Le prime relazioni di D. Bosco coi giovanetti in Torino - Il progetto degli Oratorii festivi - Le disposizioni della, Provvidenza Divina - Bartolomeo Garelli pietra fondamentale - Compagni che lo seguono - La missione di D. Bosco.
del 19 ottobre 2006
    Fortemente impressionato D. Bosco dalle scene dolorose, che gli si offrirono in Torino, di tanta gioventù che batteva la strada del disonore e della perdizione, che non osservava la divina legge perchè la ignorava, che oltraggiava il suo Creatore senza, quasi conoscerlo, sentivasi un continuo potente stimolo a prendersi pronta, sollecita cura di essa. Il suo innocente cuore era grandemente amareggiato al pensiero che la maggior parte di quelle povere anime andavano miseramente perdute, perchè non erano istrutte nelle verità della fede; e col Profeta Isaia gemendo esclamava: “Oh! sì, questo popolo non ha avuto intelligenza delle cose della salute, perciò l'inferno ha dilatato il suo seno, ha aperte le sue smisurate voragini, e vi cadranno i loro campioni, il popolo, i grandi ed i potenti”.
“Appena entrato nel Convitto di S. Francesco, così scrive nelle sue memorie, subito mi trovai una schiera di giovanetti, che mi seguivano per i viali e per le piazze e nella stessa sagrestia della Chiesa dell'Istituto. Ma non poteva prendermi diretta cura di loro per mancanza di locale”. Tuttavia ogni qualvolta che nella stessa sagrestia di S. Francesco gli avveniva di vedersi in mezzo a ragazzetti, tosto rivolgeva loro la parola con tanto affetto e così saviamente, che questi gli erano sempre d'attorno. Talora si appartava nei camerini attigui alla sagrestia, ed ivi faceva loro un po' di catechismo, li esortava al bene, li invitava a ritornare e li eccitava ad accostarsi debitamente disposti ai SS. Sacramenti. Questo continuo affluire di ragazzi produceva qualche rumore e disturbo, per il che talora il sagrestano si indispettiva ed anche li rimproverava e maltrattava. Così narravano Don Cafasso e i compagni di D. Bosco nel Convitto ai chierici Cagliero, Anfossi, Fusero ed altri. 
“Il signor D. Cafasso, nota ancora D. Bosco stesso, già da parecchi anni, in tempo estivo faceva ogni domenica un catechismo ai garzoni muratori in una stanzetta annessa alla sagrestia della Chiesa di S. Francesco di Assisi. La gravezza però delle occupazioni di questo sacerdote gli fecero interrompere un esercizio a lui tanto gradito. Lo ripigliai io sul finire del 1841”.
Contuttociò non era ancora incominciata alcuna opera particolare in favore dei giovanetti. D. Bosco aspettava il momento fisso dal Signore, risolutissimo di secondarne, benchè povero strumento, tutte le volontà. Avuto consiglio con Dio in persistente e fervorosa preghiera, e con D. Cafasso, col quale aveva sovente discorso di radunare questi giovanetti, presso la Chiesa di S. Francesco d'Assisi, far loro il Catechismo, intrattenerli in onesti divertimenti per toglierli dai pericoli delle vie e delle piazze e dall'abbandono totale a se stessi, si decise di presentarsi all'Arcivescovo e intendersi con lui, per assicurarsi sempre più della volontà divina ed ovviare a difficoltà che potessero in seguito occorrergli. Il Teol. Guala e D. Cafasso, che lo regolavano in tutto ed erano in intima relazione con Mons. Fransoni, glielo avevano raccomandato. Mons. Fransoni, udito il giovane sacerdote intorno al progetto degli Oratori festivi,  come più volte ci ha narrato D. Bosco, gli diede tosto le più ampie approvazioni e la sua pastorale benedizione. Da quell'istante si strinse grande famigliarità tra il santo Prelato e lo zelante sacerdote, il quale non fece passo nello svolgere i suoi disegni, senza prima consultarlo.
D. Bosco, ritornato al Convitto, stette qualche giorno sopra pensiero sul quando o sul come dar principio all'opera sua; aspettava un'occasione per colorire il suo disegno: quand'ecco, un fatterello inaspettato venirgliene ad aprire la via. Era l' 8 dicembre del 1841, festa solenne dell'Immacolata Concezione dell'Augusta Madre di Dio. D. Bosco sentiva più vivo del solito nel cuore il desiderio di formarsi una famiglia di giovanetti fra i più bisognosi e più abbandonati. Ma una famiglia, perchè sia bene ordinata, educata e difesa:, abbisogna di un'amorosa madre. Or Madre pietosissima di questa istituzione e loro Protettrice potente esser doveva la gran Vergine Maria. Ed è appunto in un giorno sacro alla sua più bella gloria che la Celeste Regina volle che avesse incominciamento l'Oratorio.
D. Bosco, all'ora stabilita, nella sagrestia di S. Francesco d'Assisi stava in procinto di vestirsi dei sacri paramenti per celebrare la S. Messa. Attendeva che qualcheduno venisse a servirgliela. In mezzo alla sagrestia, volgendosi da una parte e dall'altra, stava un giovane dai 14 ai 15 anni, le cui vestimenta non troppo pulite e la sguaiata andatura davano a conoscere come ei non appartenesse a famiglia signorile nè agiata. In piedi, col capello in mano, guardava gli arredi sacri con volto attonito come uno che rare volte avesse di tali cose vedute. Quand'ecco il sagrestano certo Giuseppe Comotti, uomo di cattivo garbo e montanaro, andossene a lui e bruscamente gli disse: - Che fai tu qui? Non vedi che sei d'impaccio alla gente? Presto, muoviti, va a servire Messa a quel prete.
Il giovanetto nell'udire tali parole restò come balordo, e tremebondo per paura all'austero cipiglio del sagrestano e balbettando frasi sconnesse rispose: - Non so: non son capace.
 - Vieni, replicò l'altro; voglio che tu serva Messa.
 - Non so, riprese il giovanetto ancor più mortificato; non l'ho mai servita.
 - Come, come! Gridò il sagrestano, non sai? - E scaraventandogli un calcio proseguiva.  
- Bestione che sei; se non sai a servire Messa, perchè vieni in sagrestia? Vattene subito. 
E non essendosi mosso il giovane per lo sbalordimento, egli in men che non si dice dà di piglio allo spolverino e giù colpi sulle spalle del poveretto, mentre questi cercava fuggire.
 - Che fate? gridò D. Bosco commosso e ad alta voce al sagrestano; perchè battete quel giovanetto in cotal guisa? Che cosa vi ha fatto? - Ma il sagrestano tutto infuriato non gli dava ascolto. Il giovane intanto, vedendosi a mal partito e non conoscendo qual fosse l'uscio che metteva in Chiesa, erasi cacciato nella porta che metteva nel piccolo coro, inseguito dall'altro. Qui non trovando nessuna uscita, ritornò in sagrestia, e finalmente trovato scampo, se la dava a gambe in piazza.
D. Bosco chiamò per la seconda volta il sagrestano e con viso alquanto severo gli chiese: - Per qual motivo avete battuto quel giovinetto? Che cosa ha egli fatto di male da trattarlo in simil guisa?
 - Perchè viene egli in sagrestia, se non sa servir Messa?
 - Comunque sia, voi avete fatto male.
 - A lei che ne importa?
 - M'importa assai: è un mio caro amico!
 - Come, esclamò il sagrestano meravigliato: è suo amico quel bel soggetto?
 - Certamente: tutti i perseguitati sono i miei più cari amici. Voi avete battuto uno che è conosciuto dai Superiori. Andate a chiamarlo sull'istante, perchè ho bisogno di parlargli, e non ritornate finchè l'abbiate trovato, altrimenti dirò al Rettore della Chiesa la vostra maniera di trattare i ragazzi.
A questa intimazione si calmò l'ira spropositata del sagrestano, il quale, deposto lo spolverino e gridando toder toder, corse dietro al giovanetto; lo cercò, trovollo in una via attigua, e assicuratolo di migliore trattamento, lo condusse vicino a D. Bosco. Il poverino si approssimò tutto tremante e in lagrime per le busse ricevute.
 - Hai già udita la Messa? gli domandò il sacerdote con tutta amorevolezza.
 - No, rispose.
 - Vieni adunque ad ascoltarla; dopo avrò da parlarti di un affare, che ti farà piacere.
Desiderio di D. Bosco era solo di mitigare l'afflizione di quel tapinello e non lasciarlo con sinistre impressioni contro gli addetti alla sagrestia; ma ben pi√π alti erano i disegni di Dio, che voleva in quel giorno porre la base di un grande edifizio. Quel dialogo era stato interrotto dal sagrestano, il quale veniva accompagnato da un altro giovane, che aveva cercato per servir la Messa.
Celebrata la Santa Messa e fattone il dovuto ringraziamento, D. Bosco fece a sè venire e condusse il suo candidato in un coretto della Chiesa, ove sedette con faccia allegra, ed assicurandolo che non avesse più timore di percosse, prese ad interrogarlo così: - Mio buon amico, come ti chiami?
 - Mi chiamo Bartolomeo Garelli.
 - Di qual paese sei?
 - Sono di Asti.
 - Che mestiere fai?
 - Il muratore.
 - Vive ancora tuo padre?
 - No, mio padre è morto.
 - E tua madre?
 - Mia madre è anche morta.
 - Quanti anni hai?
 - Ne ho sedici.
 - Sai tu leggere e scrivere?
 - Non so niente.
 - Sai cantare? - Il giovanetto, asciugandosi gli occhi, fissò D. Bosco in viso quasi meravigliato e rispose: - No.
 - Sai zufolare? - Il giovanetto si mise a ridere, ed era ciò che D. Bosco voleva, perchè indizio di guadagnata confidenza. E continuò: - Dimmi: Sei stato già promosso alla prima Comunione?
 - Non ancora.
 - Ti sei già confessato?
 - Sì, ma quando era piccolo.
 - E le tue orazioni mattina e sera le dici sempre?
 - No, quasi mai; le ho dimenticate.
 - Ed hai nessuno che si curi di fartele recitare?
 - No.
 - Dimmi: vai sempre alla Messa tutte le domeniche?
 - Quasi sempre, rispose il giovane, dopo un po' di pausa e facendo una smorfia.
 - Vai al Catechismo?
 - Non oso.
 - Perchè?
 - Perchè i miei compagni più piccoli di me sanno la Dottrina ed io così grande non ne so una parola: per questo ho vergogna di mettermi tra loro in quelle classi.
 - Se ti facessi io stesso un catechismo a parte, verresti ad ascoltarmi?
 - Ci verrei di buon grado.
 - Verresti volontieri anche in questa cameretta?
 - Sì, sì, purchè non mi diano delle bastonate.
 - Sta tranquillo, che niuno ti maltratterà più, come ti ho già assicurato; anzi d'ora in avanti tu sarai mio amico ed avrai da fare con me e con nessun altro. Quando vuoi dunque che incominciamo il nostro catechismo?
 - Quando a lei piace.
 - Stasera forse?
 - Vuoi anche adesso?
 - Sì, anche adesso e con molto piacere.
D. Bosco allora si pose in ginocchio, e prima di incominciare il catechismo, recitò un'Ave Maria, perchè la Madonna gli desse la grazia di poter salvare quell'anima. Quell'Ave fervorosa e la retta intenzione fu feconda di grandi cose! D. Bosco poi si alzò e fece il segno di santa croce per cominciare; ma il suo allievo nol faceva, perchè ne ignorava il modo e le parole: e perciò in quella prima lezione il maestro s'intrattenne nell'insegnargli la maniera di fare il segno della croce e fargli conoscere Iddio Creatore e il fine per cui ci ha creati e redenti. Dopo circa una mezz'ora lo licenziò con grande benevolenza; e assicurandolo che gli avrebbe insegnato a servire la Santa Messa, gli regalò una medaglia di Maria SS., facendosi promettere di ritornare la Domenica seguente. Quindi soggiunse: - Senti, io desidererei che tu non venissi solo, ma conducessi qua altri tuoi compagni. Io avrò qualche regalo da fare di nuovo a te e a quanti verranno teco. Sei contento?
 - Oh molto, molto - rispose con una grande espansione quel buon giovane; e, baciatagli la mano due o tre volte, se ne andò.
Garelli innanzi a D. Bosco rappresentava non solo innumerevoli giovani, ma i molti popoli che avrebbe evangelizzati: ut filios Dei congregaret. Questa è la vera origine degli Oratorii festivi. D. Bosco ne fu l'iniziatore e Garelli la pietra fondamentale, sopra della quale la Vergine Santa fe' scendere grazie e favorì senza numero.
Nella settimana susseguente D. Cafasso pure ebbe ad invitare un giovanetto a servirgli la S. Messa; ma quegli non sapeva, e però D. Cafasso lo pregò a ritornare, che gli avrebbe insegnato. A questo per lo stesso motivo se ne aggiunse un secondo. Ma D. Cafasso non potendosene occupare, ne affidò la cura a D. Bosco, il quale così aumentava il numero de' suoi scolari.
La Domenica seguente pertanto nella Chiesa di S. Francesco si vide un caro spettacolo. Sei garzoncelli male in arnese, condotti da Bartolomeo Garelli, insieme cogli altri due stavano attentissimi alle parole di D. Bosco, che loro insegnava la strada del paradiso. Sebbene di tarda memoria, tuttavia coll'assiduità e coll'attenzione, in poche feste Garelli riuscì ad imparare le cose necessarie per poter fare una buona Confessione e poco dopo una santa Comunione. Quindi apprese eziandio a servire la S. Messa. Questo giovane d'allora in poi fu discepolo affezionato di D. Bosco, e il Canonico Anfossi ed altri lo videro venire all'Oratorio ancora dopo il 1855.
A questi giovani allievi altri ancora se ne aggiunsero in appresso, in guisa da riempire il coretto destinato a tali funzioni.
Una sera di quelle prime Domeniche D. Bosco attraversando la Chiesa per andare in sagrestia, mentre si predicava, vide innanzi ad un altare laterale seduti sui gradini della balaustrata alcuni garzoni muratori, i quali invece di stare attenti, sonnecchiavano. Li interrogò sottovoce: - Perchè dormite?
 - Non capiamo niente della predica, risposero: quel prete non parla per noi.
 - Venite con me! - E li condusse in sagrestia e quivi li invitò a venire cogli altri al suo catechismo. Fra questi giovanetti erano Carlo Buzzetti, Germano, Gariboldo.
A questo modo di settimana in settimana cresceva il numero dei catechizzandi, ai quali D. Bosco raccomandava sempre di condurgli quanti più compagni potessero. Aveva in mira di attirarli a Dio coll'obbedienza ai divini comandamenti e alle leggi della Chiesa. Subito si adoperava per far loro osservare il precetto di ascoltare la S. Messa nei giorni festivi, faceva loro imparare le orazioni del mattino e della sera, inculcando vivamente questa pratica di pietà, e li andava preparando a confessarsi bene. All'uscire dal catechismo poi in sulle prime si permise che prendessero i loro divertimenti sulla piazzetta innanzi alla Chiesa. Ma per quell'inverno D. Bosco limitò la sua cura in modo particolare ad alcuni dei più grandicelli che si trovavano lontani dalle proprie famiglie, perchè forestieri in Torino e più bisognosi di istruzione religiosa. Fra essi il maggior numero era dalle parti di Biella e di Milano, sopratutto muratori. Il sagrestano nulla aveva più a ridire, perchè D. Bosco colla sua affabilità costante e con qualche dono, lo aveva persuaso del gran bene che si andava operando. Noi lo abbiamo conosciuto vecchissimo nel 1891 e conservava di D. Bosco cara memoria. Questi giovani imparavano con profitto la scienza della salute, ed erano evidenti e consolanti i risultati morali.
Intanto D. Bosco, col coraggio che dà il vero amore del prossimo, andava attorno per la città da varii padroni per raccomandare or questo or quello de' suoi protetti, per levare qualche altro dall'ozio e tenerlo lontano dal vizio.
Nel giorno del S. Natale alcuni di questi giovanetti ricevevano nel loro cuore il Sacramentato Gesù, e la gioia che traspariva dai loro volti si rifletteva nel cuore di D. Bosco, che provava in sè le consolazioni di tutti i suoi cari allievi. Il Signore gli dava questa caparra della sua assistenza per l'umiltà che era la sua guida.
Tutto questo egli fece sempre d'accordo co' suoi Superiori e col consenso dell'Autorità Ecclesiastica alla quale era ossequientissimo. Nella relazione infatti, che mandò a Roma nel 1864 per ottenere l'approvazione della sua Pia società, egli scrisse: “Fin dal 1841 quando l'opera degli Oratorii incominciava con un semplice catechismo festivo nella Chiesa di S. Francesco d'Assisi, ogni cosa fu sempre fatta col consenso e sotto la direzione di Mons. Luigi Fransoni, Arcivescovo di Torino”.
D. Bosco era un nuovo apostolo che incominciava la sua missione. La Chiesa in ogni tempo ebbe, per grazia di Dio, uomini straordinari a compiere opere straordinarie, che manifestavano evidentemente il Dito di Dio! Anche il nostro secolo, non meno degno della divina pietà degli altri, possedette molti di tali uomini. Fra essi non credo di sbagliare dicendo che va annoverato Don Bosco!
 
 
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