Circa il Sistema Preventivo e San Domenico Savio

Testo tratto da un Laboratoro di salesianità tenuto da don Teresio Bosco. «Tutto il modo di educare di don Bosco è fissato da lui e da Domenico Savio (figlio di una sarta) in un'immagine (oggi si preferisce dire ‚Äòin un'icona'): una stoffa nelle mani di un sarto...».

Circa il Sistema Preventivo e San Domenico Savio

da Spiritualità Salesiana

del 12 dicembre 2006

          Come sono nate le 9 paginette sul Sistema Preventivo che possiamo (e dobbiamo) leggere con frequenza? don Bosco, invitato più volte a dire, a scrivere qual era il suo metodo di educazione, si schermiva, e rispondeva: “Io tiro su i ragazzi come mia madre tirava su noi in famiglia. Di più non lo so”.

          

           Ma arrivò il marzo 1877 (11 anni prima della sua morte), e don Bosco fu quasi costretto a scrivere qualcosa sul suo sistema di educazione. Ecco cosa narra nella sua ‘cronaca’ uno dei primi fedelissimi di don Bosco, don Giulio Barberis, che don Bosco aveva nominato Maestro dei Novizi di tutta la Congregazione Salesiana: “Essendo esso (don Bosco) a Nizza, si fece l’apertura del Patronato (il 12 marzo 1877), molto solenne. Tenne esso il discorso e si trattò di farlo stampare perché facesse meglio conoscere l’opera del Patronato in Francia. Descrisse adunque tutto esso la festa ed il discorso, e fece seguire il tutto da un riassunto di quello che esso tenesse riguardo al sistema d’educazione da noi tenuto detto preventivo.

           Questo lavoro gli costò vari giorni continui: lo fece e rifece 3 volte e andava quasi lamentandosi di saper non trovare più i suoi scritti di suo gusto. “ Una volta gettava giù le cose e tanto basti; ora, dopo fatto, alcune volte rifaccio e non mi piace ancora, ed anche rifò la 3a volta e più… Questo lavoretto però lo credo atto a fare assai del bene per la Francia: là non sono positivi come qui; ma parlano subito di più, mettono entusiasmo; accettano più volentieri cose nuove… Poi noi ora abbiamo bisogno che ci conoscano più da vicino”. Il sistema preventivo specialmente sarà ricevuto, ripetuto dai giornali, farà rumore” (Cronaca 12, p XI).

           Don Bosco quindi, scrive specialmente per la Francia ove NON SONO POSITIVI COME QUI. Si affidano alle parole più che ai fatti, alle teorie più che agli esempi e agli atteggiamenti tramandati nelle case salesiane, come don Bosco preferisce.

           Di queste 9 paginette scritte ‘specialmente per la Francia’, ricordo le affermazioni fondamentali, i cardini del sistema educativo di don Bosco:

           “I Direttori e gli assistenti, come padri amorosi, parlino, servano d guida in ogni evento, diano consigli ed amorevolmente correggano..

           “Questo sistema si appoggia tutto sopra la ragione, la religione e sopra l’amorevolezza; perciò esclude ogni castigo violento e cerca di tener lontano gli stessi castighi leggeri…

           “La pratica di questo sistema è tutta appoggiata sopra le parole di san Paolo che dice: La carità è benigna e paziente; soffre tutto, ma spera tutto e sostiene qualunque disturbo”.

           “Per quanto è possibile, gli assistenti li precedano nel sito dove devonsi raccogliere; si trattengano con loro sino a che siano da altri assistiti; non li lascino mai disoccupati”.

           “La frequente confessione, la frequente comunione, la messa quotidiana sono le colonne che devono reggere un edificio educativo, da cui si vuol tenere lontano la minaccia e la sferza. Non mai obbligare i giovanetti alla frequenza de’ santi Sacramenti, ma soltanto incoraggiarli, e porgere loro comodità di approfittarne”.

           “Si usi la massima sorveglianza per impedire che nell’Istituto siano introdotti compagni, libri o persone che facciano cattivi discorsi. La scelta di un buon portinaio è un tesoro per una casa di educazione”.

           “Ogni sera dopo le ordinarie preghiere, e prima che gli alunni vadano a riposo, il Direttore, o chi per esso, indirizzi alcune affettuose parole in pubblico, dando qualche avviso, o consiglio intorno a cose da farsi o da evitarsi; e studi di ricavare le massime da fatti avvenuti in giornata nell’Istituto o fuori; ma il suo sermone non oltrepassi i due o tre minuti. Questa è la chiave della moralità, del buon andamento e del buon successo dell’educazione”.

           “L’educatore è un individuo consacrato al bene dei suoi allievi, perciò deve essere pronto ad affrontare ogni disturbo, ogni fatica per conseguire il suo fine, che è la civile, morale, scientifica educazione de’ suoi allievi”.

           “Che regola tenere nell’infliggere castighi?… La lode quando una cosa è ben fatta, il biasimo quando vi è trascuratezza, è già un premio od un castigo…Da circa quarant’anni tratto con la gioventù, e non mi ricordi di aver usato castighi di sorta, e coll’aiuto di Dio ho sempre ottenuto non solo quanto era di dovere, ma eziandio quello che semplicemente desiderava”.

E veniamo a Domenico Savio.

           Se le 9 paginette sul SISTEMA PREVENTIVO furono scritte da don Bosco ‘specialmente per la Francia, dove non sono positivi come qui’, la VITA DI DOMENICO SAVIO scritta da don Bosco appare il ‘la vera descrizione del sistema educativo di don Bosco’, per quelli ‘che sono positivi’, cioè che capiscono le cose più dai fatti e dagli atteggiamenti che dalle parole.

           Scrive Carlo Nanni: “La Vita di Domenico Savio è la storia di una relazione educativo profonda e grandissima… Presenta…un modello di pedagogia… Disegna in modo fine e raro le caratteristiche e le movenze di una relazione educativa profonda”. E ancora: “La relazione educativa narrata dalla Vita, va più in là della ragione, religione e amorevolezza del Sistema Preventivo”.

           E Aldo Giraudo aggiunge: “Possiamo pensare che don Bosco abbia voluto la Vita innanzitutto come proposta di un modello formativo…Nelle testimonianze documentarie è raffigurata narrativamente dal vivo la sua spiritualità e la sua prassi educativa pastorale”, cioè il suo modo di educare e di educare cristianamente. E per esporre il suo metodo di educare, nella Vita si affida più ai fatti che alle parole, come don Bosco preferisce, e come crede sia più esatto esprimersi.

           E allora cerchiamo di delineare il METODO EDUCATIVO DI don Bosco sfogliando con diligenza la VITA DI Domenico Savio. (Mi servo del libro DOMENICO SAVIO RACCONTATO DA don Bosco, atti del Simposio tenuto all’UPS nel maggio del 2004).

LA STOFFA E IL SARTO

           Tutto il modo di educare di don Bosco è fissato da lui e da Domenico Savio (figlio di una sarta) in un’immagine (oggi si preferisce dire ‘in un’icona’): una stoffa nelle mani di un sarto. (Al termine del primo colloquio tra i due santi, don Bosco dice: “Mi pare che (in te) ci sia buona stoffa”. “Dunque io sono la stoffa, lei ne sia il sarto. Dunque mi prenda con sè e farà un bell’abito per il Signore”).

           don Bosco ha quindi trovato in Domenico Savio fin dalla prima conversazione una ‘buona stoffa’, data a Domenico dal Signore, dalla natura, dai genitori.

           E ha trovato che i SARTI che hanno lavorato prima di lui su questa stoffa sono stati BUONI SARTI.

Quali sono? don Bosco li elenca nei primi 6 capitoli:

*INNANZITUTTO LA FAMIGLIA.

           Domenico è un ragazzo poverissimo, ma non abbandonato. Possiede la ricchezza inestimabile che don Bosco dovrà ricostruire con fatica e delicatezza attorno a tanti altri giovani abbandonati: una famiglia ricca di umanità e di fede, Una famiglia che gli regala fin dai primissimi tempi della vita SICUREZZA e SERENITA’. “Ha dei genitori di notevole spessore educativo e religioso” scrive Carlo Nanni. Veri primi sarti della preziosa stoffa che è Domenico.

           La mamma, donna alta, di aspetto fine e bella (come la ricordava a don Molineris alcune amiche quasi centenarie), fa la sarta, e dona al suo bambino la gioiosità e la finezza. Dicono testimoni che Domenico fu vestito sempre poveramente ma accuratamente. Ebbe quella pulizia e proprietà che è l’eleganza dei poveri. Ed è la mamma a regalargli il senso della preghiera. Scrive il cappellano di Murialdo don Giovanni Zucca: “Vedeva spesso un figliolino, di forse 5 anni, venir in compagnia della madre a pregare sul limite della cappella, con un raccoglimento veramente raro all’età”.

           Il papà, fabbroferraio sovente senza lavoro e senza soldi, andava anche a fare il cantore nella chiesa (ricompensato probabilmente con pochi centesimi), e si faceva accompagnare da Domenico – scrive sempre il cappellano - a “cantar con compostezza lodi ed inni alternativamente con il padre, il che praticava anche in casa e nelle stalle”.

           Mamma e papà nel 1849 (Domenico aveva 7 anni) lo prepararono mirabilmente al momento più importante dell’infanzia: la prima Comunione, il primo incontro con Gesù-Eucarestia, il primo faccia a faccia di Domenico e di Gesù, il primo suo affidamento totale al Figlio di Dio. don Bosco dedica tutto il capitolo 3° a questo avvenimento, e riporta i quattro ‘ricordi’ di Domenico che saranno la base della sua santità (Il terzo, fondamentale: “I miei amici saranno Gesù e Maria”).

           don Bosco, che sa l’importanza della prima Comunione, aggiunge al termine del capitolo: “Mi raccomando quanto so e posso ai padri, alle madri di famiglia e a tutti quelli che esercitano qualche autorità sulla gioventù, di dare la più grande importanza a questo atto religioso. Siate persuasi che la prima comunione ben fatta pone un solido fondamento morale per tutta la vita”.

           Si può affermare tranquillamente che una famiglia unita e cristiana e la prima Comunione fatta bene siano i primi due elementi per la realizzazione completa del sistema educativo di don Bosco, che esprimeva questo pensiero: “La prima maniera di soccorrere i giovani abbandonati è aiutare le famiglie a non abbandonarli”.

           (Ammonimento per noi oggi: Parigi con il 5% dei ragazzi che fanno la prima Comunione, la progressiva secolarizzazione in Italia di questo atto: il primo passo: più primo incontro con il telefonino che primo incontro con Gesù; il secondo passo: prima elementare, primo telefonino, non più prima Comunione, che non ha più senso).

*I QUATTRO INSEGNANTI-EDUCATORI DI DOMENICO

           Don Giovanni Zucca, primo insegnante di Domenico Savio a Murialdo, scrive: “Quel fanciullo era diventato l’oggetto della mia ammirazione”.

           Don Alessandro Allora, suo insegnante per pochi mesi a Castelnuovo, scrive: “L’ho amato colla tenerezza di padre”.

           Don Giuseppe Cugliero, suo maestro a Mondonio, scrive: “Era giovane di età, ma assennato al pari di un uomo perfetto. La sua diligenza, assiduità allo studio e l’affabilità si accattivavano l’affetto del maestro e lo rendevano la delizia dei compagni… Più volte, vedendolo in chiesa, ho detto tra me stesso: ecco un’anima innocente cui si aprono le delizie del paradiso”:

           Don Matteo Picco, la cui scuola Domenico frequenta quando è già all'Oratorio, testimonia: “Mai nol vedeva che non mi sentissi attratto ad amarlo e ad ammirarlo… Quella giovanile sua mente si mostrava unita con Dio”.

           In una parola, questi insegnanti hanno fondato il loro rapporto con Domenico sul volergli bene, sono stati i sostituti di papà e mamma. La scuola, che occupa tanta parte della giornata di un giovane, con loro non è stata per Domenico né un luogo di disciplina né un luogo generatore di ansia per incombenti interrogazioni o castighi, ma un prolungamento della famiglia.

           Essi sono stati quattro sarti che hanno lavorato bene sulla preziosa stoffa di Domenico. Oltre ad essere insegnanti, sono stati ‘padri, maestri e amici’ di lui. Hanno incarnato cioè quel tipo di educatore che don Bosco dice necessario per realizzare il suo ‘metodo educativo’.

           Ecco con don Bosco descrive l’educatore-tipo che vorrebbe nelle sue scuole: “I maestri si ricordino che la scuola non è che un mezzo per poter fare del bene: essi sono come i parroci nella loro parrocchia, missionari nel loro campo di lavoro… Le loro lezioni siano cristiane, e siano franchi e amorevoli nell’esortare gli alunni ad essere buoni cristiani” (MB 10,1018s).

DON BOSCO SARTO-EDUCATORE

           1. Innanzitutto don Bosco chiama Domenico Savio a vivere in un ambiente povero, ma ricco di valori umani e cristiani. L’Oratorio che sta nascendo è stato voluto e formato da don Bosco come ambiente ‘carico di schietta umanità e di intensa cristianità, dove don Bosco è un po’ tutto’, dove l’anziana Mamma Margherita, con la corona del rosario nella tasca del grembiule, la cucina sempre aperta e l’orto a cui i ragazzi sono invitati a collaborare con zappe e annaffiatoi, porta un clima di maternità e di famiglia. Alla domenica i prati intorno sono invasi da giovani che vengono a vivere l’Oratorio festivo con don Bosco, a confessarsi da lui, alla scuola di catechismo. don Bosco chiama i suoi giovani migliori ad essere maestri in queste scuolette, e anche Domenico (affermano molte testimonianze giurate) diventa un piccolo insegnante della fede, e un giovane animatore tra i giochi e l’allegria. Questo ambiente educativo ‘permise all’adolescenza in sboccio di Domenico, di arrivare alle vette di una vita pura e santa, conferendole solidità interiore e forme espressive chiare e incisive’ (C.Nanni).

           2. Il rapporto educativo di don Bosco con Domenico è prima di ogni altra cosa segnato da una grande amorevolezza. Nella prefazione della Vita, don Bosco parla subito del ‘grande affetto che io portavo all’amico defunto e che porto a tutti voi”. E afferma con cuore libero: “Il mio affetto per lui era quello di un padre verso un figliolo il più degno di affezione”. E nel narrare la definitiva partenza di Domenico dall’Oratorio, racconta gesti e parole amorevoli addirittura insoliti in lui: “Mi teneva tuttora stretta la mano…Sì, mio figlio…Questi insoliti saluti ci avevano posti in afflizione”.

           Al centro quindi del ‘lavoro’ di don Bosco sulla stoffa preziosa che è Domenico Savio è una amorevolezza calda e profonda. E' questo il valore fondamentale che don Bosco pone al centro del suo metodo educativo. Migliaia di suoi exallievi, che non ricordavano molto dei giorni dell’Oratorio, una cosa ricordavano in maniera indimenticabile: “Don Bosco mi voleva bene”.

LE DUE COLONNE DEL SISTEMA EDUCATIVO di don Bosco

           Nella Vita, don Bosco dedica due interi capitoli a quelli che considerava i due punti fondamentali del suo sistema educativo. Il capitolo 14 è dedicato alla ‘frequenza dei santi Sacramenti della confessione e della comunione’ da parte di Domenico Savio; il 13 è dedicato alla devozione di Domenico Savio alla Madonna.

           Il 14 comincia con un’affermazione perentoria di don Bosco: “E’ provato dall’esperienza che i più validi sostegni della gioventù sono i sacramenti della Confessione e della Comunione… Questa massima la comprendano i giovanetti per praticarla; la comprendano tutti quelli che si occupano della loro educazione per insinuarla”. Per far comprendere che il confessore non è soltanto colui che perdona i peccati, ma è l’educatore spirituale, riporta le parole stesse di Domenico: “Ho piena fiducia nel confessore che con paterna bontà e sollecitudine si adopera pel bene dell’anima mia; né io vedo in me alcun male che egli non posa guarire… Se ho qualche pena in cuore, vado dal confessore che mi consiglia secondo la volontà di Dio”.

           E per quanto riguarda l’Eucaristia, Domenico afferma: “Se voglio qualcosa di grande, vado a ricevere l’Ostia santa in cui si trova il corpo che è stato offerto per noi, cioè quello stesso corpo, anima e divinità, che GC offerse al suo Eterno Padre per noi sulla croce. Che cosa mi manca per essere felice?”.

           Il capo 13 contiene questa testimonianza di don Bosco: “Aveva una speciale devozione al Cuore Immacolato di Maria. Tutte le volte che andava in chiesa, s’inginocchiava davanti all’altare di lei per pregarla di ottenergli la grazia di conservare il suo cuore sempre lontano da ogni affetto impuro. “Maria – diceva – io voglio essere sempre vostro figlio, ottenetemi di morire prima che io commetta un peccato contrario alla virtà della modestia”.

LA FORMULA DELLA SANTITA’

           Nel capitolo 10 sono narrate le circostanze in cui Domenico Savio venne preso dalla grande nostalgia della santità, e la formula della santità che don Bosco gli diede. Veramente questa ‘formula della santità’ don Bosco la riferisce nel capo 10, ma subito dopo la riprende e la varia all’inizio del capo 11. Ecco le parole di don Bosco: capo 10:

           “Io lodai il proposito, ma lo esortai a non inquietarsi. Io volevo per prima cosa una costante e moderata allegria. Poi lo consigliai ad essere perseverante nell’adempimento dei suoi doveri di pietà e di studio”.

           La ‘scala’ di santità che quindi don Bosco consiglia non solo a Domenico Savio, ma a tutti i ragazzi impegnati dell’Oratorio (e pensiamo a Michele Rua, a Giovanni Cagliero, Francesco Cerruti, Giovanni Bonetti, Giovanni B. Francesia, Giulio Barberis…) è composta di tre primi gradini:

           1-allegria perché Dio ci vuole bene; (E piantiamola di citare a sproposito Domenico Savio dicendo: “Noi facciamo consistere l santità nello stare molto allegri”. L’affermazione completa di Domenico Savio è: “Noi facciano consistere la santità nello stare molto allegri, cerchiamo di evitare il peccato perchè ci ruba la gioia dal cuore”. Rotta a metà (‘stare molto allegri’), questa frase può andar bene anche per le discoteche: anche là stanno molto allegri).

           2-doveri di pietà, cioè amore del Signore e della Madonna manifestato prima di tutto nella preghiera;

           3-doveri di studio, cioè l’impegno quotidiano sulle lezioni e sui compiti, come proprio lavoro da fare anche con sacrificio.

           Ma appena questi ragazzi sono cresciuti e diventano adolescenti in sboccio, don Bosco aggiunge un quarto gradino alla scala della santità. Ecco le parole con cui inizia il capitolo 14: “La prima cosa che gli venne consigliata per farsi santo, fu di adoperarsi per guadagnar anime a Dio; infatti non c’è cosa più santa al mondo che cooperare al bene delle anime, per la cui salvezza GC sparse il suo prezioso sangue”. don Bosco punta quindi a trasformare i suoi giovanissimi cristiani in giovanissimi apostoli. E’ il ‘Salvando sàlvati”, una delle massime più ripetute all’Oratorio.

           Su questa linea si svolgono tutti gli episodi, grandi e piccoli, di Domenico Savio, nasce (in collaborazione con gli altri giovani migliori) la Compagnia dell’Immacolata, la cura dei ‘clienti’, la nascita poi di altri gruppi apostolici.

           Si vede qui chiarissimo il percorso lento e progressivo dell’itinerario educativo di don Bosco, che porta i ragazzi normali a un piano buono, i migliori a un piano superiore di umanità e di cristianità, fino a fondare tra loro una ‘compagnia’ e poi una ‘Congregazione’, la Congregazione Salesiana.

 

DUE GRANDI VALORI

           Tutto questi non in un regime in un clima di grande umanità, dominato da due grandi valori: il coraggio e la libertà.

           Per pensare al coraggio a cui educa don Bosco, basta pensare a Domenico Savio che interrompe il duello a sassate di due suoi compagni, e alla gentilezza forte con cui egli affronta il carrettiere che bestemmia.

           Per pensare alla libertà a cui don Bosco educa, basta la testimonianza giurata di don Giovanni Battista Francesia, giovane insegnante di Domenico Savio, che vide Domenico rimproverare don Bosco per un disordine che era capitato, dicendogli con molta serietà: “Queste cose non si devono tollerare all’Oratorio! E’ uno scandalo che non si può tollerare!”: (Summarium 246).

ATTEGGIAMENTI

           Il sistema educativo di don Bosco traspare limpido da questi brevi cenni alle pagine della Vita di Domenico Savio. Esso trascende il trinomio ‘Ragione, Religione, Amorevolezza’, e si dipana in tutta una serie di atteggiamenti che pervade la vita della casa di don Bosco, e che don Bosco già suggerisce nelle prime pagine del Giovane Provveduto. Don Aldo Giraudo ne tenta un elenco in sedici brevissimi punti:

           -corrispondenza all’amor di Dio evitando tutto ciò che lo offende;

           -darsi per tempo alla virtù per avere sempre il cuore allegro e contento;

           -obbedienza;

           -contegno raccolto e devoto nelle preghiere;

           -ascolto attento delle prediche e del catechismo;

           -fuga dell’ozio, dei cattivi compagni, dei discorsi e delle persone scandalose;

           -vigilanza preventiva contro le tentazioni;

           -partecipazione a qualche gruppo formativo e apostolico;

           -filiale confidenza col confessore e il Direttore;

           -devozione a Maria SS.;

           -recita delle orazioni del mattino e della sera;

           -assistenza devota e cosciente alla santa Messa;

           -frequenza assidua e degna della confessione e della comunione;

           -visita al SS e all’altare della Madonna;

           -pratica del Rosario e altre devozioni;

           -ritiro mensile detto ‘della buona morte’.

           Il sistema educativo di don Bosco, per chi legge e riflette sulla Vita di Domenico Savio, rimane condensato nel trinomio Religione, Ragione, Amorevolezza, e rimane descritto nelle 9 pagine ‘destinate specialmente ai francesi’, come scherzosamente dice don Bosco. Ma rimane lì condensato come la quercia è condensata nella ghianda. come la rosa è presente nel rametto verde piantato dal giardiniere. Nella Vita di Domenico Savio, invece, esso è presentato in maniera narrativa ed esistenziale, in forma rigogliosa e affascinante, come si presenta la giovane quercia che distende i suoi primi rami robusti nell’aria che l’avvolge, come il bocciolo di rosa che si apre luminoso sui rami verdi del giardino.

           Tra tante letture di libri e giornali, voglia Dio che possiamo, noi Salesiani, trovare il tempo di scorrere ancora le pagine della Vita di Domenico Savio, per trovare l’immagine viva del Sistema educativo di don Bosco, e la forma splendida a cui dobbiamo indirizzare i nostri giovani nel lavoro paziente della nostra vita.

PER RIFLETTERE E LAVORARE SUL ‘SISTEMA PREVENTIVO’

           Nelle poche pagine del piccolo trattato sul SISTEMA PREVENTIVO, don Bosco chiama l’attenzione dei suoi Salesiani a fissarsi sull’educatore. Egli scrive:

           La pratica di questo sistema è tutta appoggiata sopra le parole di s.Paolo che dice: ‘La carità è benigna e paziente; soffre tutto, ma spera tutto e sostiene qualunque disturbo’. Perciò soltanto il Cristiano può con successo applicare il SISTEMA PREVENTIVO. Ragione e Religione sono gli strumenti di cui deve costantemente far uso l’educatore, insegnarli, egli stesso praticarli se vuol essere ubbidito ed ottenere il suo fine.

           Parlando del Direttore, don Bosco afferma che egli deve essere consacrato ai suoi educandi. Né mai assumersi impegni che lo allontanino dal suo uffizio, anzi trovarsi sempre coi suoi allievi… E continua: I maestri, i capi d’arte, gli assistenti (con queste parole don Bosco ci rivela che sta pensando alle scuole, ai laboratori professionali e agli oratori) devono essere di moralità conosciuta.

           Il SISTEMA PREVENTIVO non è quindi soltanto un insieme di atteggiamenti pedagogici. Deve essere innanzitutto UN INSIEME DI EDUCATORI SERIAMENTE CRISTIANI, CHE VIVONO I VALORI CRISTIANI DELLA RELIGIONE E DELLA RAGIONE, E SONO CONSACRATI AI LORO EDUCANDI.

           (Nella situazione di ‘ateismo devoto’ in cui viviamo ormai tutti, ormai tutti siamo chiamati ad essere educatori cristiani: dai genitori in famiglia, agli insegnanti in scuola, ad ogni persona che avvicina qualche giovane, e di cui, come adulto, diventa almeno un poco modello da prendere o da scartare).

           Se l’educatore è cristiano:

           +ha una visione cristiana della vita : Dio è nostro padre, tutti siano fratelli, stiamo camminando verso il Cielo, l’unica legge è volersi bene.

           +ha una visione cristiane dell’uomo, adulto o giovane: è un figlio di Dio, è un mio fratello, (anche se il ‘progresso’ mi suggerisce ad ogni passo che ogni persona è un cliente da ‘coltivare’ o un concorrente ‘da ostacolare’).

           +ha una visione cristiana del suo mestiere di educatore: è una missione, quella di formare degli onesti cittadini e dei buoni cristiani.

           Nel piccolo trattato, don Bosco riassume tutto questo con le parole:

           L’educatore è un individuo consacrato al bene dei suoi allievi, perciò deve essere pronto ad affrontare ogni disturbo, ogni fatica per conseguire il suo fine, che è la civile, morale, scientifica educazione dei suoi allievi.

           L’educazione di don Bosco non è prima di tutto ‘fondata sul senso del dovere’, ma ‘fondata su un amore concreto, operativo, operoso (La carità è benigna e paziente, soffre, spera, sostiene…). E’ una relazione personale con i giovani, sinceramente affettuosa, espressa da un adulto maturo e cristiano, che crede nella sua opera come in una missione.

           L’educatore salesiano si pone in mezzo ai giovani come amico, come maestro, e come esempio (modello) di vita umana e cristiana.

In questi anni in cui sempre di pi√π nelle loro opere i Salesiani e le FMA chiamano dei laici a collaborare con loro, dobbiamo avere tutti ben presenti questi fondamenti del sistema educativo salesiano:

           a educare salesianamente ci vogliono persone cristiane, mature, di moralità conosciuta, convinte che essere educatori è una missione, capaci di dedizione ai giovani in clima di amorevolezza, costantemente presenti tra i giovani come animatori e assistenti.

           Ma tutto questo devono esserlo anzitutto i Salesiani e le FMA, nella loro comunità salesiana educatrice.

           Salesiani ed FMA devono quindi riflettere, serenamente domandarsi e serenamente rispondere:

           *La comunità salesiana educatrice è formata da salesiani cristiani? maturi? convinti che essere educatori è una missione tesa a formare onesti cittadini e buoni cristiani? capaci di dedizione ai giovani in clima di amorevolezza? Costantemente presenti tra i giovani in clima come animatori e assistenti?

           *Il Direttore della comunità realizza le parole di don Bosco: “Dev’essere consacrato ai suoi educandi, né mai assumersi impegni che lo allontanino dal suo uffizio, anzi trovarsi sempre coi suoi allievi”? O si è lasciato assorbire dagli adempimenti burocratici che sempre più pesantemente gravano su ogni opera, a detrimento della sua fondamentale cura educatrice?

           *I collaboratori (stipendiati e volontari) sono persone cristiane, mature, di moralità conosciuta, convinte che essere educatori è una missione, capaci di dedizione ai giovani in clima di amorevolezza, costantemente presenti tra i giovani come animatori e assistenti?

           *Oggi ogni ‘proselitismo’ è visto male. Credere nella nostra opera educativa come in una ‘missione’, tendere a formare ‘buoni cristiani’ nelle nostre opere può essere interpretato in luce negativa. Si è ormai orientati a pensare che la soluzione più feconda di questo problema è: “Puntare sulla profondità spirituale e sulla qualità etica e virtuosa degli educatori, sulla testimonianza della loro coerenza di credenti animati dalla carità e creativamente intraprendenti” (A.Giraudo).

           La nostra comunità educativa sta camminando su questa strada? O abbiamo semplicemente rinunciato a formare ‘buoni cristiani’?

don Teresio Bosco

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