Chi ci salverà dal nostro male?

Nel fatto di oggi niente di tutto questo, ma una banalità disarmante e incredibile: una casa, una strada, un festino in cui un intruglio di cose purtroppo consuete nel modo giovanile e non solo condisce relazioni che scivolano presto dalla perversione alla violenza.

Chi ci salverà dal nostro male?

da Quaderni Cannibali

del 15 aprile 2010

 

          Basta lo squillo del telefonino mentre si è a fare la spesa e il male di cui siamo fatti cade come un macigno sulle vicende quotidiane per fortuna più normali: la notizia della sedicenne russa uccisa e mangiata dai due amici ventenni e la richiesta di un commento. Che cosa c’è da dire? C’è tutto nel fatto: la droga, la musica, lo scherzo prima, poi il delitto e infine per sbarazzarsi del cadavere lo si fa a pezzi e lo si mangia. Dopo due giorni di digiuno, «avevamo molta fame».

 

          Insieme al fatto, un altro fatto: la notizia è quella più cliccata sulla rete. Un altro banchetto, mediatico, degli orrori. “La bocca sollevò dal fiero pasto quel peccator”: il verso di Dante che ha riempito di orrore generazioni di lettori si trova nel più cupo e più ghiacciato posto dell’inferno e la rabbia cieca che contiene è preludio al racconto della morte del conte Ugolino e dei quattro ragazzi chiusi con lui nella torre, si creda o no alla leggenda del cannibalismo. C’è un tradimento, una vendetta, una condanna sproporzionata e infine l’odio permanente che divora tutti, la vittima e il colpevole.

          Nel fatto di oggi niente di tutto questo, ma una banalità disarmante e incredibile: una casa, una strada, un festino in cui un intruglio di cose purtroppo consuete nel modo giovanile e non solo condisce relazioni che scivolano presto dalla perversione alla violenza. Il resto del mondo sta alla finestra del suo computer e mangia la notizia fino all’indigestione. E’ un fenomeno molto noto l’avidità per il male, che spesso diventa morbosa come una bulimia, ma non finisce di meravigliare come un numero enorme di persone se ne cibi. Fosse almeno per rigettarlo.

          “Beato chi ha fame e sete di giustizia”: una voce risuona da secoli e anche oggi promette che la fame sarà saziata. Non è la fame del corpo quella di cui parla Cristo, anche se parte da lì: altrimenti non avrebbe moltiplicato i pani e dopo non si sarebbe sottratto alla folla che voleva farlo re. E’ la fame di un senso per vivere, poiché questo è il significato primo della giustizia. E Cristo ha offerto se stesso come nutrimento per chi ha questa fame.

          Non è un caso se nella sua lettera ai cristiani d’Irlanda dopo i noti scandali, il Papa chieda a quella Chiesa di ricominciare dall’unico che può ristabilire la giustizia, con la pratica della Confessione e dell’adorazione eucaristica. Veramente qui risplende la fede: sembra un granello di senape in mezzo alla montagna di dolore, di carta, di sporcizia.

          Forse è venuto il tempo anche per noi, che viviamo una situazione più serena, di fare la nostra parte di penitenza. Non si tratta più solo di rattristarsi, di condannare e di dimenticare quanto prima. “Nulla di ciò che è umano ritengo estraneo a me”, dicevano gli antichi; e noi aggiungiamo neanche il male. Ma per poterlo portare nella nostra coscienza di uomini, in modo che nel mistero dell’alchimia divina serva al bene, occorre appoggiarsi a chi è buono come il pane, occorre guardare: “Ecco l’uomo”.

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Laura Cioni

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