Da un anno ho un blog e non saprei dire perché l'ho avviato, forse per una comunicazione più ampia. Lo conduco come un diario in pubblico, e per esempio riporto le scritte che trovo sui muri, ma anche qui non so bene quello che faccio. Forse anch'io vado cercando l'uomo e immagino che un muro scritto ne abbia qualche sentore.
del 05 dicembre 2007
Dopo un anno di lettura dei muri - che mi ha preso e divertito più di quanto avessi immaginato - mi sono lasciato tentare dall'idea di rileggere le scritte che avevo trovato e di dire qualcosa della luce che - per un momento - avevano mandato verso di me. Perché uno trascrive una scritta murale? E prima ancora: perché uno - o una - scrive su un muro? Alle volte la ragione è detta dalla scritta che stiamo leggendo.
 
 
La parola della saggezza è come un animale smarrito
 
«Tutto il mondo lo deve sapere: ti amo troppo! Oriana»: scritto su un foglio appeso al cippo dei manoscritti che l'inverno scorso si trovava all'uscita della stazione di Roma Termini, al centro dell'androne detto «il dinosauro». «La parola della saggezza è come un animale smarrito» recita un hadith, cioè un detto del Profeta, che insegna come ognuno abbia «diritto di prenderla ovunque la trovi». Ecco l'idea che mi sono fatto in un anno di caccia lungo i muri: una scritta in pubblico è messa lì proprio perché venga «presa», se uno trova che possa essergli utile. Io spesso le prendo, da onnivoro mendicante di saggezza quale mi considero.
 
«Non so che fare. Tutto nasce e poi muore»: scritto sulla parete esterna di un vagone della metro B, a Roma. Questa non è forse una «parola» che vale la vernice con cui è stata tracciata? Ma anche quest'altra non è male: «Meglio soffrire dopo / che non aver amato»: frase scritta su un muro nei pressi del Ponte Vecchio a Firenze (me l'ha segnalata Lino, della Comunità di Bose). «Meglio un amore traviato che nessun amore», ho letto una volta in von Balthasar (Il chicco di grano. Aforismi, Jaca Book 1994, p. 89) e stava parlando della peccatrice alla quale in Luca molto viene perdonato perché «molto» aveva amato. «Chi pensa troppo si dimentica di vivere»: letto su un muro di via Ennio Quirino Visconti a Roma. La considero una versione murale dell'aulico «primum vivere deinde philosophari».
 
Tutti leggono e uno trascrive. Chi trascrive forse lo fa perché reputa interessanti quelle parole «smarrite». Le apprezzerebbe anche se le trovasse in un libro? Forse no, o non tutte. Quando le trova su un muro è sicuro che all'origine ci fu una forte intenzione: qualcuno per tracciare quella scritta ha comprato una bomboletta, si è arrampicato, ha rischiato una multa. Anche se poi ostenta noncuranza: «Ho una bomboletta in mano - la strada è deserta - e penso a te»: scritto a grandi lettere sul selciato in via Borgo Pio, a Roma.
 
Tendiamo a pensare che una parola costata qualcosa meriti ascolto. A volte si intuisce che il costo è tutto morale e s'immagina che lo scrivente paghi il prezzo della dichiarazione pubblica per arrivare a un solo destinatario: «Due parole: Davide parlami…»: letto a Roma, in via Marcora, vicino alla sede delle ACLI.
 
«Deborah ti amo - perdonami»: scritto sull'edificio d'ingresso alla stazione Quintiliani della metro B di Roma. «Fede anche se tu non mi vuoi sentire io scrivo qui che sono innamorata persa di te»: letto a Bologna, in via Zamboni, zona universitaria, a una fermata dell'autobus. «Prima eri come l'oro - ora sei come loro»: scritto sul cornicione dell'Agenzia delle entrate di Recanati.
 
 
Vai a scuola e impara dalla strada
 
«Passero ti amo… rivoliamo insieme?»: letto su un muro di Caserta. Richiama il Cantico dei cantici: «Vieni colomba mia». Trovo che mi spinge a trascrivere dai muri e dai guard-rail anche l'idea che potendo mettere lì poche parole, colui che scrisse le abbia scelte bene. Un po' come le «ultime volontà» dette con poco fiato.
 
Vedendo volumi a cataste nel settore «novità» delle librerie siamo colti da sgomento, come quando Google ci dà migliaia di risposte appena digitiamo una domanda. Uno sgomento che descriverei così: di sicuro in questi volumi ci sono perle, ma come farò a trovarle? Quando uno a vent'anni cerca una donna - poniamo all'Università La Sapienza - dice a se stesso: qui ce ne sono a meraviglia, ma quale sarà la mia? Perché questo autore che pubblica ottocento pagine non formula un messaggio più mirato?
 
La scritta sul muro appare - a me ingenuo cercatore - come il messaggio più mirato, quello che lo scrivente sentiva come necessario. Forse è questo richiamo all'essenziale che aveva in mente il drastico elogio dei graffiti murali che mi è capitato di leggere su un muro di Caserta: «Diffidate dei libri, leggete sui muri». Lo considero un invito a guardare con sospetto gli scrittori professionali. Un po' come si fa con i professionisti della politica.
 
«Vai a scuola e impara dalla strada»: scritto sulla parete di sinistra della stazione di Tagliacozzo, per chi la guarda dal treno. «Grazie per aver letto»: scritto su un foglio che ho trovato a terra in via dell'Arancio a Roma. Un equivalente gentile del villano «fesso chi legge», che furoreggiava sui muri d'antan. Potrebbe essere il motto di chi tiene un blog. Quasi non vedo differenza tra chi mette le sue parole su una sperduta bacheca del web e chi le affida a un vagone della metropolitana. Nei due casi lo scrivente si rivolge a chi passa di là.
 
 
Riderò di voi perché siete tutti uguali
 
Come ogni altro segno tracciato dall'uomo anche le scritte murali possono dire felicità e disperazione, o un sentimento intermedio che dura appena per il tempo impiegato a tracciare quelle parole: «Siamo stati a Roma e il mondo può anke finire. 6.10.05 Cri e Vero». Letto a Roma nella Galleria Principe Amedeo, sulla parete lungo il marciapiede di destra per chi cammina verso il Tevere. «è stato stupendo. Ringrazio Roma per averci ospitato, qui si sogna e si è felici! Il Paradiso terrestre. Kiara»: scritta tracciata con pennarello nero sul basamento dell'obelisco di piazza del Popolo, a Roma, forse in occasione dell'ultima notte bianca. Quanta felicità e pensare che io neanche riesco a capire il senso della «notte bianca».
 
Un tono di dramma risuona invece da questa scritta che ho letto su un guard-rail a duecento metri dal santuario di Tindari, all'altezza del teatro greco: «Prego il Signore e la Madonna del Tindari di cancellarti da me al più presto e di non farmi più soffrire».
 
Altre volte si sente in chi scrive all'aperto il professionista della protesta solitaria: «Ma io riderò di voi perché siete tutti uguali»: letto sulla parete esterna di un vagone della metro B, a Roma. «Non comando né sarò comandato»: scritto su un murale antimilitarista - si vedono elmetti e canne di fucile - in via Giuliano l'Apostata, a Roma.
 
Cè anche la protesta naïf, così naïf da apparentarsi con il grido apocalittico: «Dove andate cornuti e mignotte bastardi che ci sta la fine del mondo?»: scritto su un muro in via Paolina, a Roma, all'angolo che dà sul fianco sinistro Santa Maria Maggiore. «Quando Dio piange la fiamma può spegnersi»: scritto con pennarello nero su un vecchio manifesto di Alleanza Nazionale in piazza San Silvestro, a Roma.
 
A volte invece ci si ferma a metà, in una specie di protesta soccorrevole.
 
 
Non ti voglio ma sono bugiarda
 
«La società mi insegna solo a odiare - mi esprimo illegalmente e cerco di amare»: scritto a grandi lettere nere su un vagone della metro B di Roma. Come per le poesie e i romanzi, è l'affetto il maggior ispiratore di scritte abusive. Sia l'incantamento allo stato nascente: «Da quando ho te credo negli angeli. Nando»: letto su una parete del sottopasso della stazione di Santa Marinella; sia il quotidiano mano nella mano: «Su queste due panchine si sono seduti due innamorati due. Mirko e Linda»: letto su una parete della stazione Termini della linea A della metropolitana di Roma.
 
Ma soprattutto la complicità giocosa del simile verso il simile: «Miao Micia! FC»: scritta su un muro, leggibile dalla ferrovia sul tratto La Spezia-Lerici. «Patatonzola ti amo. by patatonzolo»: letto a Ferrara, su un muro di via Gianfranco Rossi. Non mancano le titubanze tipiche di un sentimento ancora acerbo: «No, non ti voglio, ma sono bugiarda…»: scritto a grandi caratteri su un muro della via Aurelia, davanti all'Arena Lucciola, a Santa Marinella.
 
«Ci siamo fatti una promessa, quella di non sentirci più. Ma non vorrei che avvenisse perché ti voglio troppo bene»: letto sui teloni che fino all'inverno scorso coprivano l'obelisco di piazza del Popolo, a Roma. Quando ho riportato questa scritta nel blog, ho ricevuto un'e-mail da un ragazzo che mi diceva: «Quella è proprio la mia situazione».
 
Tra i nomignoli dell'affetto domina il «principessa» promosso dal Benigni de La vita è bella, ma eccone uno a me nuovo e più gradito: «Buongiorno spettacolo! Ti ho già detto che ti amo»: scritto su una saracinesca in via S. Severo a Roma.
 
Il messaggio più dispiegato l'ho letto a Verona, tracciato sul parapetto di sinistra del Ponte di pietra, poco oltre la metà per chi viene dalla via di Pietra:
 
Questo sei tu dentro di me
«Il fiume sembra una strada, scorre tranquillo come all'inizio l'amore. Poi inevitabilmente scatena la sua forza irresistibile, inarrestabile. Questo sei tu dentro di me. Vivienne, giugno 2005-giugno 2006».
 
Il più bello dei graffiti da me trascritti è questo che ho trovato su un muro di Trapani (nei pressi di Palazzo Riccio di Morana) e che mi attira per i significati che potrebbe avere, come si addice alla poesia: «Chissà se quando saremo andati / ci saranno ancora innamorati». Amare vuol dire anche temere, per sé e per tutti. Gesù una volta ebbe un presentimento tristissimo: «Ma il Figlio dell'uomo, quando tornerà, troverà ancora la fede sulla terra?».
Luigi Accattoli
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