1858-Letture Cattoliche - Il piccolo clero: importanza di questa istituzione - La festa di S. Francesco di Sales - Il battesimo di un moro - VITA DEI SOMMI PONTEFICI S. ANICETO, S. SOTERO, S. ELEUTERIO, S. VITTORE, E S. ZEFFIRINO - Appello ai corrispondenti ed associati alle Letture Cattoliche. - Cesare Chiala collaboratore per queste stampe - D. Bosco sempre appoggio dei sacerdoti - Si dispone a recarsi a Roma colle commendalizie di Mons. Fransoni.
del 29 novembre 2006
L'anno 1858 incominciava colla spedizione delle Letture Cattoliche di gennaio. Il fascicolo conteneva una Breve esposizione delle epistole ed evangeli delle Domeniche e Feste del Signore, con preghiere e riflessioni ad uso del popolo cristiano. Le riflessioni sui vangeli sono quelle del Padre Carlo Massini, aggiunte all'incomparabile libro da lui composto sulla vita di N. S. Gesù Cristo. Quelle sopra le epistole sono scritte da un sacerdote dotto e pio, il quale le compose sul modello delle prime. Il fascicolo era una prova, che la Chiesa mette continuamente innanzi agli occhi dei fedeli le sacre carte, acciocchè possano meditarle; e quindi una confutazione alle accuse dei Protestanti.
Ma se questo libro era un eccitamento a tutti i cri­stiani acciocchè partecipassero con fede ai sacri misteri degli altari, allo stesso fine iniziavasi nell'Oratorio una novella istituzione. Il Chierico Bongiovanni Giuseppe, fondata e organizzata la Compagnia del SS. Sacramento, ne ideò una seconda, come appendice della prima, ossia il piccolo clero. Oltre il decoro della casa di Dio, suo scopo primario fu di coltivare nei giovani studenti più virtuosi la vocazione allo stato ecclesiastico, e specialmente tra gli alunni delle classi superiori. Eglino, dopo di essersi convenientemente addestrati nelle cerimonie ecclesiastiche, dovevano, vestiti di talare e cotta, servire per turno la santa messa nei giorni festivi, ed assistere in corpo alle sacre funzioni in presbiterio nelle principali solennità dell'anno. All'occorrenza erano eziandio preparati all'ufficio di ceriferi, accoliti, turiferari, crociferi, cerimonieri ecc., per la messa solenne, i vespri, per la benedizione col SS. Sacramento, per le processioni, per tutte le funzioni della Settimana santa e gli uffici e accompagnamenti funebri.
La direzione di questo clero doveva essere affidata ad un sacerdote esperto, zelante e di buono spirito, che per via ordinaria sarebbe stato il Catechista dell'Oratorio. Egli nel disimpegno di tale attribuzione poteva associarsi alcuni dei più anziani di quel clero, affidando ad uno la manutenzione delle vesti e delle cotte, e ad un altro la disciplina durante le sacre funzioni in qualità di cerimoniere.
Primo direttore o presidente ne fu per eccezione e per merito lo stesso Ch. Bongiovanni Giuseppe, il quale e allora e quando fu sacerdote si mostrò zelantissimo nel premunire colle sue prediche e colle conferenze prima i giovani, e poi il popolo, contro gli errori dei protestanti e specialmente nel difendere nel modo più attraente e persuasivo la verità cattolica della presenza reale di Gesú Cristo nella SS. Eucarestia.
       Nello stesso tempo seppe insegnare al suo giovane clero tale un contegno, che nessuno li avrebbe creduti giovani secolari, quando nel tempo dei sari riti, apparivano in veste talare e cotta in chiesa o in processione per la città; tanta era la modestia negli occhi e la gravità nel portamento.
       Corretto ed approvato da D. Bosco, ecco il Regolamento del Piccolo Clero.
 
   1. Il presidente della Compagnia del SS. Sacramento, previa domanda, sceglierà tra i confratelli della stessa i giovani più anziani e più esemplari e li ammetterà nel Piccolo Clero.
   2. I confratelli siano puntuali al suono del campanello.
   3. Nella scala procurino di non fare schiamazzo.
   4. Nella camera del Piccolo Clero si deve osservare rigoroso silenzio e stare attenti alla lettura.
   5. Nessuno deve prendere veste, berretta, collare degli altri; neppure frugare negli armadi: quando occorre qualche cosa si chieda a chi n'è incaricato.
   6. Ognuno procuri di essere sottomesso al distributore delle cotte, della colezione e merenda.
   7. È  proibito recarsi nella camera del Piccolo Clero fuori di tempo.
   8. In sacrestia ognuno stia raccolto al proprio posto.
   9. Nell'andare all'altare si eviti l'affettazione e la precipitazione.
   10. Durante le funzioni non si stia divagati, ma sempre attenti ai cenni del Cerimoniere.
   11. Nessuno esca dal Presbiterio in tempo delle sacre funzioni.
   12. Dopo le funzioni non si accalchi per la scala; ma ognuno col proprio compagno, deponga al numero assegnato la berretta, la veste ed il collare, e consegni al distributore la cotta.
   13. Chi non potesse intervenire al Servizio avverta chi di ragione.
   14. Allorchè si va a servire fuori, ciascuno si dimostri giovane ben educato.
   15. Quando succedesse qualche inconveniente, non si mormori; invece si presenti la difficoltà al Presidente.
   16. Sia impegno particolare di ciascuno di sostenere l'onore della Compagnia colla buona condotta e frequenza ai SS. Sacramenti.
   17. Quando il Presidente credesse bene potrà espellere quei giovani che non ne fossero degni, per voti scadenti od altro.
   18. Osservi ognuno questo piccolo regolamento e allora sarà consolante il contegno dei confratelli e maggiori le Benedizioni che il Signore spargerà sulla Compagnia.
 
Ad maiorem Dei gloriam.
 
A questo regolamento D. Bosco aggiungeva una norma pratica per il Presidente, acciocchè non venisse meno lo spirito di devozione; e si potessero correggere con profitto le mancanze nel servizio all'altare cagionate da leggerezza. Era formolata in questi termini: “ Qualora un membro del Piccolo Clero col suo contegno poco, edificante venisse meno al suo dovere, potrà esserne dimesso o sospeso dal Direttore per un tempo più o meno lungo secondo la gravità del caso. Continuerà però sempre ad appartenere alla Compagnia ed a frequentare, col permesso del Direttore, le Conferenze settimanali, per migliorare la sua condotta ”
            E il Piccolo Clero fu da questo istante il più caro ornamento non solo delle solennità dell’Oratorio, ma l'aiuto a varie parrocchie e istituti di Torino che per mancanza di servizio religioso non avrebbero potuto celebrare decorosamente le loro feste. Specialmente nella Settimana santa, messi a parte quelli destinati per le funzioni della Casa, gli altri divisi in piccole schiere uscivano a servire, e talora successivamente, in più chiese. E ancora oggigiorno si continua questa pia costumanza.
      Ma quanto costò al Bongiovanni tale compagnia, che diede alla Chiesa un gran numero di ministri degli altari, lo sa il suo angelo custode, il quale contò tutti i suoi sospiri e i suoi retti pensieri. Le difficoltà che dovette superare nel far coraggio ai buoni e nel sopportare anche qualche beffa da chi non ne conosceva o non apprezzava abbastanza la sua santa intenzione e gli ottimi frutti, le sanno in parte anche i suoi Congregati d'allora. Questi dividevano con lui come le consolazioni, così le tribolazioni e le piccole persecuzioni per parte di qualche discolo, che non manca mai in una comunità.
      D. Bosco osservava, incoraggiava, proteggeva Bongiovanni e i suoi, avvertiva anche severamente certi spensierati, ma non di rado sembrava che tollerasse qualche critica o scherno, se non erano effetto di avversione al bene. Ei si compiaceva che si assuefacessero a non perdersi d'animo per una sciocca o maligna parola, che si agguerrissero contro il rispetto umano, e portassero alta la fronte, gloriosi di servire il Signore.
      Per un altro suo fine adoperavasi perchè la loro virtù fosse ben fondata e coraggiosa. Per quanto era possibile insisteva che i cantori appartenessero al Piccolo Clero, del quale voleva che la musica fosse un officio suo proprio. Quindi esigeva che il Catechista non pretendesse che coloro i quali avevano voce più armoniosa degli altri dovessero lasciare l'orchestra per servire all'altare, a meno che il maestro di musica dichiarasse non essere necessaria la loro presenza nel coro. - Ad essi, diceva, si lasci il servizio delle sacre funzioni nelle feste secondarie, quando si eseguisce la messa in canto fermo.
      La prudenza suggeriva tale norma.
      I cantori, molto numerosi, sono i meno sorvegliati, nell'andare alla scuola di canto, nell'assistere alla lezione, nel ritornare alle ordinarie occupazioni, e nello stare in orchestra. Talvolta debbono anche recarsi nei vari paesi ove sono invitati per qualche solennità. È perciò necessario che siano i migliori e più divoti fra gli alunni per essere di edificazione al popolo. Infatti era ed è un efficace buon esempio, per una borgata o per una città, vedere tutti quei cantori fare al mattino la loro comunione con molto raccoglimento e poi cantare con tanta espressione di fede. Avviene anche che questi giovanetti, non potendosi in paese trovare luogo che basti per albergarli tutti insieme, sono ospitati a piccoli gruppi presso vari abitanti, lieti di aderire all'invito del parroco o del priore della festa. In questi casi può accadere che alcuno si trovi in qualche pericolo di offendere il Signore, per timidezza di carattere, mentre chi è forte e risoluto nel santo timor di Dio sa schermirsi dalle imprudenti e insidiose sorprese. Infatti si vide in certa occasione un nostro giovanetto cantore alzarsi in piedi e intimare silenzio a qualche amico del suo ospite, che, invitato a pranzo, incominciava discorsi sconvenienti. Un altro musico con assennate risposte ridusse a tacersi chi aveva preso a vilipendere religione e sacerdoti. Più volte, giunti questi buoni figliuoli a destinazione la vigilia di una festa nella sera del sabato, e andati ciascuno al domicilio che loro era stato fissato, alcuni trovarono preparata la cena con vivande di grasso.
      - Mangiate pure, diceva il padrone. Non abbiate scrupoli; D. Bosco non vi vede, non lo saprà.
Ma il giovane rispondere coraggiosamente: - D. Bosco lo so che non mi vede; ma vi è un altro che mi vede! Dio! - E contentarsi di pane e frutta.
      D. Bosco intendeva adunque che i cantori fossero una predica vivente nei luoghi ove andavano e che perciò appartenessero al Piccolo Clero. Così acquistavano simpatia e stima grande per l'Oratorio, e tanti piccoli aneddoti di virtù coraggiosa erano celebrati da tutti, anche da coloro che imprudentemente non avevano badato ai riguardi dovuti a fanciulli.
      Questa nuova scelta Compagnia del Piccolo Clero, il giorno della Purificazione di Maria SS., consacravasi al divin culto circondando in sacre divise l'altar maggiore, mentre due de' suoi membri servivano alla messa della Comunità, celebrata da D. Bosco. Il 31 gennaio però aveva già fatta la sua comparsa in presbiterio nell'ora delle solenni funzioni in onore di S. Francesco di Sales. Ma il servizio all'altare spettava ai chierici propriamente detti, i quali per lunghi anni ancora, non rinunziarono a tale onore. Di questa festa dà relazione l'Armonia nel suo numero di giovedì 4 febbraio 1858.
      E’ stata la domenica ora scorsa un giorno di solenne e lietissima festa pei buoni giovanetti dell'Oratorio di S. Francesco di Sales. Orazio, il quale aveva insegnato che omne tulit punctum qui miscuit utile dulci, non si sarebbe pensato che il cristianesimo avrebbe suscitato di tali uomini, i quali per segreto e soave impulso della divina grazia, o, come altri direbbe, per felicità di natura, avrebbero in ogni atto largamente applicato quella sua massima, non per guadagnarsi gli applausi, ma per avviare turbe di gente sulla strada del cielo. E uno di cotali uomini è appunto l'egregio e benemerito sacerdote D. Bosco.
Del che han potuto averne una prova quelli che ieri furono all'Oratorio. Si celebrava la festa del santo titolare di quella chiesa e tutta la giornata fu così saviamente distribuita ed avvicendata in cose dilettevoli e sante, che essa passò tutta intiera come un momento a quella moltitudine di giovanetti. Vi fu sul mattino una comunione generale, alla quale si accostarono più di quattrocento fanciulli radianti nel volto per santo gaudio. Vi fu quindi messa solenne, stata cantata dal Prof. Ramello, che con amore e con gioia da circa un anno aiuta D. Bosco nella santa opera affidatagli dalla Divina Provvidenza. La musica dell'Orchestra era composta tutta di quei giovanetti, parte studenti, parte artisti, buoni in generale, alcuni ottimi. Chiunque conosca l'indole irrequieta e mobilissima dei fanciulli, avrebbe agevolmente fatto le meraviglie che regnasse in quella stipata chiesa tanto raccoglimento e tanta devozione e ciò senza gran numero di assistenti. Pure è così; basta a contenere nel dovere la virtuale presenza del caro lor Direttore. Il dopo pranzo fu rallegrato da belle e svariate sinfonie di quella banda, e reso incantevole da lieti ed onesti solazzi di tutta quella vivacissima turba. Dopo il vespro ebbe luogo il battesimo d'un moro adulto solennemente amministrato dall'Ill.mo e Rev.mo Mons. Balma stando a padrini il Conte e la Contessa di Clavesana, ai quali il suddetto moro va debitore della doppia sua redenzione temporale e spirituale. Compito il Santo Rito, Monsignore, salito all'altare, pronunziò non istudiate, ma commoventi parole in proposito, le quali furono con frutto e religiosamente ascoltate dall'affollata udienza,
Terminate così le funzioni religiose colla benedizione del SS. Sacramento, si passò alla distribuzione dei premi, presieduta pur essa dall'esimio Prelato. I premiandi erano parte studenti e parte artisti, nè furono i superiori, che quelli aggiudicarono, ma il libero coscienzioso voto dei compagni. La solita banda rallegrava gli intermezzi. Fu chiusa la distribuzione con un canto popolare intitolato: Pianto dei Romani per la partenza di Pio VII, egregiamente eseguito dal giovane Tomatis Carlo con un coro di più di venti voci. Dovette allora Monsignore privare di sua presenza quella cara gioventù da lui, benedetta, ma certo porterà con sè lungamente tenera ricordanza di si devota e lieta funzione come resteranno incancellabili nel cuore di quei giovani e le savie sue parole e i paterni suoi modi.
Restava ancora la rappresentazione d'un dramma intitolato: Baldini, bellissimo soggetto morale ed educativo. Si tratta di un nobile cuore, che, trascinato dai cattivi consigli d'un compagno sulla via del delitto, giunge fino al segno di farsi capobanda di briganti. Ma la memoria di sua madre opportunamente rinverditagli, lo richiama all'onore e alla virtù. La capace e lunga sala, che serve di studio, illuminata a gasse fu prestamente convertita in teatro. I giovani attori si fecero tutti onore, ma sovra tutti si guadagnò la simpatia e gli applausi il sig. Fumero, stato allievo della Casa. Finito il dramma, e rialzato di nuovo il sipario, si vide sulla scena un'urna e un giovane che andava a depositarvi sopra una ghirlanda di fiori. Quando a poco a poco esce dietro dell'urna un'ombra biancovestita e con in mano una fiaccola che con bellissimo e funereo canto prese a rimproverare al giovane suo figlio le vanità de' suoi giacinti e la sterilità delle sue lagrime. Era l'ombra di Vinciguerra, e l'esecutore il già lodato Tomatis pittore.
      In cotal modo miscendo utile dulci, con grandissimo senno e con paterno amore l'esimio e reverendo D. Bosco seppe in un giorno solo santificare e rallegrare tanta gioventù, che egli ama come suoi figli e cui essi amano come lor padre.
Intanto D. Bosco erasi affrettato a preparare e a consegnare a Paravia due altri fascicoli delle Letture Cattoliche, risoluto di portarsi ai piedi del Vicario di Gesú Cristo per trattare con lui del modo di rendere perpetua la sua iniziata società.
      Pel mese di febbraio era destinato il libretto anonimo: La Quaresima cristiana. Vi si leggono brevi ma importantissimi cenni storici e morali sull'osservanza del digiuno quaresimale, il quale ha origine dai tempi apostolici; sull'obbligo di fare la quaresima, sul modo di santificarla, sulle dispense e sugli indulti concessi dalla materna bontà della Chiesa.
      Riguardo a questo libro, ecco come. si esprime l'Armonia dell'II marzo:
Nella Quaresima cristiana l'autore seppe raccogliere il fiore di ciò che venne scritto sull'astinenza in generale, e sulla quaresima, spogliandolo di tutto ciò che avvi di troppo astruso o troppo erudito per l'intelligenza del comune dei lettori a cui questi libriccini sono diretti. Noi, che sappiamo anche un po' per esperienza quanto sia difficile il parlar di cose gravi e profonde al popolo, mandiamo le nostre congratulazioni agli scrittori delle Letture Cattoliche, i quali generalmente, sia per la scelta degli argomenti, sia per il modo di trattarli, sanno così bene acconciarsi alla capacità del popolo, trovando modo di istruirlo ed allettarlo perchè si lasci istruire.
Pel mese di marzo si preparava la Vita dei Sommi Pontefici S. Aniceto, S. Sotero, S. Eleuterio, S. Vittore e San Zeffirino (F). Questo fascicolo benchè anonimo è certo essere uscito dalla penna di D. Bosco. Egli dimostra l'uso della confessione sacramentale essere stato in pieno vigore ne' tempi di questi Pontefici; scrive dei miracoli e della legione fulminante, delle eresie e delle morti sciagurate degli eresiarchi, del digiuno in preparazione alla Santa Messa, dell'astinenza dalle carni al venerdì, della Comunione pasquale, dei martiri di Lione e delle sante Felicita e Perpetua.
    Era questo il primo fascicolo dell'anno sesto delle Letture Cattoliche, e D. Bosco nel mese di febbraio lo faceva precedere dal seguente appello:
 
Ai Benemeriti Corrispondenti ed ai Signori Associati.
 
Mentre compiamo all'obbligo che ci corre di ringraziare i Signori Corrispondenti dello zelo con cui ci aiutarono anche in quest'anno alla propagazione delle nostre popolari pubblicazioni le Letture Cattoliche, abbiamo la dolce soddisfazione di annunciare loro che le medesime continueranno come per il passato.
     Le parole e le lettere di incoraggiamento che distinte persone ben vollero indirizzarci, ci animarono a proseguire quest'opera di popolare istruzione in mezzo ai sacrifizi di ogni specie cui dobbiamo sottostare.
     Confidenti pertanto nella continuazione del concorso tanto dei benemeriti Corrispondenti quanto in quello dei Signori Associati, che caldamente imploriamo, noi apporteremo nell'anno VI che siamo per incominciare quei miglioramenti che sono compatibili sia riguardo la parte morale, sia riguardo la parte materiale dei fascicoli.
     Per questo però abbisognamo che nessuno degli associati ci abbandoni, che anzi vorremmo che ogni antico associato si adoperasse e fosse da tanto di procurarcene uno nuovo.
     Per questo non ci vuole che un po' di buona volontà, ed un po’ di zelo pel bene del nostro prossimo.
     Pur troppo sappiamo che in molti villaggi sono tuttora pressochè sconosciute le Letture Cattoliche, ma che vi penetrano cattivi giornali e libri scritti a bella posta per falsare la morale e corrompere i cuori. Ci duole all'anima che quei nostri fratelli abbiano il veleno e siano privi dell'antidoto.
     Supplichiamo pertanto e scongiuriamo i nostri confratelli sacerdoti a volersi adoperare onde ottengano le medesime tutta la possibile pubblicità, e ne avranno, speriamo, il merito agli occhi di Dio e della stessa società cristiana.
 
NOTE. La direzione ha tenuto conto di tutti i consigli e suggerimenti, che tanto gli associati quanto i corrispondenti e gli amici le porsero per quei miglioramenti che sono possibili sia nella pubblicazione dei fascicoli, sia riguardo alla materia da trattarsi: la medesima sarà sempre riconoscente a coloro che le faranno amichevoli osservazioni.
     Preghiamo caldamente quei signori associati i quali non leggono i fascicoli o per mancanza di tempo o per la semplicità della materia che trattano, di non tenerli inoperosi ed ammucchiati nei loro scaffali, ma bensì di farli passare alle mani di coloro che non possono o non vogliono associarsi.
     Nell'uffizio della Direzione centrale delle Letture Cattoliche, via S. Domenico n. II in Torino, si trovano vendibili le operette già pubblicate negli anni precedenti. Coloro che acquistano cinquanta copie di una medesima operetta avranno dieci copie gratis, e chi ne acquista cento ne avrà venticinque gratis. Le spese di posta o di porto sono a carico dei committenti.
 
D. Bosco aveva così provvisto al bisogno di tale pubblicazione, ormai diffusa nella Lombardia, nella Toscana, nella Sardegna, nella provincia di Nizza marittima e nel Trentino, coi rispettivi centri di corrispondenza; ma egli finalmente non era più solo a prepararla. Un giovanotto di famiglia distinta, impiegato alle regie poste, fornito d'ingegno e di grande bontà, bene istrutto nella religione, che aveva frequentato l'Oratorio festivo ne' suoi primordi, Cesare Chiala, invitato da D. Bosco, già aiutavalo a preparar materiale per scrivere que' fascicoli; e poi continuava per più anni. Correggeva stampe, traduceva opuscoli dalla lingua francese. Vari libretti anonimi, sono opera sua, riveduti però da D, Bosco con grande diligenza. Alla sera, dopo aver pranzato colla sua signora madre in città, veniva in Valdocco, si ritirava in una cella per lui destinata e lavorava fino ad ora tardissima. Molte volte dormiva all'Oratorio, e al mattino faceva le sue divozioni in mezzo ai giovani con una pietà edificante. Era il buon esempio di tutti. Venuta l'ora della colazione, si rifocillava mangiando un po' di pane asciutto coi chierici e poi andava al suo ufficio delle Poste. Talora accompagnò D. Bosco ai Becchi, per continuare sotto la scorta del suo maestro quelle composizioni; ma anche qui si,contentava al mattino di mangiare pane scusso, e non voleva altro.
      Assicurato così il regolare andamento delle Letture Cattoliche anche pel tempo della sua assenza, D. Bosco ultimava eziandio qualche pratica presso il Governo in favore di ecclesiastici che valevansi del suo appoggio pel conseguimento di qualche diritto o favore o per la rimozione di qualche ingiusto gravame.
      La seguente lettera, per riportarne una fra molte, è scritta in questi stessi mesi dalla consorte del Conte Ponza di S. Martino. La nobile signora assicurava D. Bosco di interessarsi per un affare riguardante il Canonico Degaudenzi, arciprete della Basilica Metropolitana di Vercelli.
 
Molto Rev.do Signore,
 
Mi perdoni s'io l'incomodo mandandole la lettera pel signor Arciprete di Vercelli di cui temo non sapere fare bene la soprascritta non avendo sottocchio il suo nome, che fu da me consegnato, colla lettera ch'egli scrisse, a mio marito per gli appositi schiarimenti. Vorrei che la cosa riuscisse per questo principalmente che lo desidera V. S. M. Reverenda, per la quale io sono compresa non dico di quella stima, ma di quella ammirazione che si deve avere del suo nome fatto oramai sinonimo di vera carità cristiana. Epperò Ella ha singolarmente confortato l'animo mio, dicendomi che si ricordava dei miei figli nelle sue preghiere, ch'io tengo per loro come arra di grazia particolare del Signore. Il mio Coriolano si prepara per la prima comunione a questa Pasqua. Da quest'atto solenne forse dipende la sua futura condotta religiosa. Si pensi V. S. con che sollecitudine il mio cuore materno ne vegga approssimare il tempo, e se qualche esortazione, qualche santa parola di V. S. varrà ed infervorarlo, io ne La benedirò per tutta la vita. I miei figli sono la mia cura e la mia delizia, e se il Signore me li vuol render tutti veramente cristiani e religiosi, qualunque cosa mi avvenga di poi, Egli mi avrà sempre dato più che abbondantemente la mia parte di bene su questa terra. V. S. M. Reverenda mi perdoni la digressione e voglia Ella credere ai sensi del mio più profondo osseqnio.
 
MINERVINA DI S. MARTINO
nata Di BAGNOLA.
 
D. Bosco intanto, previo consiglio di D. Cafasso e del teologo Borel, aveva scritto una seconda lettera a Mons. Fransoni, esponendogli alquanto diffusamente il modo col quale intendeva fondare una Società religiosa di voti semplici, i membri della quale, anche dopo la professione, potessero godere di tutti i diritti civili, ed in riguardo alla legge dello Stato fossero liberi cittadini. Nello stesso foglio gli dava notizia come egli, per obbedienza alla sua raccomandazione, era sulle mosse per recarsi a Roma. L'Arcivescovo accolse di buon grado questa comunicazione di Don Bosco e dal luogo del suo esiglio lo munì dì un'ampia Commendatizia. In essa quell'ottimo Pastore rivelava la sua più alta benevolenza verso D. Bosco, ne esaltava la carità e lo zelo per la buona educazione della gioventù, segnalava il bene religioso e morale, che aveva già fatto in Torino coll'opera degli Oratorii, e rispettosamente, ma colla più viva istanza, pregava il Santo Padre, che gli fosse largo de' suoi illuminati consigli e dell'appoggio della suprema sua Autorità.
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