Chiesa e immigrazione: cos'hanno detto i Papi?

Per capire meglio abbiamo raccolto le frasi sul tema più iconiche che che sono state pronunciate dai papi da Giovanni XXIII (ad eccezione di Giovanni Paolo I) in poi...

Chiesa e immigrazione: cos'hanno detto i Papi?

del 09 novembre 2018

Per capire meglio abbiamo raccolto le frasi sul tema più iconiche che che sono state pronunciate dai papi da Giovanni XXIII (ad eccezione di Giovanni Paolo I) in poi...

 

Accoglienza per i migranti, lì dove possibile, con l'obiettivo di sviluppare un atteggiamento che miri all'integrazione e a garantire il rispetto reciproco tra chi accoglie e chi è accolto, che deve integrarsi e rispettare il paese e la cultura che lo riceve. Diritto dei governi ad avere un atteggiamento prudente nei confronti dei flussi migratori, diritto delle persone di potersi muovere dal paese di origine in cerca di migliori opportunità per se stessi e le proprie famiglie.

Sembra questa, in breve, la linea della chiesa cattolica negli ultimi 60 anni sul tema dell’immigrazione e il punto 2241 del Catechismo della Chiesa Cattolica sembra confermarlo.

Ma per capire meglio abbiamo raccolto le frasi sul tema più iconiche che che sono state pronunciate dai papi da Giovanni XXIII (ad eccezione di Giovanni Paolo I) in poi.

 

Giovanni XXIII

Nel suo discorso “agli emigranti, ai profughi, ai membri dell'«apostolatus maris» e dell'«apostolatus caeli»” Giovanni XXIII parlava così nel 1962, riferendosi ai fenomeni migratori interni all’Italia:

L'emigrazione è principalmente un fatto umano di vaste proporzioni, di cui son protagonisti uomini e donne, cioè persone concrete, volitive, ciascuna con i suoi problemi ; persone capaci di grandi sacrifici per provvedere ad una più decorosa sistemazione economica, pronte a tutti gli adattamenti ambientali ed alle assimilazioni culturali, secondo il piano della Provvidenza”.

 

Paolo VI

Paolo VI, nell’enciclica Populorum Progressio, fa un appello per l’integrazione parlando di chi viene dal Terzo Mondo per studiare

“È doloroso il pensarlo: numerosi giovani, venuti in paesi più progrediti per apprendervi la scienza, la competenza e la cultura che li renderanno più atti a servire la loro patria, vi acquistano certo una formazione di alta qualità, ma finiscono in non rari casi col perdervi il senso dei valori spirituali che spesso erano presenti, come un prezioso patrimonio, nelle civiltà che li avevano visti crescere”.

o per lavorare

La stessa accoglienza è dovuta ai lavoratori emigrati che vivono in condizioni spesso disumane, costretti a spremere il proprio salario per alleviare un po’ le famiglie rimaste nella miseria sul suolo natale”.

 

Giovanni Paolo II

In diverse occasioni Papa Giovanni Paolo II si è riferito al tema dei migranti, ad esempio nell’enciclia Laborem Exercens del 1982, afferma il diritto, per chi ne avesse necessità, di cercare migliori opportunità fuori dal proprio paese d’origine.

Nella Sollicitudo Rei Socialis, Giovanni Paolo II specifica questo punto sostenendo quando a una persona viene limitato il diritto di iniziativa economico, diventa legittimo cercare luoghi dove poterlo esercitare con più libertà.

Allo stesso tempo ha osservato nel 2001 come:

“un’applicazione indiscriminata (dell’immigrazione) arrecherebbe danno e pregiudizio al bene comune delle comunità che accolgono il migrante”.

E ancora:

I Paesi ricchi non possono disinteressarsi del problema migratorio e ancor meno chiudere le frontiere o inasprire le leggi, tanto più se lo scarto tra i Paesi ricchi e quelli poveri, dal quale le migrazioni sono originate, diventa sempre più grande”.

 

Benedetto XVI

La stessa linea è adottata anche da Benedetto XVI che nel 2006 invita a

Aprire le braccia ed il cuore ad ogni persona, da qualunque Paese provenga”.

Allo stesso tempo, però:

“lasciando alle autorità responsabili della vita pubblica di stabilire in merito le leggi ritenute opportune per una sana convivenza” (Acton Institute).

E di nuovo ha ribadito nel 2013 che:

ogni Stato ha il diritto di regolare i flussi migratori e di attuare politiche dettate dalle esigenze generali del bene comune, ma sempre assicurando il rispetto della dignità di ogni persona umana. Il diritto della persona ad emigrare – come ricorda la Costituzione conciliare Gaudium et spes al n. 65 – è iscritto tra i diritti umani fondamentali, con facoltà per ciascuno di stabilirsi dove crede più opportuno per una migliore realizzazione delle sue capacità e aspirazioni e dei suoi progetti”.

Ricordando sempre che

“Nel contesto socio-politico attuale, però, prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra, ripetendo con il Beato Giovanni Paolo II che «diritto primario dell’uomo è di vivere nella propria patria: diritto che però diventa effettivo solo se si tengono costantemente sotto controllo i fattori che spingono all’emigrazione» (Discorso al IV Congresso mondiale delle Migrazioni, 1998). Oggi, infatti, vediamo che molte migrazioni sono conseguenza di precarietà economica, di mancanza dei beni essenziali, di calamità naturali, di guerre e disordini sociali. Invece di un pellegrinaggio animato dalla fiducia, dalla fede e dalla speranza, migrare diventa allora un «calvario» per la sopravvivenza, dove uomini e donne appaiono più vittime che autori e responsabili della loro vicenda migratoria”.

L’integrazione rimane un tema sempre portante, soprattutto per garantire la dignità di chi cerca accoglienza:

“Così, mentre vi sono migranti che raggiungono una buona posizione e vivono dignitosamente, con giusta integrazione nell’ambiente d’accoglienza, ve ne sono molti che vivono in condizioni di marginalità e, talvolta, di sfruttamento e di privazione dei fondamentali diritti umani, oppure che adottano comportamenti dannosi per la società in cui vivono. Il cammino di integrazione comprende diritti e doveri, attenzione e cura verso i migranti perché abbiano una vita decorosa, ma anche attenzione da parte dei migranti verso i valori che offre la società in cui si inseriscono”.

 

Francesco

Fanno spesso “scandalo” alcune espressioni di Papa Francesco a proposito dei migranti, come questo tweet o quello che disse durante la Via Crucis del 2016:

Come non vedere il volto del Signore in quello dei milioni di profughi, rifugiati e sfollati che fuggono disperatamente dall’orrore delle guerre, delle persecuzioni e delle dittature?

Ma la sua “fama” di buonista è controbilanciata dal criterio di “prudenza” a cui spesso fa riferimento:

Un approccio prudente da parte delle autorità pubbliche non comporta l’attuazione di politiche di chiusura verso i migranti,  ma implica valutare con saggezza e lungimiranza fino a che punto il proprio Paese è in grado, senza ledere il bene comune dei cittadini, di offrire una vita decorosa ai migranti, specialmente a coloro che hanno effettivo bisogno di protezione».

Citando Papa Giovanni XIII, ha ricordato il diritto di immigrazione di ogni essere umano, aggiungendo che «nello stesso tempo» occorre garantire che i popoli che li accolgono non

"sentano minacciata la propria sicurezza, la propria identità culturale e i propri equilibri politico-sociali. D’altra parte, gli stessi migranti non devono dimenticare che hanno il dovere di rispettare le leggi, la cultura e le tradizioni dei Paesi in cui sono accolti".

Lo ha ribadito nel 2016 sull'aereo di ritorno dalla Svezia quando, ha detto la sua sui Paesi che chiudono le frontiere:

“credo che in teoria non si può chiudere il cuore a un rifugiatoma ci vuole anche la prudenza dei governanti: devono essere molto aperti a riceverli, ma anche fare il calcolo di come poterli sistemare, perché un rifugiato non lo si deve solo ricevere, ma lo si deve integrare. E se un Paese ha una capacità di venti, diciamo così, di integrazione, faccia fino a questo. Un altro di più, faccia di più. Ma sempre il cuore aperto: non è umano chiudere le porte, non è umano chiudere il cuore, e alla lunga questo si paga. Qui, si paga politicamente; come anche si può pagare politicamente una imprudenza nei calcoli, nel ricevere più di quelli che si possono integrare. Perché, qual è il pericolo quando un rifugiato o un migrante – questo vale per tutti e due – non viene integrato, non è integrato? Mi permetto la parola – forse è un neologismo – si ghettizza, ossia entra in un ghetto. E una cultura che non si sviluppa in rapporto con l’altra cultura, questo è pericoloso. Io credo che il più cattivo consigliere per i Paesi che tendono a chiudere le frontiere sia la paura, e il miglior consigliere sia la prudenza”.

 

Francesco D'Ugo

http://www.documentazione.info

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