Capitolo 57

Di nuovo la Marchesa Barolo - Suo esercizio di pietà approvato dalla Santa Sede - Il libro di D. Bosco: 'Divozione alla Misericordia di Dio'.

Capitolo 57

da Memorie Biografiche

del 30 ottobre 2006

 Appena la Marchesa Barolo ebbe avviso del ritorno di D. Bosco in Torino e come avesse presa stanza in casa Pinardi, compassionando la sua estrema povertà, tentò ancora un'ultima prova per indurlo ad accettare qualche uffizio ne' suoi Istituti. Mandava pertanto dal Rifugio una persona di sua confidenza, dicendole imperiosamente:  - Andate a visitare quel prete che è giunto in Valdocco colla sua madre; ambedue coi loro biricchini muoiono di fame. Inducetelo a piegarsi alla mia volontà: ditegli essere irragionevole la sua ostinazione; e se non acconsente, ripetetegli pure che non venga più a vedermi, perchè gli chiuderò la porta in faccia.

D. Bosco, che nutriva e nutrì sempre grande stima per la caritatevole matrona, non si piegò, e sorrise ad una minaccia che non sarebbe stata mantenuta. Infatti andando a visitarla nel suo palazzo era accolto con segni del più grande rispetto; ma nulla domandava e nulla riceveva. Tuttavia non cessava di quando in quando dal recarsi a far prediche, a confessare al Rifugio e a prestarsi in tutto ciò che poteva in servizio de' suoi monasteri, che ogni giorno più acquistavano importanza e fama, avendo nel luglio il Regio Governo approvato l'Istituto delle Suore di S. Anna.

In quest'anno erano stati promulgati certi editti e regolamenti per le scuole femminili, e si voleva anche imporli a quelle tenute dalle monache di clausura, le quali sino allora riconoscevasi esenti dall'ingerenza del Governo. I Vescovi avevano presentati i loro richiami al Re, che assai bene accoglievali, dichiarando quei decreti non riguardare le scuole e i convitti, posti nell'interno di tali monasteri. Si applicarono tuttavia per le scuole delle Suore di S. Giuseppe e di Sant'Anna, lasciando ad esse soltanto la libera elezione delle maestre, purchè queste ottenessero l'approvazione dalla Regia Università. Perciò D. Bosco continuò a far scuola regolarmente alle Suore allieve maestre, aiutandole a conseguire con onore le necessarie patenti, acciocchè non fossero costrette a stipendiare insegnanti estranee. Nello stesso tempo a loro vantaggio e delle consorelle dava alle stampe un altro libretto, del quale ecco la storia.

La Marchesa Barolo occupavasi da anni a diffondere una devozione che le era carissima. Nelle sue comunità di S. Anna e di Santa Maria Maddalena praticavasi un devoto esercizio di sei giorni col fine di implorare la misericordia divina. Nei primi tre giorni, per la conversione dei peccatori, si proponevano pratiche di pietà, elemosine ed opere analoghe, e nella sera dopo breve meditazione si cantava il “Miserere” ed impartivasi la benedizione col SS. Sacramento; e nei tre seguenti, in ringraziamento delle ricevute misericordie, si teneva un discorso sulla riconoscenza dovuta a Dio, si faceva l'esposizione del Venerabile, si cantava il “Benedictus” e si conchiudeva colla benedizione. Alla vigilia di questi sei giorni con un breve ragionamento esponevasi lo scopo e l'ordine di tale devozione. Siccome molti ed evidenti vantaggi erano già derivati da questa pia pratica, così la Marchesa bramava che si eseguisse eziandio in alcuna chiesa pubblica, ma ad istanza del rispettivo parroco o rettore. Non volendo però l'Arcivescovo accordare la licenza senza il beneplacito della S. Sede, la Marchesa supplicò il Sommo Pontefice Gregorio XVI e ne ottenne graziosamente per mezzo della Sacra Congregazione dei Riti un Rescritto di approvazione il 16 marzo 1846. Quindi, dietro sue nuove domande, il 6 aprile lo stesso, Pontefice concedeva a tutti i fedeli l'indulgenza plenaria per una sola volta, nell'ultimo giorno di questo pio esercizio, da praticarsi tanto nelle chiese dei pii stabilimenti di S. Anna e di Santa Maria Maddalena, quanto in una chiesa pubblica da designarsi dall'Ordinario; purchè in tale giorno i fedeli, veramente pentiti, confessati e comunicati, visitassero qualcuna di queste chiese e pii oratorii, e pregassero secondo l'intenzione di S. S. per qualche tempo; ed inoltre fossero intervenuti a tutte le funzioni prescritte. Ogni volta poi che, con cuore almeno contrito, avessero devotamente assistito alla prefata pratica devota, anche per un giorno solo e pregassero, come sopra, accordava volta per volta l'indulgenza di 100 giorni. Queste indulgenze dovevano essere in vigore per sette anni e con facoltà di applicarle in suffragio dei fedeli defunti. In ultimo, per le replicate istanze della Marchesa, Pio IX il 7 agosto confermava in perpetuo le anzidette indulgenze.

La generosa patrizia giubilò di questi favori apostolici come di un suo trionfo spirituale, e vide subito parecchi Vescovi, Parroci e Rettori adoperarsi per introdurre nelle loro chiese siffatta devozione a beneficio delle anime loro affidate. Perciò desiderava che qualche buona penna scrivesse un'operetta sulla Misericordia di Dio; e radunati alcuni ecclesiastici e secolari dotti ed intelligenti, propose ad essi di indicar la persona capace di compilare convenevolmente un simile scritto. Silvio Pellico, che era tra quelli, appena udita la proposta, esclamò con  impeto: - D. Bosco!  No! - gridò subito la Marchesa; assolutamente no!

Il motivo di questa negativa poteva essere di non aggiungere lavoro a quel povero prete, già troppo oppresso da altre occupazioni; tuttavia in fondo in fondo le ripugnava doversi riconoscere in qualche maniera debitrice verso chi, secondo lei, così poco deferiva a' suoi voleri. Ma Silvio Pellico era persuaso la penna di D. Bosco essere la più adattata a scrivere su tale argomento. Venendo talvolta all'Oratorio aveva saputo come D. Bosco suggerisse a tutti d'invocare questa benedetta misericordia: e predicando ai giovani avevalo udito ripetere: - Siete ricaduti per sventura in peccato? Non scoraggiatevi. Ritornate a confessarvi subito colle debite disposizioni. Il confessore ha da Dio potestà e ordine di perdonarvi, eziandio se foste caduti non solo sette, ma settanta volle sette. Coraggio, confidenza e fermo proposito. Cor contritum et humiliatum Deus non despiciet  - Eragli noto eziandio come egli molto si compiacesse nel riferire fatti ed esempi pei quali questa misericordia vedevasi stupendamente campeggiare, e in modo speciale nella conversione dei peccatori; e come perciò, di quanto egli era stato testimonio oppure aveva ricevuto notizia, tutto raccontasse con grande piacere e soavità.

Il buon Silvio adunque era amico di D. Bosco e, invitato da lui, aveva gentilmente acconsentito a comporre qualche poesia, fra le altre quella sull'Inferno e sul Paradiso, che messe da D. Bosco in musica si cantano tuttora nelle Case Salesiane. Perciò, per averne quasi un contraccambio, venne

nell'Oratorio e narrò a D. Bosco quanto era accaduto nel palazzo della Marchesa. D. Bosco, che fin dal principio del suo sacerdozio aveva cooperato a far introdurre in alcuni ritiri e conservatori di Torino l'uso di speciali preghiere in onore della divina Misericordia, senz'altro scrisse un libro che riuscì molto acconcio a farla ammirare e ad ispirare viva fiducia in Lei. Non vi appose però il suo nome per delicato riguardo alla Marchesa. Il titolo fu: “Esercizio di devozione alla Misericordia di Dio. La tela della sua composizione si svolge secondo le pratiche di pietà approvate e prescritte da Roma”.

Incomincia coll'esporre le suppliche della Marchesa alla S. Sede e col riportare i tre Rescritti Pontifici sopra notati. Quindi prosegue: “La devozione alla Misericordia di Dio fu stabilita non solo perchè ogni anima la invocasse in proprio favore, ma perchè ciascheduna la invocasse eziandio in favore di tutte le nazioni della terra; ricordandoci che siamo tutti peccatori, tutti infelici per effetto della colpa, tutti bisognosi di perdono e di grazia, tutti redenti da Nostro Signore G. C. col suo preziosissimo sangue, tutti chiamati all'eterna salvezza, se ascoltando le Divine ispirazioni detesteremo il peccato e ci daremo di cuore ad una perfetta obbedienza verso Dio e verso la Chiesa Cattolica da lui fondata.” Tali riflessioni dovevano esporsi nella vigilia di questo pio esercizio, e tutte le conferenze dovevano incominciare coll'invocazione: - O Misericordia di Dio! Noi vi imploriamo non solo per noi, ma per tutte le umane creature.

Ed ecco gli argomenti delle conferenze, ricche di citazioni Scritturali. Nei primi tre giorni: - 1. Iddio usa continuamente misericordia ai giusti ed ai peccatori. Tutto è misericordia quanto Dio elargisce agli uomini nell'ordine spirituale e temporale. - 2. Meravigliosa bontà di Dio verso i peccatori provata coi fatti ricavati dalla S. Scrittura. - 3. Particolari tratti di misericordia usati dal Divin Salvatore nella sua dolorosissima passione verso i peccatori. Per gli ultimi tre giorni espone tre motivi pei quali dobbiamo ringraziare Iddio: 1 Per l'amorevolezza con cui accoglie i peccatori. - 2. Per il beneficio inestimabile del Sacramento della penitenza. - 3. Per i mezzi di salute eterna procurati a noi nella Santa Religione Cattolica.

Spiegando quindi assai minutamente la natura delle indulgenze, i loro mirabili effetti e il modo di guadagnarle, esclama: - “Sia sempre benedetta la Divina Misericordia e ringraziato il pietosissimo e clementissimo nostro Divin Redentore Gesù Cristo, il quale conferì alla sua Chiesa fin dalla sua origine la podestà di comunicare a noi e a noi partecipare il tesoro delle sante indulgenze, in virtù delle quali con leggerissimo nostro incomodo possiamo anche interamente pagare alla divina Giustizia quello che le dobbiamo per i nostri peccati”.

In fine a ciascheduno giorno egli assegnava una delle seguenti pratiche di pietà. - Animate tutti i vostri parenti ed amici ad intervenire, per quanto loro sarà possibile, a questo pio esercizio. - Perdonate a qualche persona che vi abbia offeso, e quanto sarà più grave l'ingiuria che perdonerete al vostro prossimo, altrettanto vi potrete aspettare dalla misericordia divina. - Fate oggi qualche astinenza per ottenere da Dio misericordia a tutti i peccatori, ma specialmente a quelli che si trovano in punto di morte. - Fate qualche limosina secondo le vostre forze: e non potendo recitate cinque Pater, Ave e Gloria alle cinque piaghe dei nostro divin Salvatore colla giaculatoria: Gesù mio, misericordia. - Fermatevi alquanto a considerare i peccati della vita passata, preparatevi a fare una santa confessione. – Sette Ave e sette Gloria ai dolori di Maria SS., affinchè ci ottenga un vero dolore dei nostri peccati.

Concludeva il libretto con questa commovente frase, allusiva specialmente alla Marchesa: “Almeno un'Ave Maria per la persona che ha promosso questa devozione!”

Questo opuscolo si stampava sul finire dell'anno e a spese di D. Bosco nella tipografia eredi Botta, via Consolata, 14. Quivi accadde un fatto degno di memoria. Alcune persone ebbero a caso tra le mani il manoscritto di D. Bosco, ed una di esse prese a leggerlo ad alta voce con animo di metterne in burla l'autore. Ma Iddio, sempre buono, usò un tratto di sua paterna bontà. Dopo la lettura delle prime pagine, si fece da quei beffardi un profondo silenzio; al riso sottentrò viva compunzione e finirono coll'andar a dichiarare le loro colpe ai piedi di un confessore, abbandonando così la loro vita disordinata.

Tale conversione era una caparra celeste del bene che avrebbe prodotto questo libretto. Appena stampato, D. Bosco ne fece distribuire in dono una copia a tutte le figlie del Rifugio, e le rimanenti, che erano migliaia, le consegnò alla Superiora della pia Casa; quindi si affrettò a tradurlo in lingua francese, e questa seconda edizione destinò probabilmente alle Suore di S. Giuseppe.

La Marchesa lesse e lodò il libro, ma non volle mai permettere che si dicesse in sua presenza quella essere opera di Don Bosco. Qualche amico osò farle osservare come fosse poco onorevole per lei, che un povero prete la vincesse in generosità e spendesse il proprio danaro in istampe, fatte per secondare un suo desiderio e in vantaggio delle sue figlie. Ma essa fu sorda, e incontrando D. Bosco, non solo non gli manifestò in alcun modo il suo gradimento per un'opera scritta in suo riguardo, ma giammai gliene disse motto.

Una volta sola fece un'eccezione, ed ecco come andò il fatto. Il Teol. Borel era e fu sempre con lei in ottima e inalterabile relazione. Un giorno che presso la pia matrona si erano radunati vari Ecclesiastici, chiamati da essa stessa perchè le suggerissero buone opere nelle quali impiegare i suoi danari, ventilati vari pareri, il Teol. Borel disse: - Signora Marchesa, vi è un prete in Torino pieno di zelo, che suda e lavora da mane a sera: questi ha bisogno della vostra carità!

 - Ah! ah! ho capito, esclamò subito la Marchesa: è D. Bosco! A D. Bosco niente!

Il Teologo sorridendo fece qualche osservazione su quel suo strano proponimento e accennò al libro sulla Misericordia di Dio.

 - Ebbene, prendete, replicò allora la Marchesa, eccovi 200 lire; dategliele; ma che non sappia che sono io che gliele mando! Altrimenti guai! - Quando poi ritornò il Teologo a visitarla, la Marchesa gli chiese subito notizia delle 200 lire: - Perchè, ella diceva, D. Bosco sapendo che sono mie, è capace di rifiutarle. - Da queste parole si venne ad una, discussione sull'opera intrapresa da D. Bosco e non volendo il Teologo arrendersi al giudizio della Marchesa, finì col dirle in buon piemontese: - I preti non vanno mica a consigliarsi colle donne, sa! - A questa osservazione, che avrebbe irritata un'anima superba, la Marchesa non si offese punto, e con tranquillità cambiò discorso, come era solita sempre in simili circostanze. Il Teol. Borel sapeva però come tutti i suoi avvertimenti fossero sempre da lei accolti con grande benevolenza ed ossequio. Dallo stesso Teologo abbiamo appreso queste descrizioni dei carattere della Marchesa, e i modi nobili, generosi ed umili coi quali D. Bosco sapeva diportarsi con lei.

 

 

 

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