Chi ama e chi odia. Gli alunni delle scuole in Africa: eroi e martiri

I miliziani islamisti della Nigeria vogliono ammazzare bambini e ragazzi che vanno a scuola. E perché? Perché se vanno a scuola avranno un futuro da istruiti. E questo i miliziani terroristi non lo vogliono.

 

del 03 ottobre 2013

 

 

Mi siedo al pc e vedo arrivare un lancio dell’agenzia Adn/Kronos che dice: «È di almeno 50 studenti uccisi il bilancio dell’attacco da parte di un commando di sospetti miliziani del gruppo islamista Boko Haram contro un istituto agrario nel distretto di Gujba dello stato di Yobe, nella Nigeria nord orientale. Lo riferisce la Bbc che cita fonti delle autorità locali.

Gli studenti sono stati colpiti nel sonno mentre si trovavano nel dormitorio della scuola. Il nord est della Nigeria si trova da tempo in stato di emergenza a seguito dei ripetuti attacchi degli islamisti di Boko Haram, che negli ultimi mesi hanno lanciato una serie di attacchi contro le scuole». Sono appena rientrato da un cinema, ho visto Io vado a scuola, bellissimo documentario sulle fatiche che affrontano i ragazzi in età di scuola elementare e media inferiore per andare a lezione, in Kenya Patagonia Marocco India. In Kenya un ragazzino di dieci anni, Jackson, attraversa ogni mattina quindici chilometri di savana, badando ad evitare gli animali feroci.

Si ferma sui cocuzzoli delle colline per vedere i branchi di animali, e poi, scendendo, ci gira alla larga. In Marocco la piccola Zahira di undici anni va con le amiche e deve scavalcare un pezzo dell’Atlante, salendo per sentieri ripidi, con la borsa a tracolla. In India Samuel deve percorrere soltanto quattro chilometri, ma ci mette un’ora e mezza, perché non ha l’uso delle gambe, è su una carrozzella, la spingono a mano due fratelli. Sta seduto voltato all’indietro, ma avverte i fratelli prima di ogni buca, perché conosce la strada a memoria, e ricorda bene dove la carrozzella s’è rovesciata.

In Patagonia Carlito di undici anni è forse il più fortunato, anche se ha venticinque chilometri da percorrere, perché si sposta a cavallo insieme con la sorellina, e per lunghi tratti spinge e va al galoppo. Ha soltanto un noioso problema, la sorella che gli siede dietro e s’aggrappa con le mani ai suoi fianchi ma vorrebbe passar davanti e guidare lei l’animale. La cosa è vietata dalla mamma, nelle raccomandazioni che fa ai figli prima che partano. Ma alla fine la bambina la spunta e impugna le briglie, molto divertita.

Tutti arrivano a scuola. Particolare notevole: in tutte le scuole, prima delle lezioni, gli studenti assistono in cortile all’alzabandiera, cantando l’inno nazionale. Ne abbiamo noi di cose da imparare! Dunque, ho appena visto il documentario, subito dopo leggo del massacro in una scuola della Nigeria, e l’impressione è che hanno voluto ammazzare i miei studenti, quelli che ho appena visto fare chilometri e chilometri per andare a lezione.

Quando una bomba cade in una scuola e fa una strage, il nostro pensiero è: «Danno collaterale». Pensiamo, inconsciamente, che nessuno voglia uccidere i ragazzini. E invece no: i miliziani islamisti della Nigeria vogliono proprio ammazzare bambini e ragazzi che vanno a scuola. E perché? Perché se vanno a scuola avranno un futuro da istruiti. E questo i miliziani terroristi non lo vogliono. Vogliono per loro un futuro da analfabeti. Nell’analfabetismo la loro ideologia prolifera, nell’istruzione muore.

Dunque, chi istruisce bambini e ragazzini aiuta il paese e gli dà un futuro. Ogni volta che penso al binomio «India-scuola», mi viene in mente (scusate, so di averne già accennato qui tre anni fa, ma è un ricordo dolcissimo) un missionario salesiano mio amico (cioè: mi onorava della sua amicizia), che insegnava alle elementari in India. Le famiglie accorrevano a iscrivere i loro figli, alla prima elementare, anche prima che avessero sei anni. Quando ne avevano 5 o 4. Allora i missionari allineavano i bambini e li passavano in rassegna: i bambini dovevano, dritti in piedi, alzare la mano destra, scavalcare la testa e toccarsi l’orecchio sinistro.

Chi ci arrivava aveva sei anni, chi non ci arrivava ne aveva meno, e veniva rimandato indietro, tra la costernazione della madre. Tutta la vita il mio salesiano ha insegnato in India. Questo significa amare l’umanità. Anche i terroristi islamici mettono in fila i ragazzini che vogliono studiare, ma per falciarli a raffiche. Questo significa odiare l’umanità.

 

 

Ferdinando Camon

http://www.avvenire.it

 

 

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