Capitolo sesto. DON EUGENIO CERIA.

"«Si è detto tante volte che don Bosco aveva una forza di attrazione. Questa forza di attrazione non l'aveva soltanto sui vicini, ma anche sui lontani, e in varie forme. E io per conto mio ne ho fatto una esperienza."

Capitolo sesto. DON EUGENIO CERIA.

da Don Bosco

del 07 dicembre 2011

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          Don Eugenio Celia, nato a Biella il 4 dicembre 1870 e morto a Torino il 21 gennaio 1957, brillante umanista, commentatore di classici, direttore di istituti salesiani, ha, negli ultimi decenni della sua vita, legato il suo nome soprattutto agli ultimi nove volumi delle Memorie Biografiche, agli Annali della Società Salesiana (quattro volumi), alla pubblicazione dell'Epistolario di don Bosco (4 volumi) e a numerosi altri scritti di indole salesiana: biografie, profili, studi. Una produzione enorme, come si vede, che solo lo scrupoloso uso del tempo, la ferrea disciplina, l'amore a don Bosco, riescono a spiegare.

Per anni si alzava alle 3,30 del mattino; alle 4,15 celebrava la Messa in Basilica, confessava, faceva la meditazione; poi un po' di colazione e subito al lavoro, nel quale durava dalle 12 alle 13 ore al giorno. Quanti lo hanno conosciuto ricordano la sua dolce immagine, il suo contegno raccolto e pensoso, il volto soffuso da un sorriso appena abbozzato e la profonda umiltà.

Non fu alunno dell'Oratorio: don Bosco in seguito alle buone referenze avute dal Seminario di Biella, dove il giovane aveva compiuto gli studi ginnasiali, non esitò ad ammetterlo direttamente al noviziato di San Benigno nel 1885.

Lì conobbe e avvicinò, nell'intimità, don Bosco, come rivelò egli stesso in una conversazione con un gruppo di giovani salesiani nel mese di marzo 1954. «Consola - disse - non poco costatare come da qualche tempo, tra i confratelli giovani e giovanissimi, si diffonde una specie di brama di conoscere meglio e più a fondo don Bosco. Questa è una ottima cosa certamente. E in queste disposizioni di spirito non fa meraviglia che si consideri una fortuna poter comunicare con coloro che ebbero la sorte di udire, vedere, sentire don Bosco e parlare con lui. Certo, è una bella cosa poter dire: Quod audivimus, quod vidimus oculis nostris, quod perspeximus... annuntiamus. È certo una grande e bella cosa! Allora cercherò di dire qualche cosa che possa interessare».

 

Come sono andato da don Bosco

«Si è detto tante volte che don Bosco aveva una forza di attrazione. Questa forza di attrazione non l'aveva soltanto sui vicini, ma anche sui lontani, e in varie forme. E io per conto mio ne ho fatto una esperienza.

Un giorno - io facevo la quarta ginnasiale, e conoscevo don Bosco e i salesiani poco più che di nome - con alcuni miei compagni attorniavamo due sacerdoti: uno del luogo e l'altro forestiero, che era venuto a predicare il mese di maggio nella cattedrale. Discorrevano fra di loro e avevano piacere che ascoltassimo quello che dicevano. Ad un certo punto il sacerdote del luogo domanda al forestiero: 'Mi dica qualche cosa di don Bosco, lei che è stato a Torino (credo che avesse predicato anche a Maria Ausiliatrice). Ci dia qualche notizia fresca sul suo conto'. Il sacerdote forestiero si mise a parlare di don Bosco con certa ammirazione e affetto, poi uscì in questa esclamazione: 'Oh! Quanto è amorevole don Bosco coi suoi ragazzi. Si figuri... risponde perfino di suo pugno alle loro lettere'.

Ebbene, io che non conoscevo don Bosco se non di nome, in quel momento subii un effetto singolare. Quelle parole, che proprio appaiono insignificanti, gettate là, si sono impadronite del mio spirito, a segno che lo orientarono ormai intieramente verso il nome di don Bosco. Da quel momento crebbe in me il desiderio di liberarmi di tutto per 'andare - come si diceva - da don Bosco'. E notare che io non ero mai uscito dalla mia città, non avevo mai avuto la più lontana idea di che significasse allontanarsi dalla famiglia. Ma da quel momento ero un altro.

Tutti i giorni recitavo la preghiera del Giovane Provveduto alla Madonna per la vocazione e non mi diedi pace finché non trovai la maniera di intavolare qualche pratica ad hoc, che mi portasse a seguire il mio ideale.

Ora i nostri psicologi dicano quello che vogliono sopra l'effetto in me di quelle parole insignificanti; è un fatto che io ho detto quello che mi è capitato. È il nome di don Bosco che mi ha guadagnato in maniera totale, proprio in quel momento».

 

Andai a San Benigno.

L'anno dopo (1885), a studi ginnasiali finiti, una lettera di don Barberis, a nome di don Bosco, lo chiama a Torino per andare a fare gli Esercizi Spirituali a San Benigno, dopo l'Assunta.

Continua don Cena: «Quell'anno l'Assunta cadeva in sabato, perciò bisognava lasciar passare la domenica. Il lunedì mi trovai puntuale all'Oratorio: mi accompagnava mio padre, che mi lasciò all'Oratorio; e io sono andato a San Benigno. Don Bosco stette con noi tutto il tempo degli Esercizi. Mi faceva un certo effetto vedere don Bosco là a mensa nel nostro grande refettorio in mezzo ai superiori che lo circondavano. Ma in quei giorni non ha parlato mai in pubblico, in nessuna circostanza.

Ma ecco un'altra esperienza. Don Barberis, non so perché, ebbe l'idea di procurarmi un'udienza particolare con don Bosco. Beh! io allora compresi che era una gran cosa, ma non mi entusiasmò tanto perché non avevo una conoscenza profonda di don Bosco. Ero contento, certo, e andai. Don Bosco mi fece accomodare sopra un divano che era li vicino e si volse nella sedia dello scrittoio verso di me. Mi fece alcune interrogazioni, poi - adesso viene il bello - mi fissò con due occhi penetranti, prese un tono serio e mi disse: 'Abbi cura della bella virtù'. Io non sapeva ancora che cosa volesse dire la bella virtù, ma indovinai quello che voleva dire. Quella frase non l'avevo mai sentita fino a quel giorno. Bene! Quelle parole si stamparono nella mia mente così profondamente, che in questo momento io le sento ancora come le sentii 69 anni fa. Proprio tali e quali. Anzi mi permetto di aggiungere ancora che in cinque circostanze della vita il ricordo di quello sguardo, di quell'atteggiamento, di quella voce è stato proprio salutare per me! Di queste cose io non ho mai parlato in nessuna circostanza. E, vedete, un caso dell'efficacia della parola di don Bosco, un caso prodigioso, proprio, che sento ancora adesso - come dico - e qualunque cosa capiti, basta che ritorni alla mente quello e sono a posto».

 

Va' avanti «sicut gigas».

Un altro incontro personale con don Bosco gli fu procurato dalla delicatezza di don Barberis. A don Cena mancavano, per ragioni di età, due mesi per fare la professione nelle mani di don Bosco con gli altri compagni: questo fatto poteva essere occasione di pena, pensava il maestro, «rimediamo procurandogli un colloquio con don Bosco». E così fece.

«Ricordo sempre - confida don Cena - che quando ero là fuori, che aspettavo d'entrare, uh! come sentivo quella volta la mia fortuna di dovermi presentare a un gran santo come don Bosco! Lo sentivo proprio e ne avevo l'animo ripieno. Entrai. M'accolse paternamente, mi rivolse alcuni suggerimenti e poi finì dicendo: 'Beh! Adesso va' avanti sicut gigas ad currendam viam'. Guardate che piccola combinazione. Quando stavo uscendo, aperta la porta sento cantare in chiesa - era domenica - dai miei compagni: Sicut gigas ad currendam viam!».

 

Sono contento.

«Ho avuto ancora un ricordo di don Bosco, ma mi lasciò una grande delusione. Questo forse è già noto - c'è un accenno in Don Bosco con Dio -. Nell'anno 1887, noi chierici, andavamo a fare da San Benigno le vacanze a Lanzo e quell'anno c'era anche don Bosco. C'era stato un mese, ma noi non lo vedevamo quasi mai. Lo vedevamo solo quando lo conducevano nella carrozzella sulla strada che corona quel colle. Lo portavano là sulla riva della Stura: gli faceva bene sentire il fiume sotto, e l'aria fresca dei monti. Don Viglietti ed altri lo distraevano.

Dunque una mattina, io non so perché, non ero a studio coi miei compagni. Salivo lo scalone del Collegio per andare a studio. Arrivato al primo piano, ecco li, vedo don Bosco in piedi, solo, tutto raccolto. Immaginate! Ho fatto uno scatto e subito sono andato a baciargli la mano. E don Bosco mi guarda e mi domanda il nome. Gliel'ho detto. Allora fa un atto che si potrebbe anche interpretare di gradita sorpresa. Poi mi ha detto, in un tono marcato: 'Sono contento'. Immaginate, io ero in ansia di sapere come finiva la frase, ma in quell'attimo arriva don Viglietti, gli porge l'appoggio del suo braccio e don Bosco docile come un bambino, si lasciò condurre, non so dove. Mai ho saputo come dovesse andare a finire quella frase!

Don Bosco aveva l'arte di entusiasmare i suoi per la Congregazione. Quando è venuto a ricevere la professione erano più di un centinaio i chierici intorno a lui. Il Santo era seduto nel mezzo della cappella, perché non poteva alzare la voce soverchiamente. E cominciò a parlare così: 'Vedete: voi siete in tanti qui. Ma se foste già tutti in grado di essere fatti direttori, io saprei dove mandarvi tutti fin da domani'. In quei tempi noi sgranavamo gli occhi al sentire una cosa così. Come! Un centinaio di direttori subito da occupare?».

 

Ci inginocchiavamo intorno a lui.

«Ci entusiasmava, ci legava alla Congregazione, ci affezionava a sé come figliuoli». Un'altra reminiscenza: «Ero stato mandato da Lanzo con un compagno a Valsalice ad attendere al servizio della sacrestia e c'era don Bosco anche li. Siccome noi non facevamo gli esercizi, alla sera durante la meditazione andavamo fuori e don Bosco era seduto nel vano di una finestra nel corridoio. Ci inginocchiavamo intorno a lui, un mio compagno ed io: c'era anche un certo don Gaveski, polacco molto istruito, e poi qualche altro. Stavamo li in ginocchio. Don Bosco non parlava quasi mai, perché stentava molto a parlare. Eravamo nell'agosto del 1887. Ricordo, tra l'altro, che don Gaveski parlò di una biografia su don Bosco, che aveva visto poco prima, scritta da un tedesco e osservava che il biografo diceva che don Bosco proveniva da una famiglia benestante. Appena sentì questo, don Bosco disse: 'No! No! da una famiglia povera! Diteglielo all'autore che corregga'».

Don Cena continua: «Si erano appena terminati gli Esercizi, data la benedizione, cantato il Te Deum: tutti uscivano di chiesa. Me ne andavo anch'io, quando si udì una voce: 'Viene don Bosco a parlare'; e, di fatto, compariva dalla sacrestia e veniva avanti. Si portò fino alla balaustra: poggiò le mani, e parlò su per giù così: 'Miei cari, avete fatto gli Esercizi, ma nessuno commetta lo sproposito di andar via di qui con imbrogli sulla coscienza'. E poi raccontò un episodio. C'era un prete in una città molto lontana e gravemente ammalato, in fin di vita. Avendo saputo che era arrivato in città un sacerdote da molto lontano desiderò vederlo. Questo sacerdote accorse immediatamente. Appena mise il piede nella stanza dell'infermo questi esclamò: 'Oh! misericordia di Dio! Avevo proprio bisogno di liberarmi di un imbroglio di coscienza'. E morì. Così raccontò don Bosco. Don Viglietti - non so con che fondamento - diceva che il fatto era avvenuto a don Bosco stesso a Parigi nel 1883. Io non so. Ad ogni modo, da come parlava don Bosco, dai particolari che diceva non escludo che fosse proprio lui e a Parigi».

 

Il 30 gennaio 1888.

«Non voglio tacere la visione che ho avuto di don Bosco vivo l'ultima volta, il 30 gennaio 1888. Ormai era persuasione di tutti che don Bosco aveva le ore contate. Ne fu avvertito don Barberis. Noi allora, da tre mesi e mezzo, eravamo a Valsalice, dove abbiamo preso il posto dei nobili. Don Barberis, senz'altro, ci mandò a vederlo ancora una volta. Era già sull'imbrunire. Siamo scesi a Valdocco, ma non ci hanno lasciato avvicinare al suo letto. Sfilavamo dinanzi alla porticina che era proprio di fronte al suo letto. Oh! Se potessi descrivere l'impressione che mi ha fatto don Bosco in quel momento! Io non sono capace, ma lo vedo, lo sento proprio. La persona appoggiata sul guanciale, nessun abbandono però com'è naturale che ci sia in casi come questo. Nessun abbandono! Presente a se stesso, calmo, raccolto. Ne ho portato via una grande impressione. Dopo si sa cosa è successo. L'ho riveduto esposto in San Francesco e mi pareva che allora fosse in placido sonno.

Qualcuno mi diceva, saranno tre giorni addietro: 'Abbiamo trovato nell'Archivio una lettera di Mons. Cagliero scritta a don Costamagna nell'Argentina e diceva: Il corpo di don Bosco esalava una fragranza di rosa'. Ho voluto vedere coi miei occhi quella brutta scrittura di don Cagliero. Diceva proprio così: 'Spirava una fragranza di rosa'. Beh! È una testimonianza che ha il suo valore, data la persona che ce la rende».

Così termina il racconto diretto di don Celia, ma possiamo completarlo con quest'altro episodio raccontato da lui. «Si crede che i salesiani siano per definizione chiassosi. È una esagerazione. Ci fu un tempo in cui in Congregazione si discusse se abolire la ricreazione moderata del pomeriggio e della sera degli Esercizi Spirituali e farli in perfetto silenzio. Il Consiglio Superiore ne discusse presente don Bosco. Si venne ai voti: sei votarono in favore delle due ricreazioni moderate, uno solo in favore del silenzio rigoroso. Si credette che il voto a favore del silenzio assoluto fosse stato dato da don Rua. Ho trovato in Archivio una nota di don Cartier nella quale si legge: 'Don Rua mi ha detto che il voto a favore del silenzio completo negli Esercizi è stato dato da don Bosco'».

Don Cena concludeva: «Quando si parla troppo mancano due virtù: ne va di mezzo lo spirito di raccoglimento, ne perde lo spirito di lavoro».

 

 

Pietro Brocardo

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