Gli studenti catechisti - Scuole domenicali e serali - La fabbrica dei maestri - Ingegno, memoria e cuore - Uno studente e l'usuraio.
del 30 ottobre 2006
 Don Bosco col prendere in affitto la casa Pinardi aveva trovato, dopo quasi due anni di lotte e di in inquietudini, un piccolo, ma sicuro ricovero. Prevedeva che altre pene e altri ostacoli non gli sarebbero mancati, ma ciò non gli importava, sentendosi sorretto, da Dio e dalla Regina del cielo. Incominciò pertanto coll'aumentare il numero dei catechisti, non bastando al bisogno i suoi primi volenterosi coadiutori.
Abbiamo già detto come egli, in giorni feriali, andasse nelle varie scuole della città a dare lezioni dì catechismo: ora a quelle di Porta Palazzo, ora a quelle di S. Francesca di Paola e altrove. Or bene; egli risolvette di fare un appello ad alcuni più adulti fra quegli studenti, perchè alla domenica e nelle altre solennità di precetto venissero all'Oratorio ad aiutarlo nell'opera di catechizzare. Perciò manifestava la sua idea ai Rettori e Presidi, pregandoli di indicargli quegli alunni che credevano idonei a tale nobilissima missione. Alcuni non vollero dare la necessaria licenza dalla Congregazione festiva, perchè non vedevano bene l'Oratorio, causa l'aura di libertà settaria che già incominciava a farsi sentire e della quale pativano l'influenza anche i buoni. Altri accondiscesero, e fra questi D. Bertoldo, Direttore spirituale del Collegio di Portanuova, ora detto Massimo d'Azeglio, che era suo amico e che gli volle sempre un gran bene. Il buon prete gli propose e presentò alcuni studenti di retorica, dei quali ci ricordiamo ancora e specialmente di tre: Pellegrini Felice, che divenne poi distinto ingegnere; Anzino Valerio, poi sacerdote, Cappellano maggiore di Corte, monsignore, abate perpetuo della Certosa di Mantova; e il già nominato Picca Francesco, che fu Missionario Apostolico e canonico della Collegiata di Savigliano. Non taceremo di un quarto, che divenne erudito scrittore, Deputato al Parlamento, fratello di un nostro carissimo amico che fattosi Salesiano moriva tra noi come muoiono i santi, dopo aver edificato la famiglia, la civile società e la nostra Congregazione colle sue splendide virtù. D. Bosco, avuti a sè questi giovani, spiegò loro il motivo di quella sua chiamata, parlò del modo d'insegnare il catechismo, dei bene che avrebbero fatto, ed essi accettarono di andare in Valdocco. Picca e Pellegrini furono assidui per molto tempo in questo santo ministero. L'Anzino intervenne per un anno e più; gli altri si stancarono subito e si ritrassero; ma non si stancò D. Bosco nel girare per le scuole e trarne a sè nuovi piccoli apostoli che supplissero ai disertori.
Contemporaneamente prese ad organizzare le scuole, per i progressi delle quali non era stata favorevole fino a quell'ora la vita nomade e randagia dell'Oratorio e la lunga malattia del Direttore. Da principio, per difetto di locale, due classi si raccoglievano in cucina e nella camera di Don Bosco; una scuola aveva luogo in sagrestia; altra in coro, varie nella stessa cappella. Non occorre dire che questi siti si prestavano poco all'uopo. Gli allievi, fior di monelli, o tutto guastavano o tutto mettevano sossopra, e le voci e gli andirivieni degli uni disturbavano quanto volevano fare gli altri. Ma non si poteva disporre altrimenti. Mamma Margherita aveva dovuto trasportare i suoi lavori di ago, dalla cucina, nella stanzetta in cima alla scala. Pensare quale pazienza eroica esercitar dovesse la brava donna in mezzo a tanto tumulto.
Dopo qualche mese avute D. Bosco altre camere a pian terreno, essendosi ritirato Soave Pancrazio a norma della convenzione stipulata, vi trasportò alcune classi. Queste ancora ei divise e suddivise secondo la maggiore o minore istruzione dei giovani, rendendo più facile l'osservanza di un'esatta disciplina; e così impartì loro l'insegnamento più gradatamente e con più profitto, raccogliendo eziandio un maggior numero di scolari, che ascesero sino a trecento. Per ritrarre un pronto e più sentito risultato ne' suoi discepoli, D. Bosco si atteneva al metodo seguente. Per una domenica o due egli faceva passare e ripassare l'alfabeto e la relativa sillabazione; dopo ciò prendeva il piccolo Catechismo della Diocesi e sopra di esso li faceva esercitare sino a tanto che fossero capaci di leggere una o due delle prime domande e risposte, e queste assegnava poscia per lezione da studiarsi lungo la settimana. La domenica successiva si ripeteva la stessa materia, aggiungendo altre domande e risposte, e così di seguito. Per questa guisa in capo a poche settimane egli ottenne che taluni leggessero e studiassero di per sè intiere pagine della Dottrina Cristiana. Ciò fu di molto giovamento, perchè altrimenti i più adulti ed ignoranti avrebbero dovuto passare dei mesi prima di essere abbastanza istruiti per fare la Confessione e la Comunione.
La scuola Domenicale riusciva vantaggiosa a molti, ma non bastava, perchè non pochi giovani di tardo ingegno dimenticavano nella settimana quello che avevano imparato la domenica. Per ovviare a questo sconcio e giovare maggiormente a' suoi giovanetti, D. Bosco promosse assai calorosa mente le scuote serali di ogni giorno, le quali però erano state chiuse per qualche tempo, cioè finchè il Teologo Borel e D. Cafasso non si rassegnarono a tollerare che egli secondasse gli impulsi della sua carità, non ostante la salute ancora molto debole. Queste nuove classi pel suo zelo ed energia sortirono tosto due buoni effetti: animarono i giovani a intervenirvi con puntualità a fine di istruirsi bene nel leggere e nello scrivere, di cui incominciavano a sentire essi stessi il grave bisogno e di arricchire la mente di molte altre utili cognizioni; nel tempo stesso porsero a D. Bosco maggior agio di tenerli lontani dai pericoli nelle ore di sera, di meglio istruirli nella religione, indirizzarli a Dio e farli buoni cristiani, che era lo scopo precipuo di tutte le sue fatiche. Infatti con maggior facilità e profitto potevasi spiegar loro il catechismo, avendo quelli studiate prima e apprese da se medesimi le verità della fede, e premunirli simultaneamente contro quella libertà, che col sorgere dei nuovi tempi sarebbe stata concessa all'eresia ed in generale al mal fare. D. Bosco intanto ideava e preparava accademie, o specie di gare catechistiche, per innamorarli sempre più della Dottrina Cristiana; e addestrandoli in questi esercizi con interrogazioni e spiegazioni, prometteva loro premii, e somministrava tutti quegli incoraggiamenti che riconosceva più desiderati.
Ma D. Bosco non bastava da solo a simile impresa: egli non poteva certamente fare assegnamento per le scuole sopra i Sacerdoti che lo coadiuvavano, benchè, cresciuti di numero, fossero il sostegno dell'Oratorio. D. Cafasso aveva esortati alcuni de' suoi alunni a venire in Valdocco per il Catechismo, fra i quali D. Cresto; ed essi erano puntuali a trovarsi in mezzo ai giovani, senonchè prima dei tramonto dovevano restituirsi al Convitto nell'ora stabilita. Altri, da D Bosco stesso incontrati per la città, avevano accettato il suo invito di andare a lavorare in quella vigna del Signore. Così una volta fu tolto quegli che fu poi il celebre Prof. di Teologia all'Università di Torino, il Canonico Marengo, che da quel punto non abbandonò più l'Oratorio. Questi benemeriti ecclesiastici prestavano l'opera loro nella domenica, alternandosi chi nel confessare, o nel predicare, chi nel catechizzare gli adulti, o talora nel celebrare la santa Messa quando D. Bosco era assente. Essi però non potevano far di più, avendo la maggior parte gravi impegni in città. Su quei pochi che erano padroni di sè non era da farsi gran conto, chè spesse volte impediti non comparivano in classe. Sovente veniva in aiuto di D. Bosco il Teol. Borel; ma egli, occupato come era continuamente in svariate opere buone e ministeri, poteva attendere ben poco ai giovanetti, essendo tutta la sua vita in altro campo. Il dirigere egli l'Oratorio, nel tempo della malattia di Don Bosco, era stato effetto di una carità che superava tutti gli strapazzi più accascianti delle forze umane, e che non poteva prolungarsi indefinitamente.
Dove adunque D. Bosco trovò i suoi maestri per tante scuole e per tanti giovani? - Egli se li fabbricò, ed ecco in qual modo. Tra coloro che frequentavano l'Oratorio ve n'erano alcuni dei più grandicelli di molto ingegno, i quali desideravano una istruzione più estesa a fine di crearsi una miglior posizione nella società. Or bene, D. Bosco si fece una scelta di questi e somministrò loro in ore adatte gratuito insegnamento di lingua italiana, latina, francese, di aritmetica e materie simili, ma col patto che essi alla loro volta venissero ad aiutarlo nell'insegnare il catechismo nella quaresima, e nel fare la scuola domenicale e serale ai loro compagni. Qualcuno di costoro apparteneva al numero di quei primi che egli aveva radunati quando abitava ancora al Convitto di S. Francesco di Assisi. La prova riuscì a meraviglia, , quantunque costasse a D. Bosco fatiche e sudori, e taluni, dopo avergli fatto spendere molto tempo e danaro per libri, e sussidi dati alle loro famiglie, gli mancassero poi di parola. Quei maestrini, da prima in numero da otto a dieci, si crebbero in appresso, e non solamente gli furono di grande scorta nella istruzione degli altri suoi giovanetti, ma riuscirono ancor essi a prendere nel mondo carriere onorate, divenendo uomini influenti in città, utili a se stessi e ai loro prossimi. In vari poi di questi avendo egli scoperto speciali attitudini ed una decisa vocazione allo stato ecclesiastico, prese a far loro particolari ripetizioni, sicchè divennero sacerdoti eccellenti nel ministero delle anime. In questo modo esordì all'Oratorio la categoria degli studenti, che continua ancora oggidì a fornire all'opera di D. Bosco maestri, professori ed assistenti pei tanti suoi Istituti d'Italia, Francia, Spagna, Inghilterra, Austria, Svizzera, America, Palestina ed Africa.
Leggiamo in una memoria autografa di D. Bosco un ricordo prezioso di questi tempi: - “Non sarà discaro, egli scrive, a chi leggerà questo foglio, che io faccia qui speciale menzione di alcuni di quei primi nostri maestri, il cui nome mi rimase indelebile nella mente e nel cuore. Tra gli altri fuvvi Giovanni Coriasso ora maestro falegname, Felice Vergnano ora negoziante passamanaio, Paolo Delfino il quale è oggidì professore di corso tecnico. A questi si aggiunsero poscia Antonio e Giovanni Melanotte, il primo droghiere, il secondo confetturiere, Felice e Pietro Ferrero, questi sensale e l'altro compositore; e Giovanni Piola falegname ora padrone di bottega. Ad essi si unirono Vittorio Mogna e Luigi Genta.
Venivano eziandio a prestare la preziosa loro cooperazione a questi maestrini alcuni pii signori della città, fra i quali furono costanti i chincaglieri Giuseppe Gagliardi e Giuseppe Fino; e l'orefice Vittorio Ritner”. Così D. Bosco. I maestrini dell'Oratorio non erano però in numero sempre sufficiente, sia perchè alcuni dovevano essere prima addestrati al loro nuovo e difficile ufficio; altri riuscivano inetti a mantenere la disciplina e bisognava mutarli; taluni, svogliati o impermaliti, di rado si recavano nella scuola. Intanto, col crescere delle classi dovevansi eziandio aumentare i maestri, e questo era il continuo studio ed impegno di D. Bosco.
Con tali ed altri consimili aiuti le scuole domenicali e serali presero un avviamento superiore alla comune aspettazione. Fu allora che D. Bosco, avendo terminato di far leggere il piccolo catechismo, presentando ai giovani la sua Storia Sacra e la Storia Ecclesiastica, tolse una grave difficoltà, quella di trovare altri libri di testo che fossero adattati alla loro intelligenza. Il vantaggio che ne ritrassero i giovani dimostrò sempre più il suo ingegno, la sua dottrina e più ancora la sua esperienza e il suo senso pratico nel comporre questi manuali. Nello stesso tempo alle dette scuole aggiungeva una classe di disegno, di aritmetica e sistema metrico. Il suo libro su questa scienza dei numeri, poco gradita in generale ai giovanetti, fu accolto con piacere e fu causa, come vedremo, de' più bei trionfi di queste scuole, poichè provvedeva ai bisogni non solo intellettuali, ma eziandio materiali del popolo. I giovani, imparando, gli furono riconoscenti della sua lunga, faticosa e costante preparazione e delle notti che aveva passate nello scrivere questi libri.
Era uno spettacolo meraviglioso veder alla sera illuminate le stanze della casa Pinardi, piene zeppe di fanciulli e giovanotti, quasi là entro si celebrasse una festa continua.
In qualche stanza si valevano ritti dinanzi ai cartelloni, , oppure con un libro in mano; in altre stavano nei banchi applicati negli esercizi dello scrivere, mentre altri inginocchiati alle semplici panchette della chiesa o seduti, per terra scarabocchiavano sui loro quaderni le lettere grandi. Talora D. Bosco compariva sul poggiolo, dava un'occhiata alle scuole vicine, e discendeva al pianterreno, osservando che maestri e scolari mantenessero l'ordine. Era sempre accolto dal lieto muovere del capo e dal sorriso de' suoi figliuoli, che così rispondevano al suo sorriso ed al cenno che loro faceva colla mano di star buoni ed in silenzio. Talvolta faceva un po' d'ispezione nel cortile e intorno alla casa, e poi risaliva nella sua camera, mutata in scuola. Egli aveva riserbata per sè la spiegazione del sistema metrico, e riusciva con mirabile pazienza a far entrare in quelle testoline ciò che aveva scritto nel suo libretto. I Fratelli delle Scuole Cristiane si dilettavano di venire alla sera in Valdocco esaminando e studiando il metodo adoperato da lui per istruire simultaneamente quella moltitudine di giovani. Essi, che ben conoscevano D. Bosco e i suoi scritti, affermarono che mentre gli uomini di genio e pensatori profondi non sogliono distinguersi per la tenacità di ricordare, in lui invece la prodigiosa memoria andava a paro coll'ingegno e col cuore.
Ma D. Bosco, non contento dell'istruzione scientifica, animava col Teologo Nasi le classi con lezioni sul canto gregoriano e sulla musica vocale, che poi volle in ogni tempo fossero continuate. Ebbe in ciò grande aiuto eziandio da D. Michelangelo Chiatellino di Carignano, convittore a San Francesco d'Assisi, il quale incominciato in questo tempo a frequentare l'Oratorio, per circa otto anni continuò ad insegnarvi la musica. Valente organista accompagnava più tardi i giovani cantori nelle chiese di Torino, nelle passeggiate autunnali, e specialmente in Castelnuovo e ai Becchi per la festa del Santo Rosario.
Da questo degno sacerdote noi abbiamo saputo come i catechisti studenti, i maestrini e tutti gli altri dell'Oratorio trasfondessero nel cuore di molti giovani, che non venivano in Valdocco, l'affezione e la confidenza verso D. Bosco; così talora a lui ricorrevano non solo per le cose dell'anima, ma per averlo consigliere e protettore fra gli imbrogli nei quali si erano gettati per le loro imprudenze. Tra vari fatti scegliamo il seguente.
Uno studente di Università si era indebitato con un ebreo; non sapeva come svincolarsi, e non osava chiedere al padre, la somma dovuta, per timore che egli venisse a conoscere la sua cattiva condotta. Mentre era in vive angustie, fu consigliato a recarsi da D. Bosco, per averne lume e conforto. Andò; D. Bosco, quantunque non lo conoscesse, lo accolse ed ascoltò con ogni amorevolezza, lo esortò a ritirarsi dalla via pericolosa per la quale si era incamminato, lo invitò a mettersi in pace con Dio con una buona confessione e lo mandò a cercare di quell'ebreo, desiderando avere un colloquio con lui. Voleva assicurarsi dell'ammontare della somma e vedere se potevasi venire ad un accomodamento d'interessi, secondo giustizia, e senza esporre allo sdegno del padre il figlio pentito. L'ebreo venne, ma dopo i saluti di uso, D. Bosco si avvide che sarebbe riuscito ad un bel nulla; e presa una subita risoluzione, incominciò: - Dunque lei è creditore del giovane tale?
 - Precisamente.
 - E di quale somma?
 - Di tanto.
 - E quale interesse esige?
 - Il cinque per cento.
 - All'anno?
 - Al mese!
D. Bosco si alzò con calma, fissò lungamente in faccia quel signore col suo sguardo penetrante che pareva lampeggiasse un minaccioso rimprovero e poi esclamò: - Il cinque per cento al mese? - E presolo garbatamente per le due rivolte del cappotto sul petto, replicò: - Il cinque per cento al mese? - Poscia, spingendolo lentamente indietro verso la soglia della camera, ripetendo la stessa frase, condusse sul poggiolo quel vecchio usuraio, che sbalordito ed anche timoroso che si propagasse in città quel suo negozio, non sapeva che cosa rispondergli; e gli chiuse pacatamente la porta in faccia. Quindi si affrettò a visitare il padre del povero studente, gli manifestò quel disgustoso affare e in tal modo, che questi prese in buona parte tale rivelazione; gli disse del pentimento del figlio, lo pregò a volergli perdonare, e gli indicò il modo di soddisfare prestamente quell'ebreo, eziandio per l'onore della famiglia. Il buon genitore acconsentì e pagò il debito; l'ebreo, ancora sotto l'impressione dello sguardo e delle parole di D. Bosco, non si mostrò difficile a ridurre il frutto a più equa misura, e il povero studente, perdonato dal genitore, riacquistò la sua pace e divenne migliore. La carità di D. Bosco abbracciava tutti quelli che a lui si avvicinavano. Pertransiit benefaciendo.
 
 
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