Fatti e Parlate di D. Bosco - Una Cronaca di D. Rua - D. Bosco alla villeggiatura del Teol. Margotti: un Vescovo missionario della Cina visita l'Oratorio - Parlata: due uffiziali dell'imperatore Teodosio in un eremo - Letture Cattoliche: D. Bosco procura la traduzione di libretti francesi - Parlata: un giovanetto assistito da Maria SS. in punto di morte - Progetto di un'associazione per una biblioteca dei classici italiani purgati -Parlata: salvar l'anima - D. Bosco corregge un giovane che ha dubbi sulle verità della fede - Poveri chierici del Seminario, ospitati nell'Oratorio servono in duomo nel tempo delle vacanze - Notizie dell'indemoniata d'Acqui: piena fiducia di Don Bosco nella sua liberazione - Lettera ad un prete in vacanza - Parlate: non ascoltare i cattivi consigli: la gloria dell'Oratorio non sta nella scienza ma nella virtù: amore alla medaglia della Madonna: celebrare degnamente la festa della Natività di Maria SS. - D. Bosco recita lunghi tratti di autori classici studiati in gioventù.
del 07 dicembre 2006
 Per scrivere queste memorie dagli ultimi due mesi del 1864 fino alla metà del 1867, ci siamo serviti degli appunti nostri, raccogliendo man mano i documenti conservati negli archivi. Ora seguiremo le note di un'altra breve Cronaca che ci lasciò D. Michele Rua, a questa intrecciando quanto incontreremo di narrazioni autentiche, di testimonianze autorevoli e di altri documenti nel restante del 1867, e negli anni 1868 e 1869.
D. Rua così principia il suo scritto:
“ Persuaso di far cosa che possa ridondare alla maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime, e dietro a consiglio di persone benevoli all'Oratorio, io Sacerdote Michele Rua intraprendo quest'oggi domenica 1° settembre a raccogliere le memorie che possono riguardare l'Oratorio e specialmente il fondatore del medesimo, Sac. Giovanni Bosco, limitandomi a farne un semplice cenno a guisa di Cronista e non già di storico. Incominciando, dico:
” 1° settembre: - D. Bosco parte al mattino per recarsi alla villeggiatura del celebre Teol. Margotti, redattore del giornale l'Unità Cattolica. Viene a far visita all'Oratorio un Vescovo della Cina centrale, nativo di Bologna, Minor riformato. Ricevuto cordialmente dai giovani e dalla banda musicale, mostrasi assai soddisfatto si della nuova Chiesa come delle cose dell'Oratorio.
” Dopo le orazioni della sera D. Bosco ci raccontava questo esempio: - Ai tempi dell'Imperatore Teodosio, essendosi questo principe portato in Treveri, colà lo avevano seguito due giovani e fidi uffiziali. Un giorno coll'Imperatore e col popolo essi stavano nell'anfiteatro aspettando che si desse principio ai giuochi: e, o perchè fossero già stanchi di aspettare, o perchè sapessero quali giuochi si sarebbero fatti e loro non tornassero graditi, il fatto sta che essendo molto amici si intesero di uscire dalla città per fare una passeggiata nella campagna. Cammin facendo entrarono in una foresta e ben presto più non videro traccia di sentiero.
” - Andiamo avanti? - L'uno disse all'altro.
” - Andiamo!
” E s'internarono nella selva. Ed ecco che vedono in mezzo a grossi e folti alberi alcune casupole, capanne, o spelonche che vogliansi chiamare. Era un'abitazione di eremiti.
Curiosi entrarono; visitano quelle stanze, osservano il rustico vestito di quei monaci, e i giacigli durissimi sui quali dormivano, e il cibo grossolano del quale si nutrivano. A primo aspetto provarono ribrezzo di quel luogo, ma non tardarono ad essere sorpresi dalla profonda pace che era scolpita sui visi austeri dei monaci. Incominciarono a dirsi sottovoce l'un l'altro: - Come son tranquilli e felici questi uomini! Eppure vivono una vita di tante privazioni! Qual mistero si nasconderà in questi luoghi? - E andando di cella in cella trovarono un libro posto sovra una rozza tavola. Lo aprono: era la vita di S. Antonio eremita. Incominciano a leggere. Il libro narrava come S. Antonio, nobile e ricco giovane, avendo udito in una predica la sentenza di G. C.: Si vis perfectus esse, vade, vendo quae habes, et da pauperibus, et habebis thesaurum in coelo: et veni, sequere me, fosse ritornato a casa e avesse venduto tutte le sue sostanze e poderi; e una parte delle somme ritratte donate ai parenti e l'altra distribuita ai poveri, andasse nel deserto per salvare l'anima sua, dando per sempre un addio al mondo.
” - Fu proprio un buon uomo costui a lasciar i suoi palazzi per andar, a vivere nel deserto! esclamò un uffiziale.
” - Che peccato! Un giovane di così belle qualità farsi monaco! replicò l'altro.
” Avevano chiuso il libro, lo avevano deposto sulla tavola, ma vinti da curiosità lo ripresero, lo apersero di bel nuovo e lessero una parlata che S. Antonio aveva fatta ai suoi monaci per animarli a perseverare nella vita solitaria lontana dai pericoli del mondo. Leggevasi: - Il Signore dà il centuplo per uno, eziandio in questa vita a chi lascia tutto per dare onore e gloria a Lui; e poi la felicità eterna nell'altra. Il mondo è un traditore e non ci potrà mai appagare. Posto anche che il mondo ci desse quanto promette, fino a quando lo potremo godere? Per un istante! e dopo dovremo lasciar tutto egualmente e senza merito!
” Il Signore si era già impadronito dei cuori dei due uffiziali. Si guardarono in faccia commossi, e l'uno esclamava: - Già che è vero? Infatti abbiamo già ottenute noi quelle cariche che il nostro Imperatore ci ha promesse? E posto che le otteniamo, fino a quando le godremo? L'Imperatore ci può mandar via dal suo servizio quando a lui piace! - E presero a confrontare la loro vita tumultuosa, piena di rimorsi, di invidie, di paure, colla pace e la tranquillità di quei buoni servi di Dio fondata sulla certa speranza della vita eterna.
” - Olà, disse l'uno dei due al compagno: va' dall'Imperatore e dì a lui che io mi son dato al Signore e che voglio far vita romitica per guadagnarmi il paradiso.
” - Come a te il paradiso, ed a me la terra? No, no; o ambidue ritorniamo nel secolo, o ambidue qui.
” Erano risoluti. Deposero le armi e vestimenta preziose e indossarono il saio dei monaci e si posero ad osservare scrupolosamente le regole di quel cenobio, nello scarso cibo di erbe selvatiche, nel dormire su duro pagliericcio, nel levarsi a pregare di notte, nel lavorare continuamente. Perseverarono e si fecero santi.
” Voglio farvi qui alcune riflessioni. Se quei giovani non si fossero allontanati dagli spettacoli profani non si sarebbero fatti santi. Fuggite adunque tutti i pubblici spettacoli che non hanno il timor di Dio per regola. Per que' due ufficiali fu gran fortuna l'essersi allontanati dall'anfiteatro e, sebbene per caso fortuito, avere incontrato un buon libro. Impariamo anche noi a fuggire i cattivi compagni ed i cattivi libri ed a leggere i buoni libri e a cercare la famigliarità de' buoni compagni. ”
Pei mesi di agosto e settembre un fascicolo di Letture Cattoliche, di quasi 200 pagine, narrava quali eccelse virt√π adornassero: La venerabile Maria Cristina di Savoia, regina delle due Sicilie.
Pel mese di ottobre i tipografi finivano di stampare un'altro opuscolo: Don Benedetto, ossia un ecclesiastico in esempio nella rivoluzione francese, del Canonico Bernardino Checucci. - In appendice: Un furto di notte: Lo stravizio mena a rovina.
D. Bosco continuava a ritenere per sè la scelta dei fascicoli da stamparsi e voleva che ne fosse sempre pronto un certo numero. Di molti egli stesso affidava l'argomento da trattarsi a dotte persone ecclesiastiche o secolari. Ed a facilitare il numero dei fascicoli necessarii, essendosi provvisto di una ricca collezione di libretti francesi, ne affidava la traduzione a varii amici volenterosi di aiutarlo.
Scriveva a Montafia.
 
Carissimo Giovanni Turco,
 
Eccoti un libretto da tradursi dal francese. Tu certamente lo volgerai liberamente, non con stile elegante, che non è il tuo, ma con uno stile popolare classico, periodi brevi, chiaro ecc. proprio come sei solito di scrivere.
I tuoi amici ti salutano e ti attendono a farci presto una visita.
Io poi auguro ogni bene a te e a tuo padre, e mi professo di cuore nel Signore,
Aff.mo amico
Sac. Bosco GIOVANNI.
Torino, 2, 9, 1867,
 
Allo stesso fine scriveva un'altra lettera al giovane conte Callori, col quale era in grande dimestichezza.
 
Carissimo Sig. Cesare,
 
Questa volta non è più Cesare, ma è D. Bosco che confessa la colpa. Gira di qua, tratta di là e intanto non ho compiuto il mio dovere coll'inviare il libro che il nostro Cesare erasi offerto di tradurre per le nostre Letture cattoliche.
Ora aggiustiamo le cose in famiglia. Un fascicolo per Lei, l'altro per la damigella Gloria; e siccome io fui in ritardo per la spedizione, così ella aggiusterà o meglio compenserà il tempo perduto con una diligenza e sollecitudine speciale nell'esecuzione del lavoro. Che disinvoltura ha D. Bosco nel comandare! Fortuna che ho da fare con gente docile ed obbediente; altrimenti, mi lascierebbe solo per cantare e portare la croce.
Mentre per altro mi confesso colpevole vorrei comandarle, dirà meglio vorrei raccomandarle, due cose, di cui abbiamo già qualche volta trattato. Ne’ vari compartimenti del suo tempo stabilisca di confessarsi ogni quindici giorni o una volta al mese; non ometta mai giorno senza fare un po' di lettura spirituale.
“ Ma zitto: non facciamo la predica! ”. Bene, terminiamo. Faccia tanti saluti a Papà e a Maman e a tutti quelli della rispettabile sua famiglia. Mi dia qualche buon consiglio; gradisca che le auguri ogni benedizione celeste e mi creda colla più sentita gratitudine
Di V. S. Car.ma,
Torino, 6 settembre 1867,
Obbl.mo Servitore
Sac. GIOVANNI Bosco.
 
Torniamo alla cronaca di D. Rua. La sera del 2 settembre 4° giorno della novena della Natività di Maria SS.ma, Don Bosco raccontava un altro esempio:
 
Un giovanetto fin da piccolo aveva presa la bella abitudine di recitare tutti i giorni le sette allegrezze della Madonna. Venne in punto di morte. Agli astanti pareva che fosse entrato in agonia. Quand'ecco dopo poco tempo rinvenne di nuovo, cessò alquanto la furia del male e si mise a sorridere, guardando quelli che circondavano il suo letto. Costoro stupefatti gli domandarono che cosa significasse quel riso e da qual motivo fosse cagionato. Ed egli: - Oh! guardate! Un momento fa mi pareva di essere già morto, o che l'anima mia fosse lì lì per partire dal corpo e andare al tribunale di Dio. Quand'ecco mi si presenta una Signora regalmente vestita, tutta splendente e mi fa fermare, e mi dice:
- Che hai che sei così conturbato?
Ed io:
- Ah! io temo i giudizi di Dio, temo di dannarmi!
- E perchè?
- Perchè se mi danno, perdo eternamente il Paradiso e il mio Dio. Ho paura del tremendo giudizio di Dio!
Ed ella: -Non temere, chè i miei divoti non si danneranno: tu hai recitato tutti i giorni per tanti anni le mie sette allegrezze ed io sarò la tua consolazione in morte e nel Paradiso. Non temere i giudizi di Dio, chè io stessa ti accompagnerò innanzi al giudice eterno per difenderti. Va' e di' a quanti puoi che chi sarà mio divoto e reciterà le sette mie allegrezze che godo in Cielo, non si dannerà: io lo consolerò colla mia presenza in morte, al tribunale del mio Divin Figliuolo e nel Paradiso per sempre.
Domani adunque per fioretto ciascuno reciti le sette allegrezze della Madonna. Quelli poi più fervorosi guardino di dirle tutta la novena ed anche per tutta la vita. Chi non volesse praticare questa divozione ne pratichi qualche altra e per tutta la vita. Così sarete consolati dalla Madonna e in vita e in morte.
 
La stessa cronaca ci dà la prima notizia di un'altra importante iniziativa di D. Bosco.
“ 3 settembre, martedì. - D. Bosco addolorato alla vista dell'immenso male che si va facendo specialmente fra la gioventù studiosa per mezzo della lettura dei cattivi libri, formò il progetto di fare un'associazione di libri buoni e classici, stampandone uno per mese e purgandone alcuni e di altri dandone solamente squarci; e nel giorno d'oggi andò dal Prof. D. Picco Matteo, personaggio pio e molto pratico di gioventù e di libri, per maturare con lui tale progetto.
” Coll'Arcivescovo di Torino, prima di ogni altro, egli già aveva progettato questa biblioteca o collana di classici italiani e lo scopo della medesima. ”
In quella sera così parlava ai giovani:
 
Io vorrei che noi fossimo altrettanti negozianti, ma negozianti di anime; non di quei negozianti che vanno qua e là per vendere le loro merci, ma sibbene che cerchiamo di comperare la salvezza della nostra a costo di qualunque spesa.
Vorrei che foste semplici come colombe, ma prudenti come serpenti. Sapete come fa il serpente quando è inseguito e che non può più fuggire? Si ravvoltola e mette la testa in mezzo alle spire, dicendo: - Fate quel che volete del resto, purchè mi lasciate salvo il capo. - Così noi dobbiamo fuggire le occasioni e quando non si potesse altrimenti fuggire mettere anche noi nel centro di ogni pensiero ed opera la salvezza dell'anima nostra, pronti a sacrificare l'onore, la roba, la vita istessa, purchè si salvi l'anima. Se si perde l'anima tutto è perduto, al contrario se si salva l'anima tutto è salvo. Ahi se noi fossimo proprio risoluti di non voler altro che la salvezza dell'anima, il demonio sarebbe costretto a star lontano da noi.
Papa Clemente VII fu richiesto da Arrigo VIII più volte e per lettere e per ambasciata di un favore contrario alle leggi di Dio. Il Papa rispondeva sempre di non potere: ma pressato dalle premure del Re d'Inghilterra, dagli ambasciatori che continuamente sopraggiungevano, dalle promesse del Re che prometteva pace e felicità alla Chiesa, se fosse stato contentato nei suoi desideri, finì con rispondere cortesemente ai legati: - Dite al vostro Re che mi rincresce di non aver due anime per concedergli quel che mi domanda e mandarne una all'inferno salvando l'altra: ma ne ho una sola: perduta questa tutto è perduto.
 
La cronaca di D. Rua continua a darci varie altre notizie.
 
“ 4 settembre. - Durante le vacanze D. Bosco dietro vive istanze fattegli da un giovane artigiano, lo tolse dal suo mestiere e lo applicò allo studio in vista della buona condotta che teneva. Dopo qualche mese di studio questo giovane, di testa debole, sorpreso dalle tentazioni si mise: a dubitare sull'esistenza di Dio, del Paradiso, dell'inferno, ecc. e non contento di pensare così tra se stesso, diedesi a far conoscere tra i compagni i suoi dubbi, la qual cosa non poteva a meno che tornar pericolosa a chi l'udiva.
D. Bosco venne a saperlo e tosto trovò il rimedio per dissipare i suoi dubbii. Essendo venuto un benefattore del giovane per combinar con D. Bosco di applicarlo esclusivamente allo studio, D. Bosco, presente il giovane, disse che meglio era per allora non determinare ancor niente di stabile, giacchè pareva che la testa del ragazzo non potesse reggere allo studio e che vacillasse. Il giovane si accorse allora del fallo, riconobbe il male fatto nel dar retta ai dubbii che erangli venuti nella mente, e tanto più nel ripeterli ai compagni e se ne emendò, menando da allora in poi vita fervorosa.
 
” 5 settembre. - Un superiore del Seminario scrisse a D. Bosco una lettera in cui diceva che i chierici dell'Oratorio non sapevano le cerimonie e portava l'esempio di due, che al mattino avevano servito alle sacre funzioni nella Cattedrale. Bisogna notare che in tempo di vacanza i Canonici ricorrevano all'Oratorio per avere chierici, mancando i seminaristi. Don Bosco rispose essere dolente che quei chierici non sapessero le cerimonie; ma che costoro erano seminaristi, che esso ricoverava in tempo di vacanza, non avendo costoro nè casa né famiglia, nè mezzi di sussistenza; averli mandati apposta perchè credeva conoscessero le cerimonie e usanze della Cattedrale. ”
In questo giorno giunse notizia al Venerabile dello stato dell'indemoniata di Acqui. Il 1° di settembre, Domenica, come aveva consigliato D. Bosco, si era tentato di farla confessare e comunicare in chiesa a porte chiuse. Il parroco della Cattedrale aveva procurato che si facesse ogni cosa secondo l'avuto suggerimento. Però erano stati tali gli urli e le convulsioni della povera donna, che fu subito ricondotta a casa, e il parroco scrisse che non credeva cosa prudente esporre quell'infelice a rinnovare simili scene dolorose nel giorno della Natività, essendochè D. Bosco aveva ingiunto ch'ella si accostasse in tal giorno ai Sacramenti, presente tutto il popolo. Avuta questa lettera, il Servo di Dio replicò che nulla si variasse di quanto aveva consigliato, ma si continuasse a pregare con fede.
Il 5, scriveva anche ad un suo prete che, andato sulle Alpi ad Usseglio, sua patria, gli aveva chiesto consiglio.
 
Carissimo D. Cibrario,
 
Hai fatto bene a scrivermi, così non ci saranno male intelligenze. Serviti pure della facoltà di confessare quando si presenterà il bisogno; ma appena potrai essere in libertà dalle cure domestiche, cioè sistemati gli affari della divisione, procura di portarti al tuo nido di Lanzo, dove prendendoti i dovuti riguardi potrai, spero, rimetterti in uno stato regolare di sanità.
Fa' tanti saluti al tuo parroco, digli che io lo raccomando di tutto cuore a Maria Ausiliatrice, affinchè gli ritorni la sua primiera sanità.
Dio benedica te, e ti faccia un campione per guadagnare molte anime a Dio. Saluta i tuoi parenti e credimi nel Signore,
Torino, 5 settembre 1867,
aff.mo in G. C.
Sac. GIOVANNI Bosco.
 
 
La stessa sera diceva ai giovani:
 
Il Bartoli racconta, o cari figliuoli, che nel Giappone eranvi due giovinetti cristiani. In quel tempo scoppiava la persecuzione. Uno di essi disse all'altro: -Ascolta, voglio studiare un modo che piacerà anche a te, sul come diportarci in questa persecuzione.
- Studia pure qualsiasi cosa, rispose l'altro, purchè questa cosa ci affretti il giorno nel quale potremo dare il sangue per la fede.
Ma tale non era il pensiero del primo, il quale nella notte studiò il modo d'ingannare i carnefici che dovevano venire a prenderlo e così salvar la pelle. Disse tra sè: “ Quando verranno i soldati dirò colla bocca che io rinuncio alla religione cristiana, ma appena siano andati via, andrò a confessarmi e tutto sarà aggiustato. Così non andrò alla morte e rimarrò cristiano come prima. ”Vennero i carnefici e disse loro:
- Rinuncio alla fede cristiana.
- Bravo, gli risposero: tu l'hai pensata bene. Sei libero. Va' dove vuoi.
Appena i soldati si furono allontanati, questo sconsigliato andò subito a trovare il suo compagno e l'incontrò mentre già era condotto al martirio: -Guarda, ascolta! prese a gridargli dietro: e gli si avvicinò e gli narrò come si fosse liberato dalle mani dei persecutori. Il martire, nell'udire il compagno che consigliavalo a seguire il suo esempio, lo respinse con un urtone e gli disse: -Allontànati da me, che sei un traditore, un pessimo consigliere! - E poi voltosi ai carnefici esclamò: - Guardate: costui è un vile, disprezzatelo: ha rinunziato alla religione cristiana per conservare la vita del corpo. Va' lontano da me, vile che sei! Io non rinunzierò giammai alla santa Religione di Gesù Cristo!
Impariamo anche noi ad essere forti come lo fu quel buon compagno, a non ricevere i cattivi consigli, e ad essere pronti anche noi a sacrificare non solo l'onore e i piaceri, ma la stessa vita, piuttostochè commettere un peccato. E guardiamoci eziandio dal dare cattivi consigli: mai e poi mai rendiamoci rei di tale enormità al cospetto di Dio.
 
Il 6 settembre alcuni Salesiani ragionavano dopo cena con D. Bosco di due chierici dotati di bell'ingegno che, usciti dall'Oratorio, avevano deposto l'abito clericale:
- Io, diceva D. Bosco, ho loro messo davanti tutta la loro vita che poteva essere fortunata, dicendo: Se farete ciò che io vi consiglio, procederete sicuri; se no la sbaglierete. Uno di questi andò via per essere divenuto goloso: non era mai contento del cibo che gli veniva somministrato.
Il chierico Alessio Felice, lo interruppe, esclamando:
- Sarebbe una gloria adesso per l'Oratorio, se si fossero fermati qui con noi questi due dottori in belle lettere.
E D. Bosco:
- La gloria dell'Oratorio non deve consistere solamente nella scienza, ma in modo speciale nella pietà. Uno di mediocre ingegno, ma virtuoso ed umile, fa molto maggior bene e più grandi cose che un scienziato superbo; non è la scienza che faccia i santi, ma la virtù. Ho detto ad uno di que' imprudenti: Se vuoi andare avanti, fa' la tua confessione generale: lascia quella superbia .....
Simili espressioni gli erano famigliari: in ogni occasione raccomandava ai subalterni di essere umili.
E in quella sera diceva alla Comunità:
 
Il Bartoli racconta la destrezza usata da un giovane cristiano giapponese nel difendere la medaglia della Madonna, che per grande divozione portava scoperta sul petto. In quel paese, truppe comandate dai mandarini andavano attorno e se vedevano immagini o medaglie o altri oggetti di religione, avevano comandamento di distruggerle e disprezzarle. Il nostro giovanetto s'imbattè adunque in uno sbirro il quale, vista la medaglia, allungò destramente le mani per strapparla: ma il ragazzo, che pur aveva soli 12 anni, più destro di quello strinse fra le sue mani l'oggetto per lui così prezioso. Successe una lotta tra lo sbirro e il giovane: quegli per aver la medaglia e il giovane per difenderla. Lo sbirro vedendo finalmente che non riusciva a strappargliela, gli disse:
- Se non me la dai, ti prenderò il berretto.
- Prendilo finchè vuoi, rispose il giovane.
- Ti prendo anche la veste.
- Che importa a me? e gettò via la veste che l'altro gli strappava di dosso, mentre faceva passare destramente la medaglia da una mano, all'altra.
Intanto con un salto si era un po' discostato. Il birro gli gridò dietro: - Ti prenderò quanto hai!
Ma il giovanetto, gettata via anche la sottoveste che andò a finire ai piedi del birro, si mise a fuggire. L'altro lo inseguiva, ma la lunga veste che portano tutti da quelle parti lo imbrogliava, specialmente passando nei luoghi stretti e finì col farlo cadere lungo e disteso per terra. Il giovanetto ridendo si pose in salvo e si andò a nascondere.
Impariamo anche noi a vincere il rispetto umano. Non voglio già dire che' dobbiamo portare la medaglia in vista per ostentazione, ma non dobbiamo arrossire di portarla al collo, di cavarci il berretto passando davanti a qualche chiesa, o immagine della Madonna. Non dobbiamo lasciarci mai vincere dal rispetto umano.
Finisco con dire che domenica desidero prima di tutto, essendo la festa della Natività di Maria SS., che ciascuno si metta in grazia di Dio: e quelli che non hanno ancora la medaglia lo dicano e si guarderà che l'abbiano tutti. Preghiamo in questa solennità: desidero che la facciamo bene per grandi motivi. Preghiamo principalmente perchè la Madonna tenga da noi lontano il colera dell'anima e quindi quello del corpo. Preghiamo per i nostri parenti, affinchè il Signore li preservi da simile flagello.
 
“ 7 settembre. - È cosa meravigliosa (scrive D. Rua) il vedere come D. Bosco in mezzo ai gravissimi affari che lo assediano del continuo, pure rammenta e recita bellissimi tratti di autori classici Greci, Latini, Italiani, e specialmente di Dante, di cui sa e recita gli interi canti, come per sollievo e per esilarare la compagnia, servendosene pure per aver occasione di parlare dei varii vizi che dal poeta furono bellamente esposti come puniti con diverse e varie specie di pene. Interrogato che pensasse di Dante, rispose che per la poesia e per la lingua, in una parola, pel merito letterario e scientifico non puossi desiderare di più; ma che, del resto i suoi scritti furono dettati da spirito di vendetta, per biasimare e screditare quelli che avevano sostenuto le parti contrarie alla sua, levando a cielo quelli che erano stati dello stesso suo partito”.
 
 
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