CAPO XX

L'innocenza della vita, l'amor verso Dio, il desiderio delle cose celesti aveano por­tato la mente di Domenico a tale stato che si poteva dire abitualmente assorto in Dio.

CAPO XX

da Spiritualità Salesiana

del 05 maggio 2009

Grazie speciali e fatti particolari.

Finora ho raccontato cose che presentano nulla di straordinario, se non vogliamo chiamare straordinaria una condotta costan­temente buona, che si andò sempre perfe­zionando coll’ innocenza della vita, con le opere di penitenza e coll’esercizio della pietà. Potrebbesi pur chiamare cosa straor­dinaria la vivezza di sua fede, la ferma sua speranza e l’infiammata sua carità e la perseveranza nel bene sino all' ultimo respiro. Qui per altro io voglio esporre gra­zie speciali ed alcuni fatti non comuni, che forse andranno soggetti a qualche critica. Per la qual cosa io stimo bene di notare al lettore, che quanto ivi riferisco ha piena somiglianza coi fatti registrati nella Bibbia e nella vita dei Santi; riferisco cose che ho vedute cogli occhi miei, assicuro che scrivo scrupolosamente la verità, rimetten­domi poi interamente ai riflessi del discreto lettore: eccone il racconto.

Più volte andando in chiesa, specialmente nel giorno che Domenico faceva la santa comunione oppure era esposto il Santissimo Sacramento, egli restava come rapito dai sensi; talmente che lasciava passare del tempo anche troppo lungo, se non era chia­mato per compiere i suoi ordinari doveri. Accadde un giorno che mancò dalla cole­zione, dalla scuola, e dal medesimo pranzo. e niuno sapeva dove fosse, nello studio non c’era, a letto nemmeno. Riferita al Diret­tore tal cosa, gli nacque sospetto di quello che era realmente, che fosse in Chiesa, sic­come già altre volte era accaduto. Entra in chiesa, va in coro e lo vede là fermo come un sasso. Egli teneva un piede sull’altro, una mano appoggiata sul leggio dell'antifonario, l’altra sul petto colla fac­cia fissa e rivolta verso il tabernacolo. Non moveva palpebra. Lo chiama, nulla risponde. Lo scuote, e allora gli volge lo sguardo e dice: oh è già finita la messa? Vedi, sog­giunse il Direttore, mostrandogli l’orologio, sono le due. Egli dimandò umile perdono della trasgressione delle regole di casa, ed il Direttore lo mandò a pranzo, dicendogli: Se taluno ti dirà: onde vieni? Risponderai, che vieni dall’eseguire un mio comando. Fu detto questo per evitare le dimande inop­portune, che forse i compagni avrebbero fatte.

Un altro giorno, terminato l’ordinario ringraziamento della messa, io era per uscire dalla sacrestia, quando sento in coro una voce come di una persona che disputava. Vado a vedere e trovo il Savio che parlava

e poi si arrestava, come chi dà campo alla risposta. Fra le altre cose intesi chiara­mente queste parole: Sì, mio Dio, ve l’ho già detto e ve lo dico di nuovo, io vi amo e vi voglio amare fino alla morte. Se voi vedete che io sia per offendervi, mandatemi la morte: si, prima la morte, ma non pec­care.

Gli ho talvolta dimandato che cosa fa­cesse in quei suoi ritardi, ed egli con tutta semplicità rispondeva: Povero me, mi salta una distrazione, e in quel momento perdo il filo delle mie preghiere, e parmi di ve­dere cose tanto belle, che le ore fuggono come un momento.

Un giorno entrò nella mia camera dicendo: Presto, venga con me, c’è una bell’opera da fare. Dove vuoi condurmi? gli chiesi. Faccia presto, soggiunse, faccia presto. Io esitava tuttora, ma instando egli, ed a­vendo già provato altre volte l’importanza di questi inviti, accondiscesi. Lo seguo. Esce di casa, passa per una via, poi un’altra, ed un'altra ancora, ma non si arresta, né fa parola; prende infine un’altra via, io lo accompagno di porta in porta, finché si ferma. Sale una scala, monta al terzo piano e suona una forte scampanellata. È qua, che deve entrare, egli dice, e tosto se ne parte.

Mi si apre; oh presto, mi vien detto; presto, altrimenti non è più a tempo. Mio marito ebbe la disgrazia di farsi protestante; adesso è in punto di morte e dimanda per pietà di poter morire da buon cattolico.

Io mi recai tosto al letto di quell’infermo, che mostrava viva ansietà di dar sesto alle cose della sua coscienza. Aggiustate colla massima prestezza le cose di quell’anima, giunge il Curato della parochia di s. Ago­stino, che già prima si era fatto chiamare: Esso poté appena amministrargli il sacra­mento dell’Olio Santo con una sola unzione, poiché l’ammalato divenne cadavere.

Un giorno ho voluto chiedere al Savio come egli avesse potuto sapere che colà eravi un ammalato, ed egli mi guardò con aria di dolore, di poi si mise a piangere. Io non gli ho più fatta ulteriore dimanda.

L’innocenza della vita, l’amor verso Dio, il desiderio delle cose celesti aveano por­tato la mente di Domenico a tale stato che si poteva dire abitualmente assorto in Dio.

Talvolta sospendeva la ricreazione, voltava altrove lo sguardo e si metteva a passeg­giare da solo. Interrogato perché lasciasse così i compagni, rispondeva: Mi assalgono le solite distrazioni e mi pare che il para­diso mi si apra sopra del capo, ed io debbo allontanarmi dai compagni per non dir loro cose che forse essi metterebbero in ridicolo. Un giorno in ricreazione parlavasi del gran premio da Dio preparato in cielo a coloro che conservano la stola dell' innocenza. Fra le altre cose dicevasi: Gli innocenti sono in cielo i più vicini alla persona del nostro divin Salvatore, e gli canteranno speciali inni di gloria in eterno.

Questo bastò per sollevare il suo spirito | p. 97 | al Signore e, restando immobile, si abbandonò come morto nelle braccia di uno de­gli astanti.

Questi rapimenti di spirito gli succedevano nello studio, e nell’andata e ritorno dalla scuola e nella scuola medesima.

Parlava assai volentieri del Romano Pon­tefice, ed esprimeva il suo vivo desiderio di poterlo vedere prima di morire, asserendo ripetutamente che aveva cosa di grande im­portanza da dirgli.

Ripetendo spesso le medesime cose, volli chiedergli qual fosse quella gran cosa che avrebbe voluto dire al Papa.

- Se potessi parlare al Papa, vorrei dir­gli che `in mezzo alle tribolazioni che lo at­tendono non cessi di occuparsi con partico­lare sollecitudine dell’Inghilterra; Iddio pre­para un gran trionfo al cattolicismo in quel regno.

- Sopra quali cose appoggi tu queste tue parole?

- Lo dico, ma non vorrei, che ne facesse parola con altri, per non espormi forse alle burle. Se però andrà a Roma, lo dica a Pio IX. Ecco adunque. Un mattino mentre fa­ceva il ringraziamento della comunione fui sorpreso da una forte distrazione, e mi parve di vedere una vastissima pianura piena di gente avvolta in densa nebbia. Cammina­vano, ma come uomini che, smarrita la via, non vedono più ove mettono il piede. Que­sto paese, mi disse uno che mi era vicino, è l’Inghilterra. Mentre voleva dimandare altre cose vedo il Sommo Pontefice Pio IX tale quale aveva veduto dipinto in alcuni quadri. Egli maestosamente vestito, portando una luminosissima fiaccola tra le mani, si avanzava verso quella turba immensa di gente. Di mano in mano che si avvicinava al chiarore di quella fiaccola, scompariva la nebbia, e gli uomini restavano nella luce come di mezzogiorno. Questa fiaccola, mi disse l’amico, è la religione cattolica che deve illuminare gl’Inglesi.

L’anno 1858 essendo andato a Roma, ho voluto raccontare tale cosa al Sommo Pon­tefice, che la udì con bontà e con piacere. Questo, disse il Papa, mi conferma nel mio proposito di lavorare energicamente a fa­vore dell’Inghilterra, a cui ho già rivolto le mie più vive sollecitudini. Tal racconto, se non altro, mi è come consiglio di un’a­nima buona.

Ommetto molti altri fatti simiglianti, con­tento di scriverli, lasciando che altri li pub­blichi, quando si giudicherà che possano tornare a maggior gloria di Dio.

 

san Giovanni Bosco

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