Mi associo all'invito di padre Livio, di Radio Maria, per pregare per il Papa soprattutto nei giorni del suo viaggio in Turchia. Ripropongo la famosa preghiera scritta da Leone XIII a San Michele Arcangelo...
del 06 novembre 2006
Mi associo all’invito di padre Livio, di Radio Maria, per pregare per il Papa soprattutto nei giorni del suo viaggio in Turchia. Ripropongo la famosa preghiera scritta da Leone XIII a San Michele Arcangelo, protettore della Chiesa (questa preghiera, fino al Concilio Vaticano II, veniva recitata alla fine di ogni Messa):
“San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia contro le insidie e la malvagità del demonio, sii nostro aiuto. Te lo chiediamo supplici che il Signore lo comandi. E tu, principe della milizia celeste, con la potenza che ti viene da Dio, ricaccia nell'inferno Satana e gli altri spiriti maligni, che si aggirano per il mondo a perdizione della anime. Amen”. 
 
Il Papa è in pericolo. Lo stiamo scrivendo, come semplici osservatori, da un mese e mezzo su questo giornale e oggi abbiamo alcuni gravi motivi in più per ripeterlo e per suggerire l’annullamento del viaggio in Turchia (dal 28 novembre al 1° dicembre). La Turchia è sempre stato un posto difficile da frequentare per un Papa. Ma nelle ultime settimane le cose si sono ancor più aggrovigliate (e c’è pure un enigmatico precedente che poi vedremo).
 
Cosa sta accadendo oggi? Dopo il discorso papale di Ratisbona, il 15 settembre scorso, è stato proprio il premier turco Erdogan lo statista musulmano che ha lanciato l’attacco più sorprendente e arrogante contro il Pontefice. Esigendo addirittura le sue scuse. Ora si è saputo che lo stesso Erdogan si è inventato un pretesto e non incontrerà il Papa.
 
Probabilmente per non alienarsi consensi in vista delle elezioni. Perché l’ostilità turca al Papa si sta allargando ed è sia religiosa che politica. Islamisti e nazionalisti sono le due forze più forti nella società turca di oggi. I primi non perdonano al Papa il discorso di Ratisbona. I secondi non gli perdonano di essersi pronunciato – quando era cardinale – contro l’ammissione della Turchia nella Ue.
 
Il fatto stesso che un paese importante come la Germania fosse, col governo socialdemocratico, lo sponsor dell’ingresso della Turchia nella Ue, e oggi, con la democristiana Merkel, sia fra i refrattari, viene assurdamente imputato all’influenza del Papa anche dai giornali occidentali e questo alimenta le tensioni. In realtà se il rapporto fra la Turchia è la Ue è precipitato in una grave crisi il Papa non c’entra proprio niente. Le contestazioni che la Ue rivolgerà ad Ankara nel rapporto ufficiale dell’8 novembre prossimo sembra si riferiscano al rispetto dei parametri posti dall’Europa: la situazione di Cipro, la libertà di espressione in Turchia, i diritti delle minoranze etniche e religiose, il rispetto dei diritti umani (per esempio in relazione all’uso della tortura nelle carceri), infine il peso esorbitante dei militari nella vita democratica del Paese.
 
Questa crisi della trattativa fra Ue e Turchia si accompagna a una grande gelata nelle due opinioni pubbliche. In quella europea coloro che vedono con favore l’ingresso della Turchia sono crollati dal 30 per cento al 21 per cento (dal 2004 al 2006), mentre gli ostili sono aumentati dal 20 al 32 per cento. In Turchia, di riflesso, l’orgoglio nazionalista si è rinvigorito e quanti vogliono l’adesione alla Ue sono in caduta libera (dal 73 al 54 per cento) mentre salgono i contrari (dal 9 al 22 per cento). Ma soprattutto si fanno più forti gli islamisti che preferiscono l’Iran all’Europa (dal 34 al 43 per cento).
 
La visita del Papa, fin dall’inizio, malgrado le intenzioni della Santa Sede fossero del tutto opposte, si è trovata dentro questa tenaglia politica. Non a caso a sbloccare il “sì” delle autorità turche alla visita era stato l’assassinio a Trebisonda di don Andrea Santoro. Il governo turco aveva l’assoluta necessità di dimostrare all’Europa che si era trattato del gesto del solito “pazzo isolato”. Per questo aveva dato l’ok alla visita del pontefice. Quell’omicidio però ha rivelato quanto forte sia all’interno della Turchia il fanatismo islamista e quanto le autorità siano desiderose più di minimizzare il tutto, con una frettolosa condanna del colpevole singolo, che di sradicare il fenomeno indagando in profondità.
Oggi stanno guadagnando terreno le forze che, all’interno della Turchia, vogliono mettere fine al dialogo considerando un affronto le condizioni poste dalla Ue. Ma non sono soltanto le forze islamiste (le quali vorrebbero trascinare la Turchia a Oriente), probabilmente anche all’interno dello Stato e del nazionalismo turco vi sono pulsioni simili.
 
In questa opaca situazione, in un Paese che da sempre è crocevia occulto di vari servizi segreti e organizzazioni terroristiche, più d’uno dunque può aver valutato il pesantissimo contraccolpo politico che deriverebbe da un attentato al Papa durante la sua visita. Ieri un fanatico ha sparato in aria minacciando il pontefice.
 
E’ noto che da qualche mese in Turchia un libro inquietante ha conquistato le vette delle vendite. Si intitola: “Attentato al Papa. Chi ucciderà Benedetto XVI a Istanbul”. E’ un giallo, di pura fantasia ovviamente, ma ha fatto discutere molto per il suo successo e il contesto in cui è uscito. Il suo autore, Yucel Kaya, in una recente intervista, ha fatto considerazioni molto inteligenti: “Nei giorni della visita la sicurezza del pontefice sarà la prima preoccupazione dello Stato turco. La mia paura è un’altra: che altri soggetti possano attentare alla vita del papa, facendo poi ricadere la colpa sulla Turchia”.
 
Lo scrittore con molta franchezza riconosce pure che “ai turchi papa Ratzinger non piace”. Ma va detto che sono molti altri coloro a cui questo pontefice, che si annuncia come un grande papa per la Chiesa, dà fastidio. In conclusione Kaya dichiara: “Non mi sento così sicuro che andrà tutto liscio. Perchè le cose che possono capitare sono veramente tante, anche senza pensare per forza a una tragedia”.
 
Ci troviamo dunque nell’angosciante situazione di un possibile attentato annunciato. Naturalmente tutti speriamo che non avvenga mai, che sia un falso allarme. Per la Chiesa sarebbe una tragedia immensa. Ma c’è un precedente inquietante, che riguarda Giovanni Paolo II e – ancora una volta – la Turchia. Tutti ricordano l’attentato a papa Wojtyla, il 13 maggio 1981, del killer turco Alì Agca. Il Papa fu ridotto in fin di vita e sopravvisse per puro miracolo.
 
E’ meno noto che il nome del killer e la sua intenzione di uccidere il Papa erano conosciuti da almeno un anno e mezzo. Ben prima dell’attentato. Di misterioso infatti, nella vicenda di Agca, non c’è solo il nome dei mandanti. Agca – che apparteneva ai “Lupi grigi” - il 1° febbraio 1979 aveva assassinato Abdi Ipekci, direttore del quotidiano liberale Milliyet, il più importante della Turchia. Sebbene rinchiuso in luglio nel carcere militare di massima sicurezza di Kartel Maltese, il 25 novembre era riuscito ad evadere. Impresa alquanto sorprendente, soprattutto considerando le carceri turche.
 
Ancora più sorprendente che, il giorno dopo l’evasione, Agca anziché pensare a nascondersi abbia provveduto a mettersi in mostra inviando proprio a Milliyet una lettera dove annunciava l’uccisione di papa Wojtyla alla vigilia del suo viaggio in Turchia: “Gli imperialisti occidentali” scriveva “temendo che la Turchia e le nazioni islamiche possano diventare una potenza politica, militare ed economica nel Medio Oriente, stanno mandando in Turchia, in questo delicato momento, il Comandante delle Crociate, Giovanni Paolo II, spacciato come leader religioso. Se questa visita non sarà revocata, io ucciderò il Papa comandante”.
 
E’ noto che Wojtyla e Ratzinger non sono uomini da arretrare di fronte alle minacce. Il primo, proprio sei mesi prima dell’attentato, dichiarò “Noi dobbiamo abituarci a subire in un tempo non lontano grandi prove, che richiederanno da parte nostra la disponibilità a perdere la stessa vita…”. Il secondo, papa Ratzinger, addirittura nella messa di insediamento ha affermato: “Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà”, ma di fare come “il buon pastore che offre la sua vita per le pecore”.
 
Tuttavia i suoi collaboratori hanno il dovere di proteggerlo e – se possiamo formulare un auspicio – in questo caso convincerlo almeno a rinviare questo inquietante viaggio. I rischi sono ormai immensamente più grandi dei benefici. 
Antonio Socci
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