La virtù della povertà.
del 28 novembre 2006
La divina Provvidenza era la speranza di D. Bosco, e Dio, fedele alle sue promesse, giammai gli mancava. “ Non vogliate angustiarvi dicendo: Cosa mangeremo o cosa berremo o di che ci vestiremo? Il vostro Padre sa che di tutte queste cose avete bisogno. Cercate adunque in primo luogo il regno di Dio: e avrete di soprappiù tutte queste cose ”. E se talora D. Bosco si trovava in istrettezze, egli riguardavale quali prove che entrano nell'ordine della Provvidenza per esercitare la fede de' suoi figli e si consolava rammentando le parole di Gesù Cristo: - Non vogliate adunque mettervi in pena pel dì di domane. Imperocchè il dì di domane avrà pensiero per sè: basta a ciascun giorno il suo affanno.
  Di qui proveniva non solo la sua inalterabile tranquillità e la sua fiducia nell'avvenire, ma di più l'amore eroico alla povertà volontaria, e l'allegrezza che provava toccandogli soffrire penuria di cose anche necessarie. Egli visse povero fino al termine della sua vita, come lo era ai primordi dell'Oratorio. Apparve evidente il suo perfetto distacco dai beni della terra, e non si vide mai in lui una minima sollecitudine di procurarsi qualche soddisfazione temporale. Ei soleva dire: - La povertà bisogna averla nel cuore per praticarla. -E Dio lo ricompensò largamente della sua fiducia e della sua povertà, sicchè riuscì ad intraprendere opere, che i principi stessi non avrebbero osato, e a condurle felicemente a termine.
   Per queste opere egli aveva continuamente bisogno di danaro, eppure non lo stimava, e non lo domandava se non in quanto gli serviva di mezzo per procurare la gloria di Dio e la salute delle anime. Moltissime volte ne,era privo affatto, poichè, appena ricevuta una somma, si affrettava lo stesso giorno a fare provviste o a pagare la parte di un debito. Non voleva che il prefetto della casa tenesse in serbo il necessario per eseguire pagamenti a scadenze fisse, ma che si confidasse interamente nella divina Provvidenza, la quale a tempo opportuno avrebbe mandato il soccorso. Non pensava mai al domani, poichè, egli diceva, era fare un torto alla paterna bontà del Signore.
   Ricevendo oblazioni cospicue, chiamava a sè il prefetto e tosto gliele consegnava, dicendo: - Vedi come la Provvidenza è stata buona con noi! - E difficilmente riteneva danaro presso di sè, se non quanto era necessario per distribuire ai poveretti.
   Era sua massima: - Spendere non per sprecare, ma per stretto bisogno. - Sapeva apprezzare il denaro per la fatica fatta dai benefattori nel guadagnarlo e per i benefizi spirituali e temporali che produceva in mano di chi lo aveva ricevuto. Non si mostrava restio nel fare grandi spese quando esse erano necessarie, ma non soffriva,che si facessero in cose di poca entità, peggio poi se fossero per cose superflue; e soleva dire: - Finchè ci manterremo poveri, la Provvidenza non ci verrà meno. E altre volte: - Se faremo risparmio anche del centesimo, quando lo spenderlo non è necessario od utile, la divina Provvidenza ci sarà sempre larga di sue beneficenze.
   “ Un giorno, scrisse Brosio Giuseppe, io e lui eravamo nel cortile di un palazzo in via Alfieri pur andare a far visita ad un nobile signore. D. Bosco era vestito da festa; aveva indosso un abito ed un mantello molto vecchio, un cappello che aveva perduto tutto il pelo. Io volgendo a caso lo sguardo a terra vidi che i legacci delle sue scarpe grosse, lucide, ma rattoppate, erano funicelle tinte con inchiostro. - Come? io gli dissi: gli altri sacerdoti quando vanno in casa di personaggi distinti si pongono alle scarpe fibbie d'argento e lei neanche legaccioli di seta o di cotone, ma corda! questo è troppo! Tanto più che avendo la veste corta, fa indecorosa figura! Mi attenda qui che vado a comperarle un soldo di cordoncino di lana. - E m'incamminava.
     - Aspetta, vieni qui, mi disse D. Bosco, debbo ancora avere un soldo. - E cercando per ogni parte delle sue saccocce, - farò come tu dici, - soggiungeva. Ma nell'atto che mi porgeva il soldo, una vecchia si avvicina domandando l'elemosina. D. Bosco ritirò subito la mano e donò alla vecchia quel soldo. Allora io volli assolutamente comprar la fettuccia a mia spesa, ma D. Bosco mi trattenne e non ci furono ragioni che potessero indurlo a permettermi, quello che ei chiamava uno spreco di danaro. E continuò ad allacciar le scarpe in quel modo ”. Tuttavia appariva sempre pulito, potendo affermare di sè con S. Bernardo: Paupertas mihi semper placuit, sordes nunquam.
Vigilava sull'economia domestica. Obbligato ad adattare il trattamento della mensa ad uso comunità, vietava che si introducesse il lusso, sia negli apprestamenti di tavola, sia nelle stoviglie, e ciò anche nei pranzi d'invito, che soleva dare alcune volte all'anno in occasioni solenni o quando ospitava illustri personaggi. Nel refettorio comune per molti anni furono adoperati cucchiai e forchette di ferro, piatti e scodelle di stagno. Parecchie volte ebbe in eredità posate e altri oggetti d'argento, ma tosto egli feceli vendere per sopperire ai bisogni della casa.
   A pranzo si cibava dei pezzi di pane sopravvanzati dai pasti anteriori, e negli ultimi tempi di sua vita ne raccoglieva diligentemente fin le più piccole briciole, per ragione, diceva, che così conviene alla povertà. Non servivasi di olio e di sale per certe vivande che pur lo richiedevano.
   Provava il più gran dispiacere se talvolta vedeva i giovani sprecare anche i più minuti pezzi di pane, dei quali voleva che si tenesse conto; e li rimproverava dicendo: - La divina Provvidenza pensa ai nostri bisogni, e voi vedete come non ci venne mai meno nelle nostre necessità. Se voi sprecate il pane che il Signore ci provvede, fate uno sfregio alla sua bontà, ed avrete grandemente a temere che Egli vi castighi nei tempi futuri lasciandovi mancare il necessario. - E loro portava l'esempio del Divin Salvatore che, dopo aver sfamato miracolosamente le turbe, volle che gli Apostoli raccogliessero i frammenti avanzati perchè non andassero a male.
   Teneva conto, e voleva che si tenesse conto da' suoi, anche dei mezzi fogli di carta, i quali con diligenza staccava dalle lettere che riceveva e metteva da parte per valersene o a scrivere o a far taccuini per memorie di minor importanza. Molto gli rincresceva quando s'imbatteva in qualche oggetto in abbandono o sciupato inutilmente, e raccomandava perchè fossero raccolti, se ne avesse cura e fossero utilizzati nel miglior modo possibile. Faceva riporre la stessa carta straccia, o una cordicella abbandonata nel cortile, osservando che sarebbe venuto il tempo per adoperarla. Fu visto persino ad abbassare le fiamme dei lumi girando per la casa ad ora tarda, quando giudicavale superflue ed il cameriere aveva trascurato questo suo ufficio. Asseriscono anche D. Turchi e D. Francesia che D. Bosco più volte si accorciava da se stesso i capelli, risparmiando così que' pochi soldi che avrebbe dovuto dare al barbiere.
   Nè l'eccitamento a tale economia proveniva da spirito taccagno, dal timore di mancare del bisognevole, giacchè non si lamentava mai delle privazioni a cui doveva sottostare. Infatti non di rado esprimeva un suo vivo desiderio: - Dopo la mia morte desidero non lasciare del mio se non la sottana che ho indosso. - E quanto più era povero, più viva gli brillava in fronte una speciale allegrezza. Accadendo talora di non aver che pochi soldi in tasca, li mostrava a quelli che gli erano intorno, dicendo: -Ecco tutta la mia ricchezza! - E talora soggiungeva: - D. Bosco è povero come il più povero dei suoi figli.
   “ Un giorno, ci narrò un giovanotto operaio dell'Oratorio festivo, sono andato a trovare D. Bosco nella sua camera. Dopo aver discorso di molte cose, si venne a parlare delle sue finanze, dicendomi che non aveva nessun denaro, che era carico di debiti. A tali parole io fingendo di non credere, con quella confidenza rispettosa che D. Bosco permetteva a' suoi figli, gli dicevo che egli era un avaro, che nascondeva i marenghi nello scrigno (e scrigno non ebbe mai) per farne un bel cumulo e poi adorarli. E così discorrendo si rideva.
   ” D. Bosco mi invitò allora ad una perquisizione in sua camera. E fu subito eseguita, e dopo una diligente ricerca nell'unico tavolino che possedeva, non essendovi altro nascondiglio, si è trovato il tesoro, il quale consisteva nella grande somma di 40 centesimi.
   ” D. Bosco allora questa somma la divise per metà, venti centesimi li tenne per sè e gli altri venti me li regalò. Scherzo singolare di un uomo, il quale per quanti denari talora avesse momentaneamente, non ne possedeva mai a sufficienza, e le bocche dei suoi giovani, specialmente coll'andar del tempo, consumavano ogni anno quanto potevano importare i più vistosi patrimoni. Le limosine a lui date era come cacciarle in un sacco senza fondo ”.
   E con tante sue necessità, ecco il giudizio che dava delle ricchezze terrene.
   “ Un dopo pranzo, scrisse Brosio Giuseppe a D. Bonetti, eravamo in via Dora Grossa. D. Bosco si fermò dinanzi ad una vetrina di bottega dentro alla quale era esposto un grosso mappamondo e mi indicava le diverse parti del nostro globo. Quando fu all'America, mi disse:
     - Guarda, Brosio, come è vasta l'America e come poco popolata!
     - Ma vi ha tanto più dell'oro, risposi io!
     - Sì, è vero, vi è molto oro, ma nessuno dei cattolici lo possiede per farne buon uso. - E poi ripigliava: Con molto oro quante miserie si potrebbero sollevare! Chi lo possiede quanti meriti potrebbe guadagnarsi! Con questo quanto pure ne avvantaggerebbe la propagazione della fede! Tuttavia è colla povertà e la croce che Gesù Cristo redense il mondo, e la santa povertà fu sempre la ricchezza de' suoi apostoli e de' suoi veri ministri! ”
   Ed è questo il motivo del suo amore alla povertà evangelica. Già altrove abbiamo descritta la sua stanza, notando come egli non si procurasse la minima comodità. Non volle mai tende alla finestra, non uno straccio di tappeto accanto al letto neppur d'inverno, nè copripiedi su questo. Riguardo alla stufa era severissimo perchè non si consumassero troppe legna. Eppure quella stanza era male riparata. Alle sue povere masserizie aggiunse un sofà vecchio e logoro col sedile di paglia, che per più di venti anni servì per il ricevimento dei visitatori. Se più tardi negli ultimi tempi di sua vita ebbe qualche mobile più decente, questo gli era stato regalato. Il pavimento era di mattoni ordinarii e polverosi, che traballava sotto i suoi piedi. Più volte gli si fece osservare che sarebbe stato conveniente di rifare quel pavimento, ma non si potè mai ottenerne il permesso. Egli diceva: - Non dimenticate che siamo poveri, e questo spirito di povertà dobbiamo averlo non solo nel cuore e nel distacco del medesimo dalle cose materiali, ma dimostrarlo anche esternamente in faccia al mondo.
   Se una stoffa per la fattura di un vestiario, benchè poco costosa, faceva risalto e attirava lo sguardo altrui, affermava essere contraria allo spirito di povertà e non voleva che si adottasse. La stessa apparenza di povertà cercava che avessero le costruzioni che andava edificando, facendo notare essere, questo sistema, esercizio eziandio di umiltà.
   In una sua assenza si pensò di abbellire alquanto quella stanza, nella quale però ammirossi sempre la proprietà, con alcune poche e modeste decorazioni fatte col
pennello; ma D. Bosco ritornato a casa ne provò dispiacere e subito ordinò che le cancellassero, col dare il bianco alle pareti ed al soffitto. Era anche incomoda per le scale che doveva salire più volte al giorno e per un lungo poggiuolo di passaggio sotto un cocente sollione d'estate, e alla pioggia o alla neve e al freddo d'inverno.
   E non permise mai che si riparasse, con un tettuccio, invetriate o tende.
   Ma se povera era la sua camera, non lo erano meno le sue vesti. Mons. Bertagna affermava che D. Bosco godeva nel vestire poverissimamente. La talare, benchè fosse di panno grossolano, servivagli per le quattro stagioni. Talvolta gli veniva regalata dal suo amico il Teol. Golzio una veste sua propria o deposta dai preti del convitto, fuori d'uso e rattoppata affinchè servisse per alcuno dei chierici dell'Oratorio; ma egli indossandola la teneva per sè. La biancheria era di ruvida tela e soleva dire graziosamente che ciò che riparava il freddo d'inverno, impediva pure il caldo d'estate; e non volle mai indossare camicie di tela fina o soppressate. Teneva nei piedi grosse scarpe da contadino, perchè meno costose. I suoi fazzoletti erano affatto ordinari.
         Quindi non portò mai abiti di panno fino, calzature eleganti, fibbie d'argento sulle scarpe, orologio d'oro, catenella od altro simile gingillo. Aborriva dall'andare in abito corto, come allora solevano moltissimi sacerdoti, perchè, fra le altre ragioni, richiedeva una certa ricercatezza. Se qualcuno gli regalava qualche oggetto bello o ricco non lo voleva per suo uso, dicendo: -Noi siamo poveri e dobbiamo vivere come poveri! - In occasione del suo onomastico molte volte i suoi antichi allievi esternavano il desiderio di offrirgli qualche oggetto conveniente per la sua persona; ma egli loro suggeriva sempre di provvedere piuttosto arredi per la chiesa.
   Chi era incaricato della sua stanza ci riferisce i seguenti particolari: “ Avendo io mandato ad aggiustare la sua mantellina d'estate, il sarto usò fettuccie di seta per legarla al collo. Ciò veduto, D, Bosco disse: - Non va bene per D. Bosco; - e volle che si sostituissero fettucce ordinarie di lana.
         ” Una volta un benefattore portò all'Oratorio alcune camicie nuove, molto belle e ben lavorate, coll'intenzione che io le facessi usare da D. Bosco. Io difatti al sabato sera posi una di quelle camicie sopra il suo letto, ma con sorpresa la trovai il mattino seguente nello stesso posto. Incontratomi con lui, egli mi disse:
     -Giovanni! sono camicie queste da darsi ad un povero prete?
     - Se non le do a lei, a chi devo darle? gli risposi.
     - Dalle a chi ha buon tempo ”.
   Il suo cuore era affatto distaccato da ogni cosa che gli appartenesse.
   Un giorno, verso il 1860, venne a lui un certo Don Boetti di Mondovì, vestito in borghese pregandolo che lo volesse vestire secondo il suo stato. D. Bosco gli diede il suo cappello, il mantello; si tolse la veste da estate, che aveva in que' giorni ricevuta in dono, indossando quella d'inverno non ostante che raggiasse il sollione d'agosto e gli diede pure le scarpe. Perciò egli poi ebbe a penare molto andando vestito con roba sdruscita che a stento trovò in casa, finchè la carità del Teologo Golzio non venne in suo soccorso vestendolo di nuovo.
   D. Bosco non si ricordava neppure di farsi fare oggetti di vestiario, allorchè gli usati fossero troppo logori; bisognava che altri se ne prendessero pensiero.
Rossi Giuseppe ci assicura che pi√π volte ebbe a portargli via dalla camera le scarpe vecchie colle suole sdruscite e procurargliene delle nuove. Molte volte abbisognava di una sottana e di un mantello nuovo, e si doveva sempre sostenere una specie di lotta per indurlo ad accettarli ed a servirsene.
  Non aveva talora abiti sufficienti per ripararsi dal freddo e diceva: - Col possesso del regno dei cieli sarà generosamente ed abbondantemente compensata la nostra povertà. - Talvolta qualche suo intimo, vedendolo privo di qualche cosa necessaria, gli faceva compassionandolo qualche osservazione. - Ma! vedi, egli rispondevagli, in questo modo si esercita veramente la povertà. Non fare come certi religiosi ai quali alludeva S. Bernardo: Vogliono la povertà, ma non gli incomodi della povertà; vogliono essere poveri purchè loro non manchi niente! E poi soggiungeva: - S. Paolo dice in chiare note, che i seguaci di Gesù Cristo, dovunque vadano, qualunque cosa facciano, devono essere paghi degli alimenti strettamente necessari per la vita, e degli abiti per coprirsi.
  Ben sovente, dovendo all'improvviso mettersi in viaggio, o presentarsi a qualche rispettabile persona, non avendo il vestiario in convenevole stato, lo faceva chiedere ad imprestito a' suoi coadiutori, i quali correvano a gara ad offrirgli, chi le scarpe o le calze, chi i calzoni, chi la sottana, chi il corpetto nero o il pastrano o la mantellina e talora anche il cappello. Così cercavano d'impedirgli che soffrisse per via o mancasse di riguardo a chi l'aveva da ricevere nella propria abitazione. E in questi casi, siccome non aveva tempo o non pensava in quell'istante a curarsi i panni, taluni de' suoi figliuoli gli spazzolavano amorevolmente abito e cappello.
Raccontò Mons. Cagliero: “ Una sera del 1853 D. Bosco tornò a casa così bagnato per una pioggia torrenziale, che non aveva filo indosso che non gocciolasse. Venuto in sua camera, cercava da cambiarsi; ma sua mamma non trovava altra veste da presentargli. D. Bosco era contrariato, perchè i giovani lo aspettavano in chiesa per dire i Pater all'Addolorata, e non voleva mancare. A caso gli cadde l'occhio sovra un cappotto lungo e un paio di calzoni bianchi portati, credo, dal Marchese Fassati per limosina ad un giovane. D. Bosco, senza altro, indossò questo abito, mise nei piedi un paio di zoccoli e scese in chiesa. Era scuro, ma i giovani intravidero quel suo strano abbigliamento e, mentre sorridevano, intendevano in quale stato fosse ridotto per loro quel buon padre.
   ” Un altro anno nel mese di maggio lo incolse per via un sformato acquazzone; egli non avendo altra sottana da mutarsi discese in chiesa con un lungo soprabito che avevagli donato un suo amico sacerdote; e fu allora che predicandoci dalla predella dell'altare il sermoncino della Madonna, abbiamo potuto scorgere le sue calze rattoppate, in poverissimo stato ”.
Un fatto grazioso accadde fra il 1854 e il 1855.
   D. Bosco dovette un giorno mandare Rocchietti in Torino per una commissione d'assai importanza; ma trovandosi il giovane colle scarpe sdruscite e logore egli senza punto pensare alle conseguenze si tolse dai piedi le sue e gliele diede. Rocchietti ridendo disse in sul partire ai compagni: - Vedremo come D. Bosco se la passerà quest'oggi, poichè non ha altre scarpe.
  Infatti D. Bosco mandò a chiamare Buzzetti, Rua ed altri; ma nessuno possedeva altre scarpe fuori di quelle che aveva nei piedi e non poterono trovarne adatte a D. Bosco. Finalmente si potè avere un paio di zoccoli.
Notisi che si era in piena estate. All'ora di pranzo Don Bosco scendeva le scale e tutti i giovani correvano allo strano rumore e ridevano, osservando i zoccoli che portava D. Bosco. Ma il bello fu qui, che verso le tre venne un servo del conte Giriodi a chiamarlo, perchè si affrettasse ad assistere un infermo di quella nobile casa. D. Bosco desiderava una vettura perchè nessuno vedesse i zoccoli; ma ci voleva troppo tempo per trovarne una, essendo poche,         in quegli anni, di stazione nel centro della città, e costose. Era necessario andare subito. Quindi pregò quel servo che avesse la compiacenza di aspettarlo per essergli compagno, sperando così di nascondere meglio la novità della calzatura. Con quel servo al fianco per corse via Dora Grossa, piazza Castello, rasentando le mura delle case, e curvandosi alquanto perchè la veste coprisse i piedi; e andò al N. 53 della via di Po. Finito il suo ufficio, il servo accennava a lasciarlo partir solo, dicendogli: - Credo che ora farà senza di me, per ritornare a casa.
     - No, no, mio caro, rispose D. Bosco; mi accompagni.
     - Ma scusi; e perchè?
     - Perchè... perchè... ho i zoccoli.
     - Oh povero me! esclamò quel servo: e corse dal Conte Giriodi e gli narrò il fatto. Il Conte si vestì in fretta e venne egli stesso ad accompagnare D. Bosco per strade strette ed in quell'ora poco frequentate. Giunti in via Corte d'Appello, il Conte lo fece entrare da una certa vedova Zanone, che teneva bottega in detta via al N. 8, conosciutissima da D. Bosco e dal Conte, il quale pian piano fece notare alla signora: - D. Bosco è senza scarpe e porta i zoccoli. - La Zanone, che appena era comparso D. Bosco gli aveva fatto mille feste, trasecolò a quelle parole, cercò subito le più belle scarpe che avesse in bottega e le adattò al piede di D. Bosco. Quei zoccoli però li tenne per sè come preziosa reliquia a ricordanza del fatto.
  Egli prediligeva ciò che aveva accattato per elemosina. Ottenuto in dono dai benefattori oggetti di vestiario, se ne ricopriva non altrimenti che uno de' suoi ricoverati. “ Mi ricordo, disse Mons. Cagliero, l'esempio che ci dava Don Bosco, quando riceveva dal Ministero della guerra scarpe, cappotti, calzoni militari già usati, oppure, rifiutati, o lasciati in fondo dei magazzini, e rosi dai tarli; ed eziandio coperture da cavalli, perchè gli alunni dell'Oratorio potessero, ripararsi dal freddo. Ed egli, senza far distinzione fra sè ed i suoi poveri orfanelli, in casa servivasi di quelle scarpe, di que' calzoni e anche dei cappotti che talora portava anche fuori di casa, e specialmente quando doveva uscire di notte, benchè non fossero certamente panni comodi ed eleganti. In molti inverni quante volte l'abbiamo visto indossare il suo bravo cappotto nero da soldato sopra la veste talare, tanto in chiesa quanto fuori di chiesa. Nel 1866 e negli anni seguenti consegnava più volte a Bisio Giovanni i calzoni sovradetti, perchè glieli adattasse per suo uso, affermando che gli andavano tanto bene. Una grigia gualdrappa da cavallo era stesa sopra il suo letto per coperta”.
  La santa povertà, la raccomandava con molto calore, anche ex professo e sovente, a tutti i suoi figliuoli nelle conferenze, nelle prediche, ed ogni volta che gli si presentava l'occasione. L'inculcava a coloro che erano incaricati dell'amministrazione, e voleva che si tenesse conto di tutto, come proprietà della divina Provvidenza. Ripeteva ai chierici - essere cosa disdicevole ad un ecclesiastico correre dietro al lusso ed alle vanità proprie dei mondani. - E a chi gli opponeva la necessità di un conveniente decoro, rispondeva che il decoro dell'ecclesiastico e del religioso era la povertà, accompagnata però dalla pulitezza della persona. E si conosceva quanto egli amasse questa virtù, nel vedere come ei soffrisse allorchè la vedeva trasgredita da qualcheduno, malgrado le replicate insistenze da lui fatte; ed egli indicava loro che vari ordini religiosi erano scaduti, precisamente perchè avevano abbandonata la vita comune e si erano allontanati dalla povertà primitiva. Esclamava eziandio: - Vi raccomando per carità di fuggire dall'abuso del superfluo. Ricordatevi bene che quello che abbiamo, non è nostro, ma dei poveri: guai a noi se non ne faremo buon uso!
   Perciò anche nel viaggiare, e quanti viaggi egli fece! per quanto dipendeva da lui, e non vi fosse grave ragione di fare altrimenti, servivasi sempre della terza classe.
   Assicurava poi i suoi collaboratori che avrebbero sempre avute le simpatie del mondo, ed anche, almeno, la tolleranza dei nemici stessi della religione, finchè avessero praticata la povertà; mentre per altra parte loro prometteva che le benedizioni del Signore, spirituali e temporali, sarebbero state abbondanti sopra di essi, se mantenevansi costanti ed esatti nell'esercizio di questa virtù.
   Spesso narrando la vita del Divin Salvatore rappresentava Gesù Cristo il quale aveva neppure luogo ove posare il capo e quindi soggiungeva: - Come potremo essere suoi discepoli se ci mostriamo così differenti dal maestro? Gesù Cristo nacque povero, visse più povero, morì poverissimo.
   Quindi li esortava a non amare le agiatezze, a tener di conto degli abiti, dei libri e di ogni oggetto di loro uso, come pure di non sprecare la carta, nè prendere abitudini che a lungo andare sono costose. - Tali economie, ci diceva, ci potranno permettere di ricoverare un giovanetto di più.
E i figliuoli di D. Bosco si prestavano ossequenti alla voce del padre e accettavano di essere affatto sprovvisti di ogni qualsiasi comodità e anche di quelle cose che sarebbero giudicate indispensabili. I primi sacerdoti che costituivano i superiori dell'Oratorio ebbero per stanza una piccola soffitta, con un tavolino, una sedia od uno sgabello di legno ed un catino per l'acqua e nulla di più; e per studiare si recavano nella sala comune in mezzo agli alunni del ginnasio. Il tenore severissimo col quale anche i suoi alunni praticavano la povertà, meritò a quegli anni il titolo di tempi eroici. Questo eroismo aveva per fondamento la massima di S. Teresa: Più si dà al corpo, tanto meno si dà allo spirito.
   Ed ora riepiloghiamo con una pagina del Can. Ballesio, il quale per otto anni interi visse con D. Bosco.
   “ La povertà si vedeva in tutta la casa, ed in ogni atto della sua e nostra vita nell'Oratorio. Tante volte mi è venuto questo pensiero: - D. Bosco e la sua famiglia senza essere cappuccini di nome e di professione, lo sono di fatto nella loro vita povera e laboriosa. - Questa povertà, che in lui, come avviene nei santi, i quali sanno proprio stare nel giusto mezzo ed evitare le esagerazioni, nel servo di Dio si accoppiava a una somma nettezza.
            ” Credo che ciò provenisse dalla virtù dell'animo e specialmente dalla sua mortificazione, dalla sua operosità e castità delicatissima, chè la persona del servo di Dio compariva sempre a noi, i quali gli stavamo attorno, santa e santamente pulita ”.
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