"A volte il suo corpo si trasfigurava e diventava luminoso, come si legge di molti santi."
del 07 dicembre 2011
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          A differenza di santi come Teresa di Avila e S. Giovanni della Croce, che hanno descritto la loro esperienza di Dio in pagine tra le più alte della mistica cristiana, don Bosco, per temperamento e per ragioni tutte sue, ha mantenuto su questo punto un riserbo totale. Le sue note autobiografiche sono «in gran parte tardive e rarissimamente - fugacissimamente - si riesce a sorprendere don Bosco a esprimere i propri interni sentimenti religiosi, le motivazioni del suo agire» (P. Stella). Tuttavia un accenno ai gradi e stati più elevati della sua vita, vita realizzata nello Spirito, si impone, anche se verrà appena sfiorata la superficie di un mistero ben altrimenti profondo.
 
Estasi dell'azione.
Nel suo Trattato dell'amor di Dio S. Francesco di Sales riprende la distinzione classica delle tre estasi: «Le estasi sacre sono di tre specie: una intellettiva, l'altra affettiva, la terza operativa. La prima è luce, la seconda fervore, la terza azione; la prima è fatta di ammirazione, la seconda di devozione, la terza di opere». Le prime due non hanno la solidità della terza perché possono essere contraffatte e riuscire devianti.
«Quando si vede una persona la quale nell'orazione ha rapimenti per i quali ella esce e sale al di sopra di se stessa in Dio e tuttavia non ha affatto l'estasi della vita, cioè non fa una vita elevata ed attaccata a Dio, è un vero contrassegno che tali rapimenti e tali estasi non sono altro che ironie e inganni dello spirito maligno».
Purtroppo il Santo non si diffonde nella spiegazione dell'«estasi dell'azione», ma esprime chiaramente il suo pensiero in questa descrizione che è ritenuta classica. Leggiamola tenendo l'occhio fisso a don Bosco. «Non rubare, non mentire, non commettere lussuria, pregare Dio, non giurare vanamente, amare e onorare il padre e la madre, non uccidere, ciò è vivere secondo la ragione naturale dell'uomo; ma lasciare tutti i propri beni, amare la povertà, cercarla, stimarla come l'amica del cuore, considerare gli insulti, i disprezzi, le umiliazioni, le persecuzioni, il martirio, come felicità e beatitudine, contenersi entro i limiti della più assoluta castità e, finalmente, vivere nel mondo in questa esistenza mortale contro tutte le opinioni e massime del mondo e contro la corrente di questa vita, con incessante rassegnazione, rinunzia e abnegazione di noi stessi, questo non è vivere umanamente, ma sovrumanamente; non è vivere in noi, ma fuori di noi e al di sopra di noi: e poiché nessuno può uscire in tal modo al di sopra di se stesso se l'Eterno Padre non lo solleva, di conseguenza questa specie di vita deve essere un rapimento continuo ed una perpetua estasi di azione e di operazione. 'Voi siete morti - diceva il grande Apostolo ai Colossesi (Col 3,3) - e la vostra vita è nascosta con Gesù Cristo in Dio'».
Come si vede «l'estasi dell'azione» o «della vita» non è che l'esistenza cristiana perfettamente conforme alla legge evangelica; la carità vissuta nella sua pienezza; il supremo distacco da se stessi ed il pieno assorbimento in Dio; la vita che, per virtù divina, viene elevata sopra se stessa e vissuta nella massima perfezione possibile, molto più in là di quanto non faccia il cristiano comune.
La voce «estasi dell'azione» non si trova nel vocabolario di don Bosco. È dubbio che l'abbia incontrata; e se l'ha incontrata essa non ha lasciato traccia palese nella sua mente. Non troviamo la parola, troviamo però la cosa. La descrizione del Vescovo di Ginevra dell'«estasi dell'azione» trova infatti piena aderenza nella sua vita. È notevole che due dei suoi successori, don F. Rinaldi e don E. Viganò, abbiano visto in questa dottrina di S. Francesco di Sales una espressione tipica della «spiritualità di don Bosco»; sia perché la carità pastorale, che lo anima, lo porta continuamente ad «uscire da sé» e ad identificarsi con l'amore salvifico del Redentore; sia perché la sua vita intera è realmente l'espressione fedele di quanto afferma S. Francesco di Sales sull'estasi dell'azione. Che cosa è infatti quella sua eroica abnegazione, quel continuo dominio delle sue passioni, quella sua radicale adesione e sequela di Cristo casto, umile, povero; quel suo lento consumarsi nel lavoro per salvare anime; quella sua costante ricerca della volontà e della gloria di Dio, se non quella vita «sovrumana» ed «estatica» alla quale il Padre solleva le anime che predilige, perché vivono «tutte assorte e come assorbite in Dio?» Questa «estasi della vita», per sé, non comporta manifestazioni estatiche, delle quali la vita di don Bosco non è, tuttavia, del tutto esente. Rivelatrici di questo stato di vita sono: la condotta più sensibile alla grazia, l'attenzione più abituale alle ispirazioni dello Spirito, una più grande docilità alla appropriazione del mistero cristiano.
 
Fenomeni estatici.
Si caratterizzano per un forte assorbimento in Dio e per la sospensione, pi√π o meno lunga, pi√π o meno intensa, dei sensi esterni divenuti come impotenti di fronte all'irrompere del divino. La forte fibra di don Bosco lo portava a dominare il fuoco dell'amore che gli ardeva dentro ed a non lasciar trapelare al di fuori i suoi sentimenti.
Ma negli ultimi anni, come risulta da testimonianze attendibili, anche egli sperimentò quei fenomeni estatici, che di solito accompagnano i gradi più elevati della preghiera. Si potevano intravedere in momenti di profondissimo raccoglimento. «Quando - depone don Cerruti al processo informativo - e il male di capo e il petto affranto e gli occhi semispenti non gli permettevano più affatto di occuparsi, era doloroso e confortante spettacolo vederlo passare le lunghe ore seduto nel suo povero sofà, in luogo talvolta semioscuro, perché i suoi occhi non pativano il lume, pure sempre tranquillo e sorridente, con la sua corona in mano, le labbra che articolavano giaculatorie e le mani che si alzavano di tratto in tratto a manifestare nel loro muto linguaggio quella unione e intera conformità alla volontà di Dio, che per troppa stanchezza non poteva più esternare con parole. Sono intimamente persuaso che la sua vita, negli ultimi anni soprattutto, fu una preghiera continua a Dio».
Momenti di vera e propria estasi coglievano don Bosco, quando celebrava la santa messa o mentre si trovava solo nella quiete della sua stanza. Nell'inverno del 1878 i due giovani, che gli servivano la santa messa nella cappella presso la sua camera, all'elevazione «videro il celebrante estatico e con aria di paradiso sul volto: sembrava che rischiarasse tutta la cappellina. Quindi a poco a poco i suoi piedi si staccarono dalla predella ed egli rimase sospeso in aria per ben dieci minuti. I due servienti non arrivavano ad alzargli la pianeta. Garrone [uno dei due] fuori di sé dallo stupore corse a chiamare don Berto, ma non lo trovò; ritornando arrivò mentre don Bosco discendeva».
A volte il suo corpo si trasfigurava e diventava luminoso, come si legge di molti santi. Don Lemoyne per tre sere sul tardi vide la faccia di don Bosco accendersi gradatamente fino ad assumere una trasparenza luminosa: tutto il volto mandava uno splendore forte e trasparente.
Come si diceva, questi fenomeni paramistici accompagnano, di solito, lo stato mistico, la contemplazione infusa. Ebbe don Bosco questo dono, cioè «il sentimento di entrare, non in virtù di uno sforzo, ma di un appello, in contatto immediato, senza immagine, senza discorso, ma non senza luce, con una Bontà infinita»? (Leonzio di Grandmaison).
Non è facile rispondere con un 'sì' o con un 'no' sbrigativi, data l'assenza pressoché totale, da parte di don Bosco, della descrizione dei suoi stati interiori. E. Cena lo crede e cerca di provarlo nel capitolo del suo Don Bosco con Dio che ha per titolo: «Dono d'orazione». A sua volta P. Stella, benché più sfumato e reticente, giunge alla stessa conclusione quando scrive: «Se don Bosco non ci confida le sue personali esperienze di 'raccoglimento' e di stato unitivo e presenziale, se anche non ci dà una teoria sulla orazione unitiva e sulla contemplazione, nondimeno ci si dimostra disposto a spiegare come unione e come presenza amorosa certi stati di vita spirituale riscontrati in persone con le quali convisse». Pensiamo, ad esempio, a S. Domenico Savio dotato di 'grazie' che don Bosco non esita a definire «speciali» e di fatti «straordinari» che hanno «piena somiglianza con fatti registrati nella Bibbia e nella vita dei santi». Don Bosco li associa alle grazie mistiche quando afferma: «L'innocenza della vita, l'amore verso Dio, il desiderio delle cose celesti avevano portato la mente di Domenico a tale stato che si poteva dire abitualmente assorto in Dio». Ciò che qui si dice del discepolo vale, con più ragione, del maestro.
 
Mistico dell'azione.
Nella sua attività multiforme don Bosco è stato un mistico nel senso forte della parola? La mistica così intesa ha una lunga storia e non trova definizioni sempre univoche. Semplificando molto, si può dire che oggettivamente designa la realtà occulta del mistero cristiano; soggettivamente, l'esperienza, totalmente gratuita ed infusa, della vita divina che è in noi.
Tradizionalmente la vita mistica culmina nella grazia della preghiera infusa, o contemplazione in senso stretto. Si riconosce tuttavia che la tipologia della vita mistica è più estesa. Si parla infatti anche di «mistica apostolica», «meno conosciuta in quanto i mistici 'apostolici' non hanno fatto la teologia della loro vita interiore. E tesa verso l'azione e la percezione della presenza di Dio nel mondo storico» (Ch. Bernard). In questo senso preciso e formale diciamo che don Bosco è un mistico, perché la sua vita trascorse sotto il regime abituale dei doni dello Spirito Santo: è un mistico dell'azione apostolica, perché i doni dello Spirito Santo, che prendono il sopravvento in lui, sono quelli ordinati all'azione: dono del consiglio, della fortezza, della pietà e del timor di Dio. Il 'prevalere' di questi doni sugli altri, che non sono esclusi, significa solo che la grazia si adatta alla natura, ne rispetta il temperamento e le vocazioni.
A differenza del mistico contemplativo, intellettivo o affettivo, che si perde in Dio presente nell'intimo della sua anima e sperimenta l'agire divino, don Bosco, mistico attivo, coglie e sperimenta Dio, non solo in certi momenti della preghiera esplicita, ma nell'esercizio stesso dell'azione apostolica, caritativa, umanizzante; lo tocca e lo sente mentre partecipa e collabora all'attuazione del suo disegno salvifico.
Don Bosco sa che la redenzione è un avvenimento in corso. Dio è all'opera, ad ogni istante, nel cuore dell'uomo e della storia: l'umanità vive nell'oggi di Dio. Questa realtà è non solo creduta da lui, ma intensamente sperimentata e vissuta. Quello che i mistici chiamano i «tocchi» divini, le «visite» del Verbo, che va e viene, per don Bosco sono le grandi prospettive, i lampi improvvisi che lo illuminano sul divenire del Regno e lo impegnano in imprese sempre più grandi, umanamente impossibili.
Perché mistico - cioè frutto del prevalere dell'azione divina -, l'agire di don Bosco trascende le forze e le capacità della sua persona. Le sue opere sbalordiscono il mondo e confondono i sapienti, perché non c'è rapporto apparente tra causa ed effetto; don Bosco, mosso e posseduto da Dio, va oltre l'umano.
In lui c'è l'audacia e l'ardire del Santo che, forte della forza di Dio, supera se stesso. Come Gesù trasalisce di gioia nella preghiera del giubilo, così don Bosco vibra di consolazione mistica quando contempla Dio all'opera nel cuore dei giovani e del mondo.
Abbiamo visto con quanta umiltà egli viva la consapevolezza di non essere che lo strumento passivo-attivo nelle mani di Dio e della Madre sua: «Dio fa tutto; la Madonna fa tutto». Che cosa «poteva fare il povero don Bosco se dal cielo non veniva, ogni momento, qualche aiuto speciale»? Queste e simili espressioni sono come lo spaccato della sua grande anima: dicono molto più di quanto lascino intravedere nella loro bonaria semplicità.
La mistica dell'azione passa, naturalmente, per la via dolorosa; vive di carità crocifissa, conosce le «notti dei sensi e dello spirito». Anche sotto questo profilo la vita di don Bosco richiama, per più versi, quella dei grandi mistici dell'agiografia cristiana.
 
Pietro Brocardo
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