Capitolo 77

Un nuovo cronista - Parlata di D. Bosco: Ogni chierico lavori come so fosso Direttore: siamo untili per avere l'aiuto di Dio: conte regolarci nelle tentazioni - Consiglio ai giovani di chiedere venia ai parenti per le mancanze commesse a casa - Dotti del Signore a chi gli è fedele - Il sogno delle dieci colline - Le revisioni di un giovanetto - Spiegazioni del sogno: longevità di Don Bosco: estensione della Pia Società dopo la sua morte - D. Bosco va a Mirabello per la festa di S. Carlo Borromeo: affetto degli alunni - D. Bosco prescrive a D. Bonetti alcune precauzioni per rimettersi in sanità - Altra sua lettera all'insigne benefattrice di Mirabello: D. Cagliero a Vignale: la stampa di un libro desiderato: la gradita visita fatta dalla benefattrice al piccolo seminario: la festa di S. Carlo: il 15 dicembre egli sarà a Casale.

Capitolo 77

da Memorie Biografiche

del 04 dicembre 2006

Don Ruffino, destinato Direttore a Lanzo, non poteva più redigere la sua cronaca. Ma il raccoglitore di queste memorie biografiche del Venerabile servo di Dio, benchè ignaro del lavoro incominciato da Ruffino e da Bonetti, ebbe l'ispirazione e la fortuna di continuarlo per quasi due anni. Quindi ciò che scriviamo lo vedemmo co' nostri occhi, l’udimmo colle nostre orecchie e lo mettemmo in carta.

Incominciamo con un sermoncino di D. Bosco.

18 ottobre 1864. - Ciascuno dei chierici della casa deve lavorare come se, fosse lo stesso Direttore in persona, riprendere quelli che vedesse in qualche maniera mancare, dar buoni consigli, nei loro discorsi famigliari innamorare i giovani della SS. Comunione, che è il cardine del buono andamento della casa.

Facciamoci coraggio nell'adempiere i nostri doveri, ma stiamo nell'umiltà. Il Papa scrisse: Deo botto adiuvante dunque non bisogna temere di nulla; se è opera di Dio la nostra, andrà avanti: l'individuo nella casa non è alcun che; è puro strumento, che deve lavorare solo per Iddio senza alcuna speranza sulla terra. Ancorchè molti ci abbandonino poco importa; è Dio che ci deve aiutare.

Procuriamo però di essergli fedeli. Nelle tentazioni ricorrete ad un mezzo che io nella mia lunga esperienza ho trovato potentissimo per vincere il demonio: baciare la medaglia della Madonna. Se vi trovaste in luoghi dove non fosse conveniente baciar la medaglia, dite la giaculatoria: - Gesù, Giuseppe, Maria vi dono il mio cuore e l'anima mia. - Se la tentazione poi non cessa si replichi il bacio, oppure la giaculatoria e la tentazione sarà vinta.

Questi ammonimenti erano diretti in modo speciale ai Chierici. Per i giovani soleva dare pubblicamente al principio di ogni anno scolastico un avviso, che recava i primi consolanti frutti di loro educazione alle proprie famiglie.

Il 19 ottobre, ricordò adunque agli alunni i genitori lontani, che tanto affetto portavano ai loro figli, le fatiche, le spese che aveano sostenute e sostenevano per allevarli e dar loro una buona educazione; il rispetto, l'obbedienza e l'amore col quale i figli per comando di Dio erano obbligati a contraccambiarli. Quindi gli esortò a scrivere tutti una letterina ai parenti, colla quale affermassero l'affezione che per loro nutrivano e chiedessero venia di que' dispiaceri che loro avessero in qualche modo recato.

Dopo queste due semplici parlate narrava un magnifico sogno.

Si legge nel libro di Daniele Profeta, al Capo I, versicolo 17, che quattro nobili fanciulli condotti da Gerusalemme schiavi in Babilonia da Nabucodonosor, essendo rimasti fedeli alle leggi del Signore, pueris his dedit Deus scientiam et discipli­nam in omni libro et sapientia; Danieli autem intelligentiam omnium visionum et somniorum. Daniele ebbe da Dio la grazia di saper distinguere i sogni mandati dal Signore da quelli che sono accidentali e fortuiti, e di vedere quello che lo stesso Dio volesse con essi significare. Tale, e per lo stesso motivo, in gran parte almeno, fu la grazia dal Signore concessa a D. Bosco, coi sogni che abbiamo narrati: come pure evidentemente, a nostro parere, con quello che siamo per esporre, raccontato la sera del 22 ottobre.

D. Bosco aveva sognato nella notte precedente. Nello stesso tempo un giovane di nome C... E... di Casal Monferrato, fece egli pure lo stesso sogno, parendogli di trovarsi con D. Bosco e di parlargli. Levatosi ne era rimasto tanto colpito che andò a raccontare le cose sognate al suo professore, il quale lo esortò di recarsi a narrarle a D. Bosco. Il giovane andò subito e s'imbattè con lui stesso che scendeva le scale, per cercarlo e narrargli la stessa cosa.

Parve adunque a D. Bosco di trovarsi in una grandissima valle tutta piena di migliaia e migliaia di giovanetti, ma così numerosi che esso non credea potersene trovare tanti in tutto il mondo. Fra questi giovani egli distingueva tutti quelli che furono, e quelli che sono nella casa. Tutti gli altri erano coloro che forse verranno poi. Frammisti ai giovani si vedevano i  preti ed i chierici della casa.

Una ripa altissima chiudeva da un lato quella valle. Mentre. D. Bosco pensava che casa avrebbe dovuto fare di tanti giovani, una voce gli disse: - Vedi quella ripa? Ebbene; bisogna che tu e i tuoi giovani ne guadagniate la cima.

Allora D. Bosco diede ordine a tutte quelle, turbe di giovani di muoversi verso il punto indicato. I giovani si mossero e a gran corsa si slanciarono arrampicandosi su per la ripa. I preti della casa correvano anche essi all'insù spingendo avanti i giovani, rialzavano quelli che cadevano e portavano sulle spalle coloro che stanchi non potevano camminare. D. Rua colle maniche della veste rivoltate lavorava più di tutti e, prendendo i giovani a due per due, addirittura gli slanciava per aria sulla ripa, sulla quale cadendo essi restavano in piedi e poi scorrazzavano allegramente qua e là. D. Cagliero e D. Francesia correano su e giù per le file gridando: - Coraggio, avanti; avanti, coraggio.

In poco d'ora quelle schiere giovanili raggiunsero la cima della ripa; D. Bosco pure era salito e disse: - Ed ora che cosa faremo? - E la voce soggiunse: - Tu devi valicare coi tuoi giovani queste dieci colline che vedi distendersi innanzi a te l'una dopo l'altra. - Ma come faranno a reggere ad un viaggio così lungo tanti giovanetti che sono così piccoli e delicati?

 - Chi non potrà andare co' suoi piedi, sarà portato; - gli fu risposto.

Ed ecco infatti spuntare ad una estremità del colle e sa­lire un magnifico carro. Impossibile ne è la descrizione tanto era bello, ma pure qualche cosa si può dire. Era triangolare e avea tre ruote che si moveano per tutti i versi. Dai tre an­goli partivano tre aste che venivano a congiungersi in un punto solo sopra il carro stesso, formando come un pinnacolo di per­golato. Su questo punto di congiunzione si innalzava un magnifico stendardo sul quale era scritto a caratteri cubitali: Innocentia. Una fascia poi che correva tutto intorno al carro, formava sponda e portava l'iscrizione: Adiittorio Dei Altissimi Patris et  Filiieti Spiritus Sancti.

Il carro, che splendeva tutto per oro e pietre reziose, si avanzò e venne a collocarsi in mezzo ai giovani. Dato il comando, molti fanciulletti vi salirono sopra. Il numero era di 500 Cinquecento appena in mezzo a tante migliaia di giovani erano Ancora innocenti.

Collocati questi sul carro D. Bosco pensava per quale via avrebbe dovuto incamminarsi, quando vide aprirsi innanzi a lui una strada larga e commoda, ma tutta sparsa di spine. Apparvero quindi all'improvviso sei giovani, già morti nell'Oratorio, vestiti di bianco, i quali inalberavano un'altra bellissima bandiera sulla quale era scritto: poenitentiae. Costoro si andarono a posare alla testa di tutte quelle falangi di giovani che doveano mettersi in viaggio pedestri. Allora fu dato il segnale della partenza. Molti preti si slanciano al timone dei carro, il quale tratto da essi incomincia a muoversi. I sei vestiti di bianco lo seguono. Dietro a loro tutto il resto della moltitudine. Con magnifica ed inesprimibile musica si intona dai giovanetti che erano sul carro il Laudate pueri Dominum.

D. Bosco camminava inebbriato da quella musica celeste, quando si ricordò di voltarsi indietro, per vedere se tutti i giovani lo aveano seguito. Ma oh doloroso spettacolo! Molti erano rimasti nella valle, molti erano ritornati indietro. Don Bosco agitato da inesprimibile dolore decise di rifare il cammino già fatto per tentar di persuadere quei giovani sconsigliati, e di aiutarli a seguirlo. Ma gli venne assolutamente vietato. - Ma quei poverini si perdono: - esclamò egli. Egli venne, risposto: - Peggio per loro: essi furono chiamati come gli altri e non vollero seguirti. La strada da farsi l'hanno veduta e ciò basta. - D. Bosco voleva replicare; pregò, scongiurò: tutto fa inutile: - L'obbedienza è anche per te! - gli fa detto. E dovette continuare il cammino.

Non erasi ancor lenito questo dolore, quando un altro tristo accidente sopravvenne. Molti giovanetti di quelli che si trovavano sul carro a poco a poco erano caduti per terra. Di 500 appena 150 rimanevano sotto il vessillo dell'innocenza.

Il cuore di D. Bosco scoppiava per l'insopportabile affanno. Esso sperava fosse quello un sogno, facea tutti gli sforzi per svegliarsi, ma pur troppo si accorgeva che era una terribile realtà. Batteva le mani ed udiva il suono di esse: gemeva, ed udiva che il suo gemito risuonare per la stanza; volea dissipare quel terribile fantasma, ma non poteva.

 - Ah miei cari giovani! egli esclamava a questo punto, narrando il sogno. Io ho conosciuto e veduto coloro che rimasero nella alle, quelli che tornarono indietro o caddero dal carro! Vi ho conosciuti tutti. Ma non dubitate; io farò ogni sforzo possibile per salvarvi. Molti oli voi invitati da me a confessarsi non risposero alla chiamata! Per carità salvate le anime vostre.

Molti dei giovanetti caduti dal carro si erano di mano in mano andati a porre tra le file di coloro che camminavano dietro la seconda bandiera. Intanto la musica del carro continuava così dolce che a poco a poco vinse il dolore di D. Bosco. Sette colline erano già valicate e giunte quelle schiere sulla ottava, entrarono in un meraviglioso paese, dove si fermarono a prendere un po' di riposo. Le case erano di una ricchezza e bellezza indiscrivibile.

D. Bosco parlando ai giovani di questa regione soggiunse: - Vi dirò con Santa Teresa ciò che essa affermò delle cose del paradiso: sono cose che col parlarne si avviliscono, perchè sono così belle che è inutile sforzarsi a descriverle. Quindi osserverò solamente che gli stipiti di quelle case pareano di oro, di cristallo, di diamante tutt'insieme, sicchè sorprendevano, appagavano la vista infondevano allegrezza. I campi erano ripieni d'alberi sui quali si vedevano contemporaneamente fiori, bottoni, frutta matura e frutta verde. Era un incanto magnifico.

I giovani si sparsero pel paese chi di qua e chi di là, chi per una cosa, chi per l'altra, poichè grande era la loro curiosità e il desiderio di avere di quella frutta.

È in questo villaggio che quel giovane di Casale si imbattè in D. Bosco e tenne con lui un lungo dialogo. D. Bosco e il giovane si ricordavano perfettamente le domande fatte e le risposte avute. Singolare combinazione di due sogni.

D. Bosco ebbe qui un'altra strana sorpresa. I suoi giovani gli apparvero ad un tratto come divenuti vecchi; senza denti, pieni di rughe in volto, coi capelli bianchi, curvi, zoppicanti, appoggiati al bastone. D. Bosco si maravigliava di questa metamorfosi, ma la voce gli disse: - Tu ti meravigli; ma hai da sapere che non sono già poche ore dacchè sei partito dalla valle, ma sono anni ed anni. È  quella musica che ti ha fatto parer corto il cammino. In prova, guarda la tua fisionomia e ti persuaderai se io dico il vero. - E a D. Bosco venne presentato uno specchio. Egli si specchiò e vide che il suo aspetto era d'uomo attempato, coi volto rugoso, e coi denti guasti e pochi.

La comitiva frattanto si rimise in cammino e i giovani a quando a quando chiedevano di fermarsi per vedere quelle nuove cose. Ma D. Bosco dicea loro: - Avanti, avanti: noi non abbisognamo di nulla; non abbiamo fame, noti abbiam sete, dunque avanti.

(In fondo lontano, sulla decima collina spuntava una luce che andava sempre crescendo come se uscisse da una stupenda porta). Ricominciò allora il canto, ma così bello che solo in Paradiso si può udire l'eguale e gustarlo. Non era musica di istrumenti, nè parea di voci umane. Era una musica impossibile a descriversi; e tanta fu la piena del giubilo che inondò l'anima di D. Bosco che svegliatosi si trovò nel suo letto.

D. Bosco così spiegò il suo sogno: - La valle è il mondo. La ripa gli ostacoli per istaccarsi da esso. - Il carro lo capite. - Le squadre dei giovani a piedi sono i giovani che perduta l'innocenza, si pentirono dei loro falli.

D. Bosco aggiunse ancora che le 10 colline raffiguravano i 10 comandamenti della legge di Dio, l'osservanza dei quali conduce alla vita eterna.

Quindi annunziò che, se facesse di bisogno era pronto a dire confidenzialmente a certi giovani che cosa facevano in quel sogno; se restarono nella valle o se caddero dal carro.

Disceso dalla bigoncia, l'alunno Ferraris Antonio si avvicinò a lui, e gli raccontò, essendo noi presenti che intendemmo perfettamente le sue parole, come la sera precedente avesse egli sognato di trovarsi in compagnia di sua madre, la quale aveagli domandato se a Pasqua sarebbe tornato a casa per passarvi i giorni di vacanza: esso averle risposto che prima di Pasqua sarebbe andato in paradiso. Quindi in confidenza sottovoce disse alcune altre parole nell'orecchio a D. Bosco. Ferraris Antonio morì il 16 marzo 1865.

Noi abbiamo subito scritto il sogno, e la stessa sera 22 ottobre 1864 sul fine aggiungevamo la seguente postilla. “ Io tengo per certo che D. Bosco colle sue spiegazioni cercò di coprire ciò che il sogno ha di più sorprendente, almeno per qualche circostanza. Quella dei dieci comandamenti non mi appaga. L'ottava collina sulla quale D. Bosco fa una sosta, ed egli si vede nello specchio così attempato, io credo che indichi il fine della sua vita dover succedere oltre i settanta anni. Vedremo l'avvenire ”.

Questo avvenire è dunque ora tempo passato, e noi ci siamo confermati nella nostra opinione. Il sogno indicava a Don Bosco la durata del suo vivere. Confrontiamo con questo, quello della Ruota, che noi non potemmo conoscere se non qualche anno dopo. I giri della Ruota procedono per decenni: e così pure sembra che' abbracci simile spazio di tempo il procedere di collina in collina. Ognuna della dieci colline rappresenta dieci anni, sicchè vengono a significare cento anni il massimo della vita di un uomo. Ora noi vediamo D. Bosco ancor fanciullo, nel primo decennio, incominciare la sua missione tra i compagni dei Becchi e così dar principio al suo viaggio; percorre interamente le sette colline cioè sette decenni quindi la sua età giunge a settant'anni: sale l'ottava collina e qui fa una sosta: vede case e campi meravigliosamente belli, ovvero la sua Pia Società resa grande e fruttifera dalla bontà infinita di Dio. È ancor lunga la via da percorrere sulla ottava collina e si rimette in viaggio; ma non giunge alla nona, perchè si risveglia. Così egli non campò l'ottavo decennio, morendo a 72 anni e 5 mesi.

Che ne dice il lettore? Aggiungeremo che la sera dopo Don Bosco avendo interrogato noi stessi qual fosse il nostro pensiero intorno al sogno, gli abbiamo risposto, che non riguardava solamente i giovani, ma sibbene indicava la dilatazione della Pia Società in tutto il mondo.

 - Ma che? replicò uno dei nostri confratelli; abbiamo già i collegi di Mirabello e di Lanzo e se ne aprirà qualche altro in Piemonte. Che cosa vuoi di più?

 - No; sono ben altri i destini che ci annunzia il sogno. E D. Bosco approvava, sorridendo, la nostra persuasione.

D. Bosco dopo la solennità di Ognissanti si recava a Mirabello per celebrare la festa di S. Carlo Borromeo, titolare del piccolo Seminario. Intervenne il Vescovo di Casale Mons. di Calabiana, il quale on mancava mai in occasione di tali ricorrenze; e tutti gli anni vi si recava per dare gli esami ai chierici di Filosofia e di Teologia.

Fu quella una festa delle più belle. D. Bosco entusiasmò gli alunni col sogno delle dieci colline, li preparò alla comunione generale; diede udienza singolarmente a tutto il personale della casa, informandosi de' bisogni di ciascuno e delle difficoltà che incontravano nei loro uffizi.

Per necessità aveva dovuto tramutare qualcuno degli insegnanti e il Prefetto Francesco Provera era stato da lui trasferito collo stesso ufficio a Lanzo. A Mirabello doveva surrogarlo D. Bonetti Giovanni.

Composta ogni cosa D. Bosco si dispose alla partenza. Ma era e fu ognora cosa seria staccare da lui gli alunni. Molti .piangevano, ciascuno aveva ancora da dirgli una parola in confidenza, sicchè egli si allontanava a stento, promettendo che presto sarebbe ritornato.

Giunto a Torino scrisse tosto una lettera a D. Bonetti. Lo aveva trovato afflitto per qualche malinteso, come accade talvolta a chi vive in Comunità; ed anche deteriorato nella salute, poichè da qualche tempo era tormentato dalla tosse. Gli pesava anche l'ufficio di Prefetto.

 

Al Signor D. Bonetti Giovanni, Prefetto nel P. S. Mirabello.

 

Caro mio Bonetti,

 

Appena avrai ricevuto questa lettera và tosto da D. Rua e digli schiettamente che ti faccia stare allegro. Tu poi non parlare di breviario fino a Pasqua, cioè sei proibito di recitarlo. Di la tua messa adagio per non istancarti. Ogni digiuno, ogni mortificazione di cibo è proibita. Insomma il Signore ti prepara lavoro, ma non vuole che tu lo cominci, se non quando sarai in perfetto stato di sanità e specialmente non darai più un getto di tosse. Fa questo e farai quello che piace al Signore.

Tu puoi compensare ogni cosa con giaculatorie, con offerte al Signore de' tuoi incomodi, col tuo buon esempio.

Dimenticava una cosa. Porta un materasso nel tuo letto, aggiustalo bene come si farebbe ad un poltrone matricolato; sta bene riparato nella persona in letto e fuori letto. Amen.

Dio ti benedica.

 

Torino, 1864

 

Tuo aff.mo in G. C.

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

Un'altra lettera da lui scritta alla Contessa Canori fa cenno della festa di S.Carlo a Mirabello. Alle largizioni di questa Dama si doveva il piccolo seminario. Ella perciò era stata a visitarlo e ne aveva per lettera data notizia, a D. Bosco, esprimendo le sue impressioni. Gli faceva però notare lo stato di D. Bonetti, osservando se forse non sarebbe meglio richiamarlo nell'Oratorio. Egli era incaricato di compilare un libro che la Contessa desiderava fosse pubblicato il più presto possibile. D. Bosco le rispondeva:

 

Benemerita Signora Contessa,

 

Credo che avrà ricevuto i libretti che nella sua bontà compiacquesi di dimandare; se non Le saranno ancora pervenuti saranno certamente in Casale.

D. Cagliero è prevenuto senza essere prevenuto: cioè sa quale importanza abbia la predicazione in Vignale  andrà convenientemente preparato e pieno di buona volontà.

Ho pensato al prefetto di Mirabello; ma io credo che sia assai più disturbato qui che altrove, tanto più che presentemente essendo le scuole avviate, le sue occupazioni sono assai diminuite. Egli mi assicura che prima del termine di questo mese mi manderà se non tutto almeno una buona parte del materiale pel libro che porterà il titolo:

Quale?

Ella desidera che sia presto pubblicato, io desidero altrettanto, ed è singolare che molte domande mi sieno fatte in questo senso da persone autorevoli, senza che sappiano, essersi già posto mano al lavoro. Spero che in febbraio prossimo si comincierà la stampa.

Quando scrive al povero D. Bosco non dica mai: temo dire troppo.... a temerità parlare così etc.. Le sue ramanzine le sue ammonizioni, i suoi consigli saranno sempre accolti con figliale rispetto e con riconoscenza.

D. Rua fa molto contento della sua visita, ma rimase alquanto mortificato Perchè fu colto impreveduto e in un momento in cui tutto il Seminario era sossopra. La festa riuscì molto divota e bella; il Vescovo ne fa soddisfatto assai e i suoi tartufi fecero eccellente figura.

Giovedì a sera sarò a Casale e vi rimarrò fino a venerdì a sera; credo che Ella sia ancora a Vignale, tuttavia passerò a sua casa per avere notizie della famiglia.

Dio benedica Lei, Signora Contessa, e tutta, la rispettabile di Lei famiglia, segnatamente il Sig. Conte; preghi anche per me che sono colla pi√π sentita gratitudine

 

Torino, 13 dicembre 1864.

 

Obbl.mo Servitore

Sac. Bosco GIOVANNI.

 

Alla chiarissima Signora,

La Signora Contessa Callori Sambuy.

Vignale.

 

Quel libro che interessava la Contessa era il Cattolico Provveduto, del quale D. Bosco aveva da tempo preparato il manoscritto, aspettando l'occasione per darlo al tipografo. Un giorno la Contessa venuta a visitarlo gli aveva detto - Lei D. Bosco, per i giovani ha già stampato un libro ammirabile, ma per gli adulti ci vorrebbe qualche cosa di più. Mi parrebbe necessario che ne compilasse un altro a questo fine.

D. Bosco, che non aspettava altro, prese la palla al balzo e rispose: - Io avrei pronto il libro che desidera, ma per me sono troppo gravi le spese di stampa. Se alcuno mi aiutasse, allora la cosa è fatta.

 - Faccia pure: io ci sono.

 - Ma la spesa non è indifferente!

 - Non sarà superiore alle mie forze, spero ......

 - Oh! no .....

 - Ebbene faccia conto su di me. Stampato il libro mi dirà l'ammontare della spesa.

Questa fu di 3000 lire.

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