Nel vissuto interiore del Caravaggio, formidabile testimone della sua epoca, rivivono le medesime dinamiche: il suo punto di partenza è sempre il reale, spesso negli aspetti più crudi, ma la tensione è sempre verso l'infinito.
del 04 giugno 2010
           Poco più di una settimana e la mostra sul Caravaggio chiuderà i battenti. Con un successo strepitoso. Sono oltre mezzo milione, per l’esattezza 510.588 (dato aggiornato al 31 maggio), le persone che, dal 20 febbraio, hanno visitato la rassegna di capolavori alle Scuderie del Quirinale a Roma, esposti in occasione dei quattrocento anni dalla morte del pittore lombardo.
 
          Chiunque abbia avuto modo di transitare lungo via XXIV maggio, in una qualsiasi domenica capitolina degli ultimi tre mesi, non ha potuto non notare la mastodontica coda di appassionati d’arte che, pazientemente, si incolonnavano per poter ammirare le opere immortali di un immortale genio italiano. Con la pioggia battente o con il sole a picco, nei giorni festivi, l’attesa media per poter accedere alla mostra è sempre stata di circa tre ore. Un risultato che è il segno di una rinnovata o, più probabilmente, mai tramontata passione per i grandi classici dell’arte italiana.
          Passione che è frutto della cultura popolare, nel senso più genuino del termine: quella del Caravaggio è un’arte che sa parlare all’anima di un popolo, che sa raccontargli la propria storia, le proprie radici. Esattamente il contrario di quanto avviene con la stragrande maggioranza delle opere d’arte moderna, costantemente dibattute ed osannate dalla critica, ma sostanzialmente ignorate dal grande pubblico.
          Fino al prossimo 13 giugno, alle Scuderie del Quirinale, saranno ancora visibili ventiquattro opere caravaggesche: davvero un’infinitesima parte della sterminata produzione dell’artista secentesco. Sufficientemente esaustiva, tuttavia, nel sintetizzare tutti gli stili e i temi privilegiati dal Caravaggio: soggetti sacri e profani, pagani e cristiani, antichi e moderni.
L'epoca in cui vengono alla luce i capolavori esposti è difatti un'epoca di transizione, analoga a quella odierna: i fasti del Rinascimento si dissolvono nelle incertezze e nella conflittualità della Controriforma, epoca di grandi sofferenze e disillusioni umane ma segnata da una profonda purificazione nella Chiesa, che consumata l'onta dello scisma protestante e della corruzione interna, ritrova identità e splendore. Nel vissuto interiore del Caravaggio, formidabile testimone della sua epoca, rivivono le medesime dinamiche: il suo punto di partenza è sempre il reale, spesso negli aspetti più crudi, ma la tensione è sempre verso l'infinito.
          Sia nelle rappresentazioni del quotidiano, sia in quelle storiche, frutto del mito e dell'immaginazione, il pittore lombardo coglie sempre un elemento di inquietudine e di sofferenza. Si pensi a I bari, emblema dei tradimenti e delle disillusioni della vita, o al celebre Ragazzo con canestra di frutta, un volto perduto da ragazzo di vita pasoliniano, pur immerso nella bellezza e nella voluttà della natura. Parzialmente ispirate alla mitologia classica, abbondano figure efebiche, sospese tra cielo e terra, tra beatitudine e perdizione come Bacco, i Musici, il Suonatore di liuto, Amore dormiente.
          Anche i soggetti sacri sono fortemente connotati da umana fragilità; la spiritualità del Caravaggio privilegia la dimensione della Croce rispetto a quella della Resurrezione: si pensi a L'incoronazione di spine (con l'anacronismo del soldato in armatura secentesca), la Deposizione, la Cattura di Cristo nell'orto. La Vergine Maria nel Riposo durante la fuga d'Egitto (foto), nell'Annunciazione e nell'Adorazione dei pastori è assai poco iconografica. Il Davide con la testa di Golia osserva con malinconica pietà la sua vittima. Nel Sacrificio di Isacco, l'angelo (senza ali) si rivolge ad Abramo non con distante impeto divino ma con sollecitudine fraterna.
          È impossibile qualificare le opere di Caravaggio prescindendo dalla sua vicenda esistenziale. Le macchie di una vita segnata dal peccato e dalla sofferenza si manifestano nell'oscurità di fondo di tutte le tele. La luce caravaggesca, però, irrompe quasi sempre al centro della narrazione pittorica, laddove le figure umane si incontrano e si relazionano. È la luce della Provvidenza divina, la pietas che illumina e riscatta le miserie degli uomini. La luce della fede e dell'ottimismo di un pittore che, a discapito della vulgata che lo voleva eretico e maledetto, fu sempre profondamente cristiano.
Pico Angelico
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