L'adolescenza non è una passeggiata ma una sorte di campo minato dove ogni decisione viene messa alla prova e ostacolata dallo stress. Nello sport la chiamano "ansia da prestazione" ma, cambiati i termini, potrebbe funzionare in ogni dove dell'esistenza: nei banchi di scuole, negli uffici di lavoro, nelle sale d'attesa degli ospedali, nelle interminabili file ai concorsi.
del 28 giugno 2011
 
          Suicidato per un esame non superato. Con in calce a tale gesto un biglietto ch'è la perfetta sintesi di un disagio arrecato nel cuore: 'chiedo scusa'. L'ennesimo suicidio che nemmeno reca più scalpore tra le mille notizie di cronaca nera che rimbalzano di giorno in giorno sui giornali: tredici morti sotto i bombardamenti, quattro ragazzi si sono tolti la vita, cinquanta clandestini affondati nel mare, tredici dispersi nelle acque dopo un nubifragio.
          Solo l'abitudine – questa maldestra signora ch'è da millenni una morte pagata a rate come diceva il buon Peguy – ci salva dalla disperazione di un mondo alla disperata ricerca di un centro attorno al quale ruotare. Ci salva facendoci passare per 'normali' queste tragiche notizie ormai di ordinaria amministrazione. Stavolta è stata la bocciatura ad un esame a scatenare l'inferno nell'animo dello studente in questione: altre volte è l'amore con le sue delusioni, la giovinezza con i suoi desideri infranti, la mancata corrispondenza tra sogni e realtà. Quasi che questi gesti ci vogliano raccontare la fragilità di un animo giovane che in cert'attimi dell'esistenza è sempre più incapace di reggere il ritmo e l'incalzare delle mille pressioni che avverte addosso.
          In questi giorni la neurologa americana Adrian Galvàn dell'Università di Los Angeles ci avverte che l'adolescenza non è una passeggiata ma una sorte di campo minato dove ogni decisione viene messa alla prova e ostacolata dallo stress. Nello sport la chiamano 'ansia da prestazione' ma, cambiati i termini, potrebbe funzionare in ogni dove dell'esistenza: nei banchi di scuole, negli uffici di lavoro, nelle sale d'attesa degli ospedali, nelle interminabili file ai concorsi. Chi regge è fortunato e forse un giorno s'inventerà a sue spese un manuale di sopravvivenza, chi magari non è così fortunato inizia a sentirsi inadatto, perdente e sconfitto fino a scegliere da lui stesso di chiudere anzitempo la partita. Lasciando scritto 'chiedo scusa'. E togliendo il disturbo.
          Il suicidio di un ragazzo è sempre un campanello d'allarme per una società che abbia a cuore l'educazione e l'allenamento dei suoi giovani. Oggi si nasce spesso e volentieri già piccoli campioni, decretate promesse e si finisce veramente a credere che nella vita valga semplicemente la vittoria qualunque essa sia: in fin dei conti sono i nostri adulti a insegnarci a tutti i costi come fare ad avere successo, a vincere, a gestire i 'quindici minuti di celebrità' che ognuno è tenuto ad avere nella sua vita. Chi nel suo piccolo s'addentra nell'insegnare come si faccia anche a gestire una sconfitta, un insuccesso o una prestazione al di sotto delle aspettative passa per una riedizione della Cassandra dell'antichità apportatrice di sciagure. Quando, invece, è la vita stessa a mostrarci in presa diretta che il più delle volte ci sono sconfitte da gestire e da capitalizzare piuttosto che vittorie eclatanti di cui bearsi all'ombra degli allori. L'ha scritto un ragazzo sul muretto di una strada di montagna ed è un'affermazione evangelica degna della menzione più bella: 'chi vince non sa che cosa si perde'. Scritta da una penna giovane non è solo un grido di denuncia ma un voler mostrare ad un mondo sempre più sordo alle voci dell'anima che è dentro la sconfitta che nascono i riscatti più belli. E' un far sentire nostalgia di futuro perchè solo chi porta ferite nel corpo riesce a trasmettere il sapere con credibilità.
          Educare i ragazzi è come fare una trasfusione di sangue: l'hai donato, non ti resta che attendere che da quelle vene esca la possibilità del più alto e del più modesto destino. Perchè l'esistenza è una libertà d'allenare e far gustare.
 
Don Marco Pozza
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