Capitolo 73

Letture Cattoliche - UNA FAMIGLIA DI MARTIRI - CENNO BIOGRAFICO SUL GIOVANETTO MAGONE MICHELE: articolo dell'Armonia - IL PONTIFICATO DI S. DIONIGI - Ristampa della biografia di Savio Domenico; giudizi dell'Armonia - Pregi degli scritti di D. Bosco - Cronaca: predizione al ch. Ruffino - Ricordo de' Principii dell'Oratorio - Non conservar rancori - Star lontano da certi critici e non lasciarsi intimidire dai loro motteggi - D. Bosco va a Montemagno: in Asti confessa nella stazione e in una locanda - Consigli ad un nobile giovanetto perchè si apparecchi alla prima Comunione - Conferenza: sul parlare di politica: guardarsi dal rispetto umano nell'esercizio dei doveri di pietà: procurare che ove è un socio della Congregazione tutto proceda bene - D. Bosco rimprovera chi abusava, giuocando, delle frasi scritturali - Prende le difese dei Canonici vilipesi e di un Vescovo - Sua avversione alla maldicenza e come cercasse impedirla - Con quale carità parlasse del prossimo - È interrogato sulla predizione di una morte che non parea avverata: sua risposta - Malattie nell'Oratorio - Lettera di Mons. Fransoni a D. Bosco per le vestizioni clericali - D. Bosco si reca a Vercelli - In viaggio difende i suoi chierici dall'accusa che nonimparassero la teologia - Suo discorso inaugurale dopo la consacrazione della Basilica a S. Maria Maggiore - Due altre sue prediche improvvisale.

Capitolo 73

da Memorie Biografiche

del 30 novembre 2006

Gli alunni dell'Oratorio abbonati alle Letture Cattoliche ritornavano alle proprie case coll'opuscolo di agosto stampato da Paravia: Una famiglia di Martiri; ossia Vita dei santi martiri, Mario, Marta, Audiface ed Abaco e loro martirio, con appendice sul Santuario ad essi dedicato presso Caselette per cura del Sacerdote Bosco Giovanni. Ei narra del culto prestato a questi martiri, delle loro preziose reliquie e dei portenti operati dalla loro intercessione.

Pel settembre chi era in ferie ricevea un altro fascicolo scritto con grande amore: - Cenno biografico Sul giovanetto Magone Michele allievo dell'Oratorio di S. Francesco di Sales per cura del Sacerdote Bosco Giovanni.

A' suoi alunni era indirizzata la prefazione.

 

Giovani carissimi,

 

Tra quelli di voi, giovani carissimi, che ansiosi aspettavano la pubblicazione della vita di Savio Domenico, eravi il giovanetto Magone Michele. Esso in modo industrioso ora dall'uno ora dall'altro raccoglieva i tratti speciali delle azioni, che di quel modello di vita cristiana si raccontavano, adoperandosi poi con tutte le sue forze per imitarlo; ma ardentemente desiderava che gli si porgessero insieme raccolte le virt√π di colui, che egli voleva proporsi a maestro. Se non che appena poteva leggerne alcune pagine, che il Signore ponendo fine alla sua vita mortale, chiamavalo, come fondatamente si spera, a godere la pace de' giusti in compagnia dell'amico di cui intendeva farsi imitatore.

La vita singolare o meglio romantica di questo vostro compagno eccitò in voi il pio desiderio di vederla eziandio stampata; e me ne faceste ripetutamente dimanda. Laonde mosso da queste domande e dall'affetto che nutriva verso quel nostro comune amico, mosso anche dal pensiero che questo tenue lavoro sarebbe tornato dilettevole e nel tempo stesso utile alle anime vostre, mi sono determinato di appagarvi, raccogliendo quanto di lui avvenne sotto ai nostri occhi per darvelo stampato in un libretto.

Nella vita di Savio Domenico voi osservate la virt√π nata con lui, e coltivata fino all'eroismo in tutto il corso della vita sua mortale.

In questa di Magone noi abbiamo un giovanetto che abbandonato a sè stesso era in pericolo di cominciar a battere il tristo sentiero del male; ma che il Signore invitò a seguirlo. Ascoltò egli l'amorosa chiamata e, costantemente corrispondendo alla grazia divina, giunse a trarre in ammirazione quanti lo conobbero, palesandosi così quanto siano maravigliosi gli effetti della grazia di Dio verso di coloro che si adoperano per corrispondervi.

Voi troverete qui parecchie azioni da ammirare, molte da imitare, anzi incontrerete certi tratti di virtù, certi detti che sembrano anche superiori all'età di quattordici anni. Ma appunto perchè sono cose non comuni mi parvero degne di essere scritte. Ogni lettore per altro è sicuro della verità dei fatti; imperciocchè io non feci altro che disporre e collegare in forma storica quanto è avvenuto sotto agli occhi di una moltitudine di viventi, che ad ogni momento possono essere interrogati su quanto viene ivi esposto.

 

L'Armonia del venerdì 15 novembre elogiava questa biografia:

 

È un libretto di pressochè cento pagine, scritto da quell'ottimo sacerdote che è il Sig. D. Bosco. Certo il solo nome del Fautore dice da sè quanto dilettevole e proficuo, specialmente alla gioventù, debba tornare questo breve scritto. Il modo facile e naturale, con cui egli narra le belle azioni che resero ammirabile il giovanetto Magone, allievo dell'Oratorio di San Francesco di Sales, non potrà a meno di fare una dolce violenza a chi legge per invaghirlo della virtù e mettergli in disamore tutte le frivolezze della terra. Noi abbiamo già più volte raccomandate queste care Letture, e ben ci gode l'animo in vederle diffondersi ognor più per cura di tante buone persone, che cercano di contrapporre buoni scritti ai tanti libercoli cattivi da cui siamo inondati.

Pel ritorno degli alunni dalle vacanze il solito tipografo Paravia faceva imprimere l'Opuscolo delle Letture Cattoliche per il mese di ottobre. Il Pontificato di S. Dionigi con appendice sopra S. Gregorio Taumaturgo per cura del Sacerdote Bosco Giovanni (L). Si espongono anche le glorie di martiri di que' tempi, e i tremendi prolungati castighi di Dio contro gli idolatri.

Nello stesso tempo si ristampava la Biografia di Savio Domenico e nell'Armonia del 2 agosto si legge:

Questo caro libriccino che uscì per la prima volta tra i fascicoli delle non mai abbastanza lodate Letture Cattoliche di Torino, ha già avuto l'onore di tre edizioni. Nell'ultima però che è appunto quella di che ora parliamo, l'egregio autore, sig. D. Bosco, vi aggiunse una sì bella appendice contenente il racconto di molte grazie ottenute da Dio ad intercessione del giovanetto, di cui descrive la vita, che, ne siamo certi, non tornerà men cara di tutto il resto ai cattolici e pii lettori. Noi non ispenderemo molte parole per raccomandare questa pregevolissima operetta.

Basti il dire che essa è usata da gran tempo come testo di lingua in molte scuole della Toscana, e che persone dottissime e ragguardevoli per ogni verso hanno dichiarato di non aver mai potuto pigliare in mano questo libro senza divorarlo, con sommo loro diletto e vantaggio spirituale, da cima a fondo. Non basta sapere scrivere; bisogna anche sapere farsi leggere. Or bene questo segreto così raro, noi siamo lieti di poter dirlo, se il Sig. D. Bosco lo possiede in tutti i suoi scritti, lo possiede poi in sommo grado nel presente libretto, che egli per la terza volta pubblica colle stampe, e che noi con tutto piacere annunziamo.

Non si può immaginare l'entusiasmo col quale erano ricevuti e letti questi libri. Se ne stamparono centinaia di migliaia di copie. In Toscana massimamente le prime opere di D. Bosco erano studiate come se fossero libri di testo. Il professore Pera, Ispettore delle scuole in quelle provincie e specialmente nella città di Pisa e di Livorno, venuto nell'Oratorio a far visita a D, Bosco, dicevagli: - Per fare apprendere ai nostri giovani bene e pulitamente la lingua italiana, io mi servo delle sue operette, come a dire, Savio Domenico, Comollo Luigi, e Magone Michele. Nelle scuole soglio dire agli allievi: - Qui in questi libretti di D. Bosco potete imparare un poco di schietto e semplice italiano. Che importa a me che voi studiate libri classici i quali abbiano parole peregrine, periodi altisonanti, frasi intricate, costruzioni difficili, se per intendere è necessario avere sempre il vocabolario alla mano? Ciò andrà bene per coloro che della lingua vogliono fare uno studio speciale, ma per coloro che a questo studio non attendono è cosa più spiccia imparare un modo semplice di scrivere, per servirsene negli usi comuni della vita.

Ed ora ritorniamo alla cronaca scritta da Ruffino Domenico: “ 4 agosto. - D. Bosco per pagarmi la festa del mio giorno onomastico mi disse: - Prima che siano compiti dodici mesi vedrai cosa che ti consolerà molto: un altra che ti addolorerà molto: una terza che ti tribolerà molto ”. - Ruffino era del paese di Giaveno e fu consolato dalla crescente prosperità di quel piccolo seminario: fu addolorato, come vedremo, dall'essere stato costretto Don Bosco a ritirarsi coi suoi chierici dalla direzione di quello; fu tribolato da una malattia che si temette assai lo portasse alla tomba.

“ Alcune sere dopo D. Bosco stava in refettorio circondato da un bel numero di giovanetti che non erano andati in vacanza. Con essi trovavasi qualche chierico del quale non era intieramente soddisfatto. Parlò lungamente dei principii dell'Oratorio, fece ridere con varii fatterelli che raccontò, poi ad un tratto divenuto serio esclamò: - Oh! se alcuni che non si regolano abbastanza bene, si ricordassero sempre dei primi tempi dell'Oratorio, si renderebbero certamente degni dei doni singolarissimi che il Signore ci ha fatti!

” Li esortava eziandio a non secondare l'amor proprio quando venisse offeso, a non conservare rancori, a soffocare le gelosie, a non adombrarsi per la preminenza di altri in qualche ufficio. D. Bosco sapeva per esperienza il danno che recano alle comunità, ed alle anime certe dissensioni ”.

Il Ch. Albera Paolo tempo dopo, accompagnava una sera in camera D. Bosco, il quale ritornava dalla città.

Mentre lo aiutava a deporre cappello e mantellina, Don Bosco gli disse: -Tu sei giovane, ma ne vedrai delle belle. Due sono insieme nella stessa chiesa a fare la meditazione; due sono in coro uno a fianco dell'altro che cantano il breviario; due sono vicini inginocchiati alla stessa balaustra per fare la Santa Comunione: e nello stesso tempo si aborriscono, e non possono soffrirsi a vicenda. E sanno conciliare una cosa coll'altra: odio, maldicenza, comunione e preghiera.

Altra volta disse ai chierici presente Reano Giuseppe: - Si deve temere e fuggire la compagnia di quelle persone che senza essere manifestamente rilassate nella condotta morale, censurano tutto ciò che fa tendere a maggior per-

fezione nella pratica dei regolamenti e nelle opere di pietà; e che nemmeno risparmiano l'autorità, gli ordini ed ammonimenti dei Superiori. - E poi soggiunse: - che, tenuto conto dell'umana miseria, un buon chierico facendo il suo dovere, deve aspettarsi di essere contradetto dai cattivi, ma deve anche rendersi superiore ai loro motteggi e compatire.

Nel mese di agosto D. Bosco recavasi a Montemagno per celebrare la solennità di Maria Assunta in cielo e nello stesso tempo per accondiscendere all'invito cordialissimo del Marchese Fassati, che ivi abitava nel suo magnifico castello. La Marchesa si chiamava Maria Assunta ed era per D. Bosco un dovere di riconoscenza, recarle in persona i suoi augurii. Anche i figli della Marchesa, Emanuele ed Azelia avevano per lui un grandissimo affetto e lo aspettavano con vivo desiderio.

Egli partì il giorno 14 col treno che giungeva in Asti alle due e mezzo pomeridiane e di qui a Montemagno lo avrebbe trasportato l'omnibus.

Nel treno aveva preso a chiacchierare con un negoziante che gli sedeva al fianco, e da cose di poco conto si passò a dire prima dei giornali buoni e de' vantaggi che arrecano e poi de' giornali cattivi e degli immensi danni che questi cagionano alla fede e alla morale delle popolazioni. Don Bosco non tardò a cattivarsi la benevolenza di quel signore, che ad un tratto lo interruppe dicendo: - Questo discorso fa tutto per me.... e avrei bisogno di confessarmi.

- Ebbene venga a Torino all'Oratorio ed io l'accoglierò come un amico. - È cosa un po' difficile. Ora vado a Genova….ho pure affari in altre città chi sa quando potrò essere di ritorno.

- E senza mandar la cosa tanto per le lunghe non potremmo concludere tutto adesso? - esclamò D. Bosco. Trasse quindi fuori l'orologio, esaminò l'ora dell'arrivo del treno in Asti, e quella della partenza coll'omnibus; e continuò:

- Ho venti minuti di tempo da impiegare per lei nella sua confessione.

- E se poi lei perdesse la corsa? - gli chiese il negoziante.

- Non stia in pena per me: prenderò un altro passaggio.

- Sta bene; andiamo! - esclamò risoluto quel signore.

In quell'istante il treno giungeva in Asti. D. Bosco scendendo fu salutato dal Capo Stazione che era suo conoscente, al quale chiese di potersi ritirare in una stanza che fosse libera, per trattare senza testimoni di alcuni affari con un amico. Il Capo Stazione accondiscese ben volentieri e li introdusse in una stanza ove rimasero soli. D. Bosco ed il negoziante prima parlarono di varie questioni preliminari ed accessorie; e quindi si cominciò la confessione. Ma il colloquio non procedette così spiccio come si sperava; ci volle alquanto più tempo di quello che fosse preveduto, e quando D. Bosco si recò all'ufficio delle vetture il legno già era partito. Siccome in quella stessa sera avrebbe egli dovuto trovarsi a Montemagno, chiese al padrone degli omnibus, se fosse stato possibile attaccare per lui qualche altra carrozza. Gli fu risposto che sì, ma non prima di un paio d'ore d'aspettazione. Mentre si facevano quelle trattative, nella sala si trovava un giovanotto di viso aperto e benevolo, il quale fu presto raggiunto da sette de' suoi amici. Costoro, che pareva non fossero avversi alla religione, osservavano il prete, che stava come persona cui pesasse quel contrattempo e, fattisi avanti, gli dissero cortesemente:

- Bisogna rassegnarsi, reverendo: abbia pazienza!

- Non se ne può fare a meno; lo so; ma almeno avessi qualche cosa da fare qui.

- Ci sono mille modi di passare il tempo: legga un libro; - disse uno.

E un altro: - Vada a fare qualche visita.

E un terzo: - Facciamo conversazione.

Un quarto: - Improvvisi una predica.

D. Bosco: - E dove vogliono che io faccia la predica? Qui all'ufficio degli omnibus? Per non perdere il mio tempo saprei ben io cosa fare, ma .......

- Che cosa vorrebbe fare?

- Mettermi in confessionale.

- E chi vuol confessare? gli domandarono.

- Per non lasciarmi ozioso vengano loro a confessarsi!

Qui fu uno scroscio di risa generale.

- Ne abbiamo di bisogno sa! Esclamarono tutti; all'anima si pensa poco: si parla sempre di cose di mondo, e di altre che qui non convien dire: si tira avanti sbadatamente ........

- Dunque adesso è tempo di pensare all'anima continuò D. Bosco con modo scherzevole: e se vogliono confessarsi io sono pronto. Ciò detto fissò in loro uno sguardo più eloquente delle parole.

- E perchè no? Sì! se lei vuole?! risposero, prima uno e poi l'altro.

- Ma lor signori hanno forse voglia di burlarsi di me! proseguì ancora Don Bosco colle sue maniere cattivanti.

- S'immagini se vogliamo burlarlo!

- Dunque abbiano buon volere di romperla col demonio e lascino del restante la cura a me; e vedranno che saran contenti.

- E dove vorrà confessarci? -  Mi seguano e vedranno.

D. Bosco salito nell'albergo attiguo, a quell'ora deserto, chiese licenza alla locandiera di occupare una stanza, e ottenutala v'introdusse que' giovanotti. Disposti i loro animi con brevi riflessioni li confessò tutti, rimandandoli consolati e contenti.

Come ebbe finito trovò pronta la carrozza e arrivato a Montemagno ebbe la fortuna di incontrarsi per la prima volta colla Contessa Carlotta Callori, che da quel punto fu una delle prime benefattrici delle opere Salsiane.

Dopo qualche settimana egli per mano della Marchesa venuta a Torino mandava al giovanetto Emanuele, che aveva riposta in lui piena confidenza, una preziosa lettera.

 

Caro Emanuele,

 

Mentre tu godi la campagna col buono Stanislao, (Medolago) io vengo in compagnia di Maman a farti una visita con questo biglietto che sono in dovere di scriverti.

Mio scopo si è di farti un bel progetto. Ascolta dunque. L'età, lo studio che percorri sembrano sufficienti per essere ammesso alla Santa Comunione. Io adunque vorrei che la prima Pasqua fosse per te quel gran giorno della santa tua prima Comunione. Che ne dici, caro Emanuele? Prova a parlarne coi tuoi genitori e sentirai il loro parere.

Ma io vorrei che cominciassi fin d'ora a prepararti e perciò essere in modo particolare esemplare nel praticare:

1° Ubbidienza esatta ai tuoi genitori e ad altri tuoi Superiori senza mai fare opposizione a qualsiasi comando.

2° Puntualità nell'adempimento dei tuoi doveri specialmente di quelli di scuola senza mai farti sgridare per adempirli.

3° Fare grande stima di tutte le cose di divozione. Perciò far bene il segno della santa croce, pregare ginocchioni con atteggiamento composto; assistere con esemplarità alle cose di chiesa.

Avrei molto piacere che mi facessi una risposta intorno alla proposta che ti ho fatto.

Ti prego di salutare Azelia e Stanislao da parte mia. State tutti allegri; il Signore Iddio vi benedica tutti; pregate per me; tu specialmente, o caro Emanuele, fammi onore colla tua buona condotta e credimi sempre tuo

Torino, 8 settembre 1861.

Aff.mo amico

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

In questi mesi sembra che nuovi pericoli sovrastassero all'Oratorio. Infatti il 4 settembre Don Bosco convocò i membri della Società di S. Francesco di Sales e fece un breve ma efficace discorso raccomandando lo star bene sull'avviso in cose di politica. D. Savio Angelo così ne scriveva a Don Durando che era fuori di Torino.

 

Amico e fratello in Ges√π Cristo,

 

Qui stiamo tutti bene ed allegri, secondo è nostro costume. Da due giorni io andava cercando occasione per iscriverti, ed ora non solo venne l'opportunità, ma sono espressamente incaricato dal sig. D. Bosco di farti sapere quanto si disse ieri sera nella conferenza di tutti i confratelli della Società di S. Francesco di Sales.

D. Bosco disse, che i tempi si fanno grossi e che perciò usassimo gran prudenza nel parlare di politica; non mai lasciarci sfuggire espressioni contrarie al Governo, poichè di nessuno ci possiamo fidare. Esservi degli incaricati per raccogliere detti e fatti su tale materia, e per farne consapevole chi di ragione. Sono pericolosi i discorsi contro la repressione della reazione e contro l'andata dei nostri a Roma. Interrogati star sempre sulle generali. In caso che fossimo costretti a rispondere, dire:

- Rincresce che si debba spargere tanto sangue; vorrei che presto ritornasse la pace; desidero che il Papa sia tranquillo; e altre simili espressioni.

Raccomandò anche di non aver paura quando si tratta di esercitare i doveri di religione o le nostre pratiche di pietà: non omettere le preghiere stabilite e la meditazione, guardarci bene dal rispetto umano. Dover noi sempre e allo stesso modo, e in qualunque luogo ci troveremo frequentare i SS. Sacramenti; procurare di insinuar negli altri il distacco dalle cose di questa terra.

Disse poi, per ciò che spetta a ciascuno dei soci che sono nell'Oratorio, doversi portare le cose al punto che in qualunque posto o angolo della casa uno di essi si troverà, si possa essere sicuri che tutto procede bene; e non esservi pericolo di male; sia col mettere gli altri in guardia colla nostra presenza, sia coll'impedirlo qualora si tentasse commettere disordini. Esigere egli ancora che si manifestino a lui o a chi lo rappresenta gli alunni che si giudicano non far per la casa in quanto a moralità, ed a religione specialmente.

Raccomandò in fine caldamente che noi considerassimo la Società nostra come una catena, di cui ciascun membro è un anello che deve essere unito agli altri coi vincoli della carità, della preghiera, e dello spirito della Società medesima.

Quanto ho scritto fin qui è ex officio.

Soggiungo che le stampe del tuo Donato quando saranno giunte guarderemo di fartele avere.

Torino, 5 settembre 1861

Tuo aff.mo

D. SAVIO ANGELO.

 

Da un riserbo prudente delle parole in fatto di politica, D. Bosco passava a raccomandare che in altre circostanze ciascuno sapesse governarsi nel dare certi giudizi e criteri sia sulle cose, sia sulle persone. Beatus qui lingua sua non est lapsus. (Ecclesiastico XXV, II). Invitato, sedeva a mensa con molti sacerdoti. Fra questi eravi un commensale, molto faceto, che sapeva eseguire un gran numero di giuochi varii e belli per destrezza di mano. Prendeva una canna, la metteva sul pollice e la faceva andare e venire in modo che quella emetteva un suono quasi di piccola tromba. Tutti erano meravigliati, perchè nello stesso tempo egli cantava e alcune note della canna armonizzavano colle note della voce. Ma lasciò ben presto le canzoni semplicemente giocose e incominciò le lezioni di Giobbe come sono nell'ufficio dei defunti, e quello che è peggio, parodiavane le parole. D. Bosco che aveva riso molto piacevolmente nel vedere i giuochi, cessò allora di ridere e prese un contegno serio. I convitati continuavano a ridere e a far plauso al giocoliere, quando uno di quelli accortosi del sembiante severo di D. Bosco, lo interrogò: - A D. Bosco non piacciono questi giuochi?

Essendosi tutti rivolti a lui egli rispose: - Mi dicano un poco: se qui con noi si trovasse S. Francesco di Sales, che cosa direbbe mai nel sentire profanare in tal modo le parole della Sacra Scrittura? Egli che rimproverò il suo medico che usava impropriamente, ma tuttavia non in modo sconvenevole alcune parole scritturali?...

Don Rua Michele narra: - Trovandomi io con Don Bosco e il Ch. Anfossi a pranzo col parroco della Crocetta sobborgo di Torino, ove erano eziandio molti altri convitati, uno di costoro prese a parlar male dei Canonici del Duomo e del Vicario generale, dicendo, fra le altre cose, che andavano in coro solamente per i frutti del benefizio e per le distribuzioni. D. Bosco lasciollo dire alquanto e poi rivoltosi a lui, così lo riprese: - Ma non sa che lei è molto cattivo? Sarebbe lei capace, ma con vere prove, di indicarmi un solo dei canonici che abbia quella intenzione che lei dice? E posto che ci fosse uno, due, e anche più che avessero quel fine, crede lei che con questo non possano averne altro degno di maggior lode? Non sa quel che dice S. Fracesco di Sales? che se un'azione del nostro prossimo

ha cento aspetti, novantanove cattivi e un solo buono, dobbiamo giudicarla buona da quel solo aspetto buono?

“ Un giorno, testificò D. Dalmazzo Francesco, D. Bosco trovavasi in una famiglia che sparlava di Mons. Ghilardi vescovo di Mondovì. Ed egli, senza entrare in questioni, ne prese la difesa, raccontando varii suoi fatti degni di lode, che dimostravano la sua grande virtù e carità. A quelle parole nessuno osò più fare osservazioni in contrario.

” E teneva sempre questa regola quando aveva in casa o a mensa de' forestieri, i quali si permettevano giudizi sfavorevoli sulle autorità ecclesiastiche o su altre persone. Egli sapeva opportunamente far notare qualche bella qualità di coloro sui quali cadeva la maldicenza e se gli altri persistevano nell'argomento, allora egli diceva: - Del prossimo o parlarne bene o tacerne affatto.

” Se la mormorazione veniva da persone a lui superiori, o sopra cui non avesse autorità, egli in bel modo la interrompeva facendo cadere il discorso sopra altro soggetto; e quando non gli riusciva, prendeva altresì coraggiosamente la difesa di coloro contro cui si mormorava; e faceva notare l'ingiustizia di sparlare di chi, essendo assente, non poteva esporre le sue ragioni e difendersi.

” Egli parlava sovente contro la mormorazione, affermando esser questa uno dei più grandi nemici della casa, e a quando a quando dava per fioretto ai giovani di fuggirla. La maldicenza era una delle cose che maggiormente gli davano pena e sapendo o vedendo dimenticate le sue proibizioni da qualcuno de' suoi alunni, rampognavalo anche severamente. E poi non lasciavasi mai trasportare a parole o a fatti che potessero ledere altrui nella fama; anzi compiacevasi di segnalare i veri meriti di chicchessia tutte le voltechè ne aveva occasione, e ciò faceva a voce o per iscritto. Tale giustizia imponeva pure a suoi pensieri, non facendosi lecito di giudicare sinistramente del prossimo, se non quando i fatti erano evidentemente cattivi e notorii. Ed allora attribuiva il fallo ad ignoranza, a debolezza umana, a consiglieri imprudenti, più che a malvagità di animo: ed intanto ricordava a se stesso ed agli altri il detto di S. Paolo: - Qui stat videal ne cadat! ”

Riferisce la cronaca di D. Ruffino “ 10 settembre: Domandai a D. Bosco: - Di grazia io notai che il giorno 3 di giugno V. S., annunziando l'esercizio della buona morte, ci esortava a farlo bene, dicendo che ci era uno fra noi il quale non l'avrebbe più fatto.

” D. Bosco mi rispose: - Fra poco potrò dirti chi fosse quel tale. Egli era in casa quando dissi ciò che or tu rammenti, ma non fece nemmanco allora l'esercizio della buona morte. Dirotti di più che io vidi in sogno i giovani dell'oratorio che facevano il loro esercizio; mancavano però alcuni e fra questi vi era il sopradetto. Io vidi costui fuori della chiesa, in atto di cucire un lenzuolo e gli domandai: - Che cosa stai facendo ?

- Mi cucisco il lenzuolo, mi rispose, per ripormi dentro.

- Ma gli altri vanno in chiesa per farvi l'esercizio della buona morte!

- Oh io non ci vado più. ”

Costui era adunque uscito dall'Oratorio e D. Bosco non ne aveva più saputo novella. Ma queste interrogazioni e altre, come vedremo, ci fanno intendere che egli non poteva azzardarsi a dare tali annunzi, se non era persuaso della verità, essendo alla presenza di centinaia di testimoni, che nulla dimenticavano.

Ma nel mese di settembre continuava ad avverarsi la previsione delle malattie. “ Pelissone Luigi, così D. Ruffino, è gravemente ammalato e in guisa che si dubita moltissimo della sua vita. Già gli venne amministrato l'Olio santo ”. Tuttavia questo giovane guarì.

D. Bosco intanto aveva attesa invano la risposta ad una sua lettera scritta all'Arcivescovo di Torino. Gli aveva chiesta la facoltà di presentare all'esame per la vestizione clericale, un certo numero de' suoi giovani, prima del tempo fissato per tutti gli aspiranti della diocesi allo stato Ecclesiastico. Ciò forse per non essere costretto a richiamare gli alunni dalle vacanze con non lieve spesa. Erasi anche a lui raccomandato per qualche sussidio.

Gli  fu recapitata finalmente la lettera di Mons. Fransoni, mentre egli era a Vercelli.

 

Carissimo D. Bosco,

 

Soltanto ieri in un plico, che da Torino mi è giunto per occasione particolare, ho ricevuto il suo foglio del 22 luglio. Per conseguenza per la domanda dell'esame privato è finita, giacchè osservo nel calendario, che era fissato pel 19 d'agosto. Non gliene faccia però rincrescimento, perchè non avrei creduto poterla contentare, mentre anche quelli della piccola Casa prendono l'esame generale, e se aprissi la via dei privati, non si quieterebbe più.

Per la seconda domanda Ella non ignora, che tutto il reddito Arcivescovile mi è stato tolto, e per conseguenza non posso fare grandi cose. Tuttavia siccome non ispererci, che la mia benedizione facesse andate innanzi la fabbrica, vada dal banchiere Piaggio, sotto il Can. Fantolini, che è già avvertito di darle ciò che posso.

Preghi e faccia pregare per me, che coi sensi della pi√π perfetta stima mi ripeto

Lione, 15 settembre 1861

Suo devotis. ed affezion. Servo

LUIGI Arciv. di Torino.

 

A Vercelli si doveva consecrare e dedicare la basilica parrocchiale intitolata a Santa Maria Maggiore. I parrocchiani animati con apposito discorso dal loro parroco il Vicario D. Giovanni Momo; a contribuire in offerte alla ristorazione ed all'abbellimento di quel tempio, con unanime generosità avevano risposto all'appello. Sotto la direzione del Conte Edoardo Mella, distinto nelle scienze e nelle arti erano stati incominciati i lavori nella metà di aprile ed avevano avuto termine colla metà di settembre. La nuova Basilica prendeva nome dall'Antica, celebre per i sacri suoi fasti non meno che per vetustà pagana. Monsignor Antonio Gianotti, già Arcivescovo di Sassari ed ora

Vescovo di Saluzzo, doveva consacrarla.

Nelle note ad un cantico, stampato dal Prof. Chionetti Giov. Battista e dedicato in argomento di stima e di gratitudine, dai parrocchiani a S. Eccellenza l'Arcivescovo Monsignor Alessandro d'Angennes, si legge il seguente annunzio.

“ 15 settembre 1861 giorno della consecrazione e dedicazione della Chiesa.

” Nelle ore pomeridiane di questo stesso giorno avranno luogo solenni vespri, musicati ed accompagnati coll'organo dal rinomato maestro Felice Frasi a' quali assisteranno Sua Eccellenza l'Arcivescovo della Diocesi ed il Vescovo consecrante. Dirà l'orazione inaugurale il dotto e caritatevole Don Giovanni Bosco così benemerito della Società e della Religione ”.

D. Bosco adunque invitato dal Vicario D. Giovanni Momo, preparata e dettata a D. Rua l'orazione che voleva esporre, partì per Vercelli il giorno 14 del mese.

Ma come abbiamo già visto, e come vedremo, era inevitabile che in ogni suo viaggio, dovesse dimostrare la mitezza dell'animo suo. Nella vettura in cui si trovava vi erano pure due preti che conversavano fra di loro, mentre D. Bosco scriveva la vita di un Papa.

Quei due preti parlavano del Seminario, dell'istruzione ecclesiastica; e poi il discorso cadde sull'Oratorio di Torino. Dicevano che i chierici dell'Oratorio non potevano studiare teologia perchè occupati sempre ad assistere i giovani e che di là non potevano uscire che preti di poco conto. Rivolta poi la parola a D. Bosco, che non conoscevano, gli domandarono: - Non è vero che è così?

D. Bosco rispose che gli pareva il contrario e disse: - Ma conoscete voi D. Bosco e siete già stati a vedere la sua casa? I suoi chierici studiano e se volete saperlo andate a chiedere i loro voti in Seminario. - Il treno in quel momento si fermò a Vercelli. Alla stazione vi era gente che aspettava l'Arcivescovo, altri che aspettavano D. Bosco. Appena D. Bosco si fece vedere allo sportello si sentì a chiamare: - D. Bosco, D. Bosco! - Quei preti restarono mortificati e confusi; gli fecero un inchino e continuarono il loro viaggio. D. Bosco li scusò dicendo che erano male informati. In seguito essi vennero all'Oratorio a fare le loro scuse ed a raccomandare giovani.

D. Bosco adunque il giorno 15 settembre predicò a Vercelli le glorie di Maria, testificate da quella Basilica è piacque tanto sia all'immenso uditorio e sia ai due Prelati, che l'Arcivescovo d'Angennes, lo fece predicare nei due giorni seguenti imponendogli che non durasse pena nella ricerca degli argomenti, perchè eglino stessi, i Vescovi, a tempo debito glieli avrebbero suggeriti. Infatti così fecero, aspettando che fosse prossima l'ora di salire in pulpito. L'argomento della prima predica lo diede Monsignore di Saluzzo; l'argomento della seconda Mons. Arcivescovo, sul rispetto alla chiesa come luogo sacro.

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