e de' suoi giovani.

Capitolo 50

da Memorie Biografiche

del 27 novembre 2006

 Don Bosco, appena la stagione lo permise, aveva fatto sgombrare dalle macerie della casa caduta lo spazio sul quale si dovevano dalle fondamenta riprendere i lavori di costruzione. Il suo danno era stato valutato a 10.000 lire, sebbene molto più grave doveva essere quello del capomastro, che aveva accettata la costruzione ad impresa ed era stato condannato dalla commissione edilizia a rifare meglio i lavori. D. Bosco però pieno di compassione gli aveva promesso di aiutarlo. Intanto, forse in conseguenza di questo disastro, con atto 26 gennaio 1853 rogato dal notaio Turvano, le ragioni e i diritti che D. Borel, D. Murialdo, D. Cafasso e D. Bosco avevano acquistati colla compra di casa Pinardi, si consolidavano nei sacerdoti Giovanni Bosco e Giuseppe Cafasso. I primi due si ritiravano dalla società addossando agli altri due comproprietarii la loro parte del debito Rosmini.

D. Cafasso adunque continuava a prestare garanzia per D. Bosco; e dacchè ci si presenta questo nome benedetto, vogliamo fare speciale memoria di chi per circa venticinque anni guidò e soccorse D. Bosco nella vita spirituale e nelle materiali e morali necessità. Era santo il maestro e fu santo il discepolo che avealo scelto per suo confessore, e che ogni settimana si recava a confidargli lo stato della sua coscienza.

D. Cafasso, in S. Francesco d'Assisi, teneva il suo confessionale presso l'immagine della Madonna delle Grazie, ed era sempre assiepato ai lati da una folla che attendeva il suo turno. D. Bosco si inginocchiava per terra vicino ad un pilastro di rimpetto al confessionale per fare la sua preparazione, e vi rimaneva finchè D. Cafasso lo avesse veduto. Allora il confessore, perchè il venerando prete non avesse da perdere troppo tempo, gli faceva cenno alzando la tendina, e quegli a capo chino ed in atteggiamento divoto si approssimava e faceva la sua confessione sul dinanzi del confessionale con edificazione degli astanti. Il Ch. Bellia Giacomo lo accompagnava sempre, finchè frequentò l'Oratorio; e dopo lui altri chierici, e tutti ammiravano il suo contegno, dal quale traspariva la sua fede e la sua umiltà.

D. Bosco amava e venerava D. Cafasso, e il suo affetto per lui era come quello di un figlio, e D. Cafasso lo contraccambiava con viva carità paterna.

D. Bosco era pressochè ogni giorno al Convitto Ecclesiastico, e frequentava, potendo, le conferenze di morale. Sovente vi andava al mattino; e poi mutando ora, verso le quattro pomeridiane, e non ne partiva che verso le nove accompagnato da alcuno dei servi del Convitto stesso. Quelle cinque ore le passava in gran parte nella biblioteca, ove faceva i suoi studii senza disturbo e vi preparava i suoi libri così fecondi di spirituali vantaggi in difesa della religione. Non mancava mai di visitare D. Cafasso, dei quale godeva tutta la confidenza. In certe settimane, nelle quali sentivasi così stanco che a stento poteva trarre il respiro, una parola, uno sguardo, un sorriso, un gesto di D. Cafasso, ravvivava le sue forze, e ispiravagli sempre maggior coraggio nel continuare la sua missione. E dipendeva da lui in ogni cosa, sia nel regolare la propria coscienza, sia nell'indirizzo delle opere esterne che andava svolgendo; e a lui obbedì, finchè visse, interamente e senza osservazioni. Spesso D. Bosco trattenevasi con lui in lunghi e segreti colloqui; ed è in uno di questi che sul principio del 1851 egli disse a D. Cafasso, che avevalo interrogato: il tempo che a lei ancor rimane di vita non oltrepasserà i dieci anni. E il fatto riuscì secondo la previsione.

Scrisse D. Savio Ascanio: “E’ là nella camera di Don Cafasso che D. Bosco andava concertando con lui la compera della casa e del cortile Pinardi e la erezione della chiesa di S. Francesco che ora si chiama la chiesa vecchia, l'acquisto di altri terreni per bastare al bisogno e l'impianto di laboratorii e di una stamperia, e la fondazione delle Letture Cattoliche. Venendo poi a casa, parlando co' suoi alunni, si lasciava sfuggir parola di questi nuovi piani progettati, e diceva cose che parevano sogni ed ora sono realtà”.

Ma coll'aiuto di Dio non poteva essere altrimenti. Maestro e discepolo erano concordi nello stesso scopo, nelle stesse viste e nello stesso pensiero.

“In una cosa sola, disse un giorno D. Bosco ad un personaggio distinto, sembrò che non fossimo d'accordo ed ebbimo a proposito una discussione passeggiando sul piazzale del Santuario di S. Ignazio. Egli diceva che il bene doveva farsi bene, ed io sosteneva che talora bastava farlo così alla buona in mezzo a tante miserie”. E tutti due avevano ragione poichè D. Cafasso parlava della cosa per se stessa; D. Bosco invece dimostrava che quando non si può fare altrimenti, è meglio operare come si può, ma con retto fine piuttosto che abbandonare un'impresa.

Tuttavia il buon accordo fra essi non era per nulla turbato da qualche diversità di apprezzamento; che anzi D. Cafasso prendeva sempre le difese del suo discepolo allorchè qualcuno si permetteva di criticarlo.

Alcuni rispettabili e dotti ecclesiastici gli fecero rimostranze perchè D. Bosco non si piegava a' consigli dati da loro, quando questi non erano conformi ai suoi disegni ed alle sue viste. D. Cafasso rispose in modo da metter in particolar luce la vita sacerdotale del suo penitente: “Sapete voi bene chi è D. Bosco? Per me, più lo studio, meno lo capisco! Lo vedo semplice e straordinario, umile e grande, povero ed occupato in disegni vastissimi e in apparenza non attuabili, e tuttavia benchè attraversato e direi incapace, riesce splendidamente nelle sue imprese. Per me D. Bosco è un mistero! Sono certo però ch'egli lavora per la gloria di Dio, che Dio solo lo guida, che Dio solo è lo scopo di tutte le sue azioni”.

D. Cafasso era persuaso che il Signore conducesse D. Bosco per vie nuove e straordinarie, e ciò era causa eziandio che largheggiasse nel soccorrerlo.

D. Bosco usciva di raro dalla stanza di lui a mani vuote, come egli stesso asserì. Sovente sul finir di un mese dovendo saldare un debito per il pane di duecento o di trecento lire, e non avendo egli denaro, D. Cafasso glieli sborsava. D. Bosco intanto prometteva che pel mese seguente avrebbe studiato il modo di pagare egli stesso; ma dopo qualche tempo eccolo presentare con bel garbo un'altra nota del panettiere. Don Cafasso con tono di celia allora dicevagli: - Voi, D. Bosco, non siete un galantuomo. I galantuomini mantengono la parola data; voi in quel cambio, tutti i mesi promettete di pagare, ma intanto chi paga sono sempre io. Caro mio, pensate a mettervi in coscienza. - E gli porgeva la somma richiesta.

Sperimentando la bontà di D. Cafasso, D. Bosco ebbe una prova di più dei doni sovranaturali dei quali Iddio avevalo fornito. Un giorno aveagli esposto come si trovasse in strettissimo bisogno di soccorsi. D. Cafasso gli rispose rincrescergli di non avere nulla da dargli, ma poi, dopo aver riflettuto alquanto: - Andate, gli disse, verso piazza San Carlo, seguite chi vi chiamerà per nome e troverete ciò che desiderate. - D. Bosco obbedì, e giunto in piazza S. Carlo, ecco un servitore fermarlo e dirgli: - È lei D. Bosco? - E alla risposta affermativa, aggiunse come la sua signora desiderasse parlargli. D. Bosco si accompagnò al servo e introdotto in un palazzo, fu nella camera di una ricca matrona inferma, la quale dopo aver chieste notizie del suo Oratorio, gli diede una cospicua somma.

Ciò palesava D. Bosco stesso al Ch. Bellia, e, certo che il santo suo maestro era illuminato dal Signore nel dare consigli, spesse volte mandava a lui i suoi giovani perchè ne decidesse.

Nel 1853 gli indirizzava gli alunni Giovanni Cagliero e Savio Angelo per l'esame sulla vocazione. “D. Cafasso, scrive Mons. Cagliero, dopo averci esaminati, ci parlò della vocazione allo stato ecclesiastico con parole e concetti sublimissimi, e con tale senso pratico ed unzione, da farci comprendere, che grande era tale grazia ed altissimo il ministero del sacerdote. Ed animatici a corrispondere, aggiunse con santo entusiasmo: - Oh vedete! io mi sono fatto prete una volta sola; ma se fosse necessario, mi farei tale ancora cento altre volte!”.

Altro giorno mandò al Convitto Massaia e Fusero. Essi per istrada attaccarono questione su qualche punto di controversia non sapremmo se Scolastica o religiosa. Appena furono alla presenza di D. Cafasso, questi senza lasciar loro aprir bocca, disse: - In quanto alla vostra questione di cui disputavate lungo la strada, è così e così: quindi tu avevi ragione e tu avevi torto. In quanto alla vocazione state a quello che vi dirà Don Bosco. - Mirabile risposta e prova colla quale egli faceva intendere per lume soprannaturale che D. Bosco era giudice sicuro sulla prudente elezione dello stato.

I due giovani rientrati nell'Oratorio narrarono a Don Bosco il fatto meraviglioso, il quale a sua volta confermava l'opinione di santità che tutti nutrivano verso D. Cafasso. D. Bosco infatti, narrò il Can. Anfossi, parlava frequentemente delle azioni, delle parole, delle virtù eroiche e della generosità di quel gran servo di Dio. E ripeteva ai giovani e ai chierici i suoi ammonimenti, così efficaci per far amare la mortificazione cristiana: “Fuggite ogni abitudine anche la più indifferente: dobbiamo abituarci a fare il bene e non altro: il nostro corpo è insaziabile: più gliene diamo più ne domanda, meno gliene si dà meno egli domanda”.

D. Bosco non tralasciava di eccitare i suoi a lavorare gagliardamente e a non desiderare sollazzi e riposo, e aggiungeva: - Invitato D. Cafasso a prendersi qualche divertimento, sapete voi che cosa rispose? - Ho ben altro da fare che a divertirmi. Quando non abbia più alcuna cosa di premura, allora andrò a divertirmi. - E quando sarà questo tempo? - Quando saremo in paradiso.

Lo proponeva eziandio ad esempio per la salute delle anime e lo descriveva nelle missioni rurali, nel Convitto, nelle carceri, negli ospedali e nei varii altri offizii del sacerdotale magistero. Fra l'altro narrava un giorno: “D. Cafasso avendo saputo (1856) che a Vercelli un condannato a morte si era dato alla disperazione e non volea saperne di sacramenti, partì subito da Torino con qualche confratello della Misericordia verso le ore 4 pomeridiane, e giunto ove era il condannato, riuscì a calmarlo, e confessatolo e comunicatolo lo accompagnò al luogo del supplizio. Quindi, ristoratosi in un albergo volle subito partire per Torino e rientrato al Con. vitto alle ore 6 e ½ di sera, invece di prendere un po' di cibo, andò all'istante a fare la conferenza ai convittori poichè la campana ne dava il segno. A chi invitavalo a prendere un po' di riposo: - Ci riposeremo quando saremo nella tomba, - rispose: - Regnum coelorum vim patitur. - Questa era la sua abituale esclamazione”.

Inoltre interessava specialmente i suoi alunni narrando come D. Cafasso prendevasi sollecitudine dei poveri giovanetti, e come questi istruisse nelle verità della fede, quelli provvedesse di abiti affinchè potessero decentemente venire in chiesa; altri collocasse al lavoro presso onesto padrone, a non pochi pagasse le spese dell'apprendimento, o somministrasse pane finchè avessero potuto guadagnarsi di che campare colle proprie fatiche. - Io conosco molti, soggiungeva, che per la povera loro condizione o pei gravi disastri avvenuti in famiglia non potevano percorrere carriera alcuna. Ora di costoro parecchi sono parroci, viceparroci, maestri di scuola. Alcuni sono notai, avvocati, medici, farmacisti, causidici. Altri sono agenti di campagna, padroni di bottega, negozianti e commercianti. E tutti costoro debbono a D. Cafasso la loro fortuna.

Ma oltre a ciò egli ricordava ai giovanetti dell'Oratorio l'obbligo che loro spettava di essere riconoscenti a D. Cafasso e di pregare per lui. Mons. Cagliero ci scriveva: “Ricordo che sovente D. Bosco ci disse: - È per obbedienza a Don Cafasso che mi fermai a Torino; è dietro suo consiglio e sua direzione che presi a radunare ogni dì festivo i monelli di piazza per catechizzarli; fu mediante il suo appoggio ed aiuto che incominciai a raccogliere nell'Oratorio di S. Francesco di Sales i più, abbandonati perchè fossero preservati dal vizio e formati alla virtù. Ricordatelo! Il primo catechista di questo nostro Oratorio fu D. Cafasso, e ne è costante promotore e benefattore. - E noi amiamo e veneriamo il nostro caro padre; ma non amiamo meno e non veneriamo meno il Sac. D. Cafasso”.

 

 

 

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