Come la cultura digitale inciderà sul modo di fare un discorso su Dio e sulla fede? Il termine cyberteologia è usato poco, e spesso il suo senso non è chiaro. La domanda invece è chiara: se i media elettronici e le tecnologie digitali modificano il modo di comunicare e persino quello di pensare, quale impatto avranno sul modo di fare teologia?
del 16 marzo 2012 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
          Se le esperienze specificamente religiose non possono essere intese come dipendenti dalle tecniche di comunicazione, è però evidente che le tecnologie telematiche stanno cominciando a influire anche sul modo di pensare la fede cristiana e, soprattutto, ad avere un influsso, ora virtuoso ora problematico, sulle sue categorie di comprensione. Ovviamente non si intende affermare una sorta di determinismo tecnologico, ma semmai proporre una riflessione sul contesto in cui già oggi ma soprattutto domani si svilupperà la riflessione teologica. Come la cultura digitale inciderà sul modo di fare un discorso su Dio e sulla fede?
          La riflessione fino a questo momento è stata soprattutto attenta alla religione in Rete in termini generali o anche alle «cybereligioni», al «tecnognosticismo» e al «tecnopaganesimo». È stata dunque più attenta al «religioso» che al «teologico» con il conseguente rischio di appiattire e omologare le identità e le teologie specifiche, quando esse non vengano poi ridotte da un puro approccio sociologico livellante. Certamente il fatto che siano nate alcune forme di religiosità virtuale in Rete è l’epifenomeno di un mutamento complesso e ampio nella comprensione del sacro. Tuttavia non è sufficiente fermarsi qui.
          In realtà la riflessione cyberteologica è stata avviata, ma nell’incertezza di un suo statuto epistemologico. Il termine infatti è usato poco, e spesso il suo senso non è chiaro. La domanda invece è chiara: se i media elettronici e le tecnologie digitali modificano il modo di comunicare e persino quello di pensare, quale impatto avranno sul modo di fare teologia? I primi timidi e rapidi tentativi di giungere a una definizione hanno in realtà cercato di chiarire i termini della questione.
          Susan George nel suo Religion and technology in the 21st Century. Faith in the e-World [Hershey (PA), Information Science Publishing, 2006] ha raccolto quattro definizioni di cyberteologia come esempio di una sua possibile comprensione.
* La prima definizione la inquadra come teologia dei significati della comunicazione sociale ai tempi di internet e delle tecnologie avanzate.
* La seconda la intende come una riflessione pastorale su come comunicare il Vangelo con le capacità proprie della Rete.
* La terza la interpreta come la mappa fenomenologica della presenza del religioso in internet. La quarta come il solcare la Rete intesa come luogo dalle capacità spirituali.
Si tratta, come si vede, di un tentativo interessante, sebbene iniziale, di definire un campo di riflessione.
          Debbie Herring, teologa inglese, a sua volta, nel sito che è una raccolta ragionata di risorse e links, ha distinto tre sezioni «teologia nel», «teologia del» e «teologia per» il cyberspazio.
* La prima raccoglie materiali teologici disponibili in Rete
* La seconda offre una lista di contributi teologici allo studio del cyberspazio
* La terza consiste in una raccolta di luoghi in cui si fa teologia in Rete (forum, siti, mailing lists…).
Queste distinzioni sono interessanti e fanno maggiore chiarezza, arricchendo la riflessione.
          Carlo Formenti nel suo Incantati dalla rete. Immaginari, utopie e conflitti nell’epoca di internet (Milano, Raffaello Cortina, 2000) dedica un capitolo alla cyberteologia intendendola come lo studio delle connotazioni teologiche della tecnoscienza, una «teologia della tecnologia», che invece la George tende a tenere distinta.
          Il fascicolo monografico della rivista Concilium del 2005 dal titolo Cyber-spazio, cyber-etica, cyber-teologia invece offre un contributo interessante che implicitamente sembra definire la cyberteologia come lo studio della spiritualità che si esprime in e attraverso internet e delle odierne rappresentazioni e immaginazioni del «sacro». Si tratterebbe, dunque, della riflessione sul cambiamento nel rapporto con Dio e con la trascendenza.
          Forse però è giunto il momento di fare un passo oltre, cercando un nuovo statuto più preciso per questa disciplina che sembra così difficile da definire. Occorre dunque considerare la cyberteologia come l’intelligenza della fede al tempo della Rete, cioè la riflessione sulla pensabilità della fede alla luce della logica della Rete. Ci riferiamo alla riflessione che nasce dalla domanda sul modo nel quale la logica della Rete, con le sue potenti metafore che lavorano sull’immaginario, oltre che sull’intelligenza, possa modellare l’ascolto e la lettura della Bibbia, il modo di comprendere la Chiesa e la comunione ecclesiale, la Rivelazione, la liturgia, i sacramenti: i temi classici della teologia sistematica. La riflessione è quanto mai importante, perché risulta facile constatare come sempre di più internet contribuisce a costruire l’identità religiosa delle persone. E se questo è vero in generale, lo sarà sempre di più per i cosiddetti «nativi digitali».
          La riflessione cyberteologica è sempre una conoscenza riflessa a partire dall’esperienza di fede. Essa resta teologia nel senso che risponde alla formula fides quaerens intellectum. La cyberteologia è dunque non riflessione sociologica sulla religiosità in internet, ma frutto della fede che sprigiona da se stessa un impulso conoscitivo in un tempo in cui la logica della Rete segna il modo di pensare, conoscere, comunicare, vivere.
          Forse è bene precisare, infine, che non sarà sufficiente considerare la riflessione cyberteologica come uno dei molti casi di «teologia contestuale», che, cioè, tiene presente in maniera specifica il contesto umano in cui essa si esprime. Al momento è certamente così. Tuttavia il contesto della Rete tende a non essere (e lo sarà sempre meno) isolabile come un contesto specifico e determinato, ma ad essere (e lo sarà sempre di più) integrato nel flusso della nostra esistenza ordinaria.
Antonio Spadaro
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