Morte di D. Enrico Bonetti: elogio: condoglianze del Vescovo di Mondovì - Mons. Manacorda manda a D. Bosco l'ultima decisione di Mons. Modena sul Centenario - Soddisfazione di Mons. Gastaldi per essere finita la vertenza - Il Prefetto di Torino ed il Cardinale Guidi chiedono l'accettazione di fanciulli - Si domandano preghiere a Don Bosco per l'anima dell'lmperatore Massimiliano fucilato nel Messico, e per l'imperatrice impazzita -Risposta di Pio IX alla lettera di D. Bosco - Attaccamento incrollabile del Servo di Dio alla S. Sede - Occcupazioni speciali di D. Bosco negli ultimi giorni dell'anno scolastico - Sua lettera ad una nobile benefattrice; manderà il prete promesso: una pazza guarita dalla medaglia di Maria Ausiliatrice: fede e perseveranza nelle preghiere per ottenere grazie - Lettera ai giovani del collegio di Lanzo: ricordi per le vacanze - Il colera a Roma - La malattia della Contessa Calderari in Torino.
del 04 dicembre 2006
Il 14 luglio, alla sera, giungeva all'Oratorio un telegramma che annunziava come il Sacerdote Enrico Bonetti fosse stato colpito gravemente dal colera. L'infermo stesso aveva voluto con questo raccomandarsi alle preghiere dei suoi confratelli ed alunni. L'annunzio cagionò gran dolore a tutta la Comunità. Egli era partito da otto giorni per Chiuduno, in provincia di Bergamo, sua patria, per accorrere al letto della vecchia madre, agonizzante per lo stesso morbo che faceva strage in paese. Ma quando giunse, la madre non era più e D. Enrico dovette fermarsi a confortare i suoi fratelli e congiunti. Nell'Oratorio si trepidava per lui.
D. Enrico Bonetti aveva un'affezione tenerissima per Don Bosco ed ogni suo comando era da lui considerato come manifestazione della volontà di Dio. In ricreazione egli era sempre in mezzo ai giovani per impedire qualunque disordine e la sua compagnia era da essi ricercata. Diligentissimo nelle pratiche di pietà, era un modello di operosità e di zelo. Catechismo, cerimonie, conferenze, assistenza, tutto veniva da lui disimpegnato con zelo e profitto delle anime. Nella classe di umanità, nella quale faceva scuola, era sempre salutato col più amorevole sorriso dagli scolari che lo riguardavano come un affettuoso fratello; tanto interesse egli mostrava pel loro avanzamento negli studi. A lui era pure affidata la tipografia, quando il Direttore di questa si trovava per mesi in viaggio, ed egli ne disimpegnava tutti i complicati doveri, senza trascurare i suoi propri, non badando alla sua sanità. Iscritto inoltre nella Regia Università di Torino alla facoltà di Scienze Fisiche e Matematiche, era tale il suo ingegno e il suo profitto che i professori gli portavano grande affezione e stima, dicendolo uno dei migliori del corso; e quando più non comparve alle loro lezioni, scesero essi stessi in Valdocco per averne notizie e ne appresero dolenti la morte.
Aveva celebrato la sua prima messa il giorno della Madonna del Rosario nel 1866 con tanta esultanza, da fargli dire che solo in paradiso avrebbe potuto provarne una maggiore; ed il suo contegno all'altare fece sempre testimonianza del suo raccoglimento e del suo fervore.
La domenica 14 luglio alle ore 10 egli celebrò la sua ultima messa, e fu la parrochiale, desideroso di sollevare il parroco tutto intento all'assistenza de' colerosi. Quel medesimo giorno alle 3 pomeridiane fu preso dal male. Il parroco D. Giuseppe Calvi gli amministrò tutti i sacramenti con la benedizione papale. Fino all'ultimo fu in pienissima cognizione, parlando a quando a quando di D. Bosco e del caro Oratorio. Spirava mezz'ora dopo la mezzanotte, cioè nella prima ora del giorno del santo del quale portava il nome.
Nell'Oratorio gli si fecero solenni funerali e prima delle esequie D. Francesia lesse una commovente orazione, prendendo per testo: Suavis somnus operanti justitiam.
Mons. Ghilardi, che per la stampa dei suoi libri, era in continua relazione con D. Durando, gli scriveva da Roma il 29 luglio: “ Quanto mi ha addolorato la infausta notizia che mi deste della morte dell'ottimo Don Bonetti e di sua madre. Io ho subito pregato per essi, e continuerò a fare lo stesso. Ma sia sempre fatta la volontà di Dio: beati mortui qui in Domino moriuntur. Sperando che il carissimo D. Bosco abbia ricevuto l'ultima mia, sono ecc. ecc. ”
Un altro scritto del Vescovo, accluso in biglietto di Mons. Manacorda, temperò il dolore provato da D. Bosco per la morte di D. Bonetti.
 
Tutto per amor di Ges√π Sacramentato.
 
Rev.mo ed Arcicar.mo D. Bosco,
 
Incaricato dal Vescovo di Mondovì Le mando le qui accluse carte. Se fossi sicuro di poter venire direttamente in Torino amerei meglio consegnargliele di propria mano; ma per non cagionare ritardo le faccio precedere. Caro D. Bosco, preghi per me, questo mi basta per assicurarmi il Paradiso, e vedere a faccia a faccia quel Dio di amore, che ora solo guardo in Sacramento coll'occhio della fede. Oh venga presto questo giorno benedetto. Allora sì che aiuterò D. Bosco!
Mi abbia nel Signore per tutto suo
MANACORDA EMILIANO.
 
In un foglio si leggeva:
 
Il Vescovo di Mondovì comunica al Carissimo D. Bosco le due seguenti osservazioni di Mons. Modena, e ciò mediante resta terminata la consaputa pendenza.
Nell'altro foglio erano le osservazioni:
 
Roma. 15 luglio 1867.
 
Alla pag. 217 è indispensabile correggere il grave errore contenuto in quel periodo che incomincia: “ La nostra fede dev'essere intera… e finisce in queste parole: Costui (cioè che commette peccato grave) trasgredisce un articolo di fede che lo fa colpevole di tutti gli altri ”.
Alla pag. 192 meglio sarebbe il sopprimere tutta l'appendice, che è una superfluità in siffatta opera ascetica, ma se voglia mantenersi, correggasi l'espressione erronea e ripugnante alla sana critica ed al buon senso religioso, cioè che la venuta di S. Pietro a Roma è un fatto estraneo alla fede ed è argomento di libera discussione.
A queste due eransi ridotte le correzioni, senza altra obbligazione, e Don Bosco le eseguì fedelmente.
Così le Letture Cattoliche avevano superato una grave tempesta, destata dalla inconsulta animosità di chi aveva malamente interpretate le azioni di D. Bosco in Roma. La sua difesa aveva sortito il desiderato effetto. Mons. Gastaldi ne provò grande soddisfazione e gioia, e la manifestava al ch. Chiapale, parlandogli delle tribolazioni sofferte da D. Bosco in quel tempo e concludendo:
 - Qui Pie volunt vivere in Christo Jesu, persecutionem patientur. Glie lo participi a D. Bosco a nome mio.
Così avveravasi la promessa dei Proverbi: - Ubi fuerit superbia, ibi et contumelia; ubi autem humilitas, ibi et sapientia.
Con gran cuore il Servo di Dio ringraziò la Madonna d'averlo liberato da quella angustia, che non avealo distolto dall'occuparsi continuamente delle sue Opere e dalla sua corrispondenza. Da questa emerge sempre la grande stima e confidenza che i ricorrenti avevano per lui.
Nel mese di luglio il Prefetto di Torino, Senatore Conte Torre, testimone della sua carità per gli orfani Anconitani, lo pregava a ricoverare nell'Oratorio i fratelli Condio del circondario d'Ivrea. Erano figli orfani di un uffiziale, nipote di un tenente colonnello pure defunto, che si trovavano senza mezzi di fortuna.
Il Cardinale Filippo Maria Guidi, dell'Ordine de' Predicatori, ammiratore di quanto D. Bosco aveva fatto in Roma, gli raccomandava e faceva condurre in Torino un nipote del suo cameriere.
La Contessa Carolina Lützow da S. Vito scriveva in francese al Cavaliere Oreglia perchè si pregasse per l'Imperatore Massimiliano fucilato dai repubblicani a Queretaro: “ Carlo ed io siamo profondamente afflitti per la morte dell'Imperatore del Messico, nel quale rimpiangiamo non solo un principe della nostra famiglia imperiale, uno degli uomini più distinti che abbiamo conosciuti, ma eziandio un amico che ci ha date numerose prove di bontà e di affabilità, prima di abbandonare l'Austria per questa funesta spedizione. Io vi prego di raccomandare alle preghiere di D. Bosco la sua anima e la disgraziata imperatrice che non è più in stato di comprendere la grandezza del suo infortunio ”.
Mentre D. Bosco rispondeva a queste lettere, glie ne era recapitata una che lo riempiva d'immensa gioia.
 
PIO P.P. IX
Diletto Figlio, saluto ed apostolica benedizione.
Abbiamo ricevuto con piacere la tua affettuosissima lettera dei 25 giugno, in cui ci annunzi la venuta a Roma di Angelo Savio e Giovanni Cagliero, sacerdoti della Società Salesiana, tuoi collaboratori nel formare i giovanetti alla pietà ed alla virtù, poichè non potesti fare tu stesso il viaggio di Roma, come desideravi, e trovarti presente alle solenni feste secolari che Noi celebrammo in onore di S. Pietro e Paolo il 29 giugno prossimo passato e per la canonizzazione di varii eroi della divina nostra religione. In questa lettera, o Diletto Figlio, Ci manifesti eloquentemente la singolare pietà ed osservanza che tu e tutti i sacerdoti che ti aiutano nell'educazione della gioventù, vi gloriate di professare verso di Noi e verso questa Cattedra di S. Pietro. E questo ci tornò oltremodo gradito. Certo abbiamo appreso con immenso piacere che i Vescovi da Noi recentemente creati per coteste diocesi vacanti, siano stati ricevuti dai popoli cattolici con ogni sorta di dimostrazioni di onore, di riverenza e di santa letizia. Conoscendo intimamente la tua pietà, avevamo la certezza che tu nella nuova edizione dell'opuscolo “ il Centenario di S. Pietro ” avresti eseguito scrupulosamente ciò che la Nostra Congregazione dell'Indice credette di osservare. Per quel che spetta poi alle Costituzioni di cotesta Società di S. Francesco di Sales, già ti è noto essere stato questo affare affidato alla Nostra Congregazione dei Vescovi e Regolari, della cui opera ed aiuto Noi siamo soliti a servirci nel trattar simili negozii. Continua intanto con sempre maggiore alacrità nel lavorare per la cristiana educazione delle gioventù. Non cessar mai di innalzare ferventissime preci a Dio, ricco in misericordia, pel desiderato trionfo e per la pace, della Chiesa, mentre implorando tutte le grazie del Cielo ed in pegno del nostro ardente affetto, di tutto cuore impartiamo la benedizione Apostolica a te, a tutti i sacerdoti della Società di S. Francesco di Sales ed a tutti i giovanetti alla medesima affidati.
Dato a Roma, presso S. Pietro, il 22 luglio 1867, dei Nostro Pontificato anno vigesimo secondo.
PIO PAPA IX
Il Papa gli aveva scritto come egli conoscesse intimamente la sua pietà e il suo attaccamento alla Cattedra di S. Pietro; e questo elogio non venne mai smentito. Le persecuzioni, i pericoli, le fatiche, i dolori, le contraddizioni, le calunnie, le ripulse, le amarezze, le ingratitudini degli uomini, non giunsero a diminuire per un solo istante l'affetto che Don Bosco portava alla Chiesa. Ciò si manifestò in ogni sua azione, grande o piccola che fosse, fino agli ultimi giorni della sua vita. Il 27 settembre 1909 ci scriveva da Lanzo il Sacerdote Salesiano D. Sebastiano Teobaldi:
“ Mi diceva D. Giovanni Garino, di cara memoria, che il Ven. Don Bosco gli aveva suggerito di mettere nei suoi Esercizii Greci, come temi di traduzione, quei passi del Nuovo Testamento dai quali risulta il Primato di San Pietro. Infatti gli ultimi sei passi degli Esercizii Greci del buon Don Garino (passi che non c'erano nella prima edizione del 1886, ma che compaiono nella seconda del 1888 e successive della stessa opera) sono intitolati:
I) I Discepoli interrogati riferiscono le varie opinioni intorno a Ges√π; il quale, udita la confessione di Pietro lo costituisce fondamento della sua Chiesa (Matt. XVI).
II) Sorta contesa fra gli Apostoli chi di loro fosse il maggiore, Gesù dà loro alcuni ammonimenti e infine dice d'aver pregato per la fede di Pietro (S. Luca XXII).
III) Gesù comparso ai discepoli che pescano sul lago di Tiberiade, interroga Pietro se lo ami. Alla triplice risposta di Pietro “ io t'amo ”, Gesù gli comanda di pascere i suoi agnelli e le sue pecorelle (Giov. XXI).
IV) Pietro esercita il primato conferitogli da Ges√π Cristo eleggendo S. Mattia al posto lasciato vuoto da Giuda (Atti degli Apost. 1).
V) Pietro entrando con Giovanni nel tempio, guarisce coi nome di Ges√π uno storpio nato (Ivi, III).
VI) Erode Agrippa uccide l'Apostolo S. Giacomo, pone Pietro in carcere, ma la Chiesa prega per Lui e nella notte viene liberato da un angelo (Ivi, XII).
D. Bosco comunicava notizia della lettera e della benedizione papale ai giovani, che tutti erano occupati negli esami finali. Era questo un tempo che duplicava le sue occupazioni. Restava tutte le mattine in confessionale per più ore: dava udienza a quelli che desideravano consigli particolari per le vacanze, ascoltava le relazioni dei professori, s'informava dei voti, leggeva qualche componimento, impartiva norme perchè fosse ordinata la partenza dei giovani per tanti paesi, dava disposizione per gli esercizii spirituali de' Salesiani, s'informava del come finiva l'anno scolastico ne' due suoi collegi e scriveva ove non aveva potuto fare udir la sua voce. Si aggiunga che più nobili famiglie chiedevano a lui un prete per la villeggiatura o un ripetitore pei loro figliuoli. La risposta ad una di queste richieste è indirizzata alla Contessa Callori.
 
Benemerita signora Contessa,
 
Farà in modo che il prete si trovi al tempo stabilito; ma questo prete è veramente contrastato. D. Durando è legato con Casa Fassati; D. Francesia, Direttore delle scuole, non può allontanarsi da casa; D. Bonetti Enrico, pio, dotto, prudente, era fissato per questo. Ma un
dispaccio da Bergamo lo chiama ad assistere sua madre colpita dal
colera: va, trova morta la madre, poche ore dopo è assalito egli stesso
con suo fratello: in poche ore sono ambidue cadaveri. Sit nomen Domini benedictum! Dio ce ne darà un altro, del resto andrò io stesso
e farò quel che potrò.
Ieri fu condotta in mia camera una giovanetta pazza e furiosa tenuta da due uomini. Si fece una preghiera e appena ebbe la medaglia al collo si acquietò, domandando scusa e con tutto senno chiese potersi confessare e ne fu esaudita. I parenti partirono benedicendo Maria Ausiliatrice che avevano invocata.
Possibile che non si possa ottenere niente per la sua Vittoria? A forza di pregare male, che io non possa giugnere a fare almeno una giaculatoria con fervore? Fede! e continuiamo a pregare.
Ho mandato le medaglie e non so dove siano andate a terminare. Qui ce ne sono delle altre.
Preghi per me e per li miei giovanetti e mi creda con gratitudine e coi saluti a tutta la famiglia,
Torino, 25 luglio 1867,
Obbl.mo Servitore
Sac. Giovanni Bosco.
 
 
 
Agli alunni di Lanzo scriveva quest'altra lettera.
 
Cari figli del Collegio di Lanzo,
 
Ho differito finora a scrivervi, o figliuoli carissimi, perchè pensava di potervi personalmente parlare prima delle vacanze; ma ora veggo che le necessità delle occupazioni mi privano di questo piacere e mi studierò di soddisfare colla penna.
Vi dirà adunque che io vi ringrazio dell'offerta che avete fatto per la chiesa di Maria Ausiliatrice, e delle care lettere che vi siete compiaciuti di scrivermi. Voi non potete immaginarvi con quanto piacere io le abbia lette ad una ad una, e mi sembrava proprio di parlare con ciascuno di voi. Mentre leggeva, col mio cuore faceva a ciascuno la sua risposta, che non fu possibile di estendere per iscritto.
Siate persuasi, o miei cari, voi mi avete espressi tanti belli pensieri, ma questi pensieri trovarono eco nel mio cuore e spero che il vostro e il mio cuore faranno una cosa sola per amare e servire il Signore. Siate adunque benedetti e ringraziati della carità e benevolenza che mi avete mostrata. Intanto avvicinandosi le vacanze io desidero di darvi l'addio con qualche amichevole parola.
1° Per quanto vi sarà possibile, ritornate nel giorno in cui si ricominceranno le scuole, che credo sia il 16 del prossimo agosto, ad eccezione che qualche male ve lo impedisca.
2° Salutate i vostri parenti, i vostri parroci, maestri da parte mia.
3° Se incontrerete in vostra patria qualche compagno virtuoso, procurate di condurlo con voi al Collegio, ma a quelli che non vi sembrano buoni non parlate di venire in cotesto collegio.
4° Nel tempo che sarete a casa fate almeno la comunione nei giorni festivi. Lungo la settimana non tralasciate ogni mattina la vostra meditazione.
5° Ogni mattina dite un Pater ed un'Ave con Gloria Patri al SS. Sacramento per unirvi con me, che vi raccomando ogni giorno nella S. Messa, affinchè niuno di voi resti vittima del colera, che si fa terribilmente sentire in parecchi paesi a noi vicini. A proposito di questo brutto male io consiglierei che quelli che hanno il morbo in patria non ci andassero per le vacanze per non mettersi in pericolo della vita senza necessità.
Del resto, o cari figliuoli, pregate Dio per me, e preghiamo tutti l'un per l'altro, affinchè possiamo evitare l'offesa del Signore nel corso di questa vita per quindi trovarci tutti insieme un giorno a lodare, benedire e glorificare le divine misericordie in cielo. Amen.
Torino, 26 luglio 1867,
Aff.mo amico, padre, fratello
Sac. Bosco GIOVANNI.
 
P. S. - Evviva il Direttore, prefetto, maestri, assistenti e tutti i miei figli di Lanzo!
 
Il colera si estendeva in Italia e incominciava a far vittime in Roma. Il Signore G. Patrizi Montoro il 20 luglio scriveva al Cavaliere: “ Dite a D. Bosco che ci raccomandi al Signore, perchè siamo nelle tribolazioni ”. E D. Francesia, pur da Roma, riceveva la funesta notizia:
 
Roma, 26 luglio 1867
 
Rev. D. Francesia,
 
... Scopo principale di questa mia lettera è di raccomandare alla carità delle loro preghiere e del nostro amato e venerando D. Bosco particolarmente la povera Costanza Lepri, ottima signora che Lei ricorderà benissimo essere venuta le cento volte con una pazienza ammirabile dal Conte Vimercati per poter parlare a D. Bosco. Ebbene, questa buona signora mercoledì sera venne attaccata dal colera ed in sole 24 ore volò in seno a Dio… Quanto invidio la sorte della buona
contessina Calderari; beata lei, che può rivedere quel gran Servo di
Dio e trovare in lui qualche parola di conforto e d'incoraggiamento.
Le dica tante cose per parte mia e le racconti pure tante e belle cose di D. Bosco, affinchè ritornando a Roma ce le possa raccontare ..........Colla Calderari mi mandi qualche prezioso ricordo di D. Bosco, ma non se ne dimentichi; una cosa proprio usata da lui: o la sua corona o cosa simile. Mi scriva, e se fosse possibile avere una parola di Don Bosco, quanto arriverebbe a proposito .....
FANNY AMAT DI VILLA Rios.
 
La Contessa Calderari, benefattrice dell’Oratorio, appena giunta a Torino accompagnata dal Conte suo marito, era caduta gravemente inferma di uno di que' mali che hanno quasi sempre terribili conseguenze. Il Cavaliere Oreglia fu subito all'albergo offrendo i suoi preziosi servigi al Conte suo amico, che aveva bisogno di essere aiutato in una città nella quale era forestiero. Accorse pure la Duchessa B. Scotti Melzi, avvisata da D. Bosco, e, consigliatasi colla Marchesa Fassati, per mezzo di una suora di San Vincenzo de' Paoli, cercò una brava infermiera che vegliasse l'inferma di notte. Da Firenze la Marchesa T. Nerli, come altre dame da Roma, scriveva al Cavaliere chiedendone affettuosamente notizie, dicendo: “Mi consola il pensare che è vicina a Don Bosco e che non le mancano per conseguenza aiuto e conforti spirituali ”.
Lo stesso Cardinale Antonelli mandava un suo foglio al Cavaliere.
 
Ill.mo Signore,
 
Mi cagionarono una viva amarezza le notizie che V. S. Ill.ma mi arrecava col suo foglio del 1° corrente, intorno la travagliata salute dell'ottima contessa Calderari. Nutro però speranza che coll'aiuto divino e con una assidua cura possa completamente riaversi. Professo intanto alla S. V. la più sincera gratitudine per l'assistenza che le prodiga, e per la parte che prende all'afflitto sig. Conte. Sono pur grato allo impareggiabile D. Bosco, che non lascia di apprestare all'inferma spirituali conforti, e lo preghi anche in mio nome di volerli raddoppiare. Qualunque cosa Ella vede sia per tornare di vantaggio alla buona contessa, non la risparmi, e mi significhi liberamente, se io potessi concorrere con l'opera mia per vedere in qualsivoglia modo affrettato il miglioramento dell'attuale di Lei stato.
Si compiaccia infine di manifestare ad essa quanto abbia io mai apprezzato il pensiero, che si ebbe in mezzo anche alla infermità, di farmi presenti gli auguri, che insieme al consorte vollero formare per ogni mia prosperità m occasione del mio onomastico.
Ne esprima loro i sentimenti dell'animo mio riconoscente, assicurandoli che non li dimentico nelle mie deboli preghiere. E mentre le affido siffatti offici, mi pregio dichiararmi con distinta stima
Di V. S. Ill.ma,
Roma, 3 agosto 1869,
Servitor vero
G. Card. ANTONELLI.
Sig. Federico Oreglia - Torino.
 
La malattia durò circa un mese e Don Bosco andò più volte a visitare l'inferma, che dalla presenza del Venerabile provava un mirabile conforto. Se era turbata, una parola di D. Bosco la rimetteva subito in calma, e la benedizione in nome di Maria Ausiliatrice, colla certa speranza di guarigione, aiutavala a superare il morbo.
Alla metà di settembre ella era in piena convalescenza, e col Conte aveva deciso di partire un lunedì mattina. Ma da varii giorni D. Bosco non s'era visto e non si voleva lasciar Torino prima che fosse venuto a congedarsi; la Contessa desiderava avere da lui ancora una benedizione e testificargli la sua gratitudine. D. Bosco lo seppe ed ebbe la bontà di andare la sera della domenica innanzi a salutarla. Così scriveva ella, stessa da Firenze a D. Francesia il 25 settembre.
Anche la signora Carolina Sorelli scriveva al Cavaliere da Firenze:
“ La Contessa Isabella sta veramente benino ed è venuta a vedermi. Che anima cara e come corrisponde ai lumi di Dio! Il suo soggiorno a Torino le ha dato una tranquillità di spirito, vero abbandono in Dio, che, se le continua in Roma, spero migliorerà sempre più la sua malferma salute. ”
La carità di D. Bosco per la Contessa Calderari accrebbe, se pur era possibile, la venerazione e l'affetto che avevano per lui la nobiltà Romana e Fiorentina.
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