Necessità di insegnanti legali - Scuola diurna elementare - Il ginnasio inferiore nell'Oratorio - Programma per l'accettazione dei giovani poveri e abbandonali - Studenti ed artigiani - Laboratorii: rime difficoltà, scopo, ideali per l'avvenire - La Compagnia del SS. Sacramento - D. Montebruno nell'Oratorio - Le elezioni politiche.
del 28 novembre 2006
Incominciava l'anno scolastico 1857-58. Un regio decreto 18 luglio 1857, firmato dal Ministro dell'Istruzione pubblica G. Lanza, così ordinava:
ART. 46. Il regio Provveditore dà l'autorizzazione per l'esercizio locale ai Maestri ed alle Maestre delle scuole elementari pubbliche e private dopo il giudizio favorevole emesso dalla Deputazione Provinciale.
   Rilascia, giusta il modulo prescritto, la carta d'approvazione a coloro che intendono valersi della facoltà di aprire scuole elementari e speciali primarie, dopo la deliberazione favorevole della Deputazione.
   Trasmette al Ministero, coll'avviso di questa e colle sue particolari osservazioni, le domande per l'apertura di scuole private secondarie, classiche e speciali tecniche e magistrali non che per l'apertura di convitti e pensionati di qualsivoglia natura.
    l'Istituto di D. Bosco, in quanto aveva incominciato ad essere anche scolastico, non doveva godere privi­legio di esenzione dal suddetto decreto. Tuttavia da una parte perchè non conosciuto ancora in pubblico e dal­l'altra perchè tollerato, rimaneva libero e senza disturbi, per qualche tempo. D. Bosco però, prevedendo che presto o tardi i suoi avversari avrebbero osteggiate le sue scuole di latinità, per la ragione che i singoli suoi insegnanti non erano forniti di titoli legali, prese la savia risoluzione di far studiare da vari suoi chierici le materie richieste dai programmi governativi, per il conseguimento di un di­ploma di professore. Aveva giudicato essere della maggior gloria di Dio cedere alla dura necessità dei tempi. Per questo scopo il Ch. Francesia Giovanni Battista incominciò in quest'anno a frequentare come uditore i corsi di belle lettere nella Regia Università.
   Intanto il maestro Rossi Giacomo continuava in Valdocco la sua scuola diurna elementare ai giovanetti esterni più grandicelli; e dopo alcuni mesi la turba dei più piccini era affidata per qualche tempo al maestro Miglietti, il quale poi coll'aiuto di D. Bosco apriva in casa Bellezza un pensionato o scuola per giovani che non avevano le condizioni per essere accettati nell'Oratorio. Per gli scolari esterni, D. Bosco procurava che avessero modo di confessarsi sovente, e per quelli fra loro che erano promossi alla prima comunione per la Pasqua fissava il martedì santo.
   In quanto poi agli alunni interni il Ch. Francesia ebbe la prima classe ginnasiale, il Ch. Turchi la seconda, D. Ramello la terza. Quest'ultimo, professore governativo, laureato, ispettore scolastico, sospeso a divinis dal suo Vescovo, ma non per motivi disonorevoli, era stato convertito e fatto riabilitare da D. Bosco. Uomo di grande ingegno e dottrina, si mise sotto la direzione di D. Bosco, cui era obbedientissimo e pel quale professava grande venerazione ed affetto. Stette più d'un anno nell'Oratorio, finchè accomodatosi un appartamento in città, per darsi di bel nuovo all'insegnamento nelle scuole pubbliche, era dal Signore chiamato all'eternità.
   Aperte adunque le scuole di ginnasio inferiore, sia per distrarre forse da queste l'attenzione di certa gente interessata a disturbare il prossimo, sia per dare una pubblica conferma che lo scopo dell'ospizio di Valdocco era sempre immutato, il 7 novembre 1857 faceva stampare nell'Armonia un articolo intitolato: Oratorio maschile di Valdocco.
   Le molte richieste che ogni giorno si fanno per l'ammissione dei giovani nella casa detta Oratorio di S. Francesco di Sales in Valdocco, sezione di questa capitale, hanno determinato il sottoscritto a pubblicare le condizioni di accettazione per evitare spese e disturbi inutili per parte di richiedenti e da parte della Casa medesima. Affinchè adunque un giovane sia accettato nella Casa, sono necessarie le seguenti condizioni ricavate dal piano di regolamento della Casa medesima:
  I) Che il giovane abbia dodici anni compiti e che non oltrepassi i diciotto.
  2) Che sia orfano di padre e di madre, nè abbia fratelli o sorelle, od altri parenti, che possano averne cura.
  3) Totalmente povero e abbandonato. Qualora avverandosi le altre condizioni, il giovane possedesse qualche cosa, egli dovrà portarla seco alla Casa e sarà impiegata a suo favore, perchè non è giusto che goda la carità altrui chi può vivere del suo.
  4) Che sia sano e robusto; non abbia alcuna deformità nella persona, nè sia affetto da malore schifoso o attaccaticcio.
  5) Saranno di preferenza accolti quelli che frequentano 1 'Oratorio festivo di S. Luigi, del Santo Angelo Custode e di San Francesco di Sales; perchè questa Casa è specialmente destinata a raccogliere quei giovani assolutamente poveri ed abbandonati, che intervengono a qualcheduno degli Oratorii summentovati.
   Sì fa preghiera a tutti i giornali amanti della pubblica beneficenza ad essere cortesi di voler inserire nelle loro colonne questa pubblica dichiarazione.
 
Sac. Giov. Bosco
Direttore.
 
Così accomodati gli studenti in modo che senza disturbo potessero approfittare delle lezioni, anche agli artigiani impartivasi l'istruzione necessaria elementare mentre imparavano la loro arte. Il Teol. Giacinto Ballesio stampava nella sua orazione funebre col titolo Vita intima di D. G. Bosco i seguenti periodi:
   “ Colla leva potente della Religione e dell'Amore, studenti ed artigiani lavoravano alacremente. E per dirne un cenno io ricordo ancora la gloriosa gara degli allievi della terza ginnasiale sotto il dotto professore Ramello, Un nove di lezione era per noi una disgrazia; gran parte dei numerosi alunni ebbe sempre i dieci punti. L'emulazione era in mano di D. Bosco un potente strumento al bene. A tal fine i premi annuali, a tal fine la domenica sera egli veniva nello studio e si leggevano ad alta voce i voti riportati da ciascuno nella trascorsa settimana. Su più che duecento studenti era raro un medie, rarissimo un male che veniva accolto con un senso di generale disapprovazione. Giusto e temuto castigo! La grandissima maggioranza riportava sempre un optime o fere optime. Ed a questo ardore sostenuto dalla religiosa educazione sì devono le palme poi mietute dagli studenti vuoi all'Università vuoi al Seminario, e il continuo progredire e perfezionarsi dei laboratorii nella sezione artigiana ”.
E D. Bosco incoraggiava i suoi artigiani narrando loro le speranze certe di un splendido avvenire anche per essi. Prometteva loro che le povere stanze, che ora li accoglievano per lavorare, sarebbero sostituite da vaste sale, non inferiori alle officine dei più rinomati stabilimenti; e fin dal 1856 aveva incominciato a parlare di esposizioni artistiche che si sarebbero poi fatte dei loro pregiati lavori, in ogni ramo di arte da essi coltivata. D. Rua era presente a queste descrizioni fatte da D. Bosco per più anni. Sembravano immaginazioni e favole queste sue promesse e divenivano invece una realtà.
   Ma quanto dovette egli faticare per giungere al punto che desiderava. Egli stesso raccontò tali vicende.
   Fin da quando ebbe incominciato a mettere in casa i laboratorii, Aveva preso a studiare quali fossero i mezzi per rendere meno faticosa e impacciata la direzione e come interessare i capi d'arte pel bene dei giovani. Tentò molteplici prove. Sulle prime i capi d'arte furono salariati come giornalieri, ma essi non si curavano del progresso degli alunni nel mestiere; e solo badavano a compiere con diligenza i lavori loro affidati e a ricevere la paga in fine di settimana. Poi li invitò a prendere in loro testa il laboratorio, come se fossero padroni di bottega, lasciando ad essi la cura di cercarsi in città commissioni di lavoro ed eseguirle; e in loro compenso concesse il diritto di ritenere il guadagno. Avevano però l'obbligo di pagare un piccolo salario a ciascun giovanetto, proporzionato alla sua abilità; ma allora gli alunni furono trattati come servitori, e ne scapitava grandemente l'autorità del Superiore, alla quale venivano sottratti. Non si poteva più esercitare una sorveglianza diretta; i giovani non obbedivano che al Capo; e talora lo stesso orario correva pericolo di non essere osservato per l'urgenza di un lavoro. Cercò di dividere con essi le spese e i guadagni; ma quelli non badavano che ai propri interessi, e ne' contratti che avevano talora incarico di fare, sapevano aggiustarsi in modo con l'altra parte contraente, da ricavar lucro per sè, con svantaggio della casa.
   Sul principio D. Bosco li obbligò a recare con sè i ferri del mestiere, mentre l'Oratorio doveva provvederli ai giovani; ma i capi adoperavano quelli degli apprendisti e risparmiavano i loro. Talora si pattuiva che egli avrebbe messo solo certi ferri determinati a disposizione dei capi, mentre gli altri se li porterebbero essi da casa: e il patto non era mantenuto. Li incaricò anche a suo conto, di provvedere ai giovani e a se stessi tutti gli istrumenti necessari, ma allora le spese a capriccio divennero continue, e più volte gli alunni non erano provvisti. E ora sorgevano le questioni di utensili rotti, ora di quelli scomparsi, ora di altri usati fuori del laboratorio, e in tempo di riposo o di ricreazione. Così pure dissensi sulle modalità dei lavori, diverbi sui guadagni, quando i capi erano interessati in un'impresa. Insomma fastidi sopra fastidi.
   Queste prove però che faceva D. Bosco avevano durato poco tempo, perchè finì con assumere egli stesso la piena assoluta direzione dei lavori, la sorveglianza e l'autorità senza controllo sugli apprendisti, le provviste di ogni specie che occorressero per i laboratorii. I capi non ebbero altro incarico che quello d'insegnare l'arte e custodire gli allievi. Ma anche con queste misure non gli mancarono dispiaceri, poichè vi furono capi esterni che a bello studio cercavano che i giovani di maggior ingegno non riuscissero valenti nel mestiere, per sospetto che poi venissero a toglier loro il posto ed il pane.
Nello stesso tempo doveva guardarsi da un grave urto che poteva accadere tra lui e gli artisti della città o almeno dei borghi più vicini, i quali avrebbero temuta una concorrenza, da essi preveduta dannosa ai loro interessi. Infatti egli, che disegnava nella sua mente vasti laboratorii per molti mestieri, comprendeva che non solo nelle piccole città, ma anche in una grande capitale potevano nascere pericolose gelosie. E dava nel segno, poichè alcuni anni dopo i tipografi di varie officine fecero ogni loro sforzo, perchè il Municipio costringesse D. Bosco a chiudere la sua tipografia appena incipiente. Adducevano per ragione la massima facilitazione di prezzi che egli avrebbe potuto concedere ai committenti per la stampa, ed ai compratori di libri.
   D. Bosco pertanto, per regola generale anche di ogni Ospizio che avrebbe in avvenire fondato, stabilì col fatto: Il lavoro agli artigiani lo dànno gli studenti. Questi, appena furono in certo numero, si dovettero vestire e calzare, ed ecco i calzolai ed i sarti; ebbero bisogno di libri e si aggiunsero i legatori; si incominciarono le costruzioni e furono necessari prima i falegnami e poi i fabbri ferrai. Ad ogni nuovo bisogno della casa sorgeva un laboratorio che provvedesse. La stessa tipografia fu poi istituita per la stampa delle opere nostre, principalmente delle Letture Cattoliche e poi per tante altre nostre associazioni. Nessuna tipografia o altra officina di Torino potè dolersi che per causa dell'Oratorio venisse a mancarle lavoro.
   Anzi le intenzioni di D. Bosco erano che gli stessi operai delle altre officine della città, che allora erano molto meno numerose e più piccole delle attuali, non avessero a temere che i suoi alunni divenuti abili artisti potessero essere in qualche modo prescelti dai padroni, in modo da cagionar gelosie. Vagheggiava l'ideale che la maggior parte di essi ritornasse al paese nativo, ivi mettessero su bottega dell'arte loro, e divenissero l'aiuto del parroco, nel cantare in coro, nel fare il catechismo e nel dare buon esempio colle parole e coi fatti ai loro compaesani. Senonchè il moltiplicarsi delle industrie, delle scoperte e delle arti meccaniche preparava lavoro per tutti nei grandi centri.
Intanto il buono spirito trionfava sempre nell'Oratorio e si manifestava con sempre nuovi frutti. Sul fine del 1857 erasi formata una nuova Compagnia che fu quella del SS. Sacramento, col fine della frequenza regolare dei Sacramenti e del culto alla SS. Eucarestia. Don Bosco ne ispirò l'idea al Ch. Bongiovanni Giuseppe che, avutane licenza, la tradusse in atto. A questa compagnia presero parte molti dei giovani più buoni e si distinguevano nella frequenza e divozione alla sacra mensa, traendo altri compagni col loro esempio.
Il Regolamento lo abbiamo trascritto da un autografo dello stesso D. Bosco.
 
   1. Lo scopo principale di questa compagnia si è promuovere l'adorazione verso la Santissima Eucarestia e risarcire Gesù Cristo degli oltraggi che dagli infedeli, dagli eretici e dai cattivi cristiani riceve in questo augustissimo sacramento.
   2. A questo fine i confratelli procureranno di ripartire le loro comunioni in modo che vi possa essere la comunione quotidiana. Ciascun confratello col permesso del confessore avrà cura di comunicarsi ogni giorno festivo ed una volta lungo la settimana.
   3. Il Confratello si presterà con prontezza speciale a tutte le funzioni dirette al culto della SS. Eucarestia, come sarebbe servire la santa Messa, assistere alla benedizione del Venerabile, accompagnare il viatico quando è portato agli infermi, visitare il SS. Sacramento quando è esposto nelle quarantore.
  4. Ogni socio procuri di imparare a servire bene la S. Messa, facendo con esattezza tutte le cerimonie e proferendo divotamente e distintamente le parole che occorrono in questo sublime mistero.
  5. Si terrà una conferenza spirituale per settimana cui ognuno si darà premura d'intervenire e d'invitare gli altri a venire pure con puntualità.
  6. Nelle conferenze si tratteranno cose che riguardano direttamente il culto verso il SS. Sacramento, come sarebbe incoraggiare a comunicarsi col massimo raccoglimento, istruire ed assistere quelli che fanno la loro prima comunione; aiutare a fare la preparazione ed il ringraziamento quelli che ne avessero bisogno, diffondere libri, immagini, foglietti, che tendono a questo scopo.
  7. Dopo la conferenza si tirerà un fioretto spirituale da mettere in pratica nel corso della settimana.
  8. Le domande d'accettazione si faranno per iscritto al Direttore della Compagnia che per via ordinaria sarà il Catechista.
  9. Ogni confratello nell'atto d'accettazione riceverà il regolamento della Compagnia con una medaglia benedetta da portarsi al collo in onore dei SS. Sacramento e di Maria SS.
  10. Sarà cura di un Segretario eletto a maggioranza di voti dai confratelli e confermato dal Direttore, il redigere e leggere i verbali delle conferenze, preparare i fioretti di cui è parola nell'articolo 7, tener nota della presenza ed assenza dei singoli soci, degli aspiranti o proposti, e dei novelli accettati per essere inscritti nel registro della Compagnia nella quale iscrizione consiste appunto l'atto essenziale dell'accettazione.
  11. Cadendo infermo qualche membro della Compagnia, i confratelli offriranno a Dio speciali preghiere pel medesimo. Qualora fosse chiamato dal Signore all'eternità, faranno tutti almeno una volta la S. Comunione e reciteranno la terza parte del Rosario colle Litanie della B. Vergine in suffragio dell'anima sua.
Primo Direttore di questa Compagnia fu lo stesso Ch. Bongiovanni, che umile, instancabile, mortificato, paziente, faceto, di condotta direi angelica, zelantissimo nel fare i catechismi, se ne prese una cura grande ed appassionata. Radunava gli ascritti alle conferenze settimanali per informarli dello spirito della Compagnia, e li riuniva in ricreazione quanti poteva, esilarandoli con arguzie ed episodi. “ Anche D. Bosco, osservava D. Savio Angelo, non trascurava cosa alcuna per animarli e con essi quelli delle compagnie di S. Luigi e dell'Immacolata. Li radunava a quando a quando separatamente, sotto la sua direzione faceva fare la lettura del Regolamento, ne dava la spiegazione, li invitava tutti a darsi buon esempio a vicenda; e intanto per grado preparavali insensibilmente al sacerdozio a misura che vedeva svilupparsi le vocazioni ”.
   D. Bosco intanto nel mese di settembre vestiva Bonetti Giovanni, coll'abito clericale, in novembre lo faceva indossare al giovane Celestino Durando; e ospitava nell'Oratorio D. Montebruno Francesco, il quale alcun tempo prima era già venuto da Genova per visitarlo. D. Montebruno questa volta per circa quindici giorni vi ebbe stanza; esaminò e studiò in azione il sistema educativo di Don Bosco, conferì lungamente con lui intorno alla direzione spirituale dei giovani, s'informò minutamente sulle usanze e sulle industrie adoperate per attirare al bene, specialmente gli alunni operai; e per allora si conveniva che il Direttore degli Artigianelli di Genova sarebbesi riservata la proprietà e l'amministrazione materiale della sua casa, con dipendenza però morale dalla direzione di D. Bosco.
   Ma D. Bosco in mezzo a queste sue trattative per i giovani non dimenticava gli interessi della Chiesa e dello Stato. Nell'ottobre erasi sciolta la Camera dei Deputati e pel 15 novembre erano convocati gli elettori per le elezioni generali. Mons. Fransoni e gli altri Vescovi della provincia torinese raccomandavano pubbliche preghiere, e ricordavano l'obbligo di dare il voto a persone probe, disinteressate e religiose.
   D. Bosco obbedì e si procurò i documenti necessari per dimostrare il suo diritto al voto. Sembra che il Segretario Comunale di Castelnuovo, Sig. Carano, avesse qualche dubbio su questo diritto, e D. Bosco gli scriveva:
 
Pregiat.mo Signore,
 
Ho comunicato il dubbio che V. S. mi notava sul mio domicilio al Sig. Conte Arnaud, il quale mi ha dato un parere che qui Le unisco.
Le mando pure nota dei censo che io pago.
   Vorrei essere elettore comunale e politico in Castelnuovo d'Asti mia patria.
   Se vi manca ancora qualche cosa spero che Ella sarà cortese di volermelo notificare. Dio benedica Lei e la sua famiglia e mi creda in quel che posso
Di V. S. Preg.ma
Torino, novembre 1857.
 
Dev.mo Servitore
Sac. Giov. Bosco.
 
La nota del censo, era la quietanza dell'esattore, dalla quale risulta che D. Bosco a Castelnuovo, per la prediale sui beni rurali pagava lire 6,94 e per quella sui fabbricati lire 32,14. Quale ricchezza!
   Con grande prudenza intanto cercava di promuovere l'elezione di buoni cattolici, e così scriveva al Can. Rosaz di Susa:
 
Carissimo Sig. Canonico,
 
Ieri soltanto ho ricevuto lettera dal Sig. Cav. Gonella sopra l'oggetto indicato; il ritardo provenne da che egli era assente. Risponde adunque: “ Se le cose stanno ancora nello stato in cui erano dalla data della sua lettera, mi sia compiacente significarlo, ed io spedirò tosto analoga risposta; dico però che la mia pochezza forse non corrisponderà ai voti di chi fu tanto buono di portare i suoi pensieri sopra di me ecc. ”.
  Pertanto se è ancora caso di parlare di questo affare mel dica e faremo il possibile. Certamente è difficile trovare un soggetto migliore per fermezza, religione, indipendenza e beneficenza.
Vale nel Signore, Mi creda tutto suo
Torino, I novembre 1857.
 
aff. amico
Sac. Giov. Bosco.
 
Il giorno delle elezioni i Cattolici, sperando nel buon successo, si mostrarono solleciti ad accorrere alle urne e riuscivano ad eleggere un buon numero di deputati onesti, fra i quali alcuni ecclesiastici insigni. Le elezioni però di questi sacerdoti furono annullate sotto pretesto di coercizione morale esercitata dal Clero. Si vide allora chiaramente come non si volesse consentire ai sacerdoti quella libertà che le leggi accordavano a tutti i cittadini e come si avesse ragione di propugnare più tardi la formola: Nè eletti, nè elettori. Entrarono tuttavia nell'aula parlamentare e vi durarono fino al 1860, il Conte Carlo Cays, e i Conti Solaro della Margherita, di Camburzano, Costa della Torre, Crotti di Costigliole ed altri intrepidi deputati cattolici, la maggior parte amici cordiali di D. Bosco. Costoro fecero più volte udire la nobile loro parola a difesa dei principii di sana politica e dei diritti della Chiesa. Talora ricorrevano ai consigli di D. Bosco, del quale era nota la prudenza in Torino, allorchè dovevano prendere importanti decisioni.
   Un giorno venne all'Oratorio il Conte di Camburzano con sei deputati della destra a chiedere a D. Bosco come avrebbero dovuto regolarsi nel votare, trattandosi di una legge che riguardava il Regio Economato per migliorare le sorti del basso clero. D. Bosco pensò e poi rispose: - Astenetevi dal dare il voto. - Infatti la legge di incameramento era stata contro giustizia, e quindi non si poteva disporre di roba confiscata da chi non ne aveva diritto. Il Conte di Camburzano aveva ascoltato D. Bosco, guardando i compagni con aria direi di mistero; ed esclamò infine: - Veniamo adesso da interrogare Don Cafasso, e il discepolo ci dà la stessa risposta che il suo maestro!
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