Il sistema metrico sul teatro - Il litro appoggiato alla brenta - Otto dialoghi - Sussidio del Regio Economato - Fatiche di D. Bosco nell'esercitare i giovani in queste recite - Risultati ed amenità - Esercizi spirituali alla gioventù di Torino - Avvisi ai giovani.
del 16 novembre 2006
 Passiamo ora a dire anche di una specialissima rappresentazione teatrale data dai giovani dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, la quale levò in quel tempo alto grido in Torino.
Si avvicinava il gennaio del 1850 nel quale, secondo il regio editto, doveva andare in vigore il sistema metrico decimale e cessare affatto i pesi e le misure sino allora usate. Perciò in questo anno il Governo, per essere sicuro di una buona riuscita, per mezzo del Ministro di Agricoltura e Commercio, scrisse e indirizzò un'apposita circolare al Vescovi dei Regno. In essa il Ministro li piegava a voler esortare i parroci delle rispettive Diocesi, onde prestassero la loro valida cooperazione allo scopo accennato, con l'istruire convenientemente le popolazioni alla loro cura affidate, svellerne i radicati pregiudizi, modificarne le inveterate abitudini, affinchè la introduzione del nuovo sistema non avesse ad ingenerare malcontenti, frodi ed inganni. I Prelati aderirono volentieri all'invito del Governo, siccome quelli che furono e sono sempre pronti a promuovere il bene della Chiesa e dello Stato.
Lo stesso Vescovo d'Asti Mons. Filippo Artico, non ostante le nere calunnie colle quali si era cercato di coprirlo di fango innanzi ai tribunali e le parole equivoche del Ministro di Grazia e Giustizia, che nel mese di agosto aveva tentato di confermare i sospetti contro di lui nella Camera dei Deputati, dalla solitaria sua villa e seminario di Camerano, scriveva in proposito ai suoi parroci una bella circolare concludendo: “ Io vi inculco pertanto, in nome anche del Ministro di Sua Maestà, di mettervi d'accordo coi maestri comunali per la istituzione di scuole serali e domenicali, profittando particolarmente delle ore in cui, terminati gli uffici divini, ogni individuo può senza incomodo assistere alle lezioni; e dove manchi il maestro, vi prego di supplire colla religiosa vostra sollecitudine ”. Presso a poco dello stesso tenore erano le circolari degli altri Vescovi, e i parroci non mancarono di secondare queste provvide esortazioni dei loro pastori.
Anche D. Bosco, che già vari anni prima aveva introdotto nelle sue scuole l'insegnamento del sistema metrico, nel vivo desiderio che i suoi giovani fossero per tempo bene istruiti, nel 1849 aveva fatta una scelta di maestri abili e diligenti che secondassero le sue intenzioni. Fra questi fu Brosio Giuseppe, il quale al cadere della notte, chiuso il suo negozio in città, veniva immancabilmente all'Oratorio per dare le sue lezioni. D. Bosco intanto ristampava da Paravia il suo “Sistema metrico decimale” ridotto a semplicità, aumentandolo e migliorandolo, poichè la prima edizione, benchè molto copiosa, in meno di tre mesi era stata esaurita. L'operetta aveva riscosso il suffragio dei pubblici fogli. Parecchi maestri l'avevano introdotta nelle loro scuole esperimentando
che la dicitura semplice, i modi popolari e la nitidezza dei concetti la rendevano assai agevole alle intelligenze degli alunni.
Ma di ciò ancor non pago, D. Bosco in quest'anno medesimo immaginò un altro mezzo efficacissimo per far passare la nuova scienza come in sugo e in sangue. Scrisse pertanto e fece recitare nel suo teatro una commedia in tre atti intitolata appunto: “Il sistema metrico decimale”. Si rappresentava sul palco come un mercato, dove figuravano varie sorta di venditori e compratori. Ignari questi che avevano incominciato a farsi obbligatori i pesi e le misure nuove, oppure non volendone sapere, domandavano di fare acquisto coi pesi e misure antiche. Il venditore, già conscio dell'ordine, osservava che queste erano abolite, ed il compratore gridava alla novità, all'imbroglio, all'inganno. Talora i due contraenti si riscaldavano l'uno nel persuadere, l'altro nel non voler essere persuaso: finchè colla pazienza e colla calma il primo riusciva a far entrare la cosa in capo al secondo, che, compresa l'utilità del nuovo sistema, il divario tra l'uno e l'altro peso, tra l'una e l'altra misura, non che la proporzionata e ragionevole differenza di prezzo, finiva per comperare tranquillamente e se ne andava istruito e convinto. Talvolta la scena rappresentava un povero operaio infastidito, il quale incontrando un compagno od il suo antico maestro, lo pregava dell'opportuna istruzione, e l'aveva. Per siffatta guisa si fecero passare i pesi, rilevando il divario tra l'oncia e l'etto, tra la libbra e il chilo, tra il rubbo e il miria. Si venne alle misure lineari, mostrando la differenza, che passa tra il raso e il metro. Si discorse delle misure di capacità, dicendo del boccale e del litro, della brenta e dell'ettolitro, e così del resto. D. Bosco aveva saputo intrecciare così bene i fatti e gli episodi, mettere sulle labbra degli interlocutori parole e diverbi così arguti ed ameni da mutare una materia, per se stessa cotanto arida, in un divertimento giocondo.
La scena della brenta, del litro e dell'ettolitro fece scoppiare dal ridere. Vi diede occasione il seguente episodio. Uno degli attori, il giovane Giacinto Arnaud, faceva la parte spettante le antiche misure di capacità, e compariva sul palco colla brenta sulle spalle. Deposto il suo arnese e standovi appoggiato, egli doveva in un certo punto fare al suo interlocutore questa domanda: - Quanto è grande il litro? Ma non venendogli tosto sulle labbra queste parole, nè tenendo egli la dovuta posizione, il suggeritore a bassa voce gliele ricordò e ad un tempo stesso lo ammonì dell'atteggiamento che doveva tenere, dicendogli: - Sta appoggiato alla brenta. Allora il buon giovane, forse un po' confuso, non badò più che tanto al senso dei suo discorso e gridò: - Oh! quanto è grande il litro! Sta appoggiato alla brenta. A questa uscita uno scoppio di risa risuonò per tutta la platea: il suggeritore non ne poteva più; il compagno di recita si faceva sforzi erculei per tenere la serietà, e dovettero passare alcuni minuti prima che si potesse riprendere la scena.
Tra i ragguardevoli personaggi, che assistettero a questa rappresentazione vi fu il celebre abate Ferdinando Aporti, il quale per verità ne fu sì preso che disse: - D. Bosco non poteva immaginare un mezzo più efficace per rendere popolare il sistema metrico decimale; qui lo si impara ridendo.
Il giornale “L'Armonia” nel suo N. 149 del 1849 parlava di detta rappresentazione in questi termini: “ Ieri (16 dicembre) assistemmo ad un saggio, che diedero i figliuoli dell'Oratorio di S. Francesco di Sales sul sistema metrico - decimale. Si sa che quest'Opera fu fondata ed è diretta dall'ottimo sacerdote D. Bosco, che all'educazione dei giovani operai consacra le sue sostanze e la sua vita. Non ci stenderemo a fargli veruno elogio, che i suoi giovani colle savie risposte, colle belle maniere, con l'edificante compostezza ieri glielo fecero tale da non potersi desiderare nè più ampio, nè più veritiero. Lo commenderemo però altamente per aver voluto chiudere il saggio con un tratto di storia sopra Pio VI e Pio IX, scritto bene e declamato con forza da un giovanotto, talchè riscosse gli applausi della stipata moltitudine che assisteva ”.
È forse in conseguenza di questa accademia che il Regio Economato veniva in soccorso dell'oratorio sborsando a D. Bosco il 20 dicembre la somma di lire 400. Non possiamo comprendere come D. Bosco abbia in quest'anno trovato il tempo per scrivere la sopraddetta commedia, che era come un estratto di otto dialoghi che aveva composti sul sistema metrico, i quali per molto tempo fece poi esporre sulla scena, in vario ordine e numero. Furono più di quaranta o cinquanta i giovani ai quali distribuì le parti da studiare, gli uni come attori ordinari, gli altri come supplenti qualora mancassero i primi. Improba però era stata la fatica ed eroica la pazienza di D. Bosco nel far imparare quei dialoghi a tanti giovanetti senza coltura di studi, a mala pena capaci a leggere, che non capivano il valore di molte parole, il nesso di una proposizione con l’altra. Quante spiegazioni non dovette dar loro, quante maniere adoperare per addestrarli alla mimica, quanto tempo perdere, quante volte ripetere egli stesso un dialogo finchè fosse imparato perfettamente a memoria. E talora non riusciva a raddrizzare loro in bocca certe parole, che, errate ostinatamente nelle prove, facevano poi ridere gli spettatori, col vantaggio di rendere più lepida la recita; come per es. il pronunziare grando per grande, mazzanghino per magazzino.
Tuttavia tanta costanza, portava in fine i suoi frutti consolanti, sia per l'istruzione acquistata dai giovani, sia per la disinvoltura colla quale si presentavano al pubblico a recitare.
Questi componimenti erano una vera scuola anche per i giovani spettatori. Variava però sempre l'aspetto delle scene, ora rappresentando una bottega, ora un'officina, ora un'osteria, ora un'aperta campagna, o la casa di un fattore. Erano recati in vista, e adoperati i nuovi e vecchi pesi, le vecchie e le nuove misure; primeggiava eziandio in mezzo il globo terracqueo. D. Bosco trovava sempre nella sua mente feconda il modo di mutare la veste drammatica ai suoi dialoghi. Talora il palco aveva l'aspetto di scuola con i suoi cartelloni, il pallottoliere e la lavagna. Faceva la parte di maestro Giuseppe Brosio, che D. Bosco voleva sempre in divisa da bersagliere. Coloro che rappresentavano gli scolari erano vestiti chi da contadino, chi da brentatore, chi da cuoco, chi da signorotto di campagna e altri in altre fogge. Un mugnaio era tutto bianco per la farina, un fabbro tutto nero per la polvere ed il fumo del carbone. Gli spettatori godevano un mondo di queste scene e ancor più i giovanetti.
“ In una di queste recite, ci scriveva il detto Brosio, all'ultimo atto, gli scolari entusiasmati alle mie lezioni, vollero pagare una merenda al maestro sul palcoscenico, e tosto venne imbandita, coi denari però di D. Bosco, che aveva preparato già prima ogni cosa. Fu una sua improvvisata per dimostrar gratitudine alle mie povere fatiche. Credo che Gastini si ricorderà ancora che per far ridere gli spettatori, si mangiò i nostri aranci e che Piumatti per castigarlo lo prese, lo ficcò nella brenta e così trattoselo sulle spalle, lo portava attorno”.
D. Bosco però, in mezzo al succedersi e l'avvicendarsi di queste fatiche, non perdeva di vista un solo istante il suo fine primario.
Quindi dai pensieri della matematica e del tempo, pochi giorni dopo la rappresentazione del 16 dicembre, faceva passare i suoi allievi alle sublimi considerazioni dell'anima e dell'eternità. I frutti ubertosi e consolanti, che gli esercizi spirituali degli anni precedenti avevano prodotto, animarono D. Bosco a procurarli nuovamente, non soltanto ai giovani dell'Ospizio, ma a tutti quelli che frequentavano i tre oratori, anzi a tutta la gioventù di Torino, se gli fosse dato. A questo fine invece di farli dettare nella Cappella dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, troppo ristretta e lontana dal centro della città, dopo aver parlato con chi di ragione, egli scelse la chiesa della Confraternita della Misericordia, detta dei Mercanti, più comoda ed ampia. Avutone il permesso, anzi il più vivo incoraggiamento dall'Autorità ecclesiastica, D. Bosco la Domenica innanzi, che fu la terza di Avvento e il 16 di dicembre, diede e fece dare opportuni avvisi ed annunziò il giorno dell'apertura e l'orario delle sacre funzioni, caldamente raccomandando che tutti vi prendessero parte. - “ A mio nome, egli disse, pregate i vostri genitori e padroni che abbiano la bontà di lasciarvi liberi, se occorre, alcune ore del giorno onde possiate intervenirvi comodamente. Dal canto vostro promettete loro che li ricompenserete di quel tempo, con maggiore diligenza e puntualità nei vostri doveri ”. Egli stesso visitò quei padri e quei padroni che dubitava non dessero importanza a quell'invito.
Per assicurare l'intervento di un pi√π gran numero di giovani operai, gli esercizi vennero fissati nell'ultima settimana dell'anno, nella quale occorrono feste carissime, generalmente bene osservate; fu stabilito un orario che desse meno aggravio ai padroni, e venne affisso alla porta delle chiese di Torino e spedito in molte case e laboratori uno stampato dei tipografo Paravia in 1500 copie a forma di Avviso Sacro, le cui espressioni rivelano tutto l'ardore del prete zelante, dell'amico sincero della giovent√π. Di questo avviso avemmo una copia tra le mani, e qui lo riproduciamo per documento e per saggio del come scriveva D. Bosco in quel tempo:
“ La porzione dell'umana società, così egli, su cui sono fondate le speranze del presente e dell'avvenire, la porzione degna dei più attenti riguardi è, senza dubbio, la gioventù.
 ”Questa, rettamente educata, vi sarà ordine e moralità al contrario, vizio e disordine.
 ”La sola religione è capace di cominciare e compiere la grand'opera di una vera educazione.
 ”Ora, attese le vicende dei tempi e gli sforzi, che i malevoli fanno a fine d'insinuare massime irreligiose nella mobile mente della gioventù, per appagare il desiderio di molti genitori, principali di negozi e padroni di bottega, si è stabilito di dare in pubblico una muta di Esercizi spirituali ai giovani nella chiesa della veneranda Confraternita della Misericordia, che a tale oggetto generosamente concorre.
 ”Padri e madri, padroni e principali di fabbriche e di negozi, a cui sta a cuore il benessere presente e futuro dei giovani dalla divina Provvidenza a voi affidati, voi potete grandemente al loro bene cooperare col mandarli ed animarli ad intervenire. Il Signore non mancherà di compensare quegli intervalli di tempo, che per avventura doveste per un sì santo fine sacrificare.
 ”Giovani, giovani miei cari, delizia e pupilla dell'occhio divino, non vi rincresca di tollerare alcuni disagi della stagione, onde procurare alle anime vostre un bene, che non verrà meno giammai. Il Signore chiamandovi ad ascoltare la santa sua parola vi porge favorevole occasione per ricevere le sue grazie e le sue benedizioni. Approfittatene. Beati voi se da giovani vi avvezzate ad osservare la divina legge: Bonum est viro, cum  portaverit  jugum ab adolescentia sua ” (Gerem.). Fin qui D. Bosco.
Fin dalla introduzione, che fu la sera del 22 dicembre, la chiesa della Misericordia era gremita di giovani, quasi tutti artigiani. Il Chierico Savio Ascanio assisteva la cara assemblea. I predicatori scelti da D. Bosco erano quattro e dei più adatti alla gioventù. Essi furono: il Canonico Borsarelli, il Teol. Borel, il sacerdote D. Pietro Ponte e il Canonico Lorenzo Gastaldi. Gli esercizi, che durarono sette giorni, ebbero un risultato felice. Malgrado la cruda stagione, tu fin dal mattino per tempo avresti veduto più centinaia di giovani pendere devoti dal labbro del predicatore: il numero ne era incalcolabile al dialogo del mezzodì e alla istruzione e meditazione della sera. Negli ultimi giorni furono letteralmente assiepati i tribunali di penitenza di parecchi sacerdoti, e nel mattino della chiusura la comunione generale fu numerosa, devota, solenne. Là onde genitori e padroni benedicevano al provvido pensiero di quegli esercizi, e facevano voti che si tenessero ogni anno. Questa utilissima pratica continuò ancora negli anni susseguenti. Oggidì si prosegue per l'opera e per lo zelo di una pia Società cattolica di operai Torinesi specialmente nell'occasione della Pasqua, allo scopo di aiutare i giovanetti più bisognosi a compiere con frutto il precetto della SS. Comunione. Lode ai benemeriti soci, il meritato applauso ai veri amici della gioventù.
D. Bosco alla chiusa dei suddetti esercizi aveva fatto stampare e distribuiva agli intervenuti e poi al fin dell'anno a tutti i giovani dei tre Oratorii, il seguente foglietto.
 
 
 
Avvisi di un amico alla giovent√π secondo i bisogni dei tempi
 
1° Ricordatevi, o giovani, che voi siete la delizia del Signore. Beato quel figlio che da giovane comincia ad osservare la legge del Signore.
2° Iddio merita di essere amato perchè ci ha creati, ci ha redenti, e ci ha fatto e ci fa innumerevoli benefizi e tiene preparato un premio eterno a chi osserva la sua legge.
3° La carità è quella che distingue i figliuoli di Dio dai figliuoli del demonio e del mondo.
4° Colui che dà buoni consigli ai suoi compagni fa grande opera di carità.
5° Obbedite ai vostri superiori, secondo il comando di Dio, ed ogni cosa vi riuscirà bene.
6° Chi vuol vivere da buon cattolico deve guardarsi da quelli che parlano male della religione, dei suoi ministri e specialmente dei Papa che è il padre di tutti i cattolici. Dite pur sempre essere un cattivo figlio chi parla male di suo padre.
7° Guardatevi dalla lettura dei libri e dei fogli cattivi e procurate di leggerne dei buoni.
8° Le abitudini formate in gioventù per lo più durano tutta la vita: se sono buone ci conducono alla virtù e ci danno morale certezza di salvarci. Al contrario guai a noi se ne prendiamo delle cattive.
9° Le cose che sogliono allontanare il giovane dalla virtù sono i cattivi compagni, l'eccesso del bere, l'attaccamento al giuoco, l'abitudine al fumare tabacco.
10° Per cattivi compagni s'intendono: 1° Quelli che cercano di parlare di cose disoneste, o fanno cose contrarie alla virtù della modestia. 2° Che parlano con disprezzo della religione. 3° Che vi allontanano dalle funzioni di Chiesa o v'invitano a trasgredire i vostri doveri.
11° L'eccesso del bere snerva le forze del corpo, fa venire a noia la devozione, porge occasione di frequentare luoghi pericolosi.
12° L'attaccamento al giuoco vi conduce alle risse, alle bestemmie, al trasgredire i vostri doveri ed a profanare i giorni festivi.
13° L'uso del tabacco e sopratutto il fumarlo e il masticarlo, guasta i denti, indebolisce le forze alla gioventù e conduce a frequentare compagni viziosi.
 
                                    
 
                                          Avvisi di massima importanza
 
1° Fuggite l'ozio e gli oziosi, lavorate secondo il vostro stato; quando siete disoccupati siete in gravissimo pericolo di cadere in peccato. L'oziosità insegna ogni sorta di vizi.
2° Vivete pure nella massima allegria, purchè non facciate peccato.
3° Fate ogni sforzo possibile per non mai perdere la predica nei giorni festivi.
4° Sceglietevi un confessore di vostra confidenza, frequentate i Sacramenti della Confessione e Comunione. S. Filippo Neri, quel grande amico della gioventù, esortava i giovani a confessarsi ogni otto giorni e a comunicarsi anche più spesso secondo gli avvisi dei confessore.
5° Figlio, hai un'anima sola; pensa a salvarla. Nulla giova acquistare tutto il mondo se perdi l'anima tua. Beato chi si trova in punto di morte e avrà fatto opere buone in vita sua.
 
Scrivi, o figlio, nel cuore il detto mio
Fallace è il mondo, il vero amico è Dio.
 
 
D. Bosco intanto nel frattempo degli esercizi non aveva tralasciato di celebrare una messa alla mezzanotte del Santo Natale, colla Comunione generale, avendogli Pio IX rinnovata questa facoltà per altri tre anni; e donava ai giovani dell'oratorio cinquecento copie di una lode a Gesù Bambino, colle note musicali, stampate per suo ordine da Speirani e Ferrero.
 
 
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