Si va a Montaldeo e a Castelletto d'Orba - Capriata: chiesa e teatro - Arrivo ad Ovada: D. Tito Borgatta e il Sindaco - Entusiasmo dei paese per una rappresentazione teatrale - Comunioni edificanti - Ammonimento di D. Bosco a Don Borgatta - Cremolino: invito non previsto dal Marchese Serra: un gran dolore calmato - A Prasco: la morte dei Sindaco: stazione melanconica - Arrivo nel Seminario di Acqui - Lettera di D. Manacorda - Gli alunni di D. Bosco presentati al Vescovo - Rappresentazione drammatica in Seminario - D. Bosco vince colla bontà la riluttanza di un chierico - Ufficio funebre - D. Bosco e i Seminaristi - A Strevi coi Vescovo - Solenne funzione in Cattedrale - Ritorno a Torino - Il bene operato da D. Bosco nelle passeggiate - Lettera di Pio IX a D. Bosco - Altre lettere da Roma: una lotteria consigliata: la dispensa dal Breviario: istanze per le dimissorie - D. Bosco offre doni a coloro che lo beneficarono nella passeggiata: ringraziamenti di un buon signore.
del 04 dicembre 2006
Passando per belle e fertili colline i giovani dell'Ora­torio marciarono a Montaldeo, ove trovarono sulla via un rinfresco offerto dalla cortesia del Conte Tornielli. Da Montaldeo si discese a Castelletto d'Orba, ove si pranzò. Di qui D. Bosco in calesse e gli altri a piedi fu­rono a Capriata.
Questo grosso borgo sorge su alcune amenissime colline alle falde delle quali passa la strada provinciale.
Un bel numero di giovani, alunni del Collegio di Mirabello, e ora in vacanza, i quali già lo conoscevano e avevano parlato molto di lui ai loro parenti e altri sei o sette che erano stati accettati da D. Rua pel nuovo anno scolastico, gli fecero molte feste. Per invito del Parroco si andò in parrocchia ove fu data con tutta solennità la benedizione e, a sera fatta, in un ampio cortile si eseguì una rappresentazione teatrale a tutto il paese accorso. Bongiovanni fece meraviglie recitando Osti e non osti in dialetto piemontese. I giovani cenarono e pernottarono nella casa di un sacerdote ammiratore di Don Bosco e amico di Bisio Giovanni coadiutore nell'Oratorio. Questo giovane narrò di sè: “ Essendo io soldato, leggendo le operette di D. Bosco e specialmente il Giovane Provveduto, ne restai colpito; e terminato il servizio militare, m'informai da un sacerdote di Capriata mio paese chi mai fosse D. Bosco. Egli me lo descrisse come un santo, ed io mi invogliai di farne la conoscenza. Mi presentai pertanto a lui nel 1864, e colto dalle sue buone e sante parole mi fermai nell'Oratorio ”.
Il domani mercoledì 12 ottobre, si andava ad Ovada. D. Bosco era atteso da un sacerdote possessore di un cospicuo patrimonio e che da molti anni conosceva il servo di Dio e le sue opere. Era D. Tito Borgatta. Aveva preso a pigione un intero albergo e per due giorni si incaricò di provvedere quanto occorreva ai giovani dell'Oratorio. Questi che erano accompagnati da tanti preti e chierici, benchè si suonasse la banda, furono ricevuti dal popolo con freddezza e quasi diremmo a fischi. Alloggiati i giovani, D. Tito volle in sua casa D. Bosco e i sacerdoti.
Si andò a cantare per la benedizione nella magnifica chiesa parrocchiale. Il Sindaco, Avv. Oddini Carlo, era venuto con molti Signori ad ossequiare D. Bosco; e nel discorrere avendo sentito che in varii luoghi i giovani dell'Oratorio avevano dato rappresentazioni teatrali, pregò D. Bosco a voler procurare alla cittadinanza il piacere di una recita nel teatro municipale.
D. Bosco accondiscese e si fissò la rappresentazione per quella sera. Ne fu tosto data notizia al paese. D. Tito aveva anche ceduto alle istanze del Sindaco, il quale desiderava l'onore di ospitare in sua casa D. Bosco.
Il teatro fu invaso dal popolo: le loggie erano occupate da tutti i Signori della città, e caso unico, intervenne anche il clero. Quando il Gianduia della compagnia, Bongiovanni, venne sul proscenio a salutare il pubblico con alcuni versi in dialetto, le risa, gli applausi, gli evviva furono tali che pareva dovessero far crollare la sala. Si recitò la commedia, Antonio.
Tra un atto e l'altro si cantarono canzoni e romanze napoletane.
Quando si annunziò che tutto era finito, un signore si alzò, e gridò: - Viva D. Bosco! Viva la sua scuola!
Gli spettatori fecero eco prolungato al suo grido.
Gli attori ritiratisi nel loro alloggio trovarono pronta una bicchierata di vino generoso che l'albergatore loro presentò a nome dei Signori del paese: e l'entusiasmo della popolazione era tale, che essendo qualche giovane andato al Caffè, o allo spaccio del tabacco, fu servito gratuitamente. Quella sera il Servo di Dio verso le nove, si recò a trovare i suoi alunni e a recitare con essi le orazioni.
Il giovedì mattina 13 ottobre, i giovani andarono in parrocchia per ascoltate la Santa Messa. Col permesso del parroco si recitarono le preghiere ad alta voce, si suonò l'organo e si cantò un mottetto. Molte persone erano in chiesa a quell'ora e fecero le meraviglie al vedere così numerosa comunione. Una signora avvicinatasi disse ad un giovane: - Che festa fate voi altri quest'oggi?
 - Perchè, signora?
 - Perchè ho veduto tanti di voi alla Santa Comunione. È cosa di tutti i giorni, sa.
Quella signora apparve tutta commossa e si allontanò dicendo:
- Benedetta la giovent√π che cresce a tale scuola.
Fatta colazione si doveva andare in Acqui. Ma prima di partire D. Bosco volle dare con prudente carità un avviso a D. Tito, che era stato così generoso verso di lui e de' suoi alunni. Quel sacerdote impiegava le sue ricchezze in favore de' poverelli, ma poneva mano in troppe cose e quasi sempre per interessi materiali. Aveva istituita una banca che davagli grossi guadagni, fondata una grande panetteria, eretto il magnifico edifizio di un collegio signorile per ragazze, dirette dalle sue religiose, ognuna delle quali aveva recato con sè una ricca dote.
D. Pestarino ed altri amici invano lo avvertivano di non correr troppo dietro ai guadagni di banca. D. Bosco adunque, intrattenendosi con lui famigliarmente e parlandogli di quelle imprese, gli diceva di non dimenticare che il mondo odia, i religiosi e che se non può far loro del male oggi lo farà domani; quindi esser meglio che il prete si occupi di cose sacre, lasciando, ai secolari le cose secolari; gli ricordò le parole di S. Paolo: Nemo militans Deo implicat se negotiis saecularibus. Finì con pregarlo di mutar sistema, se non voleva finir male. D. Tito guardò D. Bosco e sorrise, poichè la sua fortuna sembravagli incrollabile. Ma le parole di D. Bosco parvero poi profetiche. Un socio, nel quale il povero prete aveva posta tutta la sua fiducia, lo tradì, venne il fallimento colle sue conseguenze e quindi il disonore e la rovina di tutto.
Verso le 9 al suon della musica e fra gli applausi di tutta la popolazione, i giovani dell'Oratorio uscirono da Ovada e s'incamminarono verso Cremolino. La strada passa presso il colle sul quale a Cremolino s'innalza lo stupendo castello del, Marchese Serra. Sulla torre era issata la bandiera come ne' giorni solenni. Ai piedi della salita i due giovani figli del Marchese si presentarono a D.. Bosco invitandolo al Castello a nome del padre che desiderava ardentemente di parlargli. Quantunque non fosse qui la tappa fissata, D. Bosco accondiscese. Il buon Marchese gli venne incontro sul ponte levatoio, lo prese per mano come persona di antica conoscenza e lo introdusse nel castello. Avendo egli saputo che, D. Bosco doveva passare da quelle parti aveva preparato un abbondante refezione per tutta la compagnia. 1 giovani vennero condotti in un magnifico salone, ove deposti gli strumenti musicali, furono tutti ordinati in circolo e il Marchese stesso incominciò a servirli di pane, companatico e vino eccellente. Quindi lasciò la cura di tenerli allegri al suo figlio secondogenito, mentre il suo primogenito in altra sala aveva fatti sedere a mensa i preti ed i chierici. Egli poi si ritirò con D. Bosco in altra stanza, ove per essi dite, soli fu servito un déjeuner. Il Marchese voleva parlare con D. Bosco in piena confidenza, essendo molto afflitto per la morte della Marchesa, avvenuta poco tempo prima. Aveva bisogno di consolazione e l'ebbe dalle parole del servo di Dio. Instò ancora perchè rimanesse ospite fino al lunedì, ma si rassegnò quando seppe che il Vescovo di Acqui lo aspettava per quella sera.
Quando ricomparve in mezzo ai giovani, tenendo D. Bosco per mano, sembrava ringiovanito, tanto mostravasi lieto. Come negli altri luoghi, così qui ci furono canti, suoni e le poesie del lepido menestrello. Una piccola insomma, ma graziosa accademia. Si partì al grido ripetuto: Evviva il Signor Marchese!
Si andava a Prasco per invito del parroco D. Bobbio Giorgio uomo di gran prudenza e zelo illuminato, il quale da molto tempo era in relazione con D. Bosco e raccomandava all'Oratorio giovanetti suoi parrocchiani di una specchiata bontà.
Alle 3 si era all'entrata dei paese quando un messo del parroco venne ad avvertire che in quel momento era morto il Sindaco. Due giorni solo era durata la malattia dei signor Deguidi Prospero, eccellente cristiano. Quindi silenziosamente i giovani si avviarono alla parrocchia e furono introdotti nel giardino; nulla però trovarono di preparato per il pranzo. Il buon Prevosto sopraggiunto si scusò per aver dovuto assistere il suo amico morente.
Si provvide il pane: Buzzetti ed Enria fecero tosto cuocere una grossa polenta, mentre D. Bosco si recava in Chiesa cogli altri. Ei disse al popolo due parole sulla morte e sul dovere di star preparati; e si diede la benedizione. Si mangiò quindi in fretta e si parti in silenzio sul far della notte, ma la luna piena rischiarava la strada. Alle 9 arrivarono in Acqui accolti da pochi amici senza pubbliche dimostrazioni di festa. L'entusiasmo fu in Seminario ove i Superiori e i chierici ritornati dalle vacanze aspettavano gli ospiti desiderati.
Qui D. Bosco trovò la posta colla seguente lettera.
 
Roma, 8 ottobre 1864.
Borgo S. Agata N. 23 P. I°.
 
Molto Rev. Sig. D. Bosco,
 
Ieri sera alle 7 il S. Padre si degnò di ammettermi all'udienza privata, mi trattenne circa tre quarti d'ora e mi parlò di molte cose con grande affabilità. Deo gratias.
Chiesi la sua benedizione per la S. V. a me troppo cara, per i sacer­doti del suo Oratorio e per tutti i giovani che hanno la sorte fortunata di essere educati alla sua scuola cristiana. Domandai a suo nome che siano estesi al piccolo Seminario di Mirabello gli stessi privilegi già concessi all'Oratorio di S. Francesco in Torino, nel giorno del pa­trono, cioè S. Carlo. Il Santo Padre pieno di bontà e di amor paterno accondiscese ad ogni mia preghiera, estendendo, nel giorno di San Carlo al Seminario di Mirabello, i privilegi gi concessi all'Oratorio di Torino pel giorno di S. Francesco. Impartì la Papale benedizione alla S. V. ed a tutti i suoi giovani, incaricando me a comunicargliela, e lei a spargerla sulla diletta e santa famiglia, che con gioia e stupore sentì ascendere al numero di 700 e più. Lesse per intero la di lei lettera e ne andò molto consolato, affermando di conservare di lei sempre affet­tuosa memoria; anzi disse: conservare per dolce sua memoria quella piccola cassetta con entro le offerte mandate dai suoi giovani dell'Ora­torio.
Parlai della sua Chiesa in costruzione, e mostrò grande soddisfazione: mi disse potersi per tale bisogna aprire una sottoscrizione per fare poi una lotteria: risposi che già io stesso ne aveva parlato e tosto combinato il modo coi Direttori dei principali giornali di Roma; aspettare Però una risposta della S. V. ad una mia che le scrissi in proposito. Allora il S. Padre disse: Bene, bravo; aiutatelo quel santo uomo ed io intanto vi darò due cosette. Si alzò e mi diede due piccoli oggetti ben graziosi, che sebbene di non grande valore potranno benissimo servire per eccitamento agli altri a seguirne l'esempio, e così poi faremo buona raccolta per la casa del Signore. Disse di più: Se mai non si facesse detta lotteria, uno di tali oggetti il sig. D. Bosco permetterà che voi l'abbiate per mia memoria; oppure se voi volete offrire qualche cosa al detto D. Bosco, egli, che si mostra a voi così affezionato, ve lo lascierà. L'oggetto che io terrei volentieri per memoria di Sua Santità sarebbe una piccola croce d'oro.
Parlammo a lungo della sua casa e lo informai di ogni cosa, secondo le istruzioni datemi dalla S. V. prima della mia partenza.
Che dice adunque, arcicarissimo, e Rev. sig. D. Bosco? Dobbiamo farla questa sottoscrizione o no? Mio parere sarebbe di sì. Se poi non riuscirà tanto abbondante, pazienza: qualche cosa otterremo; la benedizione del Santo Padre, con tanto fervore impartita non sarà sterile e frutterà, massime unita all'esempio.
Dunque si degni scrivermi il suo parere su tale rapporto ed io mi prenderò tutta la cura e l'impegno possibile .....
 
MANACORDA EMILIANO
 
Il 14 ottobre, venerdì; D. Bosco andò ad ossequiare il Vescovo Mons. Modesto Contratto Cappuccino e per suo espresso desiderio gli presentò i suoi alunni, coi quali egli s'intrattenne con molta affabilità. Il pranzo era preparato in Seminario, ma il Vescovo volle alla sua mensa D. Bosco e i suoi preti. Alla sera ci fu rappresentazione nella gran sala del Seminario. Venne anche Monsignore. Si ripetè il programma di Ovada.
In questo giorno si era svolto un piccolo atto, di cui nessuno si accorse, ma che dà un'idea caratteristica dei sistema di D. Bosco. Egli ad un chierico amante della musica, ornato di molte doti, ma di indole difficile a piegarsi, aveva proposto tempo prima di far parte del personale destinato pel Collegio di Lanzo. Il Chierico non apparteneva ancora alla Pia Società e si rifiutò, non potendo rassegnarsi a lasciar l'Oratorio. D. Bosco non si tenne offeso e lo iscrisse nella lista di quelli, che dovevano accompagnarlo nella passeggiata. Nel partire dai Becchi per andare a Villanova Don Bosco lo invitò ad accompagnarlo, ma quegli si scusò con un pretesto. A Genova, a Mornese e ad Ovada cercava in tutti i modi di potergli parlare, ma il chierico riusciva sempre a fuggirlo, temendo di udirsi ripetere la proposta ripugnante. Finalmente quando tutti i giovani nel palazzo del Vescovo stavano ascoltando Monsignore, a un tratto egli si vede vicino D. Bosco, il quale presolo per mano gli disse: - Dunque, che cosa mi rispondi? - Confuso il chierico balbettò: - Stassera, o a Torino le darò la risposta.
Finito il teatro saliva nel camerone destinato per il riposo dei giovani e vide D., Bosco occupato a preparargli colle sue stesse mani il letto, che al mattino non era stato rifatto. - Don Bosco gli diede la buona notte e si ritirò nella sua stanza, che era presso il camerone. Al vedere tale atto il chierico non potè prendere sonno, pianse tutta la notte e al mattino andò ad origliare alla porta di D. Bosco. Sentendo che passeggiava, chiese di poter entrare e singhiozzando esclamò: - Mi mandi dove vuole, che io non posso più resistere. - Così D. Bosco vinceva quella resistenza e si affezionava sempre più un giovane, destinato a fare un bene immenso nelle missioni.
Il 15 ottobre sabato, vi fu nella cappella del Seminario un solenne funerale per i defunti di una associazione ecclesiastica. Il Vescovo era presente. Fu eseguita la messa funebre di Don Cagliero. D. Bosco prima delle esequie tenne una commovente allocuzione.
Dopo pranzo Monsignore volle condurre D. Bosco e i giovani alla sua villeggiatura di Strevi e li fece maravigliare per la sua patema benevolenza. Stette sempre in mezzo a loro e h servì di una generosa refezione.
Il 16 ottobre Domenica, festa della purità di Maria SS., si fece gran festa nella Cattedrale e i giovani cantarono messa in musica.
In que' tre giorni di allegrezza passati in Acqui i giovani visitarono la bella cattedrale a cinque navate, le varie chiese, le antichissime sorgenti solfuree d'acqua bollente e i dintorni della città; videro gli archi rovinati dell'acquedotto romano, le terme de' fanghi e l'antico castello dei Marche si del Monferrato. D. Bosco invece ebbe le sue occupazioni; aveva accettati nuovi alunni per l'Oratorio e per i due suoi collegi, e propagava l'associazione delle Letture Cattoliche. Tutte le mattine, quand'egli veniva in sagrestia per apparecchiarsi a celebrare la messa, non eran più i soli giovani suoi che lo attendevano per confessarsi, ma venivano anche i Seminaristi. Più d'uno di questi ebbe a provare come il Servo di Dio leggesse ne' cuori. Nella giornata poi egli dovette dare udienza a quelli che desideravano parlargli di vocazione.
Finalmente alla sera della Domenica D. Bosco, che aveva preso congedo dal buon Vescovo, annunziò a' giovani come fosse pel domani fissato il ritorno a Torino. Dopo aver descritto il viaggio fatto, e la grande carità dei benefattori, concluse dicendo: - Tutto passa, ma non passerà la nostra gratitudine, perchè pregheremo sempre il Signore che ricolmi di benedizioni quelli che ci han fatto del bene.
Il 17 lunedì, dopo la messa, la musica nel cortile del Seminario salutava i chierici di Acqui, e suonando si avviava alla stazione. Quivi in circolo eseguita una bella sinfonia fra gli applausi della moltitudine accorsa, prese posto coi compagni ne' carrozzoni, che gridavano agitando i berretti per aria: Evviva Acqui! - Ad Alessandria i loro vagoni vennero uniti al treno diretto proveniente da Genova, il Capo stazione si affacciò allo sportello per ossequiare D. Bosco, e fu dato il segnale della partenza. Ad Asti D. Bosco discese, perchè aspettato da varii benefattori, nella villa dei quali doveva trattenersi per qualche giorno. La comitiva poco dopo il meriggio era a Torino.
Fu questa l'ultima passeggiata autunnale, la più solenne, la più lunga di tutte le altre, fatte in un decennio. Ma qual bene incalcolabile avevano esse prodotto, perchè era Dio che si manifestava in D. Bosco. Quanti giovanetti aveva egli accettati per l'Oratorio e che ora sono zelanti sacerdoti; quanti peccatoti furono da lui richiamati sul buon sentiero; in quante famiglie aveva ricondotta la pace o infusa una serena rassegnazione nelle traversie della vita; quanti che prima d'incontrarlo erano avversi al sacerdozio, e visto lui presero a rispettarlo. In mezzo a quante popolazioni per la sua parola apostolica Iddio aveva ripigliato il suo posto!
Ma ora D. Bosco doveva cessare da questa straordinaria missione. Le sue nuove occupazioni non gli dovevano più permettere di assentarsi dall'Oratorio per sì lungo tempo e in quel modo. Perciò decideva di limitarsi mandare ai Becchi, e non più oltre, una squadra di cantori e i musici tutti gli anni, per la festa del Rosario, alla quale però egli sarebbe intervenuto.
D. Bosco intanto da Asti ritornava all'Oratorio ove attendevalo una preziosa lettera.
 
PIO PP. IX
 
Diletto figlio - Saluto ed Apostolica Benedizione,
 
Dalla tua ossequentissima lettera dei 25 Agosto u. s., ed or ora pervenuta nelle nostre mani, sappiamo esserti tornato molto gradito il decreto per nostro ordine emanato dalla nostra Congregazione preposta agli affari ed alle consultazioni dei Vescovi e Regolari, riguardante cotesta Società di S. Francesco di Sales istituita per educare i giovani nel timor di Dio e nella pietà. Dalla medesima apprendiamo, che tu ti dai premura di eseguire tutte quelle cose che furono nota te e stabilite nelle osservazioni dalla medesima Congregazione aggiunte.
Con gioia abbiamo saputo che la stessa società, coll'aiuto di Dio, va crescendo ogni giorno, che ad essa accorrono molti giovani di ogni ordine e condizione, e che il nostro diletto Figlio Emiliano Manacorda pone ogni suo studio per esserle di vantaggio.
Certamente, se in altri era necessario, tanto più in questi difficilissimi tempi, si debbono rivolgere le sollecitudini e gli studii a strappare dalle insidie di uomini perversi i giovani che noi vediamo circondati da tanti pericoli, e con impegno istruirli intorno ai precetti della nostra divina religione e formarli con tutta diligenza alla pietà, all'onestà e ad ogni genere di virtù. Perciò ti incoraggiamo a continuare, confidando nell'aiuto di Dio, un'opera così salutare, mettendo in essa ogni giorno tutta la cura, l'impegno e lo studio. Continua poi ad innalzare a Dio ferventissime preghiere pel trionfo della sua santa Chiesa e per la conversione di tutti gli erranti.
Infine qual pegno del nostro paterno affetto verso di te, con tutta effusione del cuore impartiamo l'Apostolica benedizione a Te, diletto Figlio, ed a tutti i giovani appartenenti alla sullodata Congregazione di S. Francesco di Sales.
Dato a Roma presso S. Pietro, il 13 Ottobre 1864, del nostro Pontificato l'anno decimonono.
 
               PIO PP. IX.
 
Al Diletto Figlio Sacerdote Giovanni Bosco - Torino.
 
Erano pur giunte altre lettere a D. Bosco di D. Emiliano Manacorda da Roma da lui incaricato di varie commissioni. La prima era di cercare offerte per la costruzione della Chiesa in Valdocco, per ottener le quali il buon Manacorda aveva il progetto di una lotteria. La seconda riguardava le dimissorie per le ordinazioni sacre; la terza la dispensa dalla recita del breviario. Il sommo Pontefice avevalo verbalmente dispensato a condizione che, potendo, ne recitasse una parte qualsiasi ogni giorno; ma Don Bosco desiderava avere un documento manoscritto, ostensibile in qualche circostanza per sua giustificazione. Don Manacorda a pi√π riprese gli diede le notizie aspettate.
Il 18 ottobre manifestando il desiderio di conoscere la sua volontà riguardo alla lotteria, domandava:         “ Dovremo adunque raccogliere i soccorsi dei Romani? Dovremo aprire una lotteria quando avremo oggetti sufficienti? Dopo l'esempio del Santo Padre pare che dovrebbe essere così. La S. V. ci pensi e mi scriva. Oh, se potessi sapere il giorno che i suoi giovani faranno la Comunione per me, quanto sarei contento. Sarà per me un giorno di grande solennità.... Penso che Lei sarà contenta di quell'articoletto che feci inserire nell'Armonia .....
Il 27 ottobre dopo aver raccomandato caldamente a Don Bosco alcuni giovani, aggiungeva: “ Quanto alla dispensa dalla recita dell'Ufficio, Mons. Pacifici mi disse essere necessario addurre le cause speciali, e non solamente il onfessionale. Crederei poter esporre il male agli occhi; che ne dice? Riguardo ad altra dimanda per le dimissorie, mi disse ciò spettare assolutamente alla Congregazione de' Vescovi e Regolari, ora chiusa. Si farà dopo qualche tempo ”.
Un mese dopo lo stesso Don Manacorda scriveva a Don Bosco sugli appunti delle lettere precedenti.
 
Ronza, 29 novembre 1864.
 
Carissimo D. Bosco,
 
Le mando per mezzo del Rev. P. Crescentino la desiderata commutazione della recita dell'Ufficio. A concepita in questo senso: che la S. V. si elegga un Confessore, il quale apre la inviata facoltà di commutare alla S. V. la recita del breviario in qualunque anche brevissima preghiera vocale; così mi dissero essere stile curiale di dispensare in simili circostanze.
Quanto alle dimissorie abbia pazienza per ora; fui assicurato essere cosa affatto inopportuna, tanto pi√π che tra gli articoli della nostra Congregazione sta pur quello di assoggettare i membri della medesima all'Ordinario del luogo ove dimorano: dunque offriamo a Dio la privazione della cosa desiderata e ringraziamolo dell'ottenuto.
Della lotteria ecco il mio parere. Non credo conveniente il determinare, annunziandola, il luogo dove si farà, se cioè in Torino oppure in Roma. Se raccoglieremo molto si potrà fare anche in Roma, ma quando la generosità dei Romani uguagliasse solo la carità di certi uni, allora crederei fuor di caso il mettere in mostra i due oggetti del Santo Padre senza imitatori.. Questo giusta la mia mente imbecille; la S. V. saprà giudicare di meglio.
Le facoltà di leggere libri proibiti pei suoi sacerdoti le ho ottenute assolute come di tanti Dottori; quelle però pei chierici si combinò altrimenti; che cioè il Santo Padre conceda alla S. V. una facoltà amplissima di concedere detta licenza ai suoi giovani, ogni volta e a chi crede bene; e s'incaricò lo stesso padre Modena di portarsi dalla Santità sua e chiederla; ed appena ottenutala io mi farà premura di trasmetterla alla S. V .....
 
MANACORDA UMILIANO.
 
D. Bosco ricevette con piacere, anche per maggior tranquillità di sua coscienza, l'indulto della commutazione del Breviario. Egli però procurava sempre di recitarlo o tutto o in parte a misura che gli rimaneva tempo fra le continue occupazioni. Perciò lo teneva sempre sullo scrittoio e lo portava seco ne' viaggi. Quando poi crebbero le indisposizioni fisiche e la debolezza della sua vista, anche allora tenne per massima di leggerne almeno qualche breve tratto ogni giorno. Infine negli ultimi anni non potendo più assolutamente, s'informava dagli altri dell'ufficio del giorno e talora facevasi leggere le lezioni. Così affermano Mons. Cagliero, D. Rua e D. Berto.
Ma D. Bosco appena giunto a casa volle soddisfare a un debito di riconoscenza verso tutti coloro che avevano nel tempo della passeggiata accolti e beneficati con tanta carità i suoi alunni. Scrisse a tutti lettere e regalò libri da lui composti. Naturalmente ebbe riscontri, ma un solo di questi ci fu conservato. È un foglio del signor Canale di Genova, costante benefattore degli Artigianelli di D. Montebruno, membro della Società dei figli dell'Immacolata di D. Frassinetti, ascritto alle conferenze di S. Vincenzo de' Paoli e ad altre pie opere ed amico di D. Bosco. Egli in quei giorni nei quali gli alunni dell'Oratorio avevano dimorato in Genova, era stato la loro guida e mèntore in ogni luogo da visitare.
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