Non accadono fatti straordinari - La Duchessa di Sora ed un cane arrabbiato - Generosa offerta - Un bambino infermo e la medaglia di Maria Ausiliatrice: profezia avverata - Guarigione: gli infermi desiderano la visita di Don Bosco - Preghiere pel Conte Vimercati - Le trattative del Comm. Tonello, per la nomina dei Vescovi, incagliate - Pio IX chiede ed accetta il consiglio di Don Bosco - Il Cardinale Segretario di Stato, il Comm. Tonello e il Venerabile - Cortesia di Mons. Pacifici verso Don Bosco; questi non fa anticamera in Vaticano - Le divergenze composte - Si procede alla scelta de' Pastori per le sedi vacanti - Il primo, proposto dal Re -Affluenza continua di nobili visitatori in casa Vimercati - Il miglioramento d'un infermo - Il nuovo Arcivescovo di Torino e Don Bosco - Si desidera una Casa Salesiana in Roma -Molti vogliono trattare con Don Bosco delle cose dell'anima - La Storia d'Italia va a ruba - Spine e rose: il Senatore di Roma giustificato presso il Papa.
del 06 dicembre 2006
 Per la terza volta Don Francesia pigliava la penna, mandando notizie a Torino.
 
Roma, 17 gennaio 1867.
 
Carissimo sig. Cavaliere,
 
Pare che il Signore non permetta che D. Bosco accresca i fatti veramente prodigiosi che avvennero altrove. E poi qualora avvenissero, D. Bosco è abbastanza umile per non dirmi tutto quello che gli avviene. Sto con cento occhi e più di orecchie per raccogliere.
La Duchessa di Sora se la vide brutta l'altro giorno. Un cane arrabbiato erasi cacciato nel palazzo e minacciava di fare strage; ma invocato l'aiuto di Maria SS. Ausiliatrice, non si sa come, ne fu salva. Portò oblazione e promette più. Sabato scorso D. Bosco disse messa nella cappella della Duchessa ed ebbe 1000 franchi e più da una persona per grazia ricevuta.
Fu a visitare un piccolo bambino di casa De Maistre che, gravemente infermo, minacciava di morire. Si doveva fare operazione di ferri e non sapevasi come e dove. Che desolazione!
D. Bosco lo benedisse e toccò colla medaglia il piccolo infante. Là dove D. Bosco pose la medaglia il tumore venne subito a maturità e i dottori poterono operare. Ma caso singolare avvenne ancora. Dove operarono i dottori, la cosa riuscì prosperamente e nei due posti tocchi dalla medaglia, da sè venne uno spurgo. Il bambino migliora e si spera di vederlo guarito…
Paolo De Maistre, di 18 mesi, figlio del Conte Eugenio, aveva faccia e collo sformatamente gonfi. Don Bosco il 16 gennaio dopo averlo benedetto andò a celebrare la S. Messa nella vicina chiesa di S. Carlo. Eravi “ molta gente, scrive al Cavaliere la Duchessa di Sora, e mi raccontarono che essendosi egli seduto in confessionale vi fu in poco tempo circondato ”. Finita che ebbe la messa l'infermo sembrò migliorare, sicchè venuto il medico, constatò potersi fare un taglio senza pericolo, ciò che prima non aveva osato fare. Da quel momento la gonfiezza incominciò a svanire e la guarigione fu assicurata.
Non basta. Il Servo di Dio, data la benedizione al bambino, aveva detto ai suoi parenti: - Oh! non morrà: egli ha da essere prete! -Nessuno palesò a Paolino ciò che Don Bosco aveva predetto di lui, e glielo dissero solo quando, fattosi gesuita, era già in sacris.
Il Conte ci narrò tutto il fatto, e aggiunse, che abitando egli alle Quattro Fontane ed avendo in casa Don Bosco, era tale la folla nelle scale, che gli inquilini a stento potevano uscire dai loro appartamenti, ed egli doveva fare entrare i visitatori da una porta e farli uscire da un'altra.
Altre notizie aggiunge la lettera di D. Francesia:
 
L'altra sera (15 gennaio) si visitò un altro fanciullo parimenti infermo: poca, anzi nessuna era la speranza di guarirlo, ma dopo la benedizione di D. Bosco incominciò a migliorare. I dottori fanno le più grandi meraviglie del risultato felice delle cure di questo nuovo loro collega. Non c'è infermo di Roma che non brami la visita di D. Bosco. Ora è in Piazza del Popolo, ora al Borgo Nuovo, ora in altre parti lontane e opposte.
Non vi è chiesa, non casa privata con cappella, ove non si desideri la sua messa .....
D. Bosco ringrazia di quello che si fa all'Oratorio ed anima a continuare con maggior fervore. Oh se si potesse ottenere la guarigione dell'ottimo conte Vimercati, nostro ospite! Migliora bensì, ma non gli cessano i disturbi; non può reggersi in piedi, non dorme la notte; insomma senza un miracolo non si tirerà fuori! Preghiamo!
A motivo del molto parlare, D. Bosco peggiora di salute: ha le gambe enormemente gonfie e non può riposare di notte...
 
In quei giorni la sua occupazione pi√π grave era quella della nomina dei Vescovi.
Il 21 dicembre il Comm. Tonello aveva incominciato a trattarne col Card. Antonelli, Segretario di Stato. Essendo tornati in diocesi i Prelati espulsi, non v'erano pi√π questioni di dichiarazioni e di licenze. La cosa era pi√π spiccia. Il Tonello aveva ordine di assentire alle giuste esigenze della S. Sede in varii punti, circa i quali il Vegezzi aveva dovuto manifestare che il Governo sarebbe stato inflessibile; quindi furono facilmente abbandonate molte pretenzioni e fra le altre quelle dell'exequatur e del giuramento dei Vescovi.
Ma fin dalla prima udienza il Cardinale Antonelli aveva dichiarato che la Santa Sede non avrebbe mosso ostacoli alle presentazioni dei Vescovi delle antiche provincie del Piemonte e del Lombardo Veneto: ma che non accetterebbe mai dal Governo quelle per gli altri stati italiani e meno ancora quelle dei Territorii Pontificii tolti al Papa; la quale esclusione metteva in pericolo tutta l'Italia centrale e meridionale di rimanere senza Vescovi e poteva dar ansa a certe velleità scismatiche di qualche membro del Gabinetto Italiano.
In vero il Ministro dei Culti, Borgatti, aveva scritto a Tonello che si facesse ogni pratica solamente a modo verbale, anzichè con atti scritti, non volendo vincolarsi per l'avvenire. Era fisso nella ragione di stato e nel diritto, secondo lui, della nomina dei Vescovi, attribuita al laicato dell'Associazione Cattolica. Il Tonello, secondo le istruzioni ricevute, doveva cercare che in avvenire il popolo avesse parte all'elezione dei Vescovi.
Il Governo voleva eziandio che tutti coloro, i quali venissero eletti, presentassero le Bolle; e il Cardinale Antonelli non acconsentiva.
Le cose stavano a questo punto, quando Don Bosco arrivò a Roma. Fu dolentissimo allorchè seppe della cattiva piega che prendevano le trattative e vide vicine a svanire le concepite speranze. In Piemonte da più di quindici anni non era stato nominato alcun Vescovo.
In buon punto Pio IX lo mandò a chiamare per udire quali proposte egli farebbe per conciliare le divergenze.
Contro queste trattative sorgevano obbiezioni ed ostacoli da tutte parti. I Cardinali volevano che le Autorità Italiane si rimettessero interamente alle disposizioni del Santo Padre prima che si venisse ad una decisione. Il Card. Antonelli era inflessibile nel mantenere le condizioni poste al Delegato del Governo del Re. Il Ministero di Firenze pretendeva le Bolle. Il Papa era incerto, perchè temeva che si proponessero alla dignità episcopale persone auliche.
Appena Don Bosco fu alla presenza di Pio IX, questi gli disse sorridendo: - Con quale politica vi cavereste voi da tante difficoltà?
- La mia politica, rispose Don Bosco, è quella di Vostra Santità. È la politica del Pater noster. Nel Pater Noster noi supplichiamo ogni giorno che venga il regno del Padre Celeste sulla terra, che si estenda, cioè, sempre più, che si faccia sempre più sentito, sempre più vivo, sempre più potente e glorioso: Adveniat regnum tuum! ed è ciò che più importa.
Ed insistette che si anteponesse sopra tutto il bene delle diocesi e che si studiasse qualche modo da poterlo assicurare.
- Sarà difficile trovarlo, sicchè possiamo riuscire a far qualche cosa - osservò il Papa.
Don Bosco rispose:
- La Massoneria non cede; ma se ci lasciano fare, spero che verremo ad una conclusione.
E spiegò il suo pensiero. Non far distinzione nelle trattative tra le provincie Piemontesi, Lombarde, Venete e quelle degli Stati tolti ai principi italiani ed al Papa: il Governo d'Italia proponesse pure per i Vescovati tutte quelle persone che più gradisse, e lo stesso facesse la Santa Sede, rappresentata dal Cardinale Antonelli, riguardo al Governo: nè Santa Sede nè Governo arbitrassero: il Pontefice confrontata la nota della Santa Sede con quella del Governo, eleggesse coloro sui quali le due note andassero d'accordo: si incominciasse colla nomina di solo un certo numero di Vescovi., per dare principio alle provviste più urgenti delle Diocesi vacanti; questi Vescovi fossero destinati a quelle Sedi, per le quali non ci fosse difficoltà per parte del Cardinale Antonelli: in quanto alle Bolle sarebbe affar suo; si raccomandava però che non si compromettesse con inconsulte rivelazioni l'esito della pratica.
Pio IX aderì al consiglio di Don Bosco e gli diede pieni poteri di trattarne col Comm. Tonello, riservandosi ogni libertà nel decidere e stabilire.
Don Bosco pertanto fece i primi passi col Card. Antonelli, e con qualche stento lo indusse a considerare le cose dal suo punto di vista, cioè non tanto politico, quanto religioso nello stretto senso della parola.
Quindi recossi da Tonello al quale Ricasoli aveva telegrafato: “Vedete di intendervi con Don Bosco ”. Il Commendatore, che non era uomo nemico alla Chiesa, s'intese facilmente con lui e non solo si prestò a non porre ostacoli alla nomina dei Vescovi, quantunque le istruzioni di Ricasoli fossero assai difficili, ma si disse pronto a cooperare agli atti del Papa. Intendeva benissimo come Pio IX non potesse acconsentire che i nuovi eletti, e principalmente quelli destinati alle diocesi degli antichi Stati pontificii, presentassero le Bolle al Governo: quindi non si ostinò a volere tale presentazione e si contentò di un semplice avviso di nomina.
Il Papa, udita l'arrendevolezza del Tonello, ne fu contento ed approvò. Il Governo Italiano era interessato a dare una soddisfazione alla Francia, e accondiscese.
Da questo momento la discussione tra il Delegato Pontificio Antonelli ed il Commendatore si ridusse al modo di fare e di riconoscere le nomine vescovili: e convennero verbalmente di procedere in questa forma: - Si stabilissero d'accordo le sedi e le persone da nominarvi: il Delegato Pontificio ne desse comunicazione al Governo designando le diocesi e gli eletti: la Santa Sede spedisse bolle conformi a quelle dell'ultimo Arcivescovo di Genova, ommesso ciò che tocca la presentazione sovrana: se ne consegnasse nota all'Inviato: e questi scriverebbe al Ministero, affinchè si dessero le disposizioni opportune, perchè i nominati avessero il possesso delle loro mense.
Più volte Don Bosco dovette andare dal Card. Antonelli al Papa, dal Papa a Tonello, e da Tonello al Vaticano. Entrò siffattamente in confidenza con Pio IX che gli bastava presentarsi per aver subito udienza.
Mons. Pacifici, che aveva stretta cordiale amicizia col Venerabile, dovendo andare due volte la settimana in Vaticano pel proprio uffizio, passava infallibilmente colla sua carrozza a casa Vimercati, per vedere se Don Bosco abbisognasse di recarsi presso il Papa o presso il Cardinale Antonelli.
Chiuse ed approvate da ambe le parti le trattative, si venne alle nomine. Pio IX si fe' presentare un elenco dei migliori sacerdoti che si conoscevano nelle varie diocesi d'Italia, e incaricò Don Bosco di mettergli in nota i nomi di quelli che egli riteneva i più degni per dottrina e specchiata virtù da proporre al Governo italiano per le diocesi del Piemonte. Anche Tonello, chieste istruzioni e i nomi degli ecclesiastici che il Ministero intendeva proporre, stendeva la lista da presentare al Papa. Il Re Vittorio Emanuele espresse il desiderio che per Torino fosse eletto Arcivescovo Mons. Alessandro dei Conti Riccardi di Netro, Vescovo di Savona, e il Papa acconsentì.
Di queste pratiche fa cenno D. Francesia sul fine della sua lettera, che reca in fronte la data del 17 gennaio:
 
Sono 3 ore dopo mezzodì del giorno 18. La camera è ancora piena di persone che vogliono parlare a D. Bosco. Furono qui le dame d'onore della Regina di Napoli col Cappellano di Francesco II, la Principessa Orsini, il Cav. Schroctez dei cavalieri di Malta e tante Contesse e Monsignori che non so come D. Bosco possa finire...
Una povera donna, inferma da lungo tempo e viaticata, si raccomandò a D. Bosco che la benedicesse, se non poteva venirla a vedere. È madre di cinque piccole creaturine. D. Bosco le raccomandò la solita ricetta, ed ora so che migliora e che fra breve sarà fuori di pericolo.
Grande è la confidenza che ogni uomo, anche della più alta condizione, mette in D. Bosco. Egli ebbe già due lunghissime udienze col Card. Antonelli e aggiustò parecchi affari e appianò difficoltà e raddrizzò molte pratiche politiche, e intelligenze di moltissimo rilievo.
Ebbe colloqui con Tonello, che lo trattò con tutta bontà, pronto a riceverlo ogni volta che lo credesse di qualche vantaggio.
Parlò col futuro Arcivescovo di Torino, che prima era venuto a fargli visita a casa Vimercati. Sarà senza dubbio a noi favorevole, e, direi quasi, riconoscente a D. Bosco.
Si desidera che D. Bosco apra una casa a Roma.
Ha pratiche con altissimi personaggi, che riusciranno utilissime per la chiesa. Dicono che vede fatte molte cose come un dì vedeva fatto l'Oratorio, che dalle regioni ideali discese poi alle reali.
Colle sante sue maniere innamora di Dio tante persone, tutt'altro che divote, che sospirano il momento di confessarsi da lui. Ha stretta amicizia con dragoni pontificii che pure vogliono, malgrado ogni difficoltà, conferire con lui di cose spirituali. In breve D. Bosco è divenuto il vero apostolo di Roma. A qualcuno senza averlo mai conosciuto ha svelati i suoi peccati: quindi pensi qual desiderio, massime tra i giovanetti, di parlare con D. Bosco. In questi luoghi, già notabili per la pia e nobile persona che li abita, c'è tanto concorso da destare in tutti meraviglia.
D. Bosco aspetta molte copie della Storia d'Italia, vivamente desiderata da gran numero di persone, dopo l'annunzio appiccato su quasi tutte le porte delle chiese di Roma.
L'altro dì ci fu pranzo a casa del Senatore di Roma, quindi congresso col primo banchiere per provvedere al numerario che si sente mancare. D. Bosco era ascoltato come un oracolo.
Qualche zelante superlativo, pel troppo desiderio di far bene a D. Bosco, ha spacciato cose non vere sul suo conto, che gli potrebbero far del male.
Quando il suo sig. fratello (Padre Oreglia) disse che Don Bosco avrebbe avuto a Roma una dimostrazione cattolica, non diceva che la pura verità. Ho qui davanti un fascio di biglietti di visita di persone che venute alla nostra abitazione non poterono vedere o parlare con D. Bosco. Oh se i nostri giovani vedessero le belle feste che fanno a D. Bosco persone non mai conosciute prima, avrebbero molta consolazione e per l'avvenire vorrei sperare che farebbero miglior frutto quando Esso è all'Oratorio. Pensai più volte a questo, quando vedevo Conti, Marchesi e Principi andare a gara per toccargli la mano, baciargli la veste, aver la benedizione. Fu con graziosa lettera invitato a pranzo dal Duca Salviati, a dir messa dal Principe Borghese e dal Principe Torlonia. E questo entusiasmo, senza che nulla di veramente grande sia in questi giorni avvenuto. È però vero miracolo il vedere come tutti, partendo da Don Bosco, sono consolati anche solo dopo averlo veduto.
Le Storie d'Italia vanno a ruba. Domenica saremo a pranzo alla Civiltà Cattolica. A quelli che scrissero a D. Bosco dica che egli lesse i loro scritti con piacere, e prepara fra poco una risposta. Desideriamo notizie dell'Oratorio colla stessa impazienza, con cui ella ne desidera di quelle di Roma. Tante belle cose a casa Occelletti e ai giovani dell'Oratorio di S. Giuseppe per parte mia....
D. FRANCESIA G. B.
 
La lettera ci ha detto che il 16 gennaio Don Bosco era stato invitato a pranzo dal Marchese Francesco Cavalletti. Questi era stato nominato Senatore di Roma, cioè governatore, il 10 luglio 1865, e doveva durare in carica sei anni. Responsabile dell'ordine in città, e perciò odiato da nemici interni ed esterni, viveva in mezzo a congiure e a pericoli di tradimenti. Ma del suo animo invitto fanno fede le lettere da lui scritte a Don Bosco.
Ma non ostante la sua generosità nella difesa del trono pontificio, egli era stato messo in mala vista presso il Papa. Mentre era assente da Roma, i liberali avevano trovato modo di far pervenire a Pio IX una petizione con 25,000 firme colla quale si esortava il Pontefice a rinunziare al potere temporale. Il non aver impedita quell'offesa tornava a discredito della fedeltà e dell'oculatezza del Senatore.
Don Bosco, prevedendo ciò che ora accadeva, il 21 maggio 1866 aveva scritto al Cavaliere Oreglia che si trovava in Roma: “ A. S. E. il Marchese Cavalletti Senatore di Roma, dica: La Divina Provvidenza gli prepara un bel mazzetto di rose scelte, ma per prenderle bisogna che stringa le molte spine sottostanti. In breve saprà tutto: non posso scrivere di più ”.
In questo momento il Marchese doveva stringere tra le mani le spine. Dimettersi dal suo ufficio non voleva, sapendo che subito sarebbe stato messo al suo posto, per intrighi partigiani, un tristo ipocrita, nemico del Papato. Egli era un uomo risoluto a soffrire qualsivoglia danno ed offesa per il Pontefice; ma restare al potere, avendo contrario il Papa, non voleva. Don Bosco lo tranquillò, dicendo che sarebbe egli stesso andato a parlarne con Pio IX. Infatti verso sera andò al Vaticano promettendo che sarebbe ritornato a pranzare col marchese, recandogli una risposta. L'ora del pranzo era alle 7. Don Bosco, andato all'udienza verso le 5, alle 7 non era ancor di ritorno. Alle 7 ½ il Marchese era per mettersi a tavola, ed ecco comparire Don Bosco con viso sorridente. Il Marchese ordina ai servitori che si ritirino e, rimasto solo colla famiglia, domanda subito:
- Ebbene, che cosa ha detto il Papa?
- Il Papa, rispose Don Bosco, mostrò per lei una grande affezione e mi disse: “ Dite pure al mio caro Marchese.... ”
- Ha detto caro? Ha detto caro? - e ansava.
- E per ben due volte ha ripetuta questa frase.
- Basta! Basta! non voglio sentir altro! Ha detto il mio caro Marchese! Non desidero di più! Mi stillettino pure i framassoni, chè nulla m'importa, ora che il Papa mi ha chiamato caro!
D. Francesia era presente al dialogo; e il Senatore dimostrò il suo amore sviscerato al Sommo Pontefice tutelando Roma fino al 1870, specialmente nelle sommosse dell'autunno di quest'anno
1867.
 
 
 
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