Capitolo sesto. UN SANTO FONDATORE.

"I discepoli cresciuti direttamente alla scuola del fondatore hanno una presenza e un significato di rilievo, in quanto con la loro vita concorrono ad esprimere contenuti ed opere del proprio carisma, e perciò sono considerati partecipi di questo processo e "quasi confondatori"."

Capitolo sesto. UN SANTO FONDATORE.

da Don Bosco

del 07 dicembre 2011

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          Don Bosco appartiene alla costellazione dei santi fondatori; è infatti il padre di una grande posterità spirituale. I Salesiani, le Figlie di Maria Ausiliatrice, i Cooperatori salesiani sono stati fondati direttamente da lui; altri gruppi, suscitati dallo Spirito Santo, vivono il suo spirito e realizzano la sua missione con funzioni specifiche diverse, dando origine alla 'Famiglia salesiana'.

Riflettendo sugli elementi che stanno alla radice della vocazione salesiana e dei suoi sviluppi e ne determinano la natura e la finalità, concentriamo ora la nostra attenzione sull'esperienza carismatica di don Bosco fondatore.

Il corretto approccio al carisma fondazionale di don Bosco ci induce a precisare e a chiarire meglio i termini, non sempre univoci, delle voci di cui si tratta. Ispirandoci a quanto Fabio Ciardi ha pubblicato, richiamiamo solo alcuni concetti utili alla nostra riflessione.

Facciamo nostra la sua distinzione tra carisma 'di' fondatore, quello dato al fondatore in vista della fondazione, e carisma 'del' fondatore, che si rivela invece come un'esperienza dello Spirito che va trasmessa ai propri discepoli per essere vissuta.

Il primo è quel «particolare dono che viene conferito dallo Spirito a un uomo o a una donna in vista della creazione di una nuova istituzione di vita consacrata nella Chiesa». Questo carisma ha una sua specifica struttura: comporta l'irruzione dello Spirito del Padre e del Risorto nell'anima del fondatore con quell'insieme di doni particolari, grazie mistiche e prove interiori, assolutamente personali e perciò non trasmissibili. Prende totalmente la sua persona e la guida irresistibilmente a realizzare il progetto di Dio sulla sua vita.

Il secondo è un'esperienza che «contiene, come in un codice genetico le intenzioni fondanti, il progetto frutto dell'ispirazione originaria, ed è destinata ad essere rivissuta e riattualizzata dai seguaci di ieri, di oggi e di domani».

I contenuti o le componenti dell'esperienza carismatica di don Bosco sono molteplici. Fra i tanti: la sua predilezione per i giovani, specialmente bisognosi; il singolare metodo educativo che sa evangelizzare educando, ed educare evangelizzando; il modo particolare di vivere la comunione fraterna e la pratica dei consigli evangelici; il senso ecclesiale, la promozione delle vocazioni sacerdotali e religiose, l'urgenza missionaria. Sorge allora spontanea la domanda sul rapporto tra carisma e spirito salesiano. Sono realtà inscindibili. L'uno accentua il dono dello Spirito; l'altro è propriamente lo stile di vita e di azione dei salesiani; ossia l'insieme delle motivazioni, degli atteggiamenti, e dei comportamenti con cui si vive la realtà carismatica.

I discepoli cresciuti direttamente alla scuola del fondatore hanno una presenza e un significato di rilievo, in quanto con la loro vita concorrono ad esprimere contenuti ed opere del proprio carisma, e perciò sono considerati partecipi di questo processo e 'quasi confondatori'.

Trattandosi di una realtà viva e dinamica, il carisma nel suo cammino storico deve mantenersi fedele alla propria identità e, nel contempo, adattarsi continuamente ai segni dei tempi per lo sviluppo delle proprie imprevedibili capacità. È quanto afferma Mutuae Relationes. L'esperienza del fondatore non solo va vissuta, ma sempre anche «custodita, approfondita e costantemente sviluppata in sintonia con il Corpo di Cristo in perenne crescita» (n. 11).

Lo,dichiara anche esplicitamente l'Esortazione Apostolica Vita consecrata: «Lo stesso Spirito poi, lungi dal sottrarre alla storia degli uomini le persone che il Padre ha chiamato, le pone al servizio dei fratelli secondo le modalità proprie del loro stato di vita, e le orienta a svolgere particolari compiti, in rapporto alle necessità della Chiesa e del mondo, attraverso i carismi propri dei vari Istituti» (n. 19).

Senza questo continuo adeguarsi e crescere secondo i bisogni, il carisma dell'istituto corre il rischio, come ha precisato autorevolmente Giovanni Paolo II, di «autocondannarsi a sparire».

Riferendoci al carisma di don Bosco, non possiamo prescindere dal fatto che questo carisma lo qualifica come segno e portatore dell'amore di Cristo verso i piccoli; principio e sorgente di una feconda posterità spirituale (la Famiglia salesiana) e iniziatore di una corrente di spiritualità tra le più ricche ed attuali nella Chiesa.

Il germe divino, presente in lui fin dalla nascita, rimane per quasi un trentennio, allo stato germinale. In questo periodo lo Spirito Santo, attraverso un duro itinerario ascetico e mistico, lo sospinge verso gradi sempre pi√π alti di perfezione. Gli parla tramite molteplici mediazioni: persone, avvenimenti, cose; con ispirazioni interiori, visioni e sogni. Suscita in lui il desiderio della vita religiosa.

Non possiamo passare sotto silenzio il sogno fatto ai Becchi dai 9 ai 10 anni, veramente prima scintilla che lo Spirito Santo fa brillare alla sua mente e al suo cuore, illumina il suo avvenire, gli dà coraggio e fiducia e lo colma di gioia. Nel 1880 don Bosco è a San Benigno col Capitolo Superiore. Si parla del pericolo che le case salesiane fondate in Francia siano soppresse, come era già avvenuto con quelle di altre famiglie religiose. Il Santo assicura che i suoi figli non corrono alcun pericolo, perché la Madonna ha steso il suo manto su di loro e li protegge. Don Rua lo interrompe per dire che la Madonna protegge tutti, specialmente i suoi religiosi. Don Bosco risponde: «la Madonna fa ciò che vuole. D'altronde le cose nostre cominciarono in questo modo straordinario da quando io avevo da nove a dieci anni. Mi parve di vedere nell'aia di casa tanti tanti ragazzi! Allora una persona mi dice: - Perché non vai ad istruirli? - Perché non so. - Va', va', ti mando io. Io era poi, dopo quello, tanto contento, che tutti se ne accorsero».

Sembra che sia realmente solo questo il sogno, che si rinnoverà a più riprese con nuovi particolari, e che gli diede coraggio, senza però soccorrerlo nei momenti più critici della sua ascesa al sacerdozio. Tuttavia non è un sogno come tanti. Don Bosco lo sentì come una comunicazione dall'alto, come un nuovo carattere divino stampato indelebilmente nella sua vita che condizionò tutto il suo modo di vivere e di pensare.

Quando, ormai sulla sessantina, lo consegnerà alle sue Memorie, potrà interpretarlo nel luminoso affresco che conosciamo e disegnarlo alla luce delle meraviglie di Dio - mirabilia Dei - compiute lungo la sua vita. Allora finalmente potrà chiarire le zone d'ombra prima rimaste oscure, integrarle con le luci e le opere che via via l'ispirazione divina gli andava suggerendo e lasciarci così il patrimonio di una suggestiva sintesi, seppure incompiuta, della sua missione educativa, pastorale e spirituale. Quale è dunque l'illuminazione fondamentale, con cui lo Spirito entra nella sua esistenza e gli manifesta il progetto di Dio nella sua vita?

Per don Bosco non fu facile determinare questo momento. Possiamo però collocarlo tra la sua andata al Rifugio della marchesa Barolo (1844) e la presa di possesso di casa Pinardi (1846).

Quando i suoi più intimi collaboratori in un giorno del 1876 gli domandarono se era vero che aveva fatto un po' di noviziato tra i Rosminiani, don Bosco, come nota don Giulio Barberis in una delle sue Cronachette autobiografiche, diede questa risposta: «No, m'era venuto in pensiero di farmi ascrivere o tra gli Oblati qui di Torino o fra i Rosminiani». E aggiunse: «vedendo bene il loro spirito io non ne presi parte». «Io aveva un piano fatto e premeditato, piano da cui non poteva e non voleva assolutamente staccarmi. Osservai se lo avessi potuto eseguire in qualche istituto già esistente; ma, mi avvidi che no; e non mi feci ascrivere a nessuna istituzione, anzi pensai io a circondarmi di fratelli in cui potessi infondere ciò che sentiva io».

La cronaca continua affermando che i suoi progetti erano già maturati nella sua mente per lo meno dal 1843-1844. Ma i conti non tornano. In quegli anni in effetti il Santo si trovava al Convitto ecclesiastico e non aveva ancora un'idea precisa di quello che sarebbe stata la sua vera missione. Possiamo invece completare questa chiara consapevolezza al riguardo del suo carisma di fondatore con le parole con cui aprì la sua conferenza ai direttori convenuti a Valdocco nel febbraio del 1876. Esordì in questi termini: «un povero prete aveva un vago pensiero di fare del bene, qui proprio in questo luogo, ai poveri ragazzi. Questo pensiero mi dominava e non sapeva come mandarlo ad effetto: tuttavia non si partiva mai da me, anzi era quello che dirigeva ogni mio passo, ogni mia azione». «Questo so, che Dio lo voleva».

Quale che sia poi il tempo e il momento in cui don Bosco ebbe la sicurezza della sua vocazione specifica di fondatore, è chiara però la percezione che egli si sentiva con la sua vita uno strumento, e solo uno strumento, del progetto di Dio. Si sentiva chiamato a compiere imprese quanto mai audaci, superiori alle sue forze. Molti erano persuasi che egli fosse sotto una pressione singolarissima del divino, che dominava la sua vita, stava alla radice delle sue risoluzioni più audaci ed era pronta ad esplodere in gesti inconsueti.

Ma il cammino era seminato di ostacoli e difficoltà di ogni sorta. Gli stessi celebri 'sogni', che a sessant'anni, quando li affidò alle sue Memorie e poté leggerli alla luce della sua più completa esperienza, gli «additarono - scrive Alberto Caviglia - l'esito delle sue imprese, non gli dissero mai né come dovesse pervenirvi, né come dovesse fare e con quali mezzi». Questa ignoranza luminosa che mai l'abbandonò era la prova oggettiva che il piano era nelle mani di Dio e perciò l'impresa doveva andare a buon fine.

Finalmente l'approvazione definitiva delle Costituzioni ad opera della S. Sede, del 3 aprile 1874, che costò a don Bosco, lo possiamo dire con verità, lacrime e sangue, sancì ufficialmente la Regola di vita dei Salesiani.

 

Avevo un'altra idea della Congregazione.

Non è nostro compito fare la storia dell'approvazione della Società salesiana, delle sue Regole, dei suoi privilegi; storia che ha i contorni di un prolungato martirio.

Le sue idee non combaciarono sempre con quelle dell'autorità ecclesiastica, come risulta dalle ampie relazioni scritte inviate alle autorità competenti.

Che poi queste idee venissero da lontano e fossero il frutto di una lenta evoluzione, che egli andava via via svolgendo sotto l'incalzare degli eventi, possiamo dedurlo dalle sue stesse affermazioni. «Avevo messo - dichiarava il 18 ottobre 1878 - i voti triennali perché da principio aveva in mente di formare una Congregazione che venisse in aiuto ai vescovi; ma siccome non fu possibile e mi costrinsero a fare altrimenti, i voti triennali ci tornano più d'inciampo che di vantaggio». La stessa opinione esprimeva ai direttori riuniti ad Alassio l'anno dopo: «S'introdussero i voti triennali quando io avevo un'altra idea della Congregazione. Avevo in animo di stabilire una cosa ben diversa da quello che è: ma ci costrinsero a fare così, e così sia».

Queste asserzioni di don Bosco chiamano in causa la storia della Congregazione e delle sue regole, approvate nel 1874; e cioè il faticoso, graduale cammino percorso dagli abbozzi primitivi del suo progetto e dei successivi sviluppi, fino alla forma definitiva della Congregazione resa conforme alle esigenze della legislazione canonica allora vigente: «Dalla saggezza romana - scrive P. Stella - don Bosco venne condotto a introdurre molti temperamenti, sia quanto alla natura della Società, sia quanto ai doveri e diritti reciproci dei superiori e dei sudditi».

Diremo che la Chiesa ha stravolto il carisma di don Bosco? Non è possibile pensarlo, perché il suo compito non è quello di «estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono» (LG, n. 12). Lo Spirito che fa nascere i carismi è l'anima della Chiesa; non si contraddice. Riconducendo l'istituzione di don Bosco nell'alveo delle Congregazioni classiche, la S. Sede l'ha messa nella condizione di espandersi al meglio restando se stessa. Sotto la pressione degli eventi e delle indicazioni della Chiesa il Santo chiarisce e precisa aspetti ancora non ben definiti. È infatti lo svolgersi degli eventi, portatori di grazia, che «fa configurare la Congregazione non come egli l'avrebbe voluta, o come credeva che dovesse divenire. E questo non vuol dire ch'egli non l'abbia voluta così come venne a formarsi, e nemmeno che ne sia stato scontento» (P. Stella).

E non vuol dire che la Congregazione così come è venuta definendosi non abbia conservato la sua originalità e modernità, o non rifletta il vero volto e il pensiero di don Bosco. La conferma autorevole viene da don Filippo Rinaldi, terzo successore del Santo.

«Egli aveva ideato una pia società che, pur essendo vera congregazione religiosa, non ne avesse l'aspetto esteriore tradizionale: gli bastava che vi fosse lo spirito religioso, unico fattore della perfezione dei consigli evangelici; nel resto credeva di poter benissimo piegarsi alle esigenze dei tempi. Questa elasticità di adattamento a tutte le forme di bene che vanno di continuo sorgendo in seno all'umanità è lo spirito proprio delle nostre Costituzioni; e il giorno in cui vi s'introducesse una variazione contraria a questo spirito, per la nostra Pia Società sarebbe finita».

«Non è stato finora illustrato pienamente il concetto che il Venerabile nostro Fondatore ebbe nel creare la sua Società religiosa. Egli vi ha immesso una geniale modernità che, conservando rigidamente lo spirito sostanziale del suo metodo educativo, le impedisse in pari tempo di fossilizzarsi nelle cose accessorie e soggette a mutare coll'andar del tempo. Le nostre Costituzioni sono pervase da un soffio di quella perenne vitalità che emana dal santo Vangelo, il quale è, appunto per questo, di tutti i tempi e sempre ricco di nuove sorgenti di vita».

Quel suo «ci costrinsero a fare così e così sia» non è pertanto un atto di sofferta rassegnazione, ma l'Amen gioioso del profeta giunto alla fine della sua corsa. Lo prova la solenne dichiarazione con la quale si apre la sua Introduzione alle Costituzioni salesiane: «Le nostre Costituzioni, o figliuoli in Gesù Cristo dilettissimi, furono definitivamente approvate dalla S. Sede il 3 aprile 1874. Questo fatto deve essere da noi salutato come uno dei più gloriosi della nostra Società, come quello che ci assicura che nell'osservanza delle nostre Regole noi ci appoggiamo a basi stabili, sicure e possiamo dire anche infallibili, essendo infallibile il giudizio del Capo Supremo della Chiesa che le ha sanzionate».

Le Costituzioni non sono solo per il Santo la via 'stabile' che conduce all'amore, ma anche la porpora d'oro che copre il suo carisma ed il suo spirito, realtà vive e dinamiche in perenne crescita. Solo così si spiega la sua ricorrente raccomandazione sull'importanza e pratica delle Costituzioni. «Fate che ogni punto della Regola sia un mio ricordo»; «L'unico mezzo per propagare lo spirito della Congregazione è l'osservanza delle Regole»; «Neppure le cose buone si facciano contro di essa».

Solo alla fine del suo lungo camminare Abramo è in grado di cogliere l'ampiezza e la profondità della volontà di Dio a suo riguardo. Lo stesso deve dirsi, al suo grado e livello, di don Bosco. Celebrando la S. Messa nella chiesa del Sacro Cuore in Roma, nel maggio del 1887 - pochi mesi prima della morte - per quindici volte i suoi occhi si gonfiarono di lacrime. Era come assorto in un mondo lontano: si rivedeva nella piccola casetta dei Becchi e gli ritornavano alla memoria le parole del primo sogno: «A suo tempo tutto comprenderai».

 

Pietro Brocardo

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