«Scorrono gli anni, volano i mesi e i giorni. Quanta pioggia è caduta, quanta neve! Ti svegli una mattina, e pare che sia finito un altro anno, ma è soltanto un nuovo giorno, e qua e là è spuntata una nuova ruga: sulla schiena, sul soffitto, sulla guancia». (M. Chagall)
Bella e Ida alla finestra è un’opera del 1916 di Marc Chagall, ora appartenente ad una collezione privata.
È una scena intima quella che ci appare davanti, l’artista russo ritrae le due donne da lui più amate, catturate in quell’abbraccio di cura che coinvolge una madre e una figlia da poco nata. Emerge tutta la tenerezza dai gesti abbozzati e nemmeno messi in primo piano nell’opera: lo sguardo dolce della mamma sul volto della piccola, un sorriso accennato, forse una carezza appena fatta sulla guancia di una neonata che non capiamo se è in procinto di piangere o si è da poco svegliata. Il corpo della mamma avvolge e coccola quello piccino di Ida, l’immagine è ferma ma ci suggerisce un oscillare calmo della mamma come fosse una culla sicura e rassicurante.
Alle loro spalle, alle spalle dei grandi amori di Marc Chagall, si staglia una finestra che lascia intravedere un paesaggio verde, un cielo nuvoloso e l’accenno di una staccionata: un “fuori” naturale, quasi incontaminato, misterioso e minaccioso allo stesso tempo. La finestra ha le tende tirate, chi è in casa vuole poter guardare agli orizzonti fuori, aperto alla luce e al buio che da essi provengono. Il cielo è in subbuglio, traccia di un maltempo passato o in avvicinamento, non lo sappiamo.
Chagall ci propone una contaminazione tra il mondo rassicurante degli affetti e quello sempre indefinito degli accadimenti, consapevole che alla vita che muove i suoi primi passi e che fa sentire i suoi primi vagiti non va nascosto il mondo con le sue incognite. Ecco che quell’avere cura da parte di Bella e quel tenere aperte le tende di Marc sono forse il segno di chi tenta di accompagnare nella crescita quei piccoli che domani saranno i grandi, rappresentano i gesti di chi con un amore che non verrà mai meno insegna, come può, a stare nella vita.
C’è ancora un dettaglio che può anche passare inosservato ad una prima vista, ma non nella narrazione di questa scena: il vaso di fiori freschi. Sono forse un omaggio di Marc all’amata oppure un dono dei vicini per Ida appena nata (nasce proprio nel 1916, anno di questo quadro)… non ne siamo sicuri. Quel vaso posto lì tra l’abbraccio della madre alla nuova creatura e la finestra sul mondo raffigura la speranza e l’impegno dei novelli genitori: la speranza che il mondo attorno sia capace di atti di gentilezza e umanità verso la piccola lungo il suo cammino di crescita e l’impegno a sciogliere pian piano quell’abbraccio rassicurante per lasciarla affacciare alla finestra e muover passi con le proprie gambe, sapendo educare ad uno sguardo profondo che sa cogliere il buono e il bello in scenari sereni così come incerti.
«Io sono nato morto» è l’espressione che Marc Chagall ripetè più volte pensando alla propria infanzia difficile: lo stesso giono in cui nacque, il suo villaggio in Bielorussia venne attaccato e la sinagoga data alle fiamme e a questo seguirono anni che lui ha sempre ricordato come felici pur tra le persecuzioni zariste contro gli ebrei e quindi anche contro la sua famiglia. Questo per renderci consapevoli che gli aspetti poetici delle opere di Chagall si radicano in una vita che non è stata spensierata e romantica, ma cruda e faticosa, eppure feconda, fresca e tenace nell’amore.
«Scorrono gli anni, volano i mesi e i giorni. Quanta pioggia è caduta, quanta neve! Ti svegli una mattina, e pare che sia finito un altro anno, ma è soltanto un nuovo giorno, e qua e là è spuntata una nuova ruga: sulla schiena, sul soffitto, sulla guancia». (M. Chagall).
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di Suor Jessica Soardo
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