Che senso ha avere (o non avere!) crocifissi di legno, di metallo, d'oro o d'argento appesi qua e là, quando la vita ce li pone davanti agli occhi tutti i giorni! Ecco perché un uomo in croce ci fa spesso paura; perché ci ricorda che noi siamo niente quando lottiamo solo per noi stessi, quando vince l'egoismo e l'amor proprio, la brama di desideri e di ricchezza, l'autoaffermazione e il compiacimento personale. Non si tratta di tirarsi indietro dai dibattiti pubblici o privati di questi giorni, di non lottare per un segno o un simbolo, ma di farlo con la consapevolezza che ciò che conta è altro.
del 09 novembre 2009
Chi ha paura di un uomo in croce? E’ questa la domanda che mi ritorna in questi giorni di dibattito, troppe volte aspro e spettacolarizzato mediaticamente, sulla questione della presenza del Crocifisso nelle classi. Se dovessimo svolgere un tema, di certo gli argomenti non mancherebbero: la questione delle radici cristiane dell’Europa, il tema dei diritti uguali per tutti, il rapporto tra Cristianesimo e Islam, l’ingerenza o meno delle istituzioni europee nella nostra legislazione, il simbolo che dà identità al nostro popolo. Queste e altre le piste da approfondire per scrivere un buon compito in classe di Italiano.
Già, tutto valido per una prova scolastica, ma la vita cristiana è un’altra cosa, non deve essere strumentalizzata né dalla politica, né dalla cultura, né dai media; allo stesso tempo i nostri discorsi, quelli dei cattolici che cercano con fatica di vivere il Vangelo tutti i giorni, non possono cadere nella trappola, per così dire, del mondo, delle varie strumentalizzazioni, di troppe parole che possono essere travisate e persino destare l’effetto contrario. Chi ha paura di un uomo in croce? Lo ripeto tante volte ai ragazzi e ai giovani che incontro nella mia vita professionale e nel mondo del volontariato, lo ripeto perché credo che dobbiamo guardare le cose in una prospettiva diversa dalla deriva di questi giorni, anzi direi che è proprio dalla croce che tutto si può osservare in modo nuovo. Forse siamo proprio noi, i cattolici praticanti, che abbiamo paura di un uomo in croce tanto che ce ne ricordiamo spesso solo in questi momenti, poi la notizia diventa vecchia e tutto ritorna come prima. Se non avessimo paura, potremmo noi stessi essere dei “crocifissi” e quindi dei “risorti” in Cristo, così da non turbarci più di tanto per una sentenza, sicuramente spiacevole, ma che non tocca la nostra fede. La fede, il Vangelo, la Chiesa sono ben altra cosa! I crocifissi da togliere e da proteggere, per gli uomini e le donne di chiesa, sono i poveri del mondo che andrebbero sollevati dalla miseria, sono i bambini sfruttati che gridano aiuto, sono i senza dimora che chiedono attenzione, sono i giovani che hanno bisogno di relazioni significative, sono i soli, gli abbandonati, i perseguitati, gli esuli, i malati. Mi piacerebbe che “questi crocifissi” già inchiodati nelle miserie del mondo, già assimilati alla Croce di Cristo, fossero al centro dei dibattiti quotidiani, delle contese ideologiche, delle prime pagine dei giornali, nelle azioni concrete dei politici, nelle scelte politiche che contano.
Che senso ha avere (o non avere!) crocifissi di legno, di metallo, d’oro o d’argento appesi qua e là, quando la vita ce li pone davanti agli occhi tutti  i giorni! Ecco perché un uomo in croce ci fa spesso paura; perché ci ricorda che noi siamo niente quando lottiamo solo per noi stessi, quando vince l’egoismo e l’amor proprio, la brama di desideri e di ricchezza, l’autoaffermazione e il compiacimento personale. Non si tratta di tirarsi indietro dai dibattiti pubblici o privati di questi giorni, di non lottare per un segno o un simbolo, ma di farlo con la consapevolezza che ciò che conta è altro e che nessuno potrà eliminare i veri crocifissi, i cristiani, i fedeli a cui si dovrebbero tagliare le abbraccia per non avere il “segno della croce” sempre presente. Infine mi piace ricordare la prospettiva della Croce di Gesù, che è anche modello per ogni nostro gesto, per le parole e le azioni in questo tempo di confronto anche acceso; sono le parole di Gesù sulla croce che ci devono guidare per non dar scandalo, per non essere manchevoli di carità, per non perdere di vista l’essenziale. “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”, “Oggi sarai con me in Paradiso”, “Donna, ecco tuo figlio; figlio, ecco la tua madre”.
Marco Pappalardo
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