«Cattolici, difendete gli immigrati»

Il vescovo di Brescia, monsignor Monari, invita i cattolici al rispetto della dignità umana e le comunità all'accoglienza. La comunità cristiana «è chiamata ad accogliere i credenti battezzati da qualunque parte essi provengano: sono a pieno titolo membri delle nostre stesse comunità».

«Cattolici, difendete gli immigrati»

da Quaderni Cannibali

del 14 febbraio 2011

  

 

          Stranieri, ospiti, concittadini. Il percorso che il vescovo di Brescia, monsignor Luciano Monari, indica nella sua 'Lettera alle comunità cristiane' riprende le indicazioni della lettera agli Efesini: «Così dunque voi non siete più stranieri, né ospiti ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio».

           Pubblicata in occasione dei santi patroni della città, Faustino e Giovita, che si ricordano il 15 febbraio, la Lettera analizza il fenomeno migratorio chiedendo quale sia l’atteggiamento delle diocesi, delle parrocchie, dei gruppi ecclesiali e dei cattolici impegnati in politica. Questi ultimi, dice il vescovo, devono «evitare e impedire qualsiasi forma di discriminazione». «Con questo termine», specifica, «mi riferisco a comportamenti vessatori che trasformano i diritti in scelte di compiacenza; che usano le lentezze burocratiche per sfiancare le persone e costringerle alla rassegnazione o alla rinuncia; che usano due pesi e due misure a seconda della nazionalità o del colore della pelle. Non è lecito a un cristiano approfittare della condizione di debolezza del contraente immigrato per imporre contratti non equi (penso naturalmente ai contratti di affitto o di lavoro».

        Ma prima di rivolgersi alla comunità politica e civile, il vescovo si rivolge a quella cristiana che, scrive monsignor Luciano Monari, «è chiamata ad accogliere i credenti battezzati da qualunque parte essi provengano: sono a pieno titolo membri delle nostre stesse comunità». Nei confronti di questi credenti «è necessario impegnarsi attivamente per offrire un’accoglienza calda; ci vogliono persone che prendano l’iniziativa di andare incontro ai nuovi arrivati, di interessarsi di loro, di introdurli poco alla volta nei diversi luoghi e alle diverse iniziative della parrocchia».

        «Non possiamo lasciare agli immigrati», aggiunge il vescovo, «tutta la fatica di inserirsi nella comunità; deve essere anche la comunità che se ne fa carico in modo esplicito». Se un immigrato si sente accolto, si integrerà anche più facilmente, suggerisce la lettera indicando come momenti di accoglienza le feste, i gruppi di ascolto della parola di Dio, la devozione mariana. Analogo discorso può essere fatto anche per i cristiani ortodossi, protestanti o evangelici. Anche se, per quanto riguarda la partecipazione ai sacramenti, il vescovo raccomanda di fare tutto con chiarezza e senza ambiguità seguendo le norme dei diversi documenti della Santa sede e del recente Vademecum pubblicato dalla Cei «per la pastorale delle parrocchie cattoliche verso gli orientali non cattolici».

        Monsignor Monari non dimentica neppure la complessità e i problemi relativi a movimenti, sette e comunità religiose di provenienza africana e latinoamericana che mirano «alla soddisfazione di un bisogno psicologico soggettivo» e avverte del «pericolo che questi movimenti rappresentano per la fede». Per questo chiede che non si offrano ambienti parrocchiali per pratiche psicologiche che sconfinano nel religioso.

          Altri percorsi, invece, richiede il dialogo con credenti di altre religioni, in particolare musulmani e buddisti. Di essi non possiamo disinteressarci, dice il vescovo. Senza confondere le religioni in una miscela indistinta va però sottolineato che «tutte le religioni conoscono e proclamano alcuni aspetti veri di Dio e dell’uomo e possono favorire la crescita della convivenza umana e del rispetto reciproco. È doveroso verso tutti quell’amore che accetta cordialmente l’esistenza dell’altro». E raccomanda di incoraggiare la presenza di bambini e ragazzi anche di altre religioni nella vita degli oratori. Così come di favorire momenti di dialogo, di festa, di collegamento che sciolgono alcuni sospetti e timori istintivi e che facciano superare isolamento e paura. «Possiamo condurre gli uomini a credere nell’amore di Dio solo amandoli concretamente con un amore sincero e generoso, con una prassi di vita che sia fraterna e accogliente».

        Non si tratta di mero buonismo, ma di cercare, anche a livello politico e legislativo tutte quelle soluzioni che possano migliorare la qualità dell’esistenza di ciascuno e della comunità civile nel suo complesso. Per questo in particolare i cattolici impegnati in politica dovrebbero assicurare l’accoglienza dei rifugiati che fuggono da condizioni di ingiustizia e di oppressione, ricordando che i beni della terra sono di tutti e devono servire per il sostentamento di tutti. Dovrebbero fare in modo che chi lavora presso di noi e contribuisce al nostro benessere «veda riconosciuta la propria attività e di essere messo in regola». Inoltre, per chi è già regolarizzato, dovrebbero battersi per far modificare la norma secondo la quale perde automaticamente il permesso di soggiorno l’immigrato che perde il lavoro. «La logica di questa norma appare del tutto egoistica», scrive il vescovo, «Finché mi servi ti tengo e faccio uso della ricchezza che produci, ma appena la tua presenza smette di servirmi ti caccio». E ancora dovrebbero farsi carico del problema dei bambini nati da genitori stranieri che appartengono, come cittadinanza, a uno Stato del quale non conoscono lingua, usi, cultura e costumi, mentre non possono appartenere a quello italiano dove abitano, vanno a scuola, vivono; «bambini che sono, dal punto di vista culturale, italiani», sottolinea Monari. Così come dovrebbero favorire il riavvicinamento familiare e l’inserimento scolastico dei bambini stranieri.

       Il rispetto della dignità dell’altro dovrebbe guidare le scelte dei cattolici, conclude il vescovo, convinti che «discriminare può sembrare una scelta vantaggiosa, se si considera solo il profitto economico; in realtà si tratta di un comportamento che usa l’altro come fosse una cosa e finisce – per una specie di effetto-boomerang – per corrodere l’anima di chi lo compie».    

Annachiara Valle

http://www.famigliacristiana.it

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