Capitolo 51

La ripresa dei lavori per rialzare la fabbrica dalle rovine - Benefattori - Piccolo lotto - Carità di D. Bosco pel Capo-mastro - Predicazioni - Ornamenti della nuova chiesa - La nuova campana - Le Quarantore - Monsignor Artico, D. Bosco e la festa di S. Luigi.

Capitolo 51

da Memorie Biografiche

del 27 novembre 2006

Giunta la primavera si pose immediatamente mano a rialzare la fabbrica rovinata. Ma le finanze di D. Bosco erano esauste, anzi egli era gravato di debiti. Questi però non lo sgomentavano, nè  veniva meno la sua confidenza in Dio. E in fatti ci voleva fede ben viva, poichè sempre si trovava in gravissime angustie anche per le calamità che oppressero continuamente le nazioni. Ora è ancor sul principio, ma a misura che le difficoltà diverranno maggiori e alle volte ingigantiranno, egli diventerà gigante nell'affrontarle e vincerle; e come adesso così allora dirà, scherzando in dialetto piemontese: Andand per la strà s'aggiusta la somà. Andando per la via si aggiusta la soma dell'asinello.

E veramente in D. Bosco si compivano continuamente le promesse fatte da Gesù a chi prega con fede. Quella divina Provvidenza che aveva ispirati i benefattori a mostrarsi generosi con Don Bosco per incominciare l'edifizio, continuò a muoverli in suo aiuto per riprenderlo e condurlo a fine. Fra questi si segnalarono l'egregia Duchessa di Montmorency e il nobile signor Marchese e Marchesa Fassati, sua degna consorte. Anche il Conte Cays di Giletta e Caselette, che veniva assiduamente nell'Oratorio a fare il catechismo nei giorni festivi, dava a D. Bosco in quest'anno un attestato della sua carità. Don Bosco fra gli altri debiti ne aveva uno di lire 1200 col panattiere, il quale minacciava ormai di far vedere la fame a lui e ai suoi orfanelli, se non venisse pagato. Ciò inteso, il Conte soddisfaceva a quel vistoso debito, ed essi proseguirono a soddisfare il loro giovanile appetito. Anche il Re Vittorio avevagli mandato un sussidio.

Tuttavia queste somme essendo insufficienti, D. Bosco andava attuando varii suoi disegni. Il primo fu quello che fece pubblico l'Armonia nel numero del martedì 12 aprile 1853.

“Lotteria di una cassa di ferro con vari segreti offerta a benefizio dell'Oratorio maschile di Valdocco, approvata dall'Intendenza generale con decreto del 2 marzo 1853.

”L'esposizione ha luogo nel caffè della Borsa, via di Porta Nuova, vicino piazza S. Carlo.

”L'estrazione avrà luogo il 31 del prossimo mese di maggio nella casa dell'Oratorio suddetto.

”Il prezzo di ciascun biglietto è di franchi 1; e chi ne prende una cinquina avrà un contentino del valore di lire due”.

Anche il clero concorreva con generosità, ma le sue rendite andavano assottigliandosi. Il 28 aprile 1853 era stata introdotta la legge della tassa mobiliare e personale ai parroci e ai beneficiati, e nel settembre un decreto reale rimaneggiava le congrue parrocchiali stabilite dal Breve Pontificio del 1828. Alla chetichella e senza trambusti si procedeva all'incameramento dei beni ecclesiastici.

Frattanto le mura dell'Ospizio si erano già elevate ad una certa altezza, quando un ordine del Municipio ne faceva sospendere i lavori.

 

“Al Sig. D. Bosco.

 

Dal Palazzo Municipale, addì 21 Marzo 1853.

 

Con avviso dell'Ufficio di Polizia Municipale veniva il 5 corrente diffidato il R. Sacerdote D. Bosco, che se voleva avere il permesso di continuare le intraprese opere di costruzione era necessario che producesse un certificato di un ingegnere od un architetto patentato, con cui questo si assumesse sotto la sua responsabilità la direzione di tali opere da eseguirsi giusta il disegno stato approvato dal Consiglio Edilizio, e che rimanesse così affatto estraneo alla direzione delle opere chi non ha le necessarie cognizioni in fatto di costruzioni.

Malgrado tale diffidamento risulta allo scrivente che continuano le opere di costruzione sotto la direzione del Capo Mastro Bocca, il quale sebbene diffidato ieri di cessare il lavoro, sorpreso stamane a praticare opere di costruzione, fu per ciò dichiarato dalle guardie municipali in contravvenzione.

In tale stato di cose, importando alla pubblica sicurezza che venga assolutamente sospesa ogni opera, il sottoscritto invita il R. Sacerdote Don Bosco a far cessare immediatamente ogni lavoro di costruzione od altro, finchè , dietro la presentazione del richiestogli certificato, non abbia riportato il voluto permesso dall'Ufficio di Polizia Municipale.

Ad un tempo, siccome l'esperienza dell'anno scorso avrebbe dimostrato che l'attuale assistente non sarebbe in grado di dirigere colla voluta attenzione tali opere, lo scrivente crederebbe bene che venisse surrogato da un altro pi√π capace ed attivo.

 

Il Sindaco

NOTTA GIOVANNI.”

 

D. Bosco deferì alle prescrizioni del Sindaco, ma volle intercedere per l'impresario. Certamente questi non aveva contraccambiato la fiducia che in lui era stata riposta. Per la sua avidità di guadagno, e per le prestazioni che certa persona interessata esigeva dai fornitori, la costruzione della chiesa di S. Francesco avea costato più di quel che valesse. Eppure D. Bosco non si piegò a sciogliere il contratto finchè tutti i lavori convenuti non fossero finiti. Rifuggiva dalle liti, ed estrema era la sua delicatezza nel non giudicar male del prossimo, anche quando erano trascurati i proprii interessi. Dopo le prudenti informazioni assunte, posta fiducia in qualcuno, non così facilmente credeva che potesse esserne tradito o ingannato. La carità faceva velo alla sua perspicacia, che pure era così penetrante. Con molta facilità accettava ragioni e scuse nelle cose materiali, e ne diede prove in molte circostanze. Tuttavia da parte sua non intendeva mai permettere lo spreco, neppur di un centesimo, perchè sarebbe stato un'offesa alla giustizia. Egli però aveva pronta a soccorrerlo una tesoriera celeste, che garantivagli i suoi sussidii e che permetteva di quando in quando certe perdite, anche notevolissime, perchè voleva con ciò fosse con evidenza dimostrato che non gli uomini, ma ella stessa era quella che edificava.

La fiducia in Maria SS. gli toglieva ogni turbamento nell'accudire agli affari anche pi√π spinosi. Non di rado andava ne' paesi de' dintorni di Torino, ora per far panegirici, ora per le quarantore, e a confessare e talora a suonar l'organo. Spesse volte era accompagnato dal coro de' suoi cantori. Si ricorda che il 16 maggio recossi a S. Vito, dove erano stati condotti gli alunni di scuole elementari per celebrarvi una festa in onore di S. Luigi Gonzaga.

Gli operai intanto avevano riprese le costruzioni, mentre D. Bosco e i suoi benefattori volgevano il pensiero anche alla chiesa. Il Cav. Duprè  comprava una balaustrata di marmo e ne faceva abbellire la cappella e l'altare di S. Luigi. Il signor Marchese Fassati provvedeva una balaustrata anche in marmo, e una muta di candelieri di ottone bronzato per la cappella della Madonna. Il campanile mancava ancora di una conveniente campana poichè l'antica era troppo piccola. Il Conte Cays però rimediava a quel difetto. Eletto per la seconda volta Priore della Compagnia di S. Luigi, egli lasciava un segno duraturo della sua carica, provvedendo una sonora campana, che co' suoi acutissimi squilli continuò per anni a chiamare i giovanetti della città all'Oratorio festivo. Nel giorno che fu benedetta e collocata a posto, si fece una particolare solennità con un gran concorso di gente appositamente invitata. Compiè  la religiosa cerimonia il Teologo Gattino, Curato di Borgo Dora, per domanda di D. Bosco delegato da Mons. Fransoni a quella funzione. Lo stesso Curato tenne poscia un acconcio discorso, spiegando l'origine e i tre principali uffizi della campana espressi nel verso:

 

Laudo Deum verum, voco plebem, congrego clerum.

 

Dopo la sacra funzione venne rappresentata una commediola, che fu causa di molta allegria.

Il Conte Cays regalò pure il baldacchino col suo pendaglio ed altri drappi e tappeti, ed imprestò otto ricchissimi lampadarii, che avevano già servito di ornamento e fatta splendida figura nelle sale della regina Maria Adelaide in occasione di sue nozze. Quindi la nuova chiesa dell'Oratorio, fornita degli oggetti più necessari al divin culto, potè  prestarsi per la solenne Esposizione del SS. Sacramento nelle Quarantore, che si celebrarono per tre giorni consecutivi, con uno straordinario concorso di giovanetti e di altri fedeli. Per secondare il religioso trasporto e dare a tutti la comodità di soddisfare la propria divozione si fece a quei tre giorni seguire un ottavario di predicazione alla sera, il cui frutto si fu un numero incalcolabile di confessioni e comunioni, come se fosse stato in occasione di Esercizi spirituali o di sacra Missione. Quell'insolito fervore di pietà diede motivo a continuare le Quarantore negli anni successivi con regolare predicazione ed altre divote pratiche.

Ma le gioie dell'Oratorio non facevano dimenticare a D. Bosco l'afflizione di un suo venerando amico. Era continua la guerra del giornalismo settario contro il Vescovo di Asti Mons. Filippo Artico, e D. Bosco cercava di sollevarlo per quanto poteva dalle sue amarezze. Il buon Prelato era venuto alcune volte all'Oratorio di Valdocco e vi aveva passato qualche giorno. D. Bosco in tale occasione fece recitare da Francesia e da Tomatis la commediola da lui composta intitolata Lo Spazzacamino, e Monsignore ne fu tanto contento che, domandata licenza a D. Bosco, donò al protagonista un intero vestito nuovo.

Ora tra i preparativi delle feste di S. Luigi e di San Giovanni in Valdocco, D. Bosco invitò Mons. Artico alla solennità del santo titolare dell'Oratorio di Porta Nuova. Venne il Vescovo e da una sua lettera che scrisse a Don Bosco si intende la parte che egli prese alla festa, le basse e continue contumelie dei giornali contro di lui, il loro maligno spionaggio di ogni suo passo, le calunniose insinuazioni, le angoscie che ormai avevano stremato di forze l'affranto suo spirito, come pure il conforto che riceveva dalle lettere e dalle visite di D. Bosco.

 

Camerano, dal Palazzo Vescovile, il dì 9 Luglio 1853.

 

D. Giovanni Stim.mo e Car.mo,

 

In buon punto mi giunse la carissima e cortesissima lettera sua per mitigarmi l'amarezza prodottami dalla lettura del giornalaccio da trivio L'Operaio d'Asti. Pi√π che non mi offendano le ingiurie dei maligni, mi confortano le benevoli espressioni dei savi, ed appunto leggendo la sua affettuosa lettera provai una soave consolazione.

Iddio pietoso in questi sette anni, in cui son fatto bersaglio delle calunnie de' miei persecutori, ha sempre fatta a me la grazia che contemporaneamente ricevessi insulti e conforti, lettere o articoli infernali, lettere o visite angeliche. Finora tacqui sempre rimettendo la causa mia nelle mani del Signore, e posso ben dire anch'io col cantico di Zaccaria: Salutem ex inimicis nostris.

Infatti l'articolo a lei già noto dell'Operaio, che lesse in Torino, e quello che si stampò nella scorsa domenica, porge a Lei, D. Giovanni carissimo, l'opportuna occasione, ed apre la via per scrivere e dare in luce nella Gazzetta Ufficiale, ciò che la modestia sua non le avrebbe permesso parlando di sè . Giacchè nella pagina 4ª, colonna 1ª dell'Operaio 3 Luglio N. 40 (che c’è  Germando qui impiegato) si osò scrivere da un corrispondente di cotesta capitale, come vedrà, che io non potei predicare, e giacchè si ebbe l'impudenza di mentire così sfacciatamente, citando il nome suo, tanto rispettato in Torino e fuori, ed il suo Oratorio ecc., ritengo necessario che Ella nel modo che più crederà conveniente, smascheri e confuti il bugiardo corrispondente, e narri ciò che Ella con centinaia di persone vide ed udì. Sa il cielo se io ambiva di funzionare e predicare; ed Ella pure il sa, o D. Giovanni carissimo, se colla tosse che mi tormentava e col calore che mi opprimeva aveva io voglia d'improvvisare alcun discorso.

Invece è di fatto che mi dispensai da molti inviti fattimi in altre chiese, e sol o per sentimento di affetto verso di Lei e de' suoi cari artigianelli, ho assistito alla sua festa, perchè invitato e non intruso in essa. Insomma, poichè Ella mi si offerse spontaneamente di scrivere all'Operaio, se ardiva parlare di me per ragione della festa ed Oratorio di S. Luigi, e poichè lo stesso Avvocato Torelli ed altri la richiesero di ciò, parmi che tutto concorra per obbligarla a confutare le menzogne e calunnie de' miei perpetui nemici (benchè pochi) narrando solo l'accaduto e citando fatti. La prego però a tacere della colezione del mattino e della lotteria della sera, perchè non sembri aver io comprato il favore de' suoi artigianelli; al più può dire che partendo dopo la festa (come è di fatto) volli pur io lasciare una memoria al Pio Istituto, ove giungendo incognito e all'improvviso nella Domenica (26 Giugno p. p.) fui accolto e salutato con Viva spontanei, potendosi dire che mentre l'Operaio in Asti stampava e pubblicava un crucifigatur contro di me, in Torino s'intuonava l'Osanna dai figli spirituali di D. Bosco. Io invece imponeva silenzio e pregava a non più gridare: Viva Monsignore.

Mi sembra che anche in nome di tutti i suoi artigianelli possa Ella protestare contro l'Operaio ed il calunnioso corrispondente di Torino, che è un certo professore Gatti, per quanto si assicura.

Si provochi a declinare il suo nome e frattanto lo si denunzi al pubblico come diffamatore e bugiardo ecc. Basterebbe, è  vero, la benedetta lettera che Ella mi scrisse ieri, cioè in data del 6 corrente e da me ricevuta il dì 8, per chiudere la bocca a certuni; ma nè  posso nè  devo io lasciarla stampare.

Per confutare poi le indegne calunnie dello stesso Operaio che asserì tante falsità, e sopra tutto che io non fui ricevuto dai Ministri, potrebbe firmarsi sotto all'articolo anche il Teologo Granetti, testimonio oculare dell'accoglienza fattami dai Ministri; anzi è necessario che esso Granetti, nella sua qualità di segretario o pro-segretario di Mons. Vescovo Renaldi, protesti contro la calunnia lanciata nella pagina 1ª dello stesso Operaio qui unito, contro di me e del Vescovo di Pinerolo, a cui si fece dire ciò che non disse; ed attestare invece che mi trattò ed abbracciò come fratello e mi trattenne seco tre are circa e ben lungi dal dirmi, abdicate, mi aggiunse, anzi ecc. Forse a Mons. Renaldi non conviene un tale atto, benchè sarebbe un gran bene se si degnasse fare inserire nella Gazzetta Ufficiale due linee, dicendo: Dichiaro tutta falso e calunnioso quanto il giornale l'Operaio (3 Luglio p. p. N. 40) scrisse intorno alla conferenza da me tenuta con Mons. Artico Vescovo d'Asti, o simili altre espressioni.

Se poi il Teol. Granetti volesse scrivere invece un articoletto a parte da inserirsi nella stessa Gazzetta Ufficiale, narrando ciò di cui fu testimonio, e confutando la calunnia intorno a Gioberti, avendo esso letto le lettere a me scritte (il che può fare anche D. Bosco se crede) forse andrebbe meglio.

Ella allora, anzichè il Teol. Granetti, potrebbe firmare la relazione che Ella scriverà, o D. Giovanni carissimo, il Rettore dell'Oratorio, il Conte Cays ed il Regolatore Radicati di Brozzolo.

Ma io chiudo rimettendomi pienamente a Lei.

Tempus tacendi et tempus loquendi; fiat lux; mentita est iniquitas sibi.

 

 

Mi saluti i suoi chierici e buoni artigianelli, alle orazioni loro raccomandandomi, ed alle sue, o D. Giovanni carissimo. Legga e consegni al Teol. Granetti il qui annesso foglio.

 

Tutto suo per servirla

FILIPPO Vescovo d'Asti.

 

Mons. Artico e Mons. Fransoni, finchè vissero, furono i Vescovi più odiati e perseguitati dai nemici della Chiesa.

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