Feste e canzoni nell'Oratorio - Decadimento delle antiche Maestranze - Società operaie irreligiose - Società di mutuo soccorso fondata da D. Bosco - Suo regolamento - Guerra contro questa Società - Bene da essa prodotto e seme gettato - Le classi operaie: aspirazioni, miserie, seduzioni, e azione cattolica.
del 23 novembre 2006
Le feste di S. Luigi e di S. Giovanni Battista eransi celebrate nell'Oratorio con grande solennità: i cortili avevano risonato degli inni a D. Bosco, e noi abbiamo ancora udita l'eco di queste antiche canzoni che per molti anni furono ripetute Sono versi incolti, ma a noi tornano gradite al paro di quelle che poi furono scritte da motti valenti cultori delle muse. Temendo però che vadano in oblío, onoriamo queste povere pagine, colla bellezza dei cari sentimenti dei nostri antichi compagni.
 
Su, fratelli, grato il core             E gridate: Egli è la luce
Si dimostri in questo dì,             Dal Signor tra noi mandata
A Don Bosco buon pastore        Acciò fosse illuminata
Pel gran ben che c'impartì.         L'inesperta gioventù.
Su, alle trombe date fiato,           È un appoggio ai vecchierelli,
Martellate le campane,                Pel fanciul che non ha pane;
Invitate il vicinato                       Ei sostiene i tenerelli
A far festa in questo di.               E li guida alla virtù.
Dunque tutti i meschinetti             E prostrati innanzi a Dio
Faccian l'aure risonar                   Supplichiamolo di cuore
Con bei inni e bei concetti             Che conservi l'uomo pio
Si rallegri questo dì.                    Qui tra noi per lunga età.
 
 
All'amore dei suoi giovani D. Bosco corrispondeva con una prova novella di sua carità, della quale per giudicarne l'importanza, è necessario che ci rifacciamo un po' addietro di qualche anno.
Nel 1847 esistevano ancora in Torino gli avanzi medioevali delle antiche Università, ossia corporazioni di arti, di mestieri e di commercio, colle loro confraternite ed un sacerdote per moderatore. Queste provvedevano alle anime dei socii col rendere loro facile l'adempimento di tutti i doveri religiosi; quelle, alle cose temporali con zelare l'istruzione degli apprendisti, procacciar lavoro, tener casse di risparmio, curar gli infermi, dare assistenza ai vecchi, alle vedove, agli orfani, fissare assegni per i giovani che mettevano su casa, premunire il pubblico contro le frodi degli artefici e dei negozianti, procurare i fondi per le funzioni dei loro magnifici Oratorii.
Ma lo spirito liberalesco non aveva tardato a contaminare la maggior parte di queste associazioni, loro togliendo l'indole religiosa che avevano in passato, e sottraendole alla dipendenza delle Autorità Ecclesiastiche. In queste anzi videsi spesso i membri come divisi in due categorie; gli uni, i liberali, amministrare i patrimoni e le opere di carità; solo i confratelli cattolici vestirne le divise e frequentarne gli ufficii religiosi.
Contemporaneamente alla decadenza, procurata per maligno istinto di queste società, venivano sorgendo varie associazioni ispirate dalla Massoneria, le quali, sotto il manto della carità o filantropia, nascondevano il bieco divisamento di pervertire nelle loro riunioni le idee dei socii e in quanto a politica e in quanto a religione.
Quivi spacciavansi favole contro la Chiesa cattolica; inventavansi, facevansi stampare e diffondevansi storielle infamanti contro i Vescovi, i sacerdoti ed i religiosi, nulla risparmiando per metterli in uggia presso il popolo. Una parte di questo, in capo a poco tempo, fu così pervertito nelle idee e così male impressionato, che un ministro di Dio non era più sicuro per le vie della stessa civilissima Torino.
Una di queste associazioni fu la così detta Società degli operai. Parecchi, che le avevano già dato il nome, non tardarono ad accorgersi che avevano messo il piede in una trappola, e furono abbastanza pronti a ritirarnelo per tempo; ma non pochi pur troppo vi rimasero, e fecero ben presto miseramente naufragio nel costumi e nella fede. I buoni cattolici non avevano ancor volte le loro premure a guadagnarsi gli operai, prendendo a patrocinare i loro interessi, poichè fino a pochi anni addietro le Maestranze li tutelavano.
D. Bosco pertanto, dopo di aver organizzata colla compagnia di S. Luigi una nuova confraternita, conobbe che questa non bastava a stringere in fascio gli operai; e che era necessario attrarli con qualche materiale vantaggio. Ora, per impedire che i giovani esterni dell'Oratorio s'invogliassero d'inscriversi a società pericolose, Don Bosco ideò di stabilirne una tra di loro, avente per iscopo il benessere corporale, non disgiunto dal vantaggio spirituale de' suoi componenti. A questo fine pensò di imporre ai soci la condizione che essi fossero già ascritti alla Compagnia di S. Luigi, nella quale è inculcata la pratica di accostarsi ai sacramenti ogni quindici giorni. Egli adunque cominciò a
parlarne coi più adulti, ne spiegò il fine, i vantaggi e le condizioni, e il suo progetto fu accolto con unanime applauso. Quindi propose che una commissione di essi ne prendesse l'iniziativa ed ebbe la loro adesione.
L'Associazione, sotto il titolo di Società di mutuo soccorso, fu inaugurata in cappella il primo luglio del 1850, e riuscì a meraviglia per ottenere lo scopo prefisso. Di qui si vede che il primo seme di quelle innumerevoli Società od Unioni di Operai cattolici, che in questi ultimi anni pullularono in molte città d'Italia, fu gettato da D. Bosco medesimo tra i giovani del suo Oratorio. Mi par utile di qui riportarne per intiero il regolamento, sì a memoria del fatto, sì a norma di chi volesse istituirla altrove con quelle modificazioni ed aggiunte che i tempi e le persone richiedono.
Al regolamento andava innanzi questa Avvertenza, che portava la firma di D. Bosco:
“ - Eccovi, o cari giovani, un regolamento per la vostra, Società. Esso vi servirà di norma, affinchè la Società proceda con ordine e con vantaggio. Non posso a meno di non lodare questo vostro impegno e questa diligenza nel promuoverla. Ella è vera prudenza. Voi mettete in riserbo un soldo per settimana, soldo che poco si considera nello spenderlo, e che vi frutta assai qualora vi troviate nel bisogno. Abbiate dunque tutta la mia approvazione.
”Solo vi raccomando che mentre vi mostrerete zelanti pel bene della Società, non dimentichiate le regole della Compagnia di S. Luigi, da cui dipende il vantaggio fondamentale, cioè quello dell'anima,
”Il Signore infonda la vera carità e la vera allegrezza, nei vostri cuori, e il timor di Dio accompagni ogni vostra azione”. Il regolamento susseguiva.
1° Lo scopo di questa Società è di prestare soccorso a quei compagni che cadessero infermi, o si trovassero nel bisogno, perchè involontariamente privi di lavoro.
2° Niuno potrà essere ammesso nella Società se non è iscritto nella Compagnia di San Luigi, e chi per qualche motivo cessasse di essere confratello di detta Compagnia, non sarà' più considerato come membro della Società.
3° Ciascun socio pagherà un soldo ogni domenica e non potrà godere dei vantaggi della Società che sei mesi dopo la sua accettazione. Potrà però aver diritto immediatamente al soccorso della Società se entrando pagherà 1.50, purchè allora non sia nè  infermo nè  disoccupato.
4° Il soccorso per ciascun ammalato sarà di centesimi 50 al giorno, fino al suo ristabilimento in perfetta sanità. In caso poi che l'infermo fosse ricoverato in qualche Opera pia, cesserà il soccorso, e non gli sarà corrisposto se non alla sua uscita pel tempo di sua convalescenza.
5° Quelli poi che senza loro colpa rimarranno privi di lavoro, cominceranno a percepire il suddetto soccorso otto giorni dopo la loro disoccupazione. Quando il sussidio dovesse oltrepassare i venti giorni, il Consiglio prenderà a tale riguardo le opportune determinazioni per l'aumento o per la diminuzione.
6° Si accetteranno con riconoscenza tutte le offerte fatte a benefizio della Società, e si farà ogni anno una colletta particolare.
7° Chi per notabile tempo negligentasse di pagare la sua quota, non potrà godere dei vantaggi della Società, sinchè abbia soddisfatto la quota scaduta e per un mese non potrà pretendere cosa alcuna.
8° La Società è amministrata da un direttore, vice-direttore, segretario, vice-segretario, quattro consiglieri, un visitatore e sostituto e un tesoriere.
9° Tutti gli amministratori della Società, oltre l'esatto pagamento di un soldo ogni domenica, avranno somma cura di osservare le regole della Compagnia di S. Luigi per attendere così alla propria santificazione e incoraggiare gli altri alla virtù.
10° Il direttore nato della Società è il Superiore dell'Oratorio. Questi avrà cura che gli amministratori facciano il loro dovere, e che il bisogno dei soci venga soddisfatto a norma del presente regolamento.
11° Il vice-direttore aiuterà il direttore, darà al segretario gli ordini opportuni per le adunanze, ed esporrà in Consiglio quanto possa tornar vantaggioso alla Società.
12° Il segretario avrà cura di raccogliere le quote nelle domeniche, notando puntualmente quelli che compiono la loro obbligazione, nel che userà grande carità e gentilezza. È cura altresì del segretario di spedire biglietti al tesoriere, in cui noti cognome, dimora dell'infermo; tutte le decisioni di qualche rilievo prese nel Consiglio saranno registrate dal segretario. In questa moltiplicità di cose sarà aiutato dal vice-segretario, il quale, occorrendo il bisogno, ne farà le veci.
13° I quattro Consiglieri diranno il loro sentimento intorno a tutto ciò che riguarda al vantaggio della Società, e daranno il voto, tanto in quello che spetta all’amministrazione delle cose, come alla nomina di qualche membro.
14° Il visitatore nato della Società è il Direttore spirituale della Compagnia di S. Luigi. Questi si porterà in persona alla casa l'inferno, onde verificare il bisogno e farne la al segretario. Ottenuto che avrà l'opportuno biglietto o porterà a casa del tesoriere, dopo di che recherà l'assegnato soccorso all'infermo. Nel consegnare il soccorso, il visitatore avrà cura somma di ricordare all'infermo qualche massima di nostra Santa Religione, e di animarlo a ricevere i Santi Sacramenti, qualora si faccia grave la malattia. In ciò sarà aiutato dal sostituito, il quale mostrerà la massima premura per aiutare il visitatore specialmente nel portare i soccorsi e consolare gl'infermi.
15° Il tesoriere terrà cura dei fondi della Società e ne darà conto ogni tre mesi. Ma non potrà dar denaro ad alcuno senza un biglietto portato dal visitatore, sottoscritto dal direttore, in cui si dichiari la realtà del bisogno.
16° Ogni impiegato durerà nella sua carica un anno potrà essere però rieletto.
17° Il Consiglio ogni tre mesi renderà conto della sua amministrazione.
18° Il presente regolamento comincerà ad essere in vigore il primo di luglio del 1850.
Ad ogni socio fu assegnato come tessera un libretto, intitolato Società di Mutuo Soccorso di alcuni individui della Compagnia di S. Luigi eretta nell'Oratorio di S. Francesco di Sales. Torino, Tipografia Speirani e Ferrero, 1850. Sotto il frontispizio era stampato il motto “Quanto mai, o fratelli, è piacevole e vantaggioso stabilirsi in società ”. Salmo 133.
In fine vi andava unito il modulo d'iscrizione così formulato:
 
Il Giovane
figlio del dimorante                 di professione
è  stato inscritto nella Società il giorno
del mese di                             l'anno 18
Pel Regolamento ha pagato cent. 15.
 
SEGRETARIO                     DIRETTORE
 
 
Questa società così organizzata servì a meraviglia al suo scopo, ma destò le ire di quelli, i quali ogni loro sforzo facevano convergere nel corrompere le plebi, e averle ai loro cenni in date occasioni.
Brosio Giuseppe così scriveva a Don Bonetti Giovanni: “In faccia alla porta d'entrata della nostra chiesuola di Valdocco, divisa dal nostro cortile per un muro di cinta, sorgeva la taverna detta la Giardiniera. Era il rifugio dei ladri, il ritrovo dei vagabondi. Qui si radunavano continuamente i fannulloni, i giuocatori, i beoni, i musici ambulanti, i domatori di orsi, gli sfaccendati di ogni genere, e con questi i socii delle società operaie liberali allora nascenti, che avevano sede principale nel vicolo di Santa Maria in una cantina sotterranea. I Capi segreti di questa società erano alcuni protestanti e certi signori di pessima condotta. Se, negli anni precedenti, le orgie degli antichi avventori della Giardiniera recavano disturbo, tuttavia non erano espressamente ostili contro l'Oratorio. Ma in quest'anno gli schiamazzi nel tempo delle sacre funzioni avevano evidentemente in mira di far dispetto a D. Bosco e dargli la baia con parolacce da trivio. Quei furfanti erano pagati dal mestatori perchè facessero sentire all'Oratorio tutta la loro rabbia.
”D. Bosco vedeva la necessità di allontanare da Valdocco quella batteria avanzata del demonio; ma non era impresa facile, sia per le spese ingenti, sia per essere pericoloso offendere quella marmaglia, pronta a qualunque violenza piuttostochè permettergli l'occupazione di una casa che riteneva come di suo proprio dominio.
”D. Bosco ne ebbe più volte disgustose prove. Un giorno venne chiamato in sagrestia, dove alcuni uomini lo attendevano ed egli andò subito credendo che volessero confessarsi. Ma appena fu entrato quelli chiusero le porte. Allora vari giovani dei più adulti, fra i quali Buzzetti ed Arnaud, sospettando qualche trama, passarono in presbiterio e di là stettero origliando e guardando dalla serratura dell'uscio che metteva in sagrestia. Infatti sentono ad un tratto un parlare forte e concitato di quei malvagi, venuti per disputare con D. Bosco. Egli però con poche parole avendoli confusi, e non sapendo più quelli che cosa rispondergli, si mettono a dirgli rabbiosamente molte villanie. D. Bosco cercava di calmarli, ma gli altri si accendevano ancora di più ed estraevano i coltelli. A questo punto i giovani appostati, dopo aver fatto rumore, sfondarono la porta; e quei disgraziati fuggirono dall'uscio che si apriva nel cortile.
”Intanto accadevano certe diserzioni misteriose di giovani fra i più grandi, appartenenti alla nostra società di Mutuo Soccorso senza che si potesse conoscerne la cagione. Quand'ecco un giorno due signori vestiti con molta eleganza mi fermarono. Parlavano francese, lingua che lo conosceva bene, e dopo un cordiale discorso, mi offersero una grossa somma di danaro, circa 600 lire, con promessa che mi avrebbero altresì procurato un grasso impiego, se però io avessi abbandonato l'Oratorio e condotti via i miei compagni, sui quali essi si erano informati come io avessi grande influenza. Mi sdegnai per questa offerta, e con poche parole loro risposi: - D. Bosco è mio padre e non lo abbandonerò e non lo tradirò per tutto l'oro del mondo! - Quei signori, che poi conobbi essere l'anima di quella cricca operaia, non si offesero; mi pregarono di riflettere, e più altre volte, ad intervalli, rinnovarono la loro offerta di danaro, che io sempre ricusai. Intesi allora come una vile moneta avesse sedotti certi miei disgraziati compagni ad abbandonare l'Oratorio.
”Io aveva narrato ogni cosa al solo D. Bosco, e giudicammo essere prudenza tener segreti questi fatti, per non destar la cupidigia di qualcheduno poco saldo nella virtù, e nello stesso tempo pregare, raddoppiando la vigilanza e gli allettamenti all'Oratorio”
Ma non ostante questa guerra, la società operaia di D. Bosco per anni parecchi crebbe di numero, e vi furono ammessi per eccezione alcuni artisti della città, eccellenti cristiani, perchè col loro esempio dessero ordine ai novellini. Nel 1856 la società era fiorente ed anche Villa Giovanni volle esservi ascritto, invitato dal suo compagno Gravano. Nel 1857 questa medesima si cangiò in conferenza, e avendo sede nell'Oratorio fu annessa a quelle di S. Vincenzo de' Paoli per un tempo considerevole.
D. Bosco erasi adoperato eziandio in questa istituzione vinto da due altri gravissimi motivi. Egli fu tra quei pochi che avean capito fin da principio, e lo disse mille volte, che il movimento rivoluzionario non era un turbine passeggiero, perchè non tutte le promesse fatte al popolo erano disoneste, e molte rispondevano alle aspirazioni universali, vive dei proletarii. Desideravano d'ottenere eguaglianza comune a tutti, senza distinzione di classi, maggior giustizia e miglioramento delle proprie sorti.
Per altra parte egli vedeva come le ricchezze incominciassero a divenire monopolio di capitalisti senza viscere di pietà, e i padroni, all'operaio isolato e senza difesa, imponessero patti ingiusti sia riguardo al salario sia rispetto alla durata del lavoro; e la santificazione delle feste sovente fosse brutalmente impedita, e come queste cause dovessero produrre tristi effetti; la perdita della fede negli operai, la miseria delle loro famiglie e l'adesione alle massime sovversive.
Perciò come guida e freno alle classi operaie, egli riputava partito necessario che il clero si avvicinasse ad esse. Egli non poteva dare alla sua Società di Mutuo Soccorso quello sviluppo che avrebbero richiesto i bisogni dei tempi, quantunque meditasse di innalzare per i giovani artigiani un gran numero di ospizii. Ma ora prevedeva che la direzione, la sorveglianza sui registri delle somme versate, l'amministrazione, la distribuzione dei soccorsi a lungo andare non gli sarebbe tornata possibile. Resistette, progredì; ma poi dovette fermarsi, tanto più che la sua impresa non fu secondata da chi poteva; anzi non andava esente da critiche. Egli però ebbe il merito di dare il primo impulso e il modello a tante altre associazioni tra gli operai cattolici, per migliorarne la sorte, appagarne i giusti richiami e così sottrarli all'influenza tirannica dei rivoluzionarii. La prima delle unioni operaie cattoliche, stabilita in Italia, fu quella di Torino, nel 1871, per impulso di un pugno di giovani generosi. Purtroppo le sétte avevano già raccolti gli operai e stabilito fra di loro e in proprio vantaggio il mutuo soccorso; tuttavia meglio tardi che mai. Crebbero di numero quelle cristiane unioni in tutto il Piemonte e in altre parti d'Italia, ed ebbero l'assistente ecclesiastico, con grande vantaggio della causa cattolica e con tanta consolazione di D. Bosco. Varie di queste, con diploma, lo proclamarono loro Presidente Onorario. Lo spirito del Signore aleggiava sul mondo e con nuove istituzioni provvedeva ai nuovi bisogni. Il Sac. Kolping fondava in Germania la Società Cattolica dei giovani garzoni o apprendisti, i quali, con sedi proprie in molte città, assommano ora a molte decine di migliaia. La Francia dava pure così nobile esempio; ricchi industriali concorsero generosamente a introdurre nelle loro immense officine il benessere di un lavoro rimuneratore, cristiano e senza ansietà per l'avvenire. Fra gli altri Leone Harmel detto le bon père, il padre dell'operaio, intimo amico di D. Bosco per uniformità di sentimenti.
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