Tenere gli occhi bassi può significare esser preda della paura di incrociare altri sguardi, di venire coinvolti, di essere chiamati ad andare oltre se stessi. Alzare gli occhi è come incominciare a parlare, dichiarando una disponibilità a comunicare, a incontrare l’altro, a guardare cosa accade fuori casa, dall’altra parte del mare, nel mondo.
del 08 gennaio 2018
Tenere gli occhi bassi può significare esser preda della paura di incrociare altri sguardi, di venire coinvolti, di essere chiamati ad andare oltre se stessi. Alzare gli occhi è come incominciare a parlare, dichiarando una disponibilità a comunicare, a incontrare l’altro, a guardare cosa accade fuori casa, dall’altra parte del mare, nel mondo.
La festa dell’Epifania, che abbiamo appena celebrato anche in questo inizio di nuovo anno, ci ricorda la manifestazione del Figlio di Dio a tutti i popoli. In questa occasione è utile ricordare le parole che papa Francesco ha pronunciato all’Angelus del primo giorno dell’anno, Giornata mondiale della pace: «Non spegniamo la speranza nel loro cuore; non soffochiamo le loro aspettative di pace! È importante che da parte di tutti, istituzioni civili, realtà educative, assistenziali ed ecclesiali, ci sia l’impegno per assicurare ai rifugiati, ai migranti, a tutti un avvenire di pace».
Occorre fare nostro quell’atteggiamento che è stato dei Magi, che è proprio di molti migranti e rifugiati, cioè alzare lo sguardo, avere la capacità di scrutare l’orizzonte alla ricerca di un futuro migliore, più giusto e in pace. Uno sguardo rivolto verso l’alto che sa cogliere nel cielo la presenza della stella, una luce come una speranza che ha guidato i passi dei Magi fino a Betlemme. Uno sguardo che nel buio sa percepire in lontananza le luci di quella terra, luogo del proprio sperato futuro. Sollevare lo sguardo dalla propria quotidianità, dal proprio stretto interesse, dai problemi e dalle paure che mettono a repentaglio la nostra tranquillità sembra essere sempre meno facile per società abituate a non avere in casa guerra, privazioni di diritti umani o regimi persecutori. Uomini e donne che, esercitando una rimozione del passato, rifiutando l’esercizio della memoria per leggere il presente e progettare il futuro, vivono con uno sguardo basso, sempre più concentrato, piccolo.
Tenere gli occhi bassi può significare esser preda della paura di incrociare altri sguardi, di venire coinvolti, di essere chiamati ad andare oltre se stessi. Alzare gli occhi è come incominciare a parlare, dichiarando una disponibilità a comunicare, a incontrare l’altro, a guardare cosa accade fuori casa, dall’altra parte del mare, nel mondo. Il pericolo che corriamo come cristiani, come cittadini, è di abituarci all’atteggiamento degli occhi bassi, silenziando così il desiderio al dialogo e all’incontro con gli uomini e le donne del nostro tempo, con l’umano, varco di accesso al divino come ci insegna il Natale, nel tentativo di costruire un mondo più giusto e degno per tutti. Stiamo bene con noi e tra di noi, abbiamo già i nostri problemi, non vogliamo esporci. Ma alzare lo sguardo non solo abitua a guardare lontano ma ci rende capaci di guardare in profondità nei bisogni del nostro tempo, pena smarrire il senso di umanità come è stato per Erode.
L’Epifania, non solo ci invita a guardare in alto, a quella stella riflesso della luce vera che è la speranza del mondo, ma ci richiama a quel senso di responsabilità per l’umano spronandoci a non cadere quest’anno negli stessi errori dell’anno appena passato. «Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro Paese». Affidare migranti e rifugiati ai trafficanti, rimandarli o lasciarli nei centri di detenzione in Libia, lasciarli morire in mare, chiudere le frontiere, costruire muri... Possiamo sempre decidere di non tornare da Erode: c’è sempre un’altra strada per chi sa alzare lo sguardo e affidarsi alla stella.
Camillo Ripamonti, presidente Centro Astalli – Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati in Italia
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