Capitolo undicesimo. COME MUORE DON BOSCO.

«Stia tranquillo, don Bosco, faremo tutto, tutto quello che desidera».

Capitolo undicesimo. COME MUORE DON BOSCO.

da Don Bosco

del 07 dicembre 2011

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          L'era scientifica e tecnologica dell'età postmoderna cerca in tutti i modi di esorcizzare la realtà della morte, che si tenta invano di accantonare. W. Nigg, in una breve pubblicazione dal titolo La morte dei giusti. Dalla paura alla speranza, passa in rassegna la morte di alcuni santi di cui è profondo conoscitore. Nella seconda parte tratteggia il momento culmine di queste morti così dissimili e varie: la morte 'comune' di Benedetto Labre, quella consumatasi nella solitudine di sant'Agostino, quella cruenta di Giovanna d'Arco e di Tommaso Moro, quella dura e straziante - si stenterebbe a crederlo - di Caterina da Siena e di Bernadette Soubirous; quella tranquilla di Benedetto da Norcia; e infine quella, avvenuta nella gioia, di Francesco d'Assisi. A questo punto, sorge spontanea la domanda: come è morto don Bosco?

È noto che dal febbraio 1884 in poi, infatti, passa da un malanno all'altro; la sua fibra robustissima perde colpi su colpi, i dolori fisici straziano le sue carni; il calvario si fa più doloroso; ma i giovani non lo avvertono e guardano a lui con ammirazione crescente ogni volta che, sia pure fugacemente, possono avvicinarlo, sentirlo, accostarlo nel sacramento della riconciliazione.

Col passare dei giorni egli - ma anche i suoi figli - avverte sempre più, come san Paolo, che ha terminato la sua corsa, e si prepara a morire. Tra la fine del 1887 e il gennaio del 1888, questo sole di santità fa la sua intensa preparazione all'incontro con Dio sommamente amato. Di questo ultimo segmento della vita del santo dei giovani annoteremo solo tre punti: le novissima verba (le ultime parole), il momento della morte, la sua seconda vita.

Negli ultimi giorni della sua esistenza, i salesiani della prima generazione lo assistettero a turno in continuità, ma anche non pochi di quelli della seconda generazione; per tramandare ai posteri le parole del loro amatissimo padre, essi ebbero cura di raccogliere dalle sue labbra stanche le parole che di tanto in tanto andava dicendo. Le parole dei morenti sono cariche di senso divino e hanno una valenza assolutamente unica. L'Archivio Salesiano Centrale conserva in diverse versioni questi pensieri, che i raccoglitori erano consapevoli di tramandare ai posteri come la più preziosa delle eredità.

«Novissima verba».

Le sue ultime parole rivelano soprattutto gli aspetti fondamentali della sua personalità di prete educatore, di pastore e di fondatore. Il pensiero dominante che emerge, sia nei momenti di lucidità, come nei tratti dell'inconscio, esprime la sua grande preoccupazione per la salvezza delle anime giovanili. Ad un certo momento, battendo le mani grida: «Accorrete, accorrete presto a salvare quei giovani! Maria Santissima, aiutateli. Madre, Madre!».

Don Bosco, come sappiamo, a differenza di altri fondatori, aveva realizzato la sua istituzione con elementi giovanissimi; da qui un certo timore che non fossero all'altezza per continuare la sua opera: «Sono imbrogliati!» Ma prevalgono subito il suo ottimismo e la sua fiducia in Dio: «Coraggio! Avanti! Sempre avanti!'».

Le stesse parole ritornano ancora, ma don Cagliero lo rinfranca: «Stia tranquillo, don Bosco, faremo tutto, tutto quello che desidera».

È noto che il Santo aveva i piedi ben radicati in terra, ma il suo slancio di apostolo era sempre fisso in Dio: il pensiero del Paradiso fu continuamente una dominante della sua vita. Rivolgendosi a chi gli era vicino ripeteva spesso: «Arrivederci in Paradiso! Fate pregare per me». E a don Bonetti: «Di' ai giovani che li attendo tutti in Paradiso».

Lo stesso pensiero, in forma più impegnativa, lo riserva alle sue amate suore: «Ascolta! Dirai alle suore che, se osserveranno le regole, la loro salvezza è assicurata».

Le ultime parole colte sulle sue labbra sono di abbandono in Dio e di fiducia nella Beata Vergine: «Gesù e Maria, vi dono il cuore e l'anima mia. In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum. Oh Madre, Madre, apritemi le porte del Paradiso».

A differenza della sua vita costellata di avvenimenti straordinari, la sua morte non presenta tratti eccezionali, ma, come risulta da «novissima verba», è lo spegnersi sereno di una vita donata interamente a Dio e al prossimo nella prospettiva della beatitudine eterna.

 

La morte.

La morte di don Bosco non fu una morte improvvisa. Preparata da lunghi mesi di gravi sofferenze e malattie, fu lo spegnersi di una fiamma che aveva esaurito il suo alimento. Gli ultimi giorni della malattia, quando i medici non davano più alcuna speranza di miglioramento, a Valdocco da parte dei Superiori e dei giovani si levava, si può dire, una preghiera incessante a Maria Ausiliatrice perché ottenesse il miracolo. Nella psicologia collettiva c'era la convinzione che don Bosco non dovesse mai morire. Alcuni giovani offrirono a Dio la loro vita.

Tra le esperienze più toccanti attinenti alla morte del Santo, vogliamo ricordare quella del beato Orione, che nutriva - e sarà per tutta la vita - per il Santo dei giovani un affetto ed una stima illimitata. Già avanti negli anni, fu sentito ripetere: «Camminerei sui carboni ardenti pur di vedere ancora una volta don Bosco e dirgli grazie». Sarà opportuno ricordare che don Orione fu studente a Valdocco dal 4 ottobre 1886 al 1889. Come e perché, dopo essere stato diretto da don Rua, gli fosse dato di confessarsi da don Bosco, quando questo privilegio era riservato a pochissimi, essendo il Santo stremato di forze, è un mistero. Forse, in questo adolescente predestinato egli vedeva rivivere l'immagine di Savio Domenico e prevedeva il suo futuro; d'altro canto, ogni volta che il giovane poteva avvicinare il padre della sua anima, si sentiva trasportato in una regione superiore, nell'orbita del fuoco divino di quella grande anima che, al tramonto della vita, brillava ormai della sua luce più intensa. Il caro giovane, già ricchissimo di grazia, stampava dentro le direttive del Santo e le custodiva come un tesoro prezioso.

Sempre nel corso della sua vita straordinaria, anche di fronte ad altre splendide figure da lui avvicinate, don Orione ricorse col pensiero al 'suo' Santo, a don Bosco, ed ai suoi diretti collaboratori: don Rua, don Berto, don Francesia, don Trione, a loro volta grandi e santi ai suoi occhi innocenti. Di don Bosco, dei suoi collaboratori, del clima di Valdocco, dove si respirava «l'aria di Dio», rimarrà sempre in lui struggente nostalgia e ricordo indelebile.

Nell'imminenza della morte di don Bosco, la notizia diffusa in tutta la Congregazione - nota don Orione - richiamava a Valdocco, anche dalle regioni più lontane, salesiani venerandi. «Vennero allora in quei giorni molti salesiani dall'Inghilterra, dalla Spagna, da luoghi lontani. I primi figli, i più anziani, come potevano stare lontani, come potevano rimanere senza vedere ancora una volta don Bosco? Noi che eravamo là, vedevamo molti salesiani mai visti, molti salesiani che avevano già i capelli bianchi. I nostri superiori più anziani, don Rua, don Cerruti, don Belmonte, direttore della Casa, erano pieni di mestizia! Rassegnati, sì, ma si vedeva il dolore sulla faccia di tutti. Si pregava moltissimo e da tutti. Il Papa aveva mandato la sua benedizione; arrivavano lettere e telegrammi da tutte le parti. Molti, non potendo essere ricevuti, andavano in alto e guardavano dentro le finestre; si pregava continuamente; e si accendevano candele e lampade nel Santuario di Maria Ausiliatrice».

«Ma don Bosco non ritornò più indietro con la sua salute. Gli suggerivano delle giaculatorie e gli dicevano: 'Don Bosco, dica: Maria Ausiliatrice, ottenetemi la grazia di riprendere le forze, di guarire!'. Ma egli non volle ripeterla questa preghiera per mostrarsi completamente affidato alla volontà di Dio. Invece diceva: 'Signore, sia fatta la Vostra volontà'. I medici avevano ormai dichiarata impossibile la guarigione di don Bosco: ma ciò nonostante tutti speravamo. Chi ama, spera sempre!».

«Il giorno 30 gennaio non parlava più. Tutti noi ragazzi, ci fecero passare davanti a lui. Steso sul letto, con le mani fuori, pareva non capisse più; aveva una stola violacea in fondo ai piedi. E chi gli baciava le mani, chi i piedi, chi piangeva, chi baciava le coperte. Aveva la testa verso destra; i capelli un po' inanellati. Quella notte nessuno dormì. Erano venuti i salesiani da tutte le parti. Pareva che don Bosco li avesse chiamati tutti. Alcuni erano stanchi, stanchissimi della notte precedente, ed alcuni si coricavano su tavole, non potevano più reggersi, vegliavano, come figli amantissimi, attorno al loro Padre. Erano stanchi, perché venuti da lontano. Ed anche noi, la vigilia della sua morte, non abbiamo dormito! E c'era un silenzio ed una pace, ed era tutta una preghiera. Tutti si pregava. Si sentiva qualche cosa di straordinario. Se io avessi la lingua di un santo, non potrei dire quello che abbiamo sentito quella notte. Vedete, o cari chierici, che sono passati 50 anni e questa stessa voce, piena di commozione, che vi parla, vi dice quello che doveva essere allora, in quei momenti! Noi avevamo ordine di non muoverci. Tutti si era con l'animo sospeso: qualcuno dormicchiava, ma tutti si era in grande aspettativa».

«Ed ecco che, mentre suonava l'Ave Maria del 31 gennaio, don Bosco moriva. Alla mattina, di solito alle 5, suonava al campanile di Maria Ausiliatrice l'Ave Maria. Non so perché, quella mattina, l'Ave Maria suonò alle 4 e mezza; e alle quattro e tre quarti don Bosco moriva».

«Dov'ero io allora? La camera dove io dormivo era attigua alle camere di don Bosco; nell'ora in cui il caro don Bosco moriva, si sentì un tonfo: era uno dei salesiani missionari più vecchi, che aveva vegliato tutta la notte. Si vede che quando fu chiamato - riposava sopra un tavolino - fu preso da tale stordimento che cadde. Era quel missionario che cadeva; era la vita di don Bosco che cadeva! Si era coricato su un tavolo, quel salesiano, e, nell'udire che don Bosco era morto, era stato preso da un senso tale di commozione che cadde dal tavolo. Quel rumore fu come un segno che don Bosco era morto. Don Bosco moriva come muoiono i santi, tutti i santi».

«Venuto giorno, subito si sparse la notizia per l'Oratorio e da tutti si sentì che qualche cosa di grande era successo. Quel giorno non c'era più pane. Don Bosco aveva promesso che la Provvidenza non sarebbe mancata. I salesiani avevano un senso di rassegnazione molto vivo. Essi venivano in mezzo a noi, anche i vecchi che non erano mai venuti. Vi ho detto altre volte che dopo la morte di don Bosco si diffuse per tutto l'Oratorio come un'aura soave di pace, di tranquillità. Per tutto l'Oratorio c'era una soavità, un senso di pace, una cosa... una cosa..., che io sento ancora dopo 50 anni; un senso di pace, un'aria soave che penetrava tutti i cuori, tutte le persone, anche i muri della casa, che pareva ne fossero compenetrati; c'era una grande cosa, una cosa straordinaria che io non ho mai più provato. Don Bosco era là: col suo spirito di padre, di santità, di dolcezza, di pace aveva penetrato nel cuore e nell'attività di tutti e, vi ripeto, pareva penetrasse anche i muri della casa. E quello che sentivo io lo sentivano tutti. Don Bosco col suo spirito di pace era entrato nelle viscere di tutti».

In quelle di Orione certamente in misura traboccante. A chi gli faceva notare che parlava 'sempre' di don Bosco, rispondeva con un'immagine forte, ma di reminiscenza biblica: «Che Iddio inaridisca la mia lingua, prima che io cessi di benedire quel santo uomo!».

Ricordo indelebile.

Sulla morte di don Bosco la stampa, anche laica, ebbe generalmente parole di elogio, ma non mancarono commemorazioni di alto profilo, passate alla storia. Qui ricordiamo la testimonianza di don Orione, resa ai suoi religiosi lungo la sua vita e anche nella sua tarda età. C'è nelle sue parole dell'idealizzazione; c'è l'enfasi ed il lirismo del suo grande cuore; ma al di là di tutto vive l'obiettività di un fatto ineccepibile.

«Oh don Bosco, come ti sento ancora! Sento la tua voce amorevole, tenerissima; vedo la tua figura veneranda, la tua santità affabile, attraente, tutta tenerezza, tutta ardente di carità divina! Don Bosco!.. Oh quelle sere in cui parlavi; e la serenità del tuo spirito illuminava l'anima mia; quando confortavi i tuoi poveri figli, là ai piedi dell'altare, dove era Gesù che ci abbracciava tutti nel seno della sua carità divina, immensa!».

Don Bosco fu uno dei grandi modelli della sua vita: «Don Bosco! Uomo d'idee grandi - come grande la carità di Gesù che infiammava l'anima sua di educatore e di apostolo -, dalla Comunione frequente, dalla divozione tenerissima alla Madonna e dall'affetto alla Chiesa trasse la vita e la forza per sé e pe' suoi. Don Bosco! Il più umile e il più attivo degli uomini che io abbia conosciuto: lui semplice e affettuoso: gagliardo nel volere: ardente di pietà: esperto nel sapere valersi di tutto per fare del bene e di tutti i rami dello scibile per educare. Don Bosco fu veramente il sacerdote di Dio, il sacerdote dal cuor grande senza confini! In lui la carità che animava e accendeva l'anima di Paolo: Charitas Christi! In lui lo spirito di Vincenzo de' Paoli e la dolcezza di Francesco di Sales. Di fede incrollabile in quella Divina Provvidenza che veste di piume gli augelli del cielo, fu salutato Apostolo della gioventù».

Lo proponeva ai suoi figli come modello di vita, pigliando spunto anche dai fatti che, all'apparenza, non avevano spessore spirituale.

Quando, ad esempio, Giovanni Bosco, studente a Chieri, vide che il giocoliere allontanava la gente dalla chiesa, «non andò a pregare in chiesa - commentava don Orione - perché il giocoliere finisse - pregò anche, certamente - ma lo affrontò con disinvoltura». E soggiungeva: «Siccome don Bosco in tutte le cose, anche nei piedi, anche nelle scarpe, andava verso il cielo - perché il bene ha i suoi ardimenti, perché il bene è umile, ma, quando è tempo, diventa leone -, don Bosco sali fin dove era andato il giocoliere, e, poi, si strinse alla pianta gettando le gambe e i piedi in su, verso il cielo, in modo da superare la cima dell'albero stesso. Ecco sempre verso l'alto; sempre verso Dio, fin con i piedi, sempre; anche con le scarpe, sempre verso l'alto; anche in quelle cose che sembrano più ordinarie e banali! Questo è don Bosco! E quando udivo leggere quell'aneddoto me ne sono venuto qui e ho pensato tra me: Ecco, questo è veramente don Bosco! Don Bosco pio, don Bosco che si nutre di Dio. Don Bosco che ha compreso che la sua missione è quella di non chiudersi, di non serrarsi, di non raggomitolarsi su se stesso, ma di combattere il mondo con le sue stesse armi moderne, cioè di questo tempo, ossia stampa a stampa, scuola a scuola, propaganda di bene a propaganda del male».

 

La seconda vita di don Bosco.

La canonizzazione non è soltanto la suprema glorificazione di un fedele, è ancora l'inizio di una sua seconda vita nella storia della Chiesa e del mondo. Infatti «dalla santità - afferma il Vaticano II - è promosso nella città terrena un tenore di vita più umano» (LG, n. 44).

La seconda vita di don Bosco, in realtà, era cominciata subito dopo la sua morte, non però con la pienezza ed universalità conferiteli dalla canonizzazione.

Da allora don Bosco vive nel culto. La canonizzazione sbocca infatti immediatamente nel culto. “A onore della santa e indivisibile Trinità - recita la formula della Canonizzazione - decretiamo e definiamo che il Beato Giovanni Bosco è Santo e nel novero dei Santi lo inseriamo, stabilendo che dalla Chiesa universale se ne onori devotamente la memoria». È vero, non si festeggiano tutti i santi, ma non si festeggiano che santi canonizzati. La venerazione dei santi - e quindi di don Bosco - nel pensiero della Chiesa ha più importanza del loro esempio, perché ci aiuta a vivere in mistica comunione con loro.

«Noi veneriamo la memoria dei santi non solo per il loro esempio, ma più ancora perché l'unione della Chiesa nello Spirito sia consolidata dall'esercizio della fraterna carità. Poiché, come la cristiana comunione tra i viatori ci porta più vicino a Cristo, così il consorzio con i santi ci congiunge a Cristo, dal quale promana ogni grazia» (LG, n. 50).

Dalla Pasqua del 1934 don Bosco vive dunque nella liturgia della Chiesa, che ne celebra la memoria universale: vive nella coscienza di quanti, attirati dal suo fascino e dal suo carisma, lo pregano, lo venerano, lo invocano come intercessore potente presso Dio. Le feste in suo onore hanno ampia risonanza in molte chiese locali. Si distinguono per la grande affluenza ai sacramenti della Riconciliazione e dell'Eucaristia, da don Bosco tanto inculcati. Sono un autentico passaggio del Signore nei cuori.

Si caratterizzano soprattutto come «incontri festosi della gioventù» che oggi, come ieri, lo acclama e invoca 'Maestro', 'Guida', 'Amico' e 'Padre'. Il tributo di amore reso a don Bosco è sempre, in definitiva, un tributo di amore reso a Dio. Nel culto dei santi, ogni attestazione di amore, infatti, ha come suo termine Cristo, «corona di tutti i santi», e per Lui Dio (LG, n. 50).

Don Bosco vive come modello di vita cristiana. Canonizzandolo la Chiesa ha riconosciuto ufficialmente l'esemplarità della sua esistenza terrena e lo ha proposto come 'archetipo' e 'modello' all'imitazione dei fedeli.

L'imitazione dei santi ha, perciò, una grande importanza per la Chiesa, perché i santi personificano un ideale di vita cristiana ed indi_ cano agli uomini con quali strumenti può essere raggiunto. Anche la vita di don Bosco è, a suo modo, un 'quinto vangelo' che stimola il desiderio di avvicinarsi a Dio quanto è possibile. Di molti Padri del deserto è stato detto che la loro vita era 'Parola'; lo stesso deve dirsi di don Bosco, la cui esistenza è stata veramente un 'segno' tangibile delle mirabili trasformazioni che lo Spirito Santo opera nel cuore degli uomini. Una vita, dunque, nella quale possono riconoscersi gli uomini di oggi, per i quali non contano le parole, ma i 'fatti', la 'testimonianza'. Essi infatti, come già rilevava J. Maritain, «appellano a segni: hanno bisogno difatti, anzitutto dei segni sensibili della realtà delle cose divine. La fede deve essere una fede viva, reale e pratica. Credere in Dio deve significare vivere in maniera tale, che la vita non potrebbe essere vissuta se Dio non esistesse».

La santità di don Bosco e la sua fede intatta, che sembrava creare le cose dal nulla, sono una risposta a questo appello.

Don Bosco vive, infine, più che mai nella sua missione e nelle sue istituzioni nelle quali si incarna. La morte non aveva, senza dubbio, arrestato l'espansione meravigliosa delle opere di don Bosco, ma le mancava, in certo modo, il sigillo della santità. Nella vita di una Famiglia religiosa la canonizzazione del fondatore ha più importanza ecclesiale dell'approvazione delle regole, perché il fondatore acquista una autorità incontestabile.

La canonizzazione di don Bosco rappresenta, perciò, un evento di portata straordinaria. Riconoscendo l'iniziativa dello Spirito del Signore nella sua missione di fondatore, la Chiesa l'ha ufficialmente inserita come porzione eletta nel patrimonio universale del Popolo di Dio; ne ha autenticato la validità; ha implorato ed implora da Dio che essa, al di là delle coordinate dello spazio e del tempo, prosegua il suo cammino benefico nella storia.

E questo significa, come si è espresso Pio XI, «migliaia e migliaia di chiese, di cappelle, di ospizi, di scuole, di collegi, con migliaia, anzi centinaia di migliaia, ma molte centinaia di migliaia, di anime avvicinate a Dio, di gioventù raccolta in asili di sicurezza e chiamata al convito della scienza e della prima cristiana educazione». C'è dell'enfasi in queste parole, ma oggi esse sono semplicemente vere.

 

 

 

Pietro Brocardo

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