Capitolo 70

Visita alle chiese di S. Clemente, dei Quattro Coronali, di S. Giovanni avanti la porla latina, e del Domine quo vadis - Messa alla Madonna della Quercia - Don Bosco in mezzo ad una turba di ragazzi - Il Papa alla Minerva - S. Stefano Rotondo e S. Maria in navicella - Il Can. Colli - Il Padre Pagani e le regole della Pia Società - La chiesa di S. Agostino -Pellegrinaggio alla Madonna di Genazzano - D. Bosco in San,Pietro riceve la palma dalle mani del Papa - Esclamazione di un milord inglese - D. Bosco, caudatario del Card. Marini, assiste nella Cappella Sistina alle sacre funzioni del giovedì, venerdì e sabato santo D. Bosco in adorazione nella Cappella Paolina - La festa di Pasqua in S. Pietro - La benedizione dei, papa dalla loggia Vaticana - D. Bosco nell'imbarazzo su quella loggia - Un pranzo diplomatico.

Capitolo 70

da Memorie Biografiche

del 30 novembre 2006

 Il 24 marzo D. Bosco recavasi alla Basilica di San Clemente per venerare le reliquie del quarto Papa dopo S. Pietro, quelle di S. Ignazio martire Vescovo d'Antiochia; e per ammirare l'architettura dell'antichissima chiesa a tre navate. In quella di mezzo, davanti all'altare della Confessione, vi ha un recinto di marmo bianco, che costituisce il coro per il clero minore, con due pulpiti: uno pel canto del vangelo, presso il quale si alza una colonnina destinata pel cero pasquale, e l'altro per il suddiacono che doveva leggere l'epistola; a fianco di quest'ultimo un leggìo per i chierici cantori e lettori delle profezie e degli altri libri delle sacre scritture. Intorno all'abside vi è il sedile destinato per i sacerdoti, e in fondo, nel centro, sorge su tre gradini la cattedra del Vescovo. Tutti questi oggetti furono tolti dalla Basilica Costantiniana, che ora forma come i sotterranei di quella che visitava D. Bosco, e nei quali si vedono, sulle pareti, immagini di santi dipinte indubbiamente nel secolo IV, altri affreschi dei secoli successivi fino all'XI, ed una Madonna col bambino sulle ginocchia del secolo IX. Quanti errori dei protestanti vide D. Bosco essere confutati dai monumenti di questa doppia basilica!

   Di qui D. Bosco procedette alla chiesa di forma basilicale, detta dei quattro coronali, a visitare i sepolcri dei santi martiri Severo, Severino, Carpoforo e Vittorino, uccisi sotto Diocleziano; passò a S. Giovanni avanti la porta latina, presso la quale sta una cappella edificata sul luogo ove S. Giovanni Evangelista fu immerso nella caldaia d'olio bollente; s'inoltrò fino alla chiesina del Domine quo vadis, così chiamata perchè apparve in quel punto il Divin Salvatore a S. Pietro che usciva da Roma, per sottrarsi, pressato dai fedeli, al furore della persecuzione: - Signore, dove vai? gridò l'Apostolo stupito. E Gesù gli rispose: - Vengo per essere crocifisso un'altra volta. S. Pietro comprese, e ritornò in Roma dove lo aspettava il martirio.

         Da questo tempietto D. Bosco rifece la strada, dopo aver dato uno sguardo alla via Appia, lungo la quale si contano moltissimi mausolei dei tempi del paganesimo, i quali ricordano qual fine sovrasti ad ogni grandezza umana.

   Il 25 marzo, festa della SS. Annunziata, il Marchese Patrizi condusse D. Bosco a celebrare la S. Messa alla Madonna della Quercia. Lo accompagnavano vari confratelli della Società di S. Vincenzo de' Paoli. D. Bosco confessò, predicò e s'intrattenne coi giovani dopo le sacre funzioni; parlò della fondazione, dello sviluppo delle conferenze annesse, e dei vantaggi che da queste sarebbero provenuti; e nel ritirarsi fece promessa che sarebbe ritornato in quel caro Oratorio.

   Una scena graziosa accadeva in questa mattina. Don Bosco, passato il Tevere, vide in una piccola piazza una trentina di ragazzi che si divertivano. Senz'altro si portò in mezzo a loro, che, sospendendo i vari giuochi, lo guardavano meravigliati. D. Bosco alzò allora la mano, tenendo fra le dita una medaglia, e poi esclamò amorevolmente: - Siete troppi e mi rincresce di non aver tante medaglie per regalarne una a ciascuno di voi.

   Que' ragazzi, preso animo, gridarono a pieno coro sporgendo le mani: - Non importa, non importa... a me! a me!

   D. Bosco soggiunse: - Ebbene; noti avendone per tutti, questa medaglia voglio regalarla al più buono. Chi è di voi il più buono?

     - Sono io, sono io - schiamazzarono tutti insieme.

   D. Bosco continuò: - Ma come posso fare io, se tutti siete buoni ugualmente? Ebbene: voglio donarla al più discolo! Chi fra di voi è il più discolo?

     - Sono io, sono io - risposero con grida assordanti.

   Il Marchese Patrizi e i suoi amici, ad una certa distanza, sorridevano commossi e stupiti nel veder D. Bosco trattare così famigliarmente con que' ragazzi, che per la prima volta aveva incontrati; ed esclamavano: - Ecco un altro S. Filippo Neri, amico della gioventù. - D. Bosco infatti, come se fosse stato un amico già conosciuto da que' fanciulli, continuò ad interrogarli, se avessero già ascoltata la S. Messa, in quale chiesa solessero andare, se conoscevano gli Oratorii che erano in quelle parti, se avessero già parlato con l'Abate Biondi. I fanciulli rispondevano. Il dialogo era animato, e finalmente D. Bosco, dopo averli esortati ad essere sempre buoni cristiani, prometteva che sarebbe passato altra volta per quella piazza e avrebbe recato una medaglia ovvero un'immagine per ciascuno di essi. D. Bosco, salutato affettuosamente, usciva di mezzo a quella turba, e ritornando a que' signori che lo aspettavano, loro mostrava quell'unica medaglia che teneva ancora in mano. Nulla aveva dato a que' fanciulli, eppure li aveva lasciati contenti. Il Marchese Patrizi osservò allora: - Il Beato Sebastiano Valfré diceva: “ Bisogna essere santamente furbi nel saper adoperare talora mezzi futili e anche strani per tendere le reti e cogliere la gente semplice: e così facilmente s'induce ad ascoltare la parola del Sacerdote, e a far opere vantaggiose per le anime proprie, pel sollievo del prossimo, e per la gloria di Dio; ma più particolarmente colla gioventù riescono certe industrie che talora parrebbero bizzarre ”.

         In questo giorno il Papa doveva recarsi alla chiesa di S. Maria sopra Minerva ove, dalla confraternita dell'Annunziata, si assegnavano doti alle zitelle bisognose. Invitato dal Card. Gaude, D. Bosco potè contemplare il nobile corteggio che accompagnava la carrozza del Papa tirata da sei cavalli, essere testimonio dell'amore e dell'entusiasmo della moltitudine per il Vicario di Gesù Cristo assistere alla bella solennità e ricevere più volte la benedizione pontificia. Non consta da documenti, ma sembra molto probabile che il Card. Gaude abbia presentato Don Bosco all'angelico Pio IX.

  Alla sera sedeva a mensa di casa De - Maistre il Marchese Fassati giunto da Torino per le funzioni della settimana santa.

  Il 26 marzo D. Bosco ritornava sul Monte Celio ed entrava nella chiesa molto spaziosa di S. Stefano rotondo, così detta per la sua forma. Il suo cornicione circolare è sostenuto da 56 colonne. Su tutte le pareti intorno sono dipinte le scene degli atroci supplizi coi quali furono straziati i martiri. È ornata da mosaici del secolo VII, che rappresentano Gesù crocifisso, con alcuni santi, e conserva i corpi di due confessori della Fede, S. Primo e S. Feliciano.

  Da S. Stefano rotondo D. Bosco passava a S. Maria detta in Dominica, perchè fabbricata sulla casa di S. Ciriaca, e anche S. Maria della navicella, per una barca di marmo che sta sulla piazza. Ha tre navi spartite da 18 colonne e contiene mosaici del secolo IX, Fra questi si vede la Vergine benedetta, al posto d'onore fra molti angeli e ai piedi di essa inginocchiato il Papa Pasquale.

  D. Bosco dopo aver preso note ritornava a casa, ove ebbe l'onore di una visita del Teol. Can. Colli Giacomo Antonio. D. Bosco era già stato ad ossequiarlo nella casa dei Rosminiani. Più volte egli andava a pranzo con questi buoni religiosi, suoi cordiali amici, coi Superiori dei quali aveva molta confidenza. Infatti, siccome a tavola i loro discorsi cadevano sempre su argomenti di filosofia, un giorno preso a parte il Padre Pagani, potè dirgli: Sembra che se talora essi lasciassero un po' da parte la filosofia, e si dessero con più impegno alla Teologia, forse sarebbe meglio. - Il Padre Pagani gli rispose: Ma, la filosofia non è la base, la porta della Teologia?

   D.Bosco nulla aggiunse, poichè, conosceva la scienza di quell'uomo anche nelle materie teologiche e si contentò dell'avviso.

   Tuttavia il Padre Pagani provò un po' di turbamento a quelle parole, sicchè le confidò al Ch. Rua, facendo sue ragioni. Il chierico per la sua pietà, virtù e specie la prudenza, si era acquistato la sua stima, come pure quella degli altri religiosi. Tanto più che speravano di vederlo un giorno con D. Bosco membro della loro Congregazione.

   Avendo essi di ciò sparsa voce in Roma, Rua incominciò a riceverne congratulazioni da personaggi eminenti. Egli però, senza palesare le sue propensioni e per cavarsi d'impaccio, rispondeva sempre: - lo dipendo da D. Bosco, e farò ciò che egli mi dirà.

   Ma D. Bosco non aveva tale intenzione e una sera, per usare un atto di fiducia verso il Padre Pagani, per mezzo del Ch. Rua, che era andato a casa De Maistre, gli mandò il manoscritto delle Regole della Pia Società, pregandolo che avesse la bontà di esaminarle e dare il suo parere. Il Padre Pagani le lesse, e restituendole a D. Bosco con una sua lettera consegnata allo stesso Rua, gli diceva di averle lette con molta sua edificazione e non aver trovato nulla da osservare. Uno stile così laconico svelava la sorpresa incresciosa cagionata da tale rivelazione Il Ch. Rua non tardò ad accorgersene, da certa freddezza di modi, quantunque gli si usassero sempre i riguardi della più squisita ospitalità.

     Il 27 marzo, sabato, precedente la Domenica delle Palme, era stato convenuto colla famiglia De Maistre ed altri signori, un pellegrinaggio in onore, di Maria SS. D. Bosco era andato a far sue divozioni alla chiesa di S. Agostino, sull'altar maggiore della quale ha culto un'immagine della Madonna, tolta da S. Sofia in Costantinopoli, e trafugata dai Greci quando i Turchi ebbero invasa quella città. Venerate la reliquie di S. Monica e la camera, ora sotterranea, ove S. Luca scrisse il suo vangelo, dai Padri Agostiniani che abitavano l'annesso vastissimo convento, D. Bosco era stato invitato a recarsi al loro santuario di Genazzano, diocesi suburbicaria di Palestrina. Qui si custodisce una pittura della Madonna detta del Buon Consiglio. Questa, sotto Paolo II, apparve miracolosamente sulla parete di quel tempio e quivi rimase. Tale effigie era scomparsa da Scutari al tempo dell'invasione dei Musulmani, e gli Albanesi per molti anni venivano a visitarla piangendo e a pregarla di voler ritornare in mezzo a loro.

  D. Bosco annuì, e in questo mattino in compagnia del Conte Rodolfo e colla sua famiglia e la servitù fu a quel santuario ove il Generale degli eremiti di S. Agostino procurò che fosse accolto con ogni riguardo. Celebrata la S. Messa, distribuita agli altri la santa Comunione, passate lietamente alcune ore, rientrò in Roma a notte fatta.

  Il Santo Padre intanto aveva espresso il desiderio che D. Bosco assistesse in Vaticano al divoto e magnifico spettacolo di tutte le funzioni della settimana santa. Quindi aveva dato incarico a Mons. Borromeo di invitarlo a nome suo, e di procurargli un posto dal quale potesse con suo agio essere spettatore dei sacri riti. Monsignore lo fece ricercare per ogni dove; ma il messo in tutto il giorno non potè incontrarlo, poichè egli si trovava a Genazzano. Finalmente, ritornato all'abitazione del Conte De Maistre ad ora tardissima, seppe che D. Bosco erasi già ritirato in sua camera. Tuttavia, dicendo egli che veniva per ordine del Papa, fu introdotto nella camera, e presentò a D. Bosco la lettera d'invito, colla quale era ammesso a ricevere la palma benedetta dalle mani di Sua Santità. D. Bosco la lesse subito, ed esclamò che sarebbe andato con suo gran piacere. Anche il Ch. Rua ebbe un simile biglietto.

  Il domani, domenica 28 marzo, D. Bosco col Ch. Rua, entrò nella Basilica di S. Pietro molto prima che incominciassero le funzioni. Il Conte Carlo De Maistre lo accompagnò alla tribuna de' diplomatici, ove eragli preparato il posto. Don Bosco era tutto occhio poichè conosceva l'importanza delle cerimonie della Chiesa. Al suo fianco stava un milord inglese protestante, meravigliato a quella solennità di riti. A un certo punto un cantore soprano della cappella Sistina cantò una parte da solo, ma così bene che Don Bosco ne fu commosso fino alle lagrime e quel milord era rimasto come estatico. Terminato quel canto il milord si volse a Don Bosco ed esclamò in latino, perchè in altra lingua non sapava come farsi intendere: - Post hoc paradisus! - Quel signore dopo qualche tempo si convertì al cattolicismo e poi fu prete e Vescovo.

         Come il Papa ebbe benedette le palme, venuto il proprio turno, il corpo diplomatico, sfilò verso il trono del Pontefice, ed ogni ambasciatore e ministro ricevette la palma dalle sue mani. Anche D. Bosco e il Ch. Rua s'inginocchiarono ai piedi del Pontefice ed ebbero la palma. Così Pio IX volle. E non era D. Bosco un ambasciatore dell'Altissimo? Il Ch. Rua ritornato presso i Rosminiani regalò la sua palma al Padre Pagani, che gradì molto quel dono. La messa era stata celebrata pontificalmente dal Cardinale Alessandro Bernabò, Prefetto della S. Congregazione di Propaganda.

   Il Card. Marini, che era uno dei due Cardinali diaconi assistenti al trono, perchè D. Bosco potesse assistere da vicino, anche nella cappella Sistina a tutte le altre funzioni della settimana santa, se lo prese come caudatario.

     -Così il servo di Dio, in veste violacea, stette quasi a fianco del Papa nel tempo dell'intero cerimoniale, e potè gustare i canti gregoriani e le musiche dell'Allegri e del Palestrina. Nel giovedì vide pontificare la messa dal Cardinal Mario Mattei come il più anziano dei Vescovi Suburbicarii invece del Cardinale decano del sacro collegio che era impedito; seguì il Pontefice che processionalmente portava il SS. Sacramento alla Cappella Paolina per riporlo nell'urna ivi preparata; lo accompagnò sulla loggia vaticana dalla quale Roma attendeva la solenne benedizione; assistè in due vastissime gallerie del palazzo alla lavanda dei piedi fatta dal Papa a tredici sacerdoti, e alla loro cena commemorativa, servita dallo stesso Vicario di Gesù Cristo.

     A proposito del venerdì santo così leggiamo in un opuscolo stampato in Parigi nel 1883 col titolo Dom Bosco à Paris par un ancien Magistrat, a pag. 66.

     ” A Roma un magistrato francese stava inginocchiato vicino ad un sacerdote il giorno di venerdì santo nella,cappella Paolina adorando Gesù in Sacramento nel Santo Sepolcro.

     ” Il magistrato era accompagnato da un signore italiano, che nell'uscire gli disse: - Avevate vicino a voi D. Bosco, un santo, il Vincenzo De'Paoli di Torino.

     ” E D. Bosco lo fu dell'Italia, e se Dio lo vuole, del mondo intero ”

D. Bosco dopo l'adorazione aveva ripreso il suo ufficio di caudatario presso il Card. Marini; in quel giorno celebrava il Card. Gabriele Ferretti come penitenziere maggiore. Sabato santo pontificava il Cardinale Francesco Gaude.

   Il 4 aprile le salve d'artiglieria dal Castel S. Angelo annunciavano l'aurora del giorno di Pasqua. Pio IX scendeva verso le dieci nella Basilica in sedia gestatoria e cantava la S. Messa. Dopo i pontificali egli doveva benedire secondo il solito urbi et orbi dalla loggia di S. Pietro. Sfilò il corteggio dei Vescovi e dei Cardinali e salì alla loggia.

   D. Bosco col Card. Marini ed un Vescovo restò per un istante vicino al davanzale, coperto di un magnifico drappo, sul quale erano stati deposti tre aurei triregni. Il Cardinale disse a D. Bosco: -Osservate quale spettacolo! - D. Bosco girava sulla piazza gli occhi attoniti. Una folla di 200.000 persone stava accalcata colla faccia rivolta alla loggia. I tetti, le finestre, i terrazzi di tutte le case erano occupati. L'esercito francese riempiva una parte dello spazio compreso tra l'obelisco e la scalinata di S. Pietro. I battaglioni della fanteria pontificia stavano schierati a destra e a sinistra. Indietro, la cavalleria e l'artiglieria. Migliaia di carrozze erano ferme alle due ali della piazza, vicino ai portici del Bernini, e nel fondo presso le case. Specialmente su quelle a nolo stavano in piedi gruppi di persone che parevano dominare la piazza. Era un vociare clamoroso, un calpestio di cavalli, una confusione incredibile. Nessuno può farsi un'idea di tale spettacolo.

         D. Bosco, che aveva lasciato il Papa nella Basilica nell'atto che venerava le esposte reliquie insigni, credeva che avrebbe tardato a comparire. Assorto nel contemplare tanta gente di ogni nazione, a un tratto s'accorge che i due prelati sono scomparsi, e vede a destra e a sinistra le stanghe della sedia gestatoria che gli era sopraggiunta alle spalle senza che se ne avvedesse. Si trovò allora in una posizione difficile; stretto fra la sedia e la balaustra, appena poteva muoversi; tutto intorno alla sedia stavano pigiati i Cardinali, i vescovi, i cerimonieri e i sediari, sicchè non vedeva un varco per uscirne. Rivolgere il viso al Papa era sconvenienza; voltargli le spalle un'inciviltà; rimanere nel centro del balcone una ridicolaggine. Non potendo far di meglio, si volse di fianco; allora la punta di un piede del Papa posava sulla sua spalla. In quel mentre un silenzio solenne regnò sulla piazza in modo che si sarebbe potuto udire il ronzío di una mosca che vola. Gli stessi cavalli stavano immobili. D. Bosco, per nulla turbato, attento ad ogni minimo incidente, osservo che un solo nitrito, e il suono di un orologio che batteva le ore, si fece udire mentre il Papa seduto recitava alcune preghiere di rito. Egli intanto, visto che il pavimento della loggia era sparso di frondi e di fiori, si curvò, e raccogliendo alcuni di que' fiori li metteva tra i fogli del libro che aveva in mano. Finalmente Pio IX si alzò in piedi per benedire: aperse le braccia, sollevò al Cielo le mani, le stese sulla moltitudine, la quale curvò la fronte, e la sua voce nel cantare la formola della benedizione, sonora, potente, solenne si udiva al di là di piazza Rusticucci e dalla soffitta del palazzo degli scrittori della Civiltà Cattolica.

La folla rispose alla benedizione del Papa con una immensa calorosa ovazione. Allora il Card. Ugolini Giuseppe lesse in latino il Breve dell'indulgenza plenaria e subito il Card. Marini lesse lo stesso Breve in lingua italiana. D. Bosco si era inginocchiato, e quando si rialzò la sedia ed il Papa erano scomparsi. Tutte le campane suonavano a festa, tuonava continuamente il cannone da Castel Sant'Angelo, le musiche militari facevano risuonare le loro trombe. Il Card. Marini allora, accompagnato dal caudatario, discese e andò alla sua carrozza. Ma appena questa si mosse, D. Bosco sentissi preso dal male prodotto da quel moto e gli si rivoltava lo stomaco. Sofferse alquanto; ma non potendo più resistere, manifestò al Cardinale quel suo incomodo. Per consiglio del Cardinale, salì in cassetta col cocchiere; ma continuando il malessere, scese per caminare a piedi. Essendo in veste paonazza, sarebbe stato oggetto di meraviglia o di scherno, se avesse attraversato Roma tutto solo; allora il segretario, anche buonissimo prete e gentile, scese di carrozza e lo accompagnò al palazzo del Cardinale.

Era scomparso quel momentaneo disturbo cagionato dalla commozione provata in quel mattino, ma non cessò così presto l'ilarità di tanti suoi amici piemontesi, fra i quali Tamietti Giovanni di Cambiano, che lo avevano visto sulla loggia Vaticana. Quando lo incontrarono: - Ma bravo, gli dicevano, ma bene. Faceva una bella figura così esposto a tutta la piazza! - E D. Bosco apriva il suo libro e mostrava loro i fiori che lassù aveva presi, i quali disseccati conservò sempre, cari ricordi di quel giorno.

   Ma a questi fiori raccolti da D. Bosco ai piedi del Papa, al piede di Pio IX sulla spalla di D. Bosco non si potrebbe dare un significato non oscuro? Ce lo darà il corso dei nostri racconti.

   Colla benedizione del Papa non erano ancor terminate quelle solennità. Il lunedì, dopo la Pasqua, nella Basilica Vaticana pontificava la messa il Cardinale Ludovico Altieri e il martedì il Cardinale Carlo Reisach. D. Bosco non volle trascurare alcuna di queste meravigliose funzioni che lo trasportavano alla meditazione del Paradiso; e noi le ricordiamo anche perchè la maggior parte dei Cardinali nominati furono protettori ed amici del nostro buon padre.

  Frattanto in uno di questi giorni il Conte Rodolfo De - Maistre, volendo dar testimonianza della grande stima che aveva per D. Bosco, lo invitò ad un pranzo diplomatico. Intervennero tutti i vari personaggi accreditati dalle varie corti di Europa presso la santa Sede. Fra costoro è massima gloria per chi sa parlare il maggior numero,di lingue, ed il Conte De - Maistre ad uno indirizzava il discorso in francese, ad un altro in tedesco, a quello in ispagnuolo. Finalmente si volse a D. Bosco che stava silenzioso in mezzo a persone che parlavano tutte le lingue, eccettuata l'italiana. D. Bosco sedeva in faccia al Conte, il quale lo interrogò in buon piemontese se avesse in quel mattino udita la musica della cappella pontificia, quale giudizio si dovesse dare sull'abilità dei cantori romani, se fossero a lui piaciuti gli strilli di qualche soprano, e certe voci squarciate di alcuni bassi. D. Bosco, disinvolto ad alta voce, gli rispondeva nel linguaggio di Gianduja con frasi, proverbi, frizzi, paragoni in proposito. E ambedue proseguirono alquanto di questo piede snocciolando le parole più strane, e le meno intelligibili per gli stranieri, nel proprio dialetto.

  I convitati stavano attenti con occhi sbarrati e orecchie tese, e siccome nessuno conosceva questa lingua, domandarono al Conte da qual nazione fosse parlata.

     - Il Sanscrito! - rispose solennemente.

  Tutti sulle prime rimasero stupiti a tale risposta; poi risero, si congratularono e applaudirono ad una lingua nuova in diplomazia.

 

 

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