Cercate il demone dentro di voi

Da soli è dura, certo. Dante è disposto ad affrontare il viaggio perché Beatrice lo ama; ha bisogno di essere guardato, per uscire dalle tenebre: lo sguardo che ci salva è lo sguardo di chi ci ama. Di chi ti vuole veramente bene per quello che sei, non per quello che fai.

Cercate il demone dentro di voi

da Quaderni Cannibali

del 23 novembre 2011 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) {return;} js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

 

          Anche se adesso insegnare non è più la sua prima occupazione, per il professore Alessandro D’Avenia la scuola resta la vera fonte d’ispirazione. E la lezione di fondo del suo secondo romanzo non è lontana da quella che spiega in classe.

          Tornare a scuola è uno spasso, se da un pezzo non sei più studente.Una mattina in classe ha il sapore della giovinezza che si rimpiange, tra molti rammarichi perfino scolastici.Quello che avevi lasciato ritrovi: le giacche lanciate sui ganci in fondo alla classe, la campanella assordante, l’odore di umanità costretta, i maschi disarticolati sui banchi, le ragazze che scrivono-scrivono-scrivono con grandi lettere rotonde e diligenti. Sarebbe bello essere invisibili, perché forse una giornalista e un fotografo inducono spontaneità come la telecamera in un reality. Ovviamente non è possibile, e dunque non sappiamo se il professore sia sempre così brillante e le sue classi così quiete e attente.           Certo Alessando D’Avenia, 34 anni, il prof di Italiano e Latino per il quale siamo qui in un liceo milanese, non fa media: carino, riccioli biondi, occhi lucenti – glaucopide, come forse direbbe lui parlando della dea Atena – e soprattutto da quasi due anni scrittore d’imprevisto successo grazie a un debutto da 400 mila copie solo in Italia (Bianca come il latte, rosso come il sangue, 20 traduzioni, presto un film).           D’Avenia ha ora pubblicato un secondo romanzo, Cose che nessuno sa, e il titolo si riferisce a tutte le domande sulla vita che ognuno si fa per vivere con meno incertezza e dolore. Risposte soddisfacenti, poche. Soprattutto se hai 14 anni come la fragile protagonista, Margherita, nome che non a caso significa perla perché – nella metafora che regge il racconto – la sua delicata essenza è stata violata, come avviene nella polpa della conchiglia attaccata da un predatore, la quale sopravvive soltanto se il seme del dolore viene avvolto da lacrime preziose di madreperla. Margherita (con la madre e il fratello) è stata abbandonata senza una parola del padre e decide, novello telemaco sulle tracce di Ulisse, di andarlo a cercare costi quel che costi. Costerà tanto.La scuola è sfondo del romanzo, coro di una tragedia adolescenziale: sulla scena cattive compagne, un professore che legge l’Odissea, uno studente più grande, bello e pericoloso, il perfetto eroe romantico.           D’Avenia sta già scrivendo il terzo libro: parlerà più di adulti che di ragazzi, ma ci sarà sempre il professore. Comunque dalla scuola non si schioda, è la sua principale fonte d’ispirazione, la finestra aperta, la realtà del mondo che salta dentro: mentre s’insegna s’impara, come scriveva Seneca. Il prof si spende molto – è evidente sia la vocazione che l’ispirazione al professor Keating dell’Attimo fuggente – e ogni lezione è pirotecnica. D’altra parte sono stati i suoi studenti, oggi diciottenni, i consulenti del primo romanzo, di cui conservano una bozza non definitiva con diverse correzioni collettive, che D’Avenia consiglia di vendere un giorno su eBay.           Alle 8 si parte con Dante, secondo Canto dell’Inferno, in una terza Scientifico.«Che cosa impedisce alle persone di essere se stesse? La paura. E parto dalla mia, perché quando vedi una piramide di copie del tuo romanzo nelle librerie provi orgoglio ma anche paura. Come si arriva a occupar nella vita il posto che ci è più consono, che sogniamo? Io ho deciso a 17 anni di fare l’insegnante, e oggi posso dire che se non avessi insegnato non avrei scritto: come farete voi a decidere il vostro sogno e a non farvi vincere dalla paura e dai tanti che ci soffieranno sopra? (Quelli che a me ragazzo dicevano: “Chi te lo fa fare di diventare professore, con un padre dentista? Sarai un morto di fame”).           Ma in ciascuno c’è un daimon, un “demone”, non nel senso di demonio ma di spirito guida posto dagli dei, che a poco a poco deve farsi strada. Vedete la Divina Commedia come un grande viaggio nella paura, per diventare se stessi. È faticoso, e i dubbi che abbiamo, le difficoltà che ci mettono alla prova – gli ostacoli dei vostri genitori per esempio – sono anche comodità, a ben vedere: ma voi quanto avete fame delle vostre cose?»           «Da soli è dura, certo. Dante è disposto ad affrontare il viaggio perché Beatrice lo ama; ha bisogno di essere guardato, per uscire dalle tenebre: lo sguardo che ci salva è lo sguardo di chi ci ama. Di chi ti vuole veramente bene per quello che sei, non per quello che fai. Di chi si vuole prendere cura di te, amandoti anche nei tuoi limiti dicendoti: “Tu vai bene così”. Aristotele individua tre tipi di amicizia: l’amore basato sul piacere, quando usi l’altro; l’amore basato sull’utile, quando vuoi ottenere qualcosa; l’amore di amicizia quando ami l’altro per quello che è, non per quello che ti può dare. Quando scrivete TVB cosa intendete? In inglese I love you va bene per tutto, ma in italiano ti amo e ti voglio bene sono cose diverse. TVB è il bene velle dei latini: voglio il tuo bene, sono pronto a sacrificarmi, faccio star bene te. Quindi le prime due possibilità di cui parla Aristotele sono destinate a finire». Un ragazzo, dal fondo della classe: «Ehi, prof, anche l’amore vero finisce…». Provvida suona la campanella.           La prossima classe fa il quarto anno del Classico, in programma c’è Torquato Tasso che iniziò a scrivere a 15 anni. «È un po’come noi», scherza un ragazzo. «Magari! Voi siete immersi in una cultura che vi spinge a credere che darete il meglio verso i 40 anni. Vacciniamoci, invece. Il meglio si dà prima». D’Avenia non dimentica mai che lo scopo della letteratura è delectare et docere: lo dice in classe ma anche nei suoi romanzi, dove scorre la vena pedagogica, la voglia di catturare l’attenzione e orientare. Fa dire al professore del libro: «Se tutto quello che studiate in classe non vi aiuta a vivere meglio, lasciate perdere. Noi non leggiamo l’Odissea perché è scritto nel programma. Noi la leggiamo per amare di più il mondo».           Al bar, tra un’ora di lezione e l’altra, l’obiettivo si sostanzia «Ho quasi 35 anni, è un’età bella per interrogarsi e far bilanci, un crocevia. Per che cosa vale la pena vivere? Nel romanzo dolore e amore s’incrociano in tutte le età della vita, e chi ha vissuto e amato a lungo, come la nonna della protagonista, sa che – al contrario di quello che pensa il mio studente – l’amore può non finire. Nella società liquida in cui viviamo a me interessa aiutare i ragazzi a trovare se stessi: la mia generazione è orfana di padri e di maestri, mentre i figli oggi desiderano che i padri tornino, e qualche volta – come Margherita del romanzo – se li vanno a riprendere. La scuola può fare molto, assieme ai genitori e ai ragazzi: è l’unico triangolo in cui, se le cose funzionano, tutti si rispettano e nessuno soffre. Dobbiamo questo sforzo collettivo ai ragazzi, è per il loro bene: si tratta di mettere emozioni nella scuola e la testa dentro il cuore. Un cuore pensante, questo è l’obiettivo. Loro volendo lo sanno fare, sanno benissimo che, se Ulisse non avesse Itaca a cui tornare girerebbe a vuoto. E l’Odissea sarebbe una crociera».

Alessandro D'Avenia

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