Povertà evangelica o avarizia: dove inizia l’una e finisce l’altra? Si nasce generosi o lo si diventa?
Che differenza passa tra l’autentica generosità e quella facciata di bene che ci toglie il senso di colpa?
Come vale per tutte le virtù, così anche la generosità evangelica viene allo scoperto solo grazie ad uno sguardo di fede.
È troppo poco dire che Dio vive la generosità, è generoso o altro di simile. Provando a balbettare qualcosa di più profondo e autentico, Dio è generosità fatta Persona divina. È divina generosità. Fin da prima dell’inizio dei secoli, Dio Padre si dona, trabocca amore verso suo Figlio Gesù Cristo: questo in un modo che la nostra parola “generosità”, anche se portata al massimo livello, è solo un minuscolo granello di sabbia nell’infinita spiaggia dell’amore di Dio. Dio Padre e Dio Figlio si amano da sempre talmente tanto, in modo indescrivibilmente sincero, maturo, fremente e fecondo… da far traboccare il loro amore nell’esistenza eterna dello Spirito Santo Amore.
In Dio, Trinità infinita, non esiste neppure una briciola di avarizia… nessuno tiene qualcosa per sé, tutto è dono donato e al tempo stesso ricevuto.
«Fratelli, come siete ricchi in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così siate larghi anche in quest’opera generosa. Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà»
(San Paolo, 2 Corinzi 8, 7.9).
Secondo san Paolo, essere cristiani significa in primo luogo contemplare la generosità assoluta che Cristo ha vissuto attraverso l’incarnazione – accettare di essere vero Dio e vero uomo – allo scopo della sua e nostra risurrezione e partecipazione – insieme a Lui – alla vita da Dio.
San Paolo scrive il brano sopra riportato in una circostanza ben precisa: sta chiedendo ad alcuni cristiani di farsi carico economicamente di altri fratelli nella fede. Un bel canto liturgico diceva:
«Quante volte crediamo di dare, ma diamo il di più. Invece l’amore vero è un taglio sul vivo, è dare la vita».
Se ci accontentiamo di meno di questo, stiamo già cadendo nell’avarizia. Cristianamente.
Era in una parrocchia della sua diocesi di Milano.
Al momento della preghiera dei fedeli, un’animatrice presenta le parole preparato assieme al suo gruppo, che più o meno dicevano:
«Ti chiediamo, o Signore, di saper donare un po’ del nostro tempo e delle nostre energie nel volontariato e nel servizio a favore di chi è nel bisogno».
Il cardinale ascoltò con tanta attenzione da rispondere a quella giovane (senza nominare la parrocchia!) in una lettera aperta, settimane dopo pubblicata sulla rivista dei giovani della diocesi. Ebbe il coraggio e la fermezza, assieme alla delicatezza, di scriverle:
«Attenta, carissima: non so se qualcuno te l’ha mai detto, ma la tua preghiera è semplicemente sbagliata; non rispecchia lo spirito del cristianesimo».
Cristo non ha fatto il “Babbo Natale” cospargendo di doni l’universo. Invece, nello stile del vero Dio, è nato, ha obbedito a sua madre e suo padre, ha fatto il falegname per trent’anni, ha predicato la buona novella, ha fatto del bene a tutti, ha addirittura rispettato la libertà umana (che a volte si tramuta in vera e propria cattiveria) al punto tale da lasciarsi mettere in croce. Ma il male non poteva avere l’ultima parola sul bene; l’avarizia non aveva diritto di sovrastare la generosità; l’amore era ed è più grande della morte e del peccato. Quindi Gesù è risorto dai morti, per poter accogliere con sé, nell’intimo della Trinità, ciascuno di noi.
Allora cadrà ogni falsità, doppiezza, egoismo, avarizia… saremo come sotto una splendida cascata di grazia divina:
«Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio»
(Luca 6).
Versione app: 3.25.0 (fe9cd7d)