Chiesa e arte, attrazione fatale

Mi rendo conto, purtroppo, che si tratta di un concetto difficile per un mondo in cui la femminilità è degradata a elemento funzionale, secondo una logica di prostituzione. Ci vorrebbe "il lampo sfuggito a caso fra il cielo e la terra".

Chiesa e arte, attrazione fatale

da Quaderni Cannibali

del 18 novembre 2009

 C’è un taccuino che Alberto Bevilacqua non apre da oltre 30 anni, in cui sono raccolti gli appunti presi al termine degli incontri privati con Paolo VI. Il Pontefice che nel 1964 aveva tenuto il celebre discorso agli artisti e che nel 1972, per il 75° compleanno, aveva voluto che Bevilacqua pubblicasse sull’Osservatore Romano un poemetto sul significato dell’Essere Papa (questo il titolo) nel mondo moderno. «Cominciava così - ricorda lo scrittore -: 'Essere Papa, oggi, è dare immaginazione / alla verità prima che altri la viva'…». Essere artista, insomma. O, almeno, essere capace di riconoscere l’arte.

 

  

Bevilacqua in Vaticano dunque vi ritorna. Sabato parteciperà all’incontro con Benedetto XVI promosso dal presidente del Pontificio consiglio della Cultura, monsignor Gianfranco Ravasi, nel decennale della Lettera agli artisti con cui, nel 1999, Giovanni Paolo II aveva ripreso il dialogo avviato da Paolo VI. L’appuntamento è nella Cappella Sistina, un capolavoro che, per l’autore del recente L’amore stregone (Mondadori, pagine 216, euro 18,50), rappresenta in modo emblematico il processo del 'dare immaginazione': «Michelangelo - osserva - ha saputo trasformare in visione il trionfo paradisiaco e la tenebra della dannazione, ha trasfuso il dogma in qualcosa di vitale, straordinariamente simile al desiderio che possiede ogni uomo».

 

Ed è per questo che, da Paolo VI in poi, la Chiesa ha ripreso a cercare gli artisti?

 

«Per questo, sì, e anche per il succedersi di Papi assai diversi l’uno dall’altro, ma comunque dotati di una finissima sensibilità artistica. Non credo che Montini abbia mai scritto un verso in vita sua, eppure in lui c’era il genio della poesia. Assomigliava a una canna che, percossa dal vento, vibra e risuona. Giovanni Paolo II si esprimeva con un altro stile, andava con immediatezza alle radici della conoscenza, affrontava apertamente le questioni cosmologiche che sono all’origine dell’arte e che (posso dirlo per testimonianza diretta) appassionavano molto Paolo VI».

 

Ha dimenticato Giovanni Paolo I.

 

«Non l’ho dimenticato. La sua riflessione sulla paternità e maternità di Dio è un momento decisivo, su cui torno spesso in questi ultimi anni, da quando cioè, dopo la morte di mia madre, nei miei libri la traccia spirituale si è fatta più evidente. Le parole di Papa Luciani, per me, hanno la stessa esattezza irrevocabile di quelle pronunciate da Gesù in croce».

 

Che cosa si aspetta dall’incontro con Benedetto XVI?

 

«Ratzinger ama molto la musica e questo fa di lui, ai miei occhi, il Papa del numero, che è la base di ogni riflessione sul cosmo. È dal numero che nasce l’armonia dell’universo, ed è a quella armonia che gli artisti devono sforzarsi di tornare».

 

Quindi non è soltanto la Chiesa che ha bisogno dell’arte?

 

«Tra i due mondi c’è un richiamo reciproco, ma in un momento come questo sono gli artisti, e gli scrittori in particolare, a trovarsi nella situazione più delicata. I concetti sono confusi, i princìpi misconosciuti, c’è un’insofferenza per le regole che porta a un appiattimento di prospettive.

 

Occorre che la letteratura riscopra la dimensione spirituale, altrimenti ci dovremo rassegnare a una caricatura di neorealismo, priva di legami autentici con una realtà vissuta nel profondo. Esattamente il contrario di quanto si verificava nel neorealismo degli anni Quaranta e Cinquanta, quando anche la realtà più cupa poteva essere accolta in un caldo nido spirituale. Il cinema era un’esperienza imparentata con la visione, perfino le pellicole 'di genere' invitavano ad alzare lo sguardo. I bestseller di Dan Brown, invece, si limitano a falsificare la Storia e confondere le idee. Non hanno la dignità del thriller né dell’horror, sono un rococò nero».

 

Si potrebbe obiettare che però, grazie a Internet, c’è grande abbondanza di narrazioni…

 

«La correggo: racconti. In rete si trovano raccontini, singoli episodi, piccole cronache quotidiane dietro le quali si prova a dissimulare la solitudine. La narrazione è un processo differente, che porta alla luce la coscienza e, di nuovo, la dimensione spirituale dell’autore. Proprio di questo ci sarebbe bisogno oggi. Ma oggi è questo che manca».

 

Nei suoi libri, compreso «L’amore stregone», lei ha lambito spesso i territori dell’eros, in una prospettiva che sembra avvicinarsi alla magia. Non si troverà un po’ a disagio in Vaticano?

 

«Quella che lei chiama magia è uno sguardo di natura spirituale, che permette di uscire anche dalla condizione più orribile, di trovare un senso perfino nel dramma più tremendo. Accade anche nell’Amore stregone, dove il confronto fra un padre e una figlia conduce, da ultimo, alla scoperta del mistero della maternità. Quanto all’eros, è una realtà che esiste e che va conosciuta e compresa. Non è la soddisfazione dell’istinto, ma l’incontro fra l’intelligenza e i sensi. Mi rendo conto, purtroppo, che si tratta di un concetto difficile per un mondo in cui la femminilità è degradata a elemento funzionale, secondo una logica di prostituzione. Ci vorrebbe 'il lampo sfuggito a caso fra il cielo e la terra'».

 

Bel verso. Da dove viene?

 

«Dal mio poemetto per Paolo VI. Sono convinto che lui avesse già capito a quale abisso l’arte dovesse sottrarsi».

 

Alessandro Zaccuri

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