Si tiene Capitolo per l'accettazione di un socio - Testamentino: D. Bosco dà qualche spiegazione sulla profezia della fine del mondo; annunzi a una grande carestia e mortalità - Riflessioni sulle profezie bibliche - Progetti per ampliare L'Oratorio - La festa di S. Francesco di Sales - D. Bosco predica gli esercizi nel Seminario di Bergamo: effetti della sua parola: vede ciò che accade nell'Oratorio: in mezzo ai Seminaristi - Lettera che ricorda questi esercizi - Ritorno di D. Bosco a Torino: scioglie li accalappiati dal demonio - Come fa D. Bosco per vedere le cose lontane: lavorar molto è suo dovere - Continuano le conseguenze del sogno - D. Bosco annunzia che dirà ad ogni allievo qualche cosa sopra il suo avvenire e sui nemici dai quali deve guardarsi - Meravigliose confessioni - La confidenza in Savio Domenico e la benedizione di D. Bosco guariscono un infermo - Come D. Bosco accetti le lodi e i biasimi - Tre furberie spirituali - Capitolo e accettazione di un nuovo socio.
del 30 novembre 2006
Il 23 gennaio, festa dello sposalizio di Maria Vergine con S. Giuseppe, D. Bosco accondiscendeva alla domanda rimessagli sul finire dell'anno passato dal suo chierico Boggiero, addetto al piccolo Seminario di Giaveno. Leggiamo nei verbali del Capitolo:
L'anno del Signore 1861 li ventitrè gennaio, il Capitolo della Società di S. Francesco di Sales si radunò per l'accettazione del chierico Boggero Giovanni di Cambiano figlio di Michele. Premessa  l'invocazione allo Spirito Santo, fecesi dal Capitolo la votazione, la quale fu a pieni voti in favore di detto chierico Boggero Giovanni. Pertanto fu ammesso alla pratica delle Regole della Società.
Grande era il gaudio di D. Bosco in queste accettazioni. Oltre la buona ed esemplare condotta dei suoi chierici, vedeva in loro un grande impegno nello studio della Filosofia e della Teologia, sicchè poteva prevedere che sarebbero riusciti valenti ministri del Signore. Ed egli eccitavagli a fornirsi di nuove cognizioni di ermeneutica sacra, continuando l'usanza del così detto Testamentino. Tutte le settimane, come abbiamo già narrato, dava loro da studiare a memoria alcuni versicoli del Nuovo Testamento e radunandoli poi al giovedì, dopo la recita, talvolta commentava egli stesso brevemente ciò che si era studiato.
“ Il 31 gennaio, scrive D. Ruffino, in occasione di questa recita, D. Bosco commentò alcuni versicoli di S. Luca al capo ventuno: Surget gens contra gentem, et regnum adversus regnum. Et terraemotus magni erunt per loca, et pestilentiae et fames, terroresque de coelo, et signa magna erunt. Sed ante haec omnia injicient vobis manus suas, etc. Quindi dopo aver parlato della fine del mondo diceva: - Se si dovesse prestar fede a certe rivelazioni e profezie parebbe che tale avvenimento possa accadere sul finire di questo secolo. Si potrebbe dire che molti dei segni predetti già vi siano. Le guerre si succedono in ogni parte del mondo, gens contra gentem, il fratello contro il fratello, la Chiesa oppressa, i sacerdoti perseguitati, imprigionati, uccisi, i sacrilegi vandalicamente e legalmente commessi ecc. ecc. Anche San Gregorio Papa da molti indizi argomentava, che a' suoi
tempi non fosse lontana la venuta sulla terra del Salvatore per giudicare tutte le nazioni. Non indovinò questo gran santo, non indovineranno gli altri. È un segreto che Dio ha riserbato per sè . Tuttavia si deve tener conto di tali segni, poichè il succedersi di tanti spaventosi sconvolgimenti e di tante miserie non è altro che un triste e lento preludio dell'inevitabile catastrofe finale, e un ricordo continuo del gran giorno delle giustizie di Dio.
” E poi aggiungeva: - Riguardo al pestilentiae et fames noi avremo non so se quest'anno, o l'anno venturo, oppure se da qui a due o tre anni una carestia ed una mortalità. Questa mortalità io giudico che non sia solamente quella della guerra attuale, ma una pestilenza o colera, cosicchè vi sarà gente che domanderà pane e non potrà averne; e vi sarà pane, ma non vi sarà gente per mangiarlo ”.
D. Bosco alludeva certamente a qualche rivelazione, se così vuole essere chiamato tale presagio, poichè ne' varii sogni fa spesse volte cenno di peste, fame e guerra, ma senza determinare il tempo quantunque sembra che debbano essere contemporanee.
E poichè noi da qui innanzi ci incontreremo in non poche descrizioni che D. Bosco fece sugli avvenimenti futuri, crediamo opportuno, per norma dei lettori, di presentar loro alcune osservazioni, che fa il Vigouroux tratte dai santi Padri nel suo Manuale Biblico, volume Il, parte III Capitolo I, articolo I, numero 899 sui vaticini dei Profeti dell'Antico Testamento. Queste si potrebbero adattare al caso nostro, se però il giudizio di chi solo ha la podestà di riconoscere nei servi di Dio l'ispirazione sovrannaturale, non dissentirà dalla nostra opinione.
Dice adunque l'autore citato: “ Le profezie sono spesso avviluppate da oscurità; il che proviene da molte cause:
”l° Una delle principali è la nostra ignoranza .....
”2°Una parte dell'oscurità delle profezie proviene dalle profezie stesse, poichè è intrinseco alla lor natura il non essere del tutto chiare e precise, come quelle che predicono avvenimenti non ancora compiutisi; che perciò non possono far conoscere se non in modo generale, senza indicare un gran numero di circostanze accessorie; cosicchè ci danno dell'avvenire uno schizzo, non un quadro finito. Per conseguenza necessaria, sono alquanto vaghe, di forme e contorni indecisi e quasi avvolti in una specie di nube. A quella guisa che varii antichi fatti ci riescono oscuri, perchè non ne conosciamo che pochi lineamenti ad es. la storia di Lamech nel quarto capo della Genesi; così gli avvenimenti futuri predetti dai profeti sono ai nostri occhi indistinti, perchè non ne vediamo che pochissimi tratti.
”3° Un'altra cagione dell'oscurità delle profezie è la mancanza di distinzione dei tempi nelle predizioni del futuro. Esse sono come quadri senza prospettiva. Spesso Dio rivelava contemporaneamente ai profeti avvenimenti diversi, che dovevano compiersi in diverse epoche, e nondimeno li mostrava loro sovra uno stesso disegno, qual che si fosse la data loro assegnata, confusi insieme i più prossimi coi più remoti, come la rovina di Gerusalemme e la fine del mondo, ad es. in S. Matteo al Capo ventiquattro. Perciò stesso è difficilissimo distrigarli ”.
Ritorniamo ai nostri racconti. Si era nella novena di S. Francesco di Sales, la cui festa nell'Oratorio solevasi celebrare la domenica seguente al giorno 29. Quindi il giorno 1° di febbraio, D. Bosco, dopo di aver raccomandato al santo suo Patrono un disegno di ampliamento dell'Oratorio, faceva domanda al sindaco di Torino per occupare parte della strada comunale che andava alla fucina delle canne e per chiudere la via della Giardiniera. E il 15 febbraio il Sindaco gli rinviava la domanda, munita del parere degli uffici d'arte, affinchè D. Bosco concertasse il progetto cogli altri proprietari interessati.
” Alla sera del 1° febbraio D. Bosco aveva parlato ai giovani dopo le orazioni, ed ecco il sunto del suo sermoncino.
” Domenica faremo una bella festa. Oltre la mondezza del corpo conviene che ci sia la mondezza dell'anima. È vero che tutti avete i conti aggiustati, poichè da un mese in qua non si fa altro che confessare; confessioni generali o particolari di ogni maniera; tuttavia desidero che tutti i giovani del mondo, ma specialmente quei dell'Oratorio acquistino l'indulgenza plenaria. Dissi che tutti avete i conti aggiustati ma non è vero, ce ne sono ancora alcuni che fanno i sordi e resistono alla voce del Signore. Loro non basta sentirla, ma ci vuole qualche cosa d'altro per commuoverli. Però questo numero che fa resistenza è così piccolo che appena giunge al numero plurale. Ma sono ben sfortunati coloro i quali non si approfittano di tante grazie ed occasioni straordinarie a vantaggio della loro anima. Io per mia parte acquistai più scienza in quelle tre notti sopradette che non in tutto il corso della mia vita. Anche que' disgraziati ascoltino adunque l'avviso del Signore e se essi tarderanno ancora ad ordinare le loro coscienze io stesso li chiamerò poi in mia camera ”. Così la cronaca di D. Bonetti e di D. Ruffino.
Il 3 febbraio si celebrò la festa di S. Francesco di Sales, L'Armonia così ne parla nel N. del giorno 6.
“Domenica passata abbiamo assistito ad una tenera ed edificante funzione. Erano i figli dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, fondato da quel zelantissimo apostolo, da quel padre dei giovani, che è D. Bosco, i quali celebravano la festa del loro Patrono. E la celebrarono con esercizii di pietà, coll'accostarsi ai santi Sacramenti, con funzioni solennissime, con un commovente discorso detto dal canonico, Galletti, e con un trattenimento musicale e una teatrale rappresentazione. A' numerosi Torinesi concorsi a prendere parte a quelle funzioni i figli di S. Francesco di Sales provarono la verità di quella sentenza di S. Paolo: È buona a tutto la pietà, avente le promesse della vita di adesso e della futura ”.
Il 4 febbraio lunedì, D. Bosco partiva da Torino e andava a dettare gli esercizi spirituali nel Seminario di Bergamo invitato da Mons. Speranza. Fu destinato ad accompagnarlo dalla camera al pulpito il Ch. Locatelli che poi fu Vicario di S. Alessandro, succursale della Cattedrale; ed egli ci narrò gli effetti della semplice ed impareggiabile eloquenza di D. Bosco e come ci troncasse a metà la predica sull'inferno per la commozione che impedivagli la parola, e i singhiozzi che non poteva comprimere. Fu enorme l'impressione che produsse sugli uditori.
“In questi giorni, scrissero Bonetti e Ruffino, accadde un fatto il quale ci persuade sempre più che D. Bosco vede le cose lontane. Il mercoledì verso le sei di sera egli scriveva una lettera a D. Alasonatti nella quale si contenevano le seguenti righe. - Ieri martedì il demonio fece un gran guadagno fra i giovani dell'Oratorio e temo che oggi faccia ancora il resto. - Mentre scriveva vide che nell'Oratorio i due giovani Jarach e Parigi si erano messi in quello stesso tempo a scrivergli un biglietto e poi osservò eziandio che si correvano dietro l'un l'altro nel cortile. D. Bosco concluse la sua lettera mandando i suoi saluti a Jarach e a Parigi.
” Alla sera trovandosi a cena coi superiori del Seminario, avendo egli voglia di ridere e far ridere, disse loro:
Questa sera mentre io scriveva a casa, ho veduto nell'Oratorio due miei giovani che mi scrivevano essi pure una lettera.
- 0h! E come ciò può essere possibile? esclamarono ridendo que' Superiori.
- Domani vedranno se sarà vero o no!
”All'indomani, giovedì, giorno in cui D. Alasonatti riceveva la lettera, trovandosi nel Seminario di Bergamo tutti a pranzo, ecco che il servo porta la posta per D. Bosco.
- Ecco, dicono, una lettera per D. Bosco che viene da Torino!
” D. Bosco l'apre e cava fuori dalla busta due biglietti scritti da Jarach e da Parigi. Allora quei superiori si guardarono l'un l'altro pieni di meraviglia e D. Bosco rideva del loro stupore.
” In quella stessa sera D. Alasonatti leggeva in pubblico nel parlatorio quella lettera di D. Bosco che cagionò negli alunni una dolorosa sorpresa. Eppure D. Bosco annunziava un fatto vero.
” Intanto a Bergamo si proseguivano gli esercizii. Don Bosco colle sue dolci maniere trasse a sè il cuore di tutti i chierici, non solo per la forza della sua predicazione, ma per la famigliarità colla quale lì trattava; col trovarsi in mezzo a loro in tempo di ricreazione, cogli scherzi moderati coi quali li rallegrava, col narrare qualche fatto sedendosi per terra in cortile, mentre tutti i giovani gli facevano corona essi pure seduti. Il Rettore del Seminario borbottava, vedendo quelle maniere, che secondo lui parevano contrarie alla gravità sacerdotale, ed esclamava sottovoce: - Mi pare che non vada, mi pare che non vada! - Ma quei giovani se li avessero lasciati partire sarebbero venuti tutti seco lui nell'Oratorio.
” Non è a dire il frutto che operò ”.
Di questi esercizii si fa memoria in una lettera che qui trascriviamo.
 
Molto Rev. Signore,
 
Ben contento di poter portare anch'io il mio piccolo tributo di stima e di grato affetto alla s. m. di D. Bosco, Le narro cosa, che forse non riuscirà inutile a chi avrà l'alta fortuna di scriverne la vita.
L'anno 1861, fu il veneratissimo D. Bosco a dettare i Spirituali Esercizi ai Chierici del Seminario Vescovile di Bergamo, fra i quali ero io pure.
Ora, in una delle sue prediche ci disse presso a poco così: “ In una certa occasione potei domandare a Maria Santissima la grazia di avere presso di me in Paradiso parecchie migliaia di giovani (mi sembra dicesse anche il numero delle migliaia ma non lo ricordo), e la Madonna SS. me ne fece promessa. Se anche voi altri desiderate appartenere a tal numero, io son ben lieto di ascrivervi, a patto che ogni giorno per tutto il tempo di vostra vita recitiate un'Ave Maria, e quella possibilmente nel tempo che ascolterete la S. Messa, anzi nel momento della Consacrazione ”.
Non so qual conto facessero gli altri di questa proposta, io per parte mia l'accolsi con giubilo, stante l'altissima stima, che in quei giorni mi aveva inspirato di sè D. Bosco, e non tralasciai neppur un giorno, che mi ricordi, di recitare l'Ave Maria secondo la detta intenzione. Ma col passar degli anni mi venne un dubbio, che feci sciogliere a D. Bosco istesso; ed ecco il modo.
La sera del giorno 3 Gennaio 1882, trovandomi a Torino diretto a Chieri per entrare nel Noviziato della Compagnia di Gesù, chiesi ed ottenni di poter parlare a D. Bosco. Mi accolse con grande bontà, ed avendogli io detto che stava per entrare nel Noviziato della Compagnia, disse: - Oh! quanto ne godo! Quando sento che alcuno entra nella Compagnia di Gesù, ne provo tanto piacere come se entrasse fra i miei Salesiani.
Quindi gli dissi: - Se mi permette vorrei domandarle schiarimenti sopra una cosa, che mi sta molto a cuore. Dica, si ricorda di quando venne nel Seminario di Bergamo a dettarci gli Esercizi Spirituali? - Sì, mi ricordo. - Le sovviene d'averci parlato d'una grazia domandata alla Madonna ecc. - e gli ricordai le sue parole, il patto ecc. - Sì, mi ricordo - Ebbene: io quell'Ave Maria l'ho sempre recitata; la reciterò sempre... ma... V. S. ci ha parlato di migliaia di Giovani; io sono già fuori di questa categoria... e quindi temo di non appartenere al numero fortunato....
E D. Bosco con grande sicurezza: - Continui a recitare quell'Ave Maria e ci troveremo insieme in Paradiso. - Quindi, ricevuta la Santa Benedizione e baciatagli con affetto la mano, partii pieno di consolazione e di dolce speranza d'aver proprio un giorno a trovarmi in Paradiso con Lui.
Se V. S. crede che questo possa riuscire di qualche gloria a Dio e di qualche onore alla s. m. di D. Bosco, sappia che io son prontissimo a confermarne la sostanza anche col giuramento.
Lomello, 4 Marzo 1891.
Umilissimo Dev.mo ServoV. STEFANO SCAINI S. I.
 
“Il 9 febbraio 1861, notò D. Bonetti, D. Bosco giungeva a casa da Bergamo. Era aspettato con ansietà da alcuni e con grande allegrezza da tutti gli altri. Essendo sabato D. Bosco si fece premura di avvisare quei giovani che erano stati guadagnati dal demonio. Disse all'indomani che alcuni di costoro erano già andati a trovarlo; alcuni li avrebbe mandati a chiamare; che altri poi lo fuggivano appena lo vedevano. Avendo lungo il giorno incontrati taluni di questi diceva loro: - Ma!! E come è andata? - I poveretti appena udita questa interrogazione si mettevano a piangere e andavano, a confessarsi.
“ 10 febbraio, Domenica. - Questa sera trovandoci 4, o 5 di noi in camera di D. Bosco, mentre la comunità era al teatro, io (D. Bonetti) gli domandai come facesse a vedere le cose lontane, ed egli ci disse: Ecco! Pare che ci sia un filo telegrafico, che parta dal mio capo. Per stabilire la comunicazione basta che io porti il mio pensiero in quel punto che io voglio, e subito io veggo quello che colà si trova. Per es. adesso io sono qui in mia camera: ebbene! Se io voglio, veggo un giovane sotto i portici.
- Ma questo non si può capire: - gli dicemmo noi.
” Ed egli. - Ah! Perchè voi non sapete la mia furberia, non sapete la ginnastica ed il giuoco dei bussolotti. - E con queste parole se la sbrigava, con farci rompere in una risata. Dandoci quindi uno sguardo dal quale sfavillava la più tenera compiacenza e stringendoci a lui, ci disse: Ah! Voi fortunati, perchè siete ancora giovani e avete ancora tempo a fare belle cose per il Signore, avete ancora tempo a farvi tanti meriti pel paradiso; invece io, (e lo diceva commosso) sono già vecchio e presto dovrò andarmene alla tomba, presentarmi al Signore colle mani vuote.
” Allora un di noi, osservò: - Non dica questo; lei lavora giorno e notte, non ha momento di requie e perciò non può dire che abbia le mani vuote.
” Ed egli: - Eh! Sì! ma quello che io fo lo debbo fare per dovere: sono prete, e sebbene io dessi la vita, nondimeno non farci che il puro dovere.
” Gli si replicò: - Se è così, allora è meglio non farsi prete.
- Oh adagio! E quando il Signore fa sentire che vuole così? Non si può resistere e bisogna obbedire. Del resto mi consolo col pensiero, che il Signore è ricco di misericordia e che quando compariremo innanzi a lui e gli potremo dire fecimus quod jussisti, egli non potrà fare a meno che rivolgerci quelle care parole: Euge, serve bone et fidelis, quia super pauca fuisti fidelis, super multa le conslituam; intra in gaudium Domini lui.
 “ 17 febbraio. - Oggi, Domenica, D. Bosco disse: Questa volta il demonio fa banca rotta nel nostro Oratorio: possiamo dire che è pienamente sconfitto. È vero che è un nemico che non si dà per vinto: verrà di nuovo ad assalirci, ci prenderà alla spicciolata uno per uno, epperò bisogna che ciascuno stia all'erta; ma per ora ha da noi ricevuto una battosta che forse non avrà mai presa la simile da una comunità. Vi dico schiettamente che l'effetto di quel sogno è un tal fatto che non si legge nella storia: è inaudito! In faccia al mondo è una stoltezza, ma in faccia a Dio, vi assicuro, che non si potrebbe desiderare di più. L'Oratorio per sussistere che sussista, forse non avrà mai più un fatto consimile! Deo gratias!
”Allora noi lo invitammo a scrivere il sogno ed egli ci rispose: - Eh, no! Non posso per due motivi. Il primo perchè sonvi cose che non posso scriverle, sia riguardo a me, sia riguardo a certe persone. Il secondo perchè tuttavia molte cose non si comprenderebbero. Quello che farò si è di scrivere le questioni di Teologia delle prime due notti; lascierò di nominare i fatti pratici e darò le teorie. Riguardo poi a quello che avvenne nella terza notte, certo io non lo scriverò, ma ciò che si può scrivere, e che sarà di maggior gloria di Dio, lo dirò a qualcuno in particolare.
” Quindi ci raccontò un fatto succedutogli lo stesso giorno. Eccolo: -Vi era ancora un giovane, il quale non voleva fare la confessione generale, dicendo che non osava. Io lo mandai a chiamare, facendogli dire ad un tempo che se non voleva confessarsi da me, tuttavia venisse che avevo qualche cosa da dirgli pel bene della sua anima. Ancora resistette; ma un caritatevole amico me lo condusse con belle maniere. Giunto in mia camera, fattosi largo fra quelli che stavano lì attorniandomi per confessarsi, mi domandò: - Che cosa vuole?
- Chi sei tu? gli domandai.
- Sono N. N.
- Ah sei N. N.! Bene, senti: siccome tu dici che non vuoi confessarti da me, così ti dirò solamente quello che tu devi confessare; poi io sono contentissimo che tu vada a confessarti da un altro. Perciò, vedi, ripiglia la tua confessione da quella tal epoca, così, e così; confessa questa e quella tal cosa; questo e quel tal peccato; e gli dissi tutto. - Ciò udendo questo povero giovane rimase come fuori di sè: - Ahi no, esclamò, io mi confesso subito da lei e non voglio andare a raccontare queste cose ad un altro.
- Se così è, gli dissi, ebbene per ora va; verrai poi domani a sera: adesso come vedi ho molto da fare, perchè è sabato e non abbiamo tempo. Domani a sera dalle cinque alle otto verrai qui in mia camera ed aggiusteremo i conti. - Così fece; questa sera è venuto e andò via contento che era un piacere a vederlo ”.
” Questo fatto D. Bosco lo raccontò solo a tre o quattro e non in pubblico.
” D. Bosco parlò eziandio a tutti i giovani dopo le orazioni della sera: - Finora vi dissi tante cose spettanti la vita passata; adesso avrò qualche cosa da dire a tutti, in particolare, riguardo la vita avvenire; e riguardo ai nemici da cui ciascuno deve guardarsi. Se queste cose che si fanno e si dicono nella nostra casa, le quali però sono certamente singolari e che devono stare tra di noi, qualcuno del mondo le sapesse, le giudicherebbe favole. Ma noi abbiamo per massima che sempre, quando una cosa volge a bene delle anime, egli è certo che viene da Dio e non può venire dal demonio.
” Ho una notizia singolare da darvi ed è che il demonio ebbe la peggio in questa casa, e se continueremo di questo passo sarà costretto a fare bancarotta completa ”.
Notiamo un fatto avvenuto mille volte nell'Oratorio. I giovani andando a confessarsi da D. Bosco o perchè non fossero ben preparati in quanto all'esame, o perchè avessero bisogno di essere incoraggiati a palesar qualche cosa, che loro faceva rossore, o pure per essere di coscienza imbrogliata, e anche solamente per far più presto, inginocchiatisi presso di lui, invece d'incominciare la loro accusa dicevano a D. Bosco: - Dica Lei! - E D. Bosco manifestava a ciascuno ciò che aveva fatto, senza dire una cosa di più o di meno, con una esattezza meravigliosa. Di ciò abbiamo centinaia di sinceri testimoni, fra gli altri D. Davico e D. Belmonte. Certe volte D. Bosco scendendo in sagrestia la trovava zeppa di giovani che si volevano confessare. Dava un'occhiata attorno e poi diceva ad uno:
- Va a fare la Comunione; - e così successivamente a molti altri faceva cenno che andassero pure.
Egli conosceva essere candide le loro coscienze e i giovani andavano contenti, fermamente persuasi che D. Bosco leggesse nei loro cuori. Accadde pi√π volte a noi di uscire dalla sagrestia per celebrare la Santa Messa e a stento traversarla per i giovani che vi stavano inginocchiati. Ritornati dall'altare, la sagrestia era deserta e D. Bosco solo che preparavasi a celebrare.
Non di rado confessando gli accadeva un altro fatto singolare. In mezzo alla folla dei giovani scorgeva uno, inginocchiato lontano in un angolo, e senza badare agli altri, faceva cenno a costui, che meravigliato a quel invito alzavasi, si avanzava in mezzo ai compagni che gli facevano largo, e andava dove era D. Bosco, confessandosi pel primo. A chi fece attenta osservazione e godeva la confidenza dei c compagni, risultò che in questi casi vi era qualche irresolutezza di ritornare in grazia di Dio ”.
Ma non solo dava D. Bosco ai suoi giovani la sanità spirituale, ma talvolta eziandio la corporale.
” Il giovane Rebuffo, nel 1861, racconta Ruffino, era male in salute da circa un anno. Da un mese tormentavalo forte dolore di capo, di stomaco e di fegato, perciò dovette lasciare la scuola. Finalmente, più che mai afflitto, fu consigliato da un suo amico a scrivere una lettera a D. Bosco. Si dispose a scriverla, ma non fu capace di combinare insieme due righe. Dovette perciò raccomandarsi all'amico che ne lo aveva consigliato e pregarlo a scrivergliela. Così si fece. La lettera era concepita in questi termini.
 
Rev.mo Signore,
 
Aggravato dal mio male che pare mi aumenti in ragione dei rimedii applicatimi, corrucciato ancora pi√π pel lungo interrompimento de' miei studi sono costretto a manifestarle i miei sentimenti.
Io sono persuaso che se Ella vuole può fare sì, che io guarisca all'istante; abbia dunque pietà di me, e mi consoli almeno, se di tanto son degno, giacchè io vedo da qualche tempo in Lei, qualche pensiero misterioso su di me. Non mi faccia più misteri, mi palesi senza enigmi quello che Ella pensa di me ed allora sarò tranquillo.
Mi perdoni, caro padre, se oso parlare in questo modo, ma questo linguaggio me lo ispirò Ella stessa e perciò spero vorrà esaudirmi.
” Passarono due giorni e D. Bosco lo chiama in camera, lo confessa, lo esorta alla confidenza in Savio Domenico e gli dà la sua benedizione. Il male però non cessava, ma più fortemente che mai gli doleva il capo. Allora D. Bosco gli disse: - Domani andrai alla scuola ed a pranzo cogli altri, e poi farai una novena in onore di Savio Domenico.
” Rebuffo esce dalla camera di D. Bosco; ma che? Appena è fuori si sente cessare ogni male, la sua testa è libera, il suo stomaco s'accorge che è rinforzato, svanisce ogni dolore. Fece pertanto ciò che gli disse D. Bosco ed è tuttora sano ed allegro ”.
Alle note di D. Ruffino succedono quelle di D. Bonetti. “ D. Bosco ringraziava il Signore di tanti favori dei quali facevalo strumento per i suoi alunni, ma siccome certi doni evidentemente sovranaturali che in lui splendevano e più le sue virtù gli procacciavano grande stima presso i giovanetti e presso gli estranei, egli spesse volte diceva: - Io sono indifferente alle lodi ed ai biasimi; perchè se mi lodano, dicon quello che io dovrei essere; se mi biasimano, dicono quello che sono.
” Il 18 febbraio incominciavano negli oratorii festivi i catechismi della quaresima, e il 22 ei dava per fioretto alla Comunità di parlare italiano fino a Pasqua, lamentandosi che più non si parlasse la nostra bella lingua, come egli credeva.
” 25 febbraio. - D. Bosco promise di insegnarci tutte le sere una furberia.
” 1° furberia. Quale è il maggior mezzo e più sicuro, per non cadere mai più in peccato? - È mettere in pratica tutti gli avvisi del confessore.
” 26 febbraio. - 2° furberia. Quale è il tempo più propizio in cui domandando grazie al Signore siamo più sicuri di ottenerle? - È il tempo dell'elevazione dell'Ostia e del calice. Perciò era sempre intenzione di D. Bosco che in questo tempo tacesse il canto, le orazioni a voce alta, e l'organo stesso zitto se fosse possibile.
” 27 febbraio. - 3° furberia. Quale è il migliore, il più semplice, il più facile modo di assistere alla S. Messa? - È il modo proposto dal Beato Leonardo, di dividere cioè la santa Messa in tre parti, ossia in tre “ P ”Il primo rosso, il secondo nero, il terzo bianco. - Cioè il “ P ” rosso che è la passione di Gesù Cristo e meditarla fino all'elevazione. Il nero cioè i peccati; fare memoria e dolerci dei nostri peccati passati, che furon la causa della passione del nostro divin Salvatore; e questo fino alla Comunione. Il “ P ” bianco che sarebbe il proponimento, cioè di fare proposito dì non peccare mai più in avvenire; e ciò andrà fino alla fine della Messa ”.
Questa sera, 27, si radunò il Capitolo della Società di San Francesco di Sales e fece l'accettazione del Sac. D. Rocchietti Giuseppe del fu Pietro di Torino. L'accettazione secondo il solito fu sottomessa ai voti che furono tutti favorevoli. Quindi, come nuovo socio, fu ammesso alla pratica delle regole della Società.
D. Rocchietti erasi restituito nell'Oratorio sembrandogli di aver guadagnato alquanto di sanità.
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