Capitolo 7

Nella novena e festa di Maria Santissima Ausiliatrice.

Capitolo 7

da Memorie Biografiche

del 06 dicembre 2006

La novena di Maria Ausiliatrice era predicata da Don Fogliano, piissimo Sacerdote biellese, che piaceva molto anche a Don Bosco. Stimolati dalla curiosità di sapere quali fossero le doti che il Beato encomiava tanto nel predicatore, ci facemmo a parlare di Don Fogliano col compianto padre Caracciolo, superiore dei Filippini torinesi. Uditone appena il nome e senza conoscere ancora lo scopo di chi glie l'aveva proferito: - Oh, Don Fogliano! esclamò. Lo ricordo, lo ricordo! Io da giovane lo udii a predicare e stetti ad ascoltarlo con molto piacere, perchè esponeva chiaramente la dottrina, portava esempi adatti e narrati con abilità, e parlava con gran calma, come Don Bosco. - Era questo appunto il metodo di predicazione voluto dal Beato.

 

Un giorno, discorrendo di quelle prediche, Don Bosco si mostrò assai contento, anche perchè vi entrava sempre il racconto di qualche grazia ottenuta per intercessione di Maria Ausiliatrice. Al qual proposito disse che a Roma, entrando casualmente in una chiesa, mentre ivi la predica volgeva al termine, aveva udito il predicatore nominare Don Bosco, e narrare uno dei fatti pubblicati nel suo libro Maria Ausiliatrice col racconto di alcune grazie. - Qui in Torino, osservò Don Barberis, si parla poco di questi fatti, che si possono dire nostri; eppure mi parrebbe conveniente che se ne dicesse molto, parlando e predicando. Abbiamo un tesoro e non si mette in vista. - Altro che mettere in vista! Quell'opuscolo doveva suscitare la tempesta descritta nel capo diciannovesimo del volume undecimo. Poichè il fatto narrato dal predicatore romano appartiene alla biografia di Don Bosco, è opportuno esporlo ora che se ne offre il destro.

 

Si presentò a Don Bosco un medico valente nell'arte sua, ma incredulo, e gli disse:

 

- Sento che lei guarisce da ogni genere di malattie.

 

- Io? No!

 

- Eppure me l'hanno assicurato, citandomi anche il nome delle persone e il genere di malattia.

 

- L'hanno ingannata. Si presentano, sì, da me persone desiderose di ottenere simili grazie per sè o per i loro conoscenti, ad intercessione di Maria Ausiliatrice, facendo tridui o novene o preghiere, con qualche promessa da compiersi se otterranno la grazia; ma in questi casi le guarigioni avvengono per opera di Maria Ausiliatrice, e non certamente per virtù mia.

 

- Ebbene, guarisca anche me, e crederò io pure a questi miracoli.

 

- Da qual malattia la S. V. è travagliata?

Il dottore era affetto da mal caduco. Gli assalti da un anno si succedevano così frequenti, che egli non si peritava a uscire senz'essere accompagnato. Le cure a nulla valevano. Sentendosi deperire ogni giorno più, veniva da Don Bosco, nella speranza di ottenere finalmente la tanto sospirata guarigione.

 

- Ebbene, gli disse Don Bosco, faccia anche lei come gli altri. Si metta qui in ginocchio, reciti con me alcune preghiere, si disponga a mondare l'anima coi sacramenti della confessione e della comunione, e vedrà che la Madonna la consolerà.

 

- Mi comandi altro, perchè quel che mi dice non lo posso fare.

- Perchè?

 

- Perchè sarebbe per me un'ipocrisia. Io non credo nè a Dio, nè a Madonna, nè a preghiere, nè a miracoli.

Don Bosco rimase costernato. Pure, tanto fece che, mercè la grazia divina, il miscredente s'inginocchiò, fece il segno della croce e poi alzandosi disse: - Mi stupisco di saper fare ancora questo segno, che da quarant'anni non faccio più. - Promise inoltre che si sarebbe preparato a confessarsi.

 

E mantenne la parola. Appena confessato, ebbe la sensazione di essere guarito. Infatti non fu mai più colto da accessi epilettici, mentre prima, a detta de' suoi familiari, quelli erano così frequenti e terribili da far sempre temere qualche brutto caso. Un po' di tempo dopo venne alla chiesa di Maria Ausiliatrice, si. accostò alla sacra mensa, nè volle nascondere la sua soddisfazione per essere stato ricondotto in tal modo dall'incredulità alla fede.

 

Nella sera prima del triduo Don Bosco, avendo confessato lungamente, andò a cena tardi. La sua, nota qui il cronista, era “una specie di cena ” che per lo più consisteva “nel mangiare una scodella di minestra e bere un mezzo bicchiere di vino ”. S'intrattenne quindi fin verso le undici e mezza a discorrere della gran festa vicina e della Patagonia.

 

Nel primo giorno del triduo, domenica, vi fu una doppia allegria; in un col Patrocinio di san Giuseppe, la cui solennità esteriore, come si disse, era stata rimandata, si festeggiò pure il ritorno di Don Bosco. Al pranzo, preparato nella biblioteca, intervennero, oltre i capi d'arte, anche parecchi invitati, fra i quali i professori Pechenino, Terreno, Allievo, Lanfranchi e Bacchialoni. “ Fan molto del bene, nota la cronaca, questi pranzi di famiglia ”. S'imbandivano con relativa frequenza appunto perchè giovavano tanto a tener affezionati alla casa personaggi distinti, massime ecclesiastici e professori. Per questi ultimi si facevano speciali inviti, quando si trattava di scegliere gli autori per la Biblioteca della gioventù italiana. Tali pranzi erano preparati senza grettezza, sicchè, pur senza sfarzo o dispendio, i convitati partivano soddisfatti.

 

In quella sera Don Bosco presiedette all'accademia degli artigiani, rimandata anche quella perchè si desiderava la presenza del caro Padre. Intercalati a musiche e poesie piacquero molto alcuni bei dialoghi, nei quali gl'interlocutori rappresentavano i diversi mestieri. Cominciarono i calzolai. Venne uno con un paio di scarpe rotte in mano, e s'incontrò con un altro, che ne portava un paio di nuove. Si salutano; poi il primo, interrogato, spiega come si fa a rattoppare le scarpe, usando gli acconci termini italiani. Indi costui osserva le scarpe nuove e chiede spiegazioni, a cui si risponde allo stesso modo, finchè, manco male, arriva un terzo a rendere più vivo e lepido il dialogo, portandolo alla conclusione. Un secondo gruppo figurava i sarti, un terzo i fabbri ferrai e così via. L'elemento morale dava l'intonazione a ogni dialogo, dove il pigro si decideva a lavorar molto o il negligente a fare più attenzione o il chiacchierino a essere più moderato nel parlare. Sentimenti cristiani sbocciavano qua e là a infiorare il discorso, come per esempio: - Eh, vedi! San Giuseppe, quando fuggì in Egitto, dovè patire ben più di te. - San Giuseppe nella sua bottega quanto doveva faticare! - Gesù obbediva, oh! quanto più prontamente di noi, a san Giuseppe. - La finale era sempre una preghiera al Santo, detta in ginocchio davanti alla sua immagine.

 

Don Bosco rimase così soddisfatto, che nel suo discorsetto di chiusa disse, come raramente diceva: - Vorrei che di queste accademie con simili dialoghi se ne facessero tutti i giorni. Io, potendo, verrei ad assistervi ogni volta. Ne sono tanto contento che nulla più. Fatene, fatene ancora, chè io mi procurerò il piacere di trovarmi fra voi. - Indi raccomandò a Don Lazzero che quei dialoghi fossero conservati, per ripeterli altre volte.

 

Nello stesso giorno gli toccò un disappunto. Desideroso di avere nell'Oratorio i giovani di Alassio per la festa di Maria Ausiliatrice, aveva scritto al Direttore generale delle Ferrovie dell'Alta Italia, pregandolo di accordare per l'andata e per il ritorno un ribasso del settantacinque per cento; ma la risposta fu negativa, perchè godevano già del cinquanta e ciò doveva bastare.

 

Le condizioni della Chiesa e del Papa si facevano ognor più dure in Italia, sicchè i buoni sentivano il bisogno di raddoppiare le preghiere a Maria Santissima per implorarne il valido aiuto. Onde nel '76 il cardinal Patrizi, Vicario di Sua Santità in Roma, con speciale Invito sacro eccitò i fedeli a fare con fervore il triduo e la festa di Maria Ausiliatrice nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva, ufficiata dai Domenicani. Descritte le aberrazioni degli empi, si rivolgeva a “quei Romani ” che erano “ veri cattolici nella fede e nelle opere ” dicendo loro: “Ecco per noi opportunità di pregare e pentirsi, implorando l'aiuto di Maria Santissima, di cui è prossima la ricorrenza festiva del titolo Auxilium Christianorum. Questa circostanza ci ricorda il di lei patrocinio mai venuto meno alla Chiesa ed al Pontificato Romano ”. Enumerate quindi le pie pratiche del triduo e pubblicate le speciali indulgenze concesse dal Santo Padre, conchiudeva: “ Sia questa preghiera una tenue riparazione almeno alle gravissime ingiurie e bestemmie che con orrore di tutti giornalmente si scagliano contro Maria Santissima ”.

 

Nelle memorie del tempo troviamo un altro documento, firmato dal marchese Andrea Lezzani e recante la data in questa forma: “ Roma, nel giorno 24 maggio, sacro a Maria Immacolata sotto il titolo di Ausilio dei Cristiani. 1876 ”. Era un indirizzo, con cui la gioventù cattolica romana proponeva a tutti i cattolici italiani di festeggiare ai 17 di gennaio del 1877 il quinto centenario del ritorno dei Pontefici da Avignone, Anche l'Unità Cattolica, araldo dei cattolici italiani, aveva un appello sul medesimo tono, ricordando come in sì “ bel giorno ” per tutto il mondo cattolico si rinnovasse la gioia provata dai Romani, quando il 24 maggio del 1814 il Papa Pio VII “ dopo cinque anni di prigionia ” era ritornato “ nella sua Roma Pontefice e Re ”.

 

A Torino la ricorrenza diveniva ogni anno più popolare, celebrandosi con crescente ardore di fede e di pietà. Il Beato nel triduo vedeva un'affluenza straordinaria di popolo. Molti si presentavano in sacrestia per avere la benedizione di Don Bosco, dicevano essi comunemente: per ricevere, diceva lui, la benedizione di Maria Ausiliatrice. A Maria Ausiliatrice chi rendeva grazie per favori ottenuti, chi faceva suppliche per favori che sperava di ricevere, e quanti erano esauditi! In due fascicoli delle Letture Cattoliche, uno del maggio 1877 e l'altro del maggio 1878 si leggono ben cinquantanove relazioni di grazie ricevute nel '76; ma quante altre vi furono che non si trovano ivi registrate!

 

Ne narreremo una di quelle, in cui ebbe parte il Beato. Durante il mese di maggio un signor Mazzucco di Torino, vecchio di ottantadue anni, ammalò sì gravemente, che il medico ne dichiarò impossibile la guarigione. La figlia Marcellina nella sua angosciosa afflizione si recò alla chiesa di Maria Ausiliatrice, pregò la Madonna e invocò da Don Bosco una benedizione per il padre. Don Bosco accondiscese di buon grado alla sua domanda e nel licenziarla le disse: - Io benedico lei per il padre. Ella da oggi alla festa del Corpus Domini reciti ogni giorno tre Pater, Ave e Gloria in onore del Santissimo Sacramento e una Salve Regina alla Beatissima Vergine; poi stia certa che la Madonna le otterrà la grazia.

La figlia tornò a casa contenta; ma, siccome il sospirato miglioramento non si vedeva, si ripresentò tutta dolente a Don Bosco, il quale le rispose: - Ma non è mica terminato ancora il tempo delle nostre preghiere; vi è ancora la novena del Corpus Domini, che incomincia oggi soltanto. Preghiamo dunque con fervore e speranza. Confidi; poi lasci fare alla Madonna. - Com'egli aveva annunziato, così avvenne: la mattina del Corpus Domini il vecchio si trovò perfettamente guarito.

 

Nell'Oratorio si era, come dicevasi in gergo domestico, a Terracina, cioè nelle maggiori strettezze finanziarie. Don Bosco da un mese e mezzo non aveva limosinato per Torino, nè a Roma aveva avuto tempo o creduto bene questuare. Eppure toccava a lui provvedere. Ricominciò le sue uscite la mattina dell'antivigilia: verso le dieci venne a prenderlo con la carrozza il barone Bianco di Barbanìa. Bel tipo di gentiluomo questo barone! Uno dei più nobili signori piemontesi, alto di statura e aitante della persona, dal carattere gioviale e franco, senza pelo sulla lingua, con chiunque avesse da trattare, nutriva la più schietta amicizia per Don Bosco. Quella mattina non condusse certamente a spasso il Beato, che ritornò soltanto a sera, e non a mani vuote.

 

Chi potrebbe descrivere l'animazione crescente in casa per l'approssimarsi della gran festa? La musica vocale e strumentale prolungava le sue prove anche di notte. I maestri di cerimonie esercitavano il piccolo clero nelle ore di ricreazione, e in altri tempi addestravano lo stuolo numeroso dei chierici a eseguire bene le loro parti nelle sacre funzioni. Segretari improvvisati scrivevano indirizzi su buste contenenti lettere d'invito, che si spedivano in gran numero a persone ragguardevoli ed a benefattori. Poi un andare e venire d'imbianchini, di operai del gas, di addobbatori della chiesa, di falegnami che. allestivano banchi di beneficenza. Don Rua radunò ripetute volte a conferenza i Superiori dell'Oratorio, per predisporre tutto in modo da evitare disordini. Avverte la cronaca: “Sempre, quando si ha da fare qualche festa o qualcosa d'importanza, ci raduniamo a capitolo od a conferenza che si voglia chiamare ”. A tali sedute s'invitavano pure quei coadiutori che avevano competenze e incombenze notevoli.

 

Dopo il fin qui detto non è necessario aggiungere che alla vigilia l'allegrezza dei giovani rasentava la frenesia. Quella sera ci doveva essere lectio brevis: ma la si potè fare a mala pena brevissima. Arrivavano Direttori e rappresentanti dai collegi; ci vennero anche monsignor Masnini, segretario del vescovo di Casale, e il console Gazzolo, giunto di fresco dall'America. La vista di molti preti secolari e la notizia di alcuni signori svizzeri venuti unicamente per fare le loro divozioni nella chiesa di Maria Ausiliatrice, fece scrivere al buon cronista: “ Non mi stupirei che in pochi anni [questa chiesa] divenisse centro di grandi pellegrinaggi ”.

 

Il Servo di Dio diede udienza a una folla di persone, senza potersene sbrigare prima dell'una pomeridiana. Allora un telegramma da Genova lo avvisò che due nobilissime matrone sarebbero giunte alle due e avrebbero fatto pranzo nell'Oratorio. Egli le aspettò, sempre tranquillo e affabilissimo.

 

A cena andò, quando ebbe finito di confessare, cioè molto tardi. Là, il Gazzolo l'aspettava al varco. Il console argentino aveva letto nell'Unità Cattolica la corrispondeza dei Missionari; aveva tenuto dietro anche ad altre pubblicazioni analoghe; ma n'era rimasto male e sentiva il bisogno di uno sfogo. Poco, troppo poco si era fatta menzione di lui! Erasene già aperto con Don Francesia; ma non gli bastava. Don Bosco appena lo vide, si scoprì il capo, lo abbracciò, lo baciò. Quando mai di proprio moto egli si effondeva in tali dimostrazioni? Poi, fattoselo sedere vicino, lo nominò con i titoli più graziosi, attribuendo a lui tutto il merito dell'impresa tanto felicemente riuscita e, quantunque stanco da non si dire, protrasse la conversazione per oltre un'ora. Don Bosco non voleva che alcuno mai si partisse da lui con un stilla di amarezza nel cuore.

 

Nel dì della festa cominciarono per tempissimo le messe e le comunioni, durate fin verso le dieci. Alla messa della comunione generale intervennero anche i giovani di Valsalice. La musica, osserva la cronaca, “ fu più quieta che negli anni scorsi, ma fu eseguita anche con maggior precisione ”.

La scuola tirata su da Don Cagliero si fece onore anche nell'assenza del maestro, tanto bene egli aveva saputo addestrare gli allievi e prepararsi in Dogliani un bravo sostituto. Notevole ciò che si legge nell'Invito sacro: “Nell'Inno l'autore ebbe in mira di rappresentare con note musicali la famosa battaglia vinta dai Cristiani a Lepanto per l'aiuto di Maria Ausiliatrice ”. Infatti quella drammatica esecuzione si denominò senz'altro dal popolo la battaglia di Lepanto. Era lo stile della musica sacra d'allora. Tutta la stessa musica fu ripetuta il 25, festa dell'Ascensione, con un concorso di gente ancor maggiore e con poco minor numero di comunioni, essendo giorno festivo.

 

Don Bosco, appena terminata la sua messa, fu circondato da una cinquantina di persone che volevano essere benedette e lo trattennero per un'ora e mezza. Stanco qual era per gli strapazzi dei giorni antecedenti, quando fu libero, non ne poteva proprio più e stentava persino a parlare; ma procedeva grave e sereno. Chi durante quei giorni l'osservò da presso, non potè contenere l'ammirazione destatagli dal vedere com'egli sapesse prender parte a tutti i discorsi, tenerli vivi e animati e, quel che è più, volgere a cose buone anche argomenti frivoli, maestro sempre nell'arte di piegare a suo senno qualsiasi conversazione. I suoi racconti sembravano i più spontanei e suggeriti solo dalle parole altrui, mentr'erano voluti a bello studio per incarnare le idee ch'ei desiderava imprimere profondamente nell'animo di chi ascoltava. Nessuno se n'accorgeva, rivelandosi anche in questa sua destrezza l'antico prestigiatore, che possedeva il segreto di attrarre e dominare gli spiriti per produrre in essi effetti salutari.

 

La solenne giornata però non trascorse senza nube. Nelle funzioni del mattino aveva celebrato il suddetto monsignor Masnini. Si era 'fatto invito all'Arcivescovo, ma ricusò; gli si era chiesto il permesso d'invitare qualche altro Vescovo, ma negò. Il popolo per altro, che nulla seppe e

nulla potè sospettare, non avvertì nemmeno l'assenza di un Vescovo, perchè il celebrante, vestendo l'abito paonazzo e usando la bugia, fu bonamente creduto Vescovo. Ma la cosa non passò liscia; infatti, ecco un fulmineo divieto che si ripetesse quell'intervento del prelato nei vespri. L'indomani poi arrivò al “Signor Prefetto alla Casa dell'Oratorio di D. Bosco ” una lettera, in cui si diceva: “ S. E. Rev. Monsignore Arcivescovo mi incarica di avvertire la S. V. molto Rev. del vivo dispiacere che prova nel sapere che ieri nella Chiesa di Maria Ausiliatrice si è lasciato celebrare solennemente un Sacerdote straniero, e di più con distintivi prelatizi, senza prima averne ottenuto esplicita licenza da esso Monsignor Arcivescovo, siccome era necessario per non offendere le leggi ecclesiastiche; e ciò tanto più in quanto è contro il costume costante di quest'Archidiocesi, che un ecclesiastico, non vescovo, usi nella celebrazione dei sacri riti, Solenni o non Solenni alcuni dei distintivi prelatizi, siccome consta dal fatto di varii sacerdoti di quest'Archidiocesi insigniti del titolo di Monsignore, e più o meno degli onori annessi a siffatto titolo, e non ne usano mai perchè loro manca il permesso dell'Arcivescovo. Monsignore perciò ricorda a V. S. e a' suoi confratelli [che] melior est obedientia quam victimae: Rg. 1,15: e spera che da questo istante in poi non avrà più da muovere a V. S. tale lagnanza ”. Per dire tutto quello che si riferisce a questa vertenza, dobbiamo ancora aggiungere che monsignor Santo Masnini, in ossequio all'autorità, si era presentato per chiedere il permesso, ma non aveva ottenuta udienza.

 

Con questo documento farà il paio un'ordinanza del 2 giugno, nella quale s'ingiungerà a Don Bosco “che nessuno dei neosacerdoti membri di questa Congregazione [Salesiana] e domiciliato nelle sue Case, sia licenziato a celebrare nè la prima Messa, nè le seguenti, almeno per quindici giorni, in alcuna delle parrocchie dell'Archidiocesi torinese ”.

Mentre Don Bosco riceveva questi “fastidi ” l'Ordinario torinese veniva pregato da un Vescovo meridionale di dargli in suo nome un segno di stima. Era il Vescovo di S. Agata dei Goti, che, avendo inteso dal Vescovo di Castellammare “ d'un compendio di Storia Ecclesiastica dato alla luce dall'egregio Sacerdote D. Giovanni Bosco ”, nè conoscendo l'indirizzo “ del detto zelante Sacerdote ”, pregava il suo Arcivescovo di ordinargli la spedizione per allora di almeno venti copie; essere poi sua intenzione d'invogliare il suo giovane clero a leggerla e a diffonderla nella sua diocesi. L'Arcivescovo eseguì puntualmente la commissione per mezzo del suo segretario.

 

Il fervore di pietà che tutti infiammava durante la novena di Maria Ausiliatrice influì salutarmente sull'animo di un protestante, ospite dell'Oratorio, maturandone il desiderio di conversione. La sua storia non è priva d'interesse, anche perchè ci dà modo di conoscere un lato nuovo del multiforme zelo di Don Bosco.

 

Guglielmo Hudson, nato da genitori protestanti e allevato nel calvinismo, si recò nella Svizzera per istudiarvi lingue moderne. Toccava i vent'anni. Le accuse che vi udiva continuamente contro il cattolicismo, svegliarono in lui la curiosità di conoscere un po' addentro la dottrina cattolica. Quanto più vi studiava, tanto più forti lo assalivano le incertezze sul valore del protestantesimo. Dio nella sua bontà fece sì che contraesse amicizia con un fervente cattolico, al quale confidò le sue titubanze religiose, manifestandogli anche l'intenzione di vedere la pratica del cattolicismo in Italia. Vi cercarono pertanto una famiglia, in cui egli potesse entrare come precettore; ma scrivi qua scrivi là, non si veniva a capo di niente. L'amico gli parlò allora di Don Bosco, dicendogli che sarebbe stato da lui facilmente accolto. Scrisse, domandò le condizioni, partì, entrò nell'Oratorio. Qui la grazia di Dio lo aspettava.

 

Non sùbita però fu la vittoria; anzi dopo le prime due

settimane di buon volere, egli ricadde nella sua indifferenza. Dimentico della causa per cui era venuto all'Oratorio, e contentandosi di trovarvici unicamente per apprendere un'altra lingua, s'immerse nello studio dell'italiano senza darsi più pensiero di religione. Don Bosco però che l'aveva studiato da vicino, ne sperava bene, pur evitando di precipitare le cose. Parlandone il 28 marzo con Don Bologna, prefetto esterno, gli disse: “ Io gli ho parlato chiaro, dicendogli che qui nessuno lo costringeva a mutar religione e che gli avremmo usata ogni carità,, qualunque fosse la sua decisione; che, facendosi cattolico, l'avremmo considerato come fratello e nulla gli sarebbe mancato, finchè stesse con noi; ma che, come avevo già detto ad altri, così ripeteva a lui: se fosse uscito dall'Oratorio, io non mi obbligava a nulla, assolutamente a nulla. E ciò gli diceva, perchè poi non si lamentasse che i cattolici l'avessero abbandonato: in questo caso egli stesso avrebbe fatto la sua scelta e sarebbe ritornato nella condizione di prima. Il giovane ascoltò le mie ragioni e mi rispose in modo che fui pienamente soddisfatto. Ora tu, Bologna, stagli dietro, perchè studi bene il catechismo e sia assiduo alle preghiere che si fanno in comune, e dàgli quelle spiegazioni che domanderà.

I fatti diedero ragione a Don Bosco: la divina grazia scosse il giovane dal suo letargo ed egli si arrese. Ciò fu un mattino della novena. Se ne stava egli da solo in un scuola, esercitandosi nel violino, quando i suoi occhi s'incontrarono in. una statua di Maria Ausiliatrice, posta sopra un piccolo trono. L'aveva vista altre volte, ma senza badarvi; allora invece nuovi pensieri gli si affollarono alla mente. Dubbio e certezza, fede e incredulità si alternavano incalzandosi nel suo spirito agitato, finchè si fece questa domanda: Ma perchè tanto amore, tanta divozione, tante preghiere, tante prediche, tanti libri, tanti voti per Maria Santissima? Per più giorni prega, medita: sempre più attraente gli appare la pietà verso la Vergine dalla quale gli sembra di sentirsi invitato e quasi spinto a farsi cattolico e suo divoto. Finalmente va da Don Bosco, gli palesa il suo stato d'animo e gli manifesta la sua intenzione di essere battezzato quando che sia. Il consenso non si fece aspettare. Allora si preparò con tutta serietà, finchè il giorno sospirato venne. Monsignor Gastaldi con apposito rescritto accordò a Don Bosco le necessarie facoltà (1). Il neofito, ricevuto il santo battesimo ai 4 di giugno, scrisse: “ Oggi, oggi stesso furono cancellati tutti i miei falli passati; oggi fui rinnovato nelle acque del santo battesimo, e reso forte e coraggioso, pronto a palesare la mia fronte serena ed intrepida a tutti gli infedeli, scismatici, eretici e pagani che mi affronteranno. Oggi Maria Vergine mi riconobbe per suo figlio, oggi ho promesso di amarla e invocarla quale madre mia tenerissima; oggi io ricevetti il suo Gesù ed ho promesso di seguirlo in mezzo a qualunque pericolo. Colla grazia di Dio starò fermo nella cattolica fede, stretto al Vicario di Gesù Cristo, l'infallibile Pio IX, e scelgo piuttosto la più crudele delle morti che allontanarmi menomamente dalle promesse fatte quest'oggi ” (2).

Nè fu fuoco di paglia. Recatosi in America e fattasi ivi una bella posizione, volle entrare come professore di letteratura inglese in un collegio cattolico irlandese; al qual uopo gli bisognava un certificato della sua conversione al cattolicismo. Ne fece richiesta per mezzo di un suo zio, il quale, scrivendo il 17 novembre 1892 a Don Rua da Brunswick, ricordava come “ sotto la direzione del santo D. Giovanni Bosco ” si fosse suo nipote “ convertito al cattolicismo senza persuasione di nessun prete ovvero religioso ”, ma dopo aver avuta “una visione ”.

I casi di protestanti che venivano all'Oratorio per convertirsi non erano tanto rari; e sebbene non tutti ritornassero all'ovile, pure ne riportavano sempre del bene. Quest'argomento di protestanti e di conversioni c'induce a mettere qui un piccolo particolare che giova alla conoscenza dello spirito di Don Bosco. Un protestante di Firenze sul finire di marzo chiese di far l'abiura nell'Oratorio e di ivi fermarsi; ma il tono della lettera dava luogo a temere che egli agisse per interesse, nascondendo qualche inganno. Per questo motivo Don Rua, incaricato di rispondergli, usò un linguaggio un po' forte. Il protestante riscrisse al Beato in termini risentiti e assicurandolo del suo buon volere. Allora Don Bosco, passeggiando con Don Rua nel refettorio dopo pranzo, espresso il suo avviso su diversi affari, gli disse: - A coloro che sono novizi in cose di religione e incapaci di fare un atto di virtù quando vengono un po' offesi, bisogna rispondere sempre benignamente, anche se si teme con fondamento che abbiano secondi fini o che vogliano ingannare.- Poi tracciò per intero una lettera da scrivergli, nel che era mirabile: ogni volta che ordinava di scrivere a qualche personaggio, indicava su due piedi i concetti, il modo di svolgerli e perfino le espressioni.

Spenti gli echi della festa, riassettate le cose e ritornata nell'Oratorio la regolarità, Don Rua, secondo l'usanza, chiamò a raccolta tutti coloro che erano stati alla direzione del movimento, perchè ciascuno esponesse gl'inconvenienti notati e suggerisse i rimedi per l'avvenire. Se ne compilò al solito un succinto verbale, perchè fosse poi letto nel maggio del 1877.

 

Basterebbe questa particolarità per chiudere la bocca a chi, guardando le cose dal di fuori e scorgendo metodi così diversi dai consueti, blaterava di disordine. Moto, agitazione anche, ma sempre sotto l'occhio vigile di Superiori intelligenti, zelanti ed amati, che dominavano quell'apparente turbinìo, regolando le allegrezze e prevenendo le baldorie. Delle osservazioni messe a verbale riportiamo queste due sole: “ 3° Per la chiesa conviene studiare il modo che i giovani siano assistiti classe per classe e che a dar i posti alla vigilia sia presente qualche superiore. 4° D. Bosco dimostrò desiderio che si lasciassero andar i forestieri in sacrestia, in coro, in modo che ogni parte fosse ripiena di gente ”.

 

Ancora una cosa. Don Bonetti da Borgo S. Martino, il paese delle fragole, aveva mandato a Don Bosco per la festa di Maria Ausiliatrice un presente di questo dolce e profumato frutto della stagione: il qual invio divenne poi tradizionale e si continua tuttora dai direttori di quel collegio. Il Beato ne lo ringraziò con una lettera, nella quale, profittando dell'occasione, disse una buona parola a tutti e infine diede un'ultima e importante notizia della cara festa.

 

Car.mo D. Bonetti,

 

Va bene la tua lettera. Le fragole in piccola quantità tornarono più gustose; ma grande ne fu il significato. Vedremo. Il ch. Anzini mi scrisse; digli che faccia pure come scrisse ed io ne sarò assai contento, perchè diventerà presto operatore di miracoli. Fagli un saluto da parte mia.

 

In giugno spero di fare una gita per trattenermi, almeno per alcuni giorni, co' miei cari figli di S. Martino, di cui ho tanto parlato col S. Padre e con cui spero potermi consolare; perchè sono persuaso, da quanto mi dici, che li troverò metà santi e metà per la via di esserlo.

 

Ti dico però che la mia più consolante notizia è quella che mi partecipa esservi dei nostri giovani studiosi e virtuosi.

 

Intanto dirai al mio amico Adamo che il tempo dei zuccotti si avvicina ed appena egli possa conciarmene qualche piatto me lo scriva e andrò subito a vedervi.

 

A Tamietti, che non sono contento di lui finchè non abbia acquistati tre S, ma tutti maiuscoli. Salutalo caramente.

 

A tutti i preti, chierici, assistenti, ecc. auguro i doni dello Spirito Santo, specialmente la fortezza.

A quei della 4a e 5a ginnasiale di' loro che porto molta affezione: sono contento delle buone notizie che di loro mi furono comunicate, farò loro un regalo, e desidero di fare con ciascuno una conferenza intorno alla propria vocazione.

 

Agli altri allievi auguro che diventino tutti ricchi, ma, sono parole di Pio IX, delle vere ricchezze del Santo Timor di Dio.

 

Io scrivo in breve, tu aggiungerai quello che manca per completare i miei pensieri. La festa di Maria Ausiliatrice fu splendidissima; succedettero non pochi miracoli: che se D. Giulitto  non racconta, racconterò poi io stesso. Abbiamo anche pregato per te, per le suore e per tutto il collegio. Amen.

 

Una delle grazie straordinarie fu la guarigione repentina della novizia Laurentoni in Mornese.

 

Dio ci benedica tutti e pregate per me che ti sono in G C.

Torino, 26-5-1876

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