Perché mi fai disperare? La fede solitaria vissuta nell'intimità è un fenomeno moderno e antichissimo. Il problema è che il tuo Dio personale non funziona, per la semplice ragione che quel Dio non esiste. Provo a smontare il secondo motivo per il quale non vai a messa nemmeno in questi giorni speciali...
del 24 dicembre 2006
Carissima Martina,
vorrei venire lì a sculacciarti. Credevo che tu andassi a messa solo a Natale e a Pasqua e volevo esortarti a farlo tutto l’anno e invece mi dici che a messa non ci vai mai. Che nemmeno ti ricordi l’ultima volta che ci sei andata, che ti ricordi soltanto dove: “A Verona a Santa Teresa dai frati”. Non la conosco, sulla guida del Touring vedo che si trova fra Castelvecchio e Porta Palio, una zona della città a me ignota perché da bambino abitavo vicino a Porta Nuova, in via del Minatore, e quando da grande sono ritornato a Verona ho privilegiato quel mio vecchio percorso, che è anche il più comodo per andare dalla stazione al centro. Leggo su Google che Santa Teresa degli Scalzi è chiesa barocca a pianta ottagonale, con tre grandi altari uno dei quali sormontato dalla pala “Annunciazione con il Padre Eterno in Gloria”. Mi piacciono molto gli altari pomposi, la prossima volta che vengo da quelle parti voglio andare a darci un’occhiata, e naturalmente dovrai accompagnarmi perché “guai a chi è solo”, come dice il vecchio Qoelet. Questo personaggio, vissuto nel III secolo prima di Cristo, viene chiamato anche Ecclesiaste, a seconda che si usi la lingua ebraica o greca, e ha dato il nome a uno dei 73 libri della Bibbia. Il Qoelet o Ecclesiaste è il libro dell’Antico Testamento che più mi ha accompagnato nella vita, specie nei momenti difficili. Sono pagine fondamentali scritte da un uomo al contempo pessimista, edonista e religioso. Praticamente un mio antenato ma anche un nostro contemporaneo, perché oggi siamo tutti impauriti dal futuro e attirati dai piaceri. Devi assolutamente leggerlo, sono appena nove pagine che ti resteranno dentro più di qualsiasi best-seller, compresi i libri infami del tuo amato Dan Brown, che nel momento del bisogno non sarà certo lì a sostenerti mentre Qoelet, te lo garantisco, ci sarà. Io ho sottolineato quasi tutte le frasi e molte le ho messe in pratica. “Non c’è niente di nuovo sotto il sole”. “Ho visto tutte le cose che si fanno sotto il sole ed ecco tutto è vanità e un inseguire il vento”. “Molta sapienza, molto affanno: chi accresce il sapere, aumenta il dolore”. “Non c’è niente di meglio per l’uomo che mangiare e bere e godersela nelle sue fatiche”. “Non fare attenzione a tutte le dicerie che si fanno, perché il tuo cuore sa che anche tu hai detto tante volte male degli altri”. “Non domandare: Come mai i tempi antichi erano migliori del presente?, poiché una tale domanda non è ispirata da saggezza”. “La calma placa anche le offese più gravi”. “Chi bada al vento non semina mai”. E infine: “Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo per l’uomo è tutto”. E il terzo comandamento che cosa dice? “Ricordati di santificare le feste”. Ovvero astieniti dal lavoro e partecipa al culto. Quando ti ho chiesto perché non vai a messa mi hai risposto: “Non ci vado perché da nessuna parte della Bibbia c’è scritto che ci si deve andare”. E brava la mia biblista! E pensare che vieni da quello che fu il Veneto bianco e che la tua famiglia conta non uno ma due martiri cristiani. Vedi, si può fare qualunque cosa, l’importante è non raccontare frottole a se stessi. La domenica puoi impiegarla per farti la ceretta, puoi passarla in qualche multisala ad avvelenarti la mente coi film e lo stomaco coi popcorn, puoi fare quello che vuoi ma devi prenderti le tue responsabilità, senza inventare alibi che non reggono. Puoi passare il giorno del Signore assieme ai tuoi cani, al tuo siberian husky, al tuo alaskan malamute, fingendo di vivere in Groenlandia anziché nella Bassa Veronese dove invece ci starebbe bene uno spinone, il cagnone lombardo-veneto leale e affettuoso. La domenica puoi disperderti in mille rivoli ma sappi che non sei autorizzata a farlo. Devo avvisarti, spero di non turbarti troppo, che nella Bibbia c’è scritto l’esatto contrario di quello che pensi: c’è scritto che a messa ci si deve andare. E c’è scritto in molte parti, non in una soltanto. Mi piacerebbe essere creduto sulla parola, farei anche meno fatica, ma entrerò nei dettagli siccome tu sei incredula e cocciuta e io voglio assolutamente salvarti. La messa cristiana è prefigurata attraverso l’uso sacramentale del pane e del vino già nell’Antico Testamento, a cominciare dalla Genesi. Nel Vangelo la messa appare ovunque e in particolare nel Vangelo di Matteo, nel Vangelo di Marco, nel Vangelo di Luca e nella prima Lettera ai Corinzi (scritta da San Paolo). Insomma nella Bibbia la messa si rintraccia dal primo libro dell’Antico Testamento all’ultimo del Nuovo (l’Apocalisse di San Giovanni). Non volendo seppellirti di citazioni mi limiterò al Vangelo di Luca. San Matteo, san Marco e san Paolo raccontano l’istituzione dell’Eucarestia, il cuore della messa, usando quasi le stesse parole ma soltanto Luca usa l’avverbio più bello di tutto il Vangelo: “Ardentemente”. Ti sto portando nel capitolo 22 in cui il grande santo siriano descrive l’Ultima Cena. Giuda ha appena tradito Gesù vendendolo ai sommi sacerdoti. Pietro e Giovanni sono andati avanti a preparare il banchetto pasquale, in una grande sala addobbata messa a disposizione da qualcuno, probabilmente un ricco signore, di cui ignoriamo l’identità. Ti sto portando nel versetto 14. “Quando fu l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse: Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione.” Ardentemente. Ha desiderato ardentemente. Poi prende un calice pieno di vino, lo beve e lo passa agli altri. Infine prende un pane, lo spezza e lo distribuisce dicendo: “Questo è il mio corpo che è dato per voi: fate questo in memoria di me.” “Fate.” Gesù dice “Fate”. Usa l’imperativo. Non dice mah chissà. Non dice se vi farà comodo, quando vi piacerà. Dice “Fate”, fate sempre, santificate sempre le feste così. Lui lo ha detto, mica io. C’è un altro particolare a cui bisogna prestare attenzione: Gesù dice “Fate” e non “Fai”. Usa il plurale perché la vera religione è comunitaria e non ti dico quanto mi costa farlo notare, io che sono “più snob della merda” come ebbe graziosamente a dire una mia amica milanese. L’importanza del plurale aveva già provato a ficcarcela in testa il solito Qoelet, che qui trascrivo perché magari non hai una Bibbia in casa o forse non la trovi più, persa in qualche scaffale molto alto: “Meglio essere in due che uno solo. Infatti, se vengono a cadere, l’uno rialza l’altro. Guai invece a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi”. Non tutti possono essere santi come i tuoi avi Flavio e Gedeone, capaci di mantenere salda la propria fede anche nei campi di concentramento nazisti. Eppure anche loro sentivano la necessità della preghiera collettiva e nella recita del rosario coinvolgevano i compagni di sventura. Correndo il rischio di essere scoperti, certo, ma ne valeva la pena perché solo in questo modo hanno ottenuto conversioni e dato conforto a tanti disperati. Un prete brianzolo, professore di religione al liceo Berchet di Milano, sintetizzò ai suoi allievi la questione: “A lungo andare l’individuo, da solo, non può resistere nel servire gli ideali: è troppo debole di dentro, e di fuori il mondo è troppo forte”. A me sembrano cose ovvie, logiche, ma evidentemente bisogna ripeterle di continuo, generazione dopo generazione, secolo dopo secolo, se anche tu sei convinta della superiorità della preghiera solitaria: “A Dio mi rivolgo nella maniera che ritengo più giusta e a modo mio, per pregare c’è bisogno di concentrazione e non è certo in mezzo a tanta gente che la trovi”. Non ti conoscevo questa bella parlantina. E le brillanti idee suesposte dove le hai pescate? In “My way” di Frank Sinatra? Mi sono andato a rileggere il testo di quel magnifico inno alla superbia: una strofa sì e l’altra pure il vecchio Frank continua a vantarsi di aver fatto a modo suo ma a un certo punto perfino lui deve ammettere di aver fatto, qualche volta, il passo più lungo della gamba (“When I bit off more than I could chew”). In verità nel computer ho la strepitosa versione di Sid Vicious, che ha cantato “My way” poco prima della siringa definitiva. Era un altro che faceva a modo suo. Comunque nessuno dei due loschi figuri, l’amico dei mafiosi e il punk eroinomane, si avventurò a parlare di religione. Egocentrici ma con giudizio. Tu invece te la canti e te la suoni mostrandoti fiera del tuo piccolo culto privato e non è solo un problema di presunzione, il problema principale è che il dio personale non funziona, per la semplice ragione che non è il vero Dio. La fede solitaria, vissuta nell’intimità come fosse una forma di masturbazione (da cui non differisce troppo essendo ugualmente sterile) è un fenomeno moderno e antichissimo, lo affrontò il profeta Isaia otto secoli prima di Cristo. Nel capitolo 44 del suo libro racconta di un fabbro che prende della legna, una parte per cuocere l’arrosto e il resto per costruire una statuetta, un idolo a cui rivolgersi, dopo il lauto pasto, con una patetica invocazione: “Salvami, perché sei il mio dio!”. Anche lui come te credeva di essere nel giusto, anche lui pregava a modo suo, anche lui era molto concentrato perché non disturbato da nessuno, ma purtroppo si rivolgeva a un pezzo di legno. Non è il tuo caso, perché tu comunque nelle chiese ci entri, non per andare a messa ma ci entri. E’ solo per farti capire quanto è facile sbagliare quando si vive la fede nell’isolamento. Eppure basterebbe pochissimo, solo un pizzico di umiltà, e pregare Dio come lui stesso ci ha insegnato. Nel Vangelo secondo Matteo c’è tutto l’occorrente, sia le parole che la modalità. Nel famoso Discorso della Montagna a un certo punto Gesù dice: “Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome…” Eccetera. Un poco più avanti spiega come fare perché la preghiera sia più efficace: “Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve lo concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. Non servono due o tre milioni, bastano due o tre. Chiaramente non vuole indicarci un numero preciso ma un metodo: guai all’uomo solo, facile preda del mondo e di se stesso.
Adesso che ti ho mostrato come la Bibbia esorti in lungo e in largo alla preghiera collettiva provo a smontare il secondo motivo per il quale non vai a messa nemmeno in questi giorni speciali: “Tutti ci vanno solo perché è Natale, il resto dell’anno non sanno cos’è una chiesa, soprattutto le donne ci vanno per fare le sfilate e per chiaccherare”. Martina, perché mi fai disperare? Mi spieghi la logica di quello che dici? Vorresti che le chiese fossero mezze vuote anche nelle solennità? E se quelli che tu consideri i falsi devoti passassero nei centri commerciali anche la sera di Natale pensi che l’umanità avrebbe fatto un passo avanti? “Pochi ma buoni” non è un principio cattolico, potrebbe essere lo slogan di una setta e non certo della chiesa che si chiama cattolica perché katholikòs in greco significa universale: aperta a ogni uomo che voglia entrare. Gesù, sempre in quel famoso discorso, ha detto: “Non giudicate, per non essere giudicati”. Quindi non siamo noi a dover decidere chi è buono e chi è cattivo, meno che meno basandoci su brevi impressioni, chiacchere e vestiti. Tu assegni grande importanza alla concentrazione? E allora concentrati, non badare alle altre donne. Anch’io sono disgustato dalla generale sciatteria del clero e dei fedeli ma è una ragione di più per essere partecipi e propositivi. Non essere passiva, testimonia la tua fede col tuo comportamento e cerca di alzare il livello della liturgia, che non dipende solo dal prete. Mettiti a disposizione per leggere i passi della Bibbia (quelli della parte iniziale della messa), o per raccogliere le offerte, o per cantare nel coro. E se il coro non c’è prova a organizzarne uno. E’ possibile, anzi è probabile, che la messa del tuo paese non sia molto coinvolgente, e allora almeno una volta devi andare altrove, per fare l’esperienza di un rito splendido. Devi capire a quale altezza, fra incensi e note d’organo, la liturgia può trascinare l’anima. Io di mestiere vorrei fare il critico liturgico, vorrei girare tutta l’Italia da nord a sud, grandi cattedrali e piccole chiese, per stimolare i preti e le comunità a celebrare messe colme di fervore, capaci di richiamare anche le persone che come te credono ma non praticano. Purtroppo lo faccio solo a tempo perso e quindi il mio censimento delle belle messe è molto parziale. A Verona prova ad andare in Santa Toscana, la chiesa vicino a Porta Vescovo. Dicono la messa in latino, la più affollata messa in latino che io abbia mai visto, con le donne a capo coperto e tanti bimbi chierichetti che rallegrano la funzione. Ma forse il latino può sembrarti ostico e allora devi fare una gita dalle parti di Montalcino, fra le vigne e gli ulivi della campagna senese, e andare alla messa dell’abbazia di Sant’Antimo. C’è una comunità di frati vestiti di bianco, lenti e solenni, che saturano le antiche navate con il loro perfetto canto gregoriano. Impossibile non vibrare. Tutti quelli che mando a Sant’Antimo poi mi ringraziano. Un’ora passata a Sant’Antimo può cambiare la vita, potrebbe cambiare anche la tua. Sono molti anni che non fai la comunione. “L’ho fatta fino ai 14 anni. Quando è morto mio padre mi è passata la poesia e ce l’avevo con il mondo. Dio era il primo della lista.” E’ la prima cosa che mi dici che non assomiglia a una scusa. E’ un motivo serio, la morte è una cosa seria. Chi soffre ha tutto il diritto di lamentarsi (“Giobbe, il migliore amico di Dio, non ebbe rispetto alcuno per lui” ha fatto notare Cristina Campo, una grande scrittrice mistica). Ma poi ha il dovere di dare un senso al dolore seguendo Cristo, che non ha promesso di non farci morire ma ha promesso di farci risorgere, così come è risorto lui. Confessati dicendo al padre confessore quello che hai detto a me, e vai a fare la comunione come Gesù ha detto di fare, e attraverso l’ostia riprendi il contatto reale con lui, la speranza del mondo.
 
Buon Natale, Martina, e che Dio ti benedica.
Camillo
Camillo Langone
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