«La scuola, come luogo fisico, diventerà un ambiente di interazione allargata e di confronto». Un luogo fisico che supera gli spazi delle aule e dei corridoi? Per allargarsi a che? Alla palestra, ai gabinetti (possibilmente meno intasati e puzzolenti di quanto lo siano in media attualmente), al cortile, fino a finire in strada? E quali servizi verranno prestati?
Il ministro Profumo lancia un “patto” per la scuola. Un “patto” è qualcosa che presuppone un confronto, un accordo e allora è sembrato che fosse venuta l’ora del dialogo e, in questo spirito, ho commentato l’intervista del ministro al Messaggero in cui egli lanciava questa idea del “patto”.
Poi ho letto la frase pronunciata dallo stesso ministro alla convenzione Diesse e commentata da Fabrizio Foschi: «La scuola, come luogo fisico, diventerà un ambiente di interazione allargata e di confronto, che mano a mano supererà gli spazi tradizionali dell’aula e dei corridoi. La immaginiamo come un vero e proprio Hub della conoscenza. Aperto agli studenti e alla cittadinanza, centro di coesione territoriale e di servizi alla comunità, un vero e proprio centro civico».
L’ho letta e mi sono detto che è troppo, francamente troppo. Dice cortesemente il titolo dell’articolo di Foschi che al centro civico di Profumo mancano le parole “educazione” e “docente”. Nel testo si dice che la scuola è un’altra cosa. Infatti, al “centro civico” di Profumo manca semplicemente la scuola.
Sarebbe impietoso riferire i commenti di quei giovani che egli vuole sedurre (alla maniera di quegli anziani descritti nella Repubblica di Platone) alla lettura di questo brano. Un luogo fisico che supera gli spazi delle aule e dei corridoi? Per allargarsi a che? Alla palestra, ai gabinetti (possibilmente meno intasati e puzzolenti di quanto lo siano in media attualmente), al cortile, fino a finire in strada? E quali servizi verranno prestati alla comunità? L’emissione di carte d’identità, qualche piatto caldo, la visita medica per il rinnovo della patente? “Hub della conoscenza”... Davvero inedita – ma per nulla sorprendente – la contaminazione tra linguaggio ingegneristico e linguaggio da centri sociali. Già, perché lasciando da parte le facili ironie, è proprio questa contaminazione che costituisce il segno delle politiche ministeriali dell’istruzione.
Basta vedere il recente video zuccheroso e privo del più elementare senso dell’humour affidato dal Miur al cantante Roberto Vecchioni (ma è proprio il caso di buttare dalla finestra così i pochi quattrini disponibili?). Sfilano immagini di inesistenti classi supermoderne, con un computer per banco (pardon, tavolino), lavagne interattive multimediali, mentre si alternano volti improbabili di ragazze e ragazze che si sganasciano in sorrisi da pubblicità di dentifrici. Tutto così dolce, sereno e tecnologico. La voce suadente del cantante “democratico” per definizione ricorda che «c’erano un tempo i libri di carta, c’erano le lavagne col gesso» e - udite, udite – «un tempo si credeva che si potesse imparare soltanto dalle maestre e dai professori»... Un tempo c’erano i trogloditi, che insegnavano con carta e gesso, bastonando con la mazza chi non ascoltava e obbediva. Oggi apprendiamo dalla vita... C’è internet, ci sono i libri elettronici, le lavagne digitali e «noi insegnanti», mettendo via la mazza da trogloditi, abbiamo persino capito che abbiamo da imparare dai ragazzi.
Viene in mente l’inossidabile commento di Platone sul «bello e baldanzoso principio da cui si genera la tirannia»: «che il maestro tema e aduli gli scolari, e gli scolari facciano poco conto dei maestri e dei pedagoghi; e in tutto i giovani si mettano alla pari con gli anziani e con essi gareggiano a parole e in atti; e i vecchi cedendo ai giovani si mostrino pieni di arrendevolezza e imitino i giovani per non sembrare né sgraditi né autoritari». È la fotografia delle visioni del nostro ministero.
Quanto precede apre territori sterminati al sarcasmo ma con quale utilità? Lo spettacolo non è serio, ma la situazione è grave e c’è poco da ridere. Per imbastire discussioni costruttive occorre un terreno minimo di serietà. Si può parlare di tutto, confrontare dottrine pedadogiche diverse, anche dibattere sulla figura dell’insegnante tra “maestro” e “facilitatore”, ma quel che non è ammissibile è proporre come base una rappresentazione caricaturale al limite dell’autolesionismo per cui tutto finora sarebbe stato un colossale errore e soltanto adesso avrebbe inizio la storia di una vera scuola moderna e “democratica”. E quale incosciente pretesa farlo dal fondo di una crisi epocale del sistema dell’istruzione su cui pure hanno avuto campo libero da qualche decennio proprio quelle teorie sventolate come toccasana! Nessuna discussione seria è possibile se si prende come punto di partenza la derisione della scuola della carta e del gesso, che dava un ruolo troppo centrale a maestre e professori, come se quella scuola non avesse prodotto il meglio della cultura nazionale di fronte al quale l’immagine del presente desta un senso di pena.
È semplicemente penoso confrontare le barriere sociali che pone la scuola di oggi – tanto più quanto più solletica idee ludiche e si prostra davanti al soggetto studente – di fronte all’ascensore sociale che era possibile nella scuola italiana postunitaria; quando il futuro “signor scienza italiana” Vito Volterra, figlio di una vedova indigente e destinata al mestiere di impiegato, riuscì a farsi valere in un istituto tecnico sotto la guida di un professore di fisica che ebbe l’autorità (quale professore di istituto tecnico l’avrebbe oggi?) per farlo entrare alla Normale di Pisa.
Nessun rimpianto per vecchi modelli ma, per favore, lasciar sfottere un passato rispettabile da un canzonettista, con slogan di una retorica vuota e bolsa, indica il livello culturale cui è giunto il nostro ministero, capace ormai soltanto di un dirigismo statalista e di operazioni di propaganda che indicano la discendenza dal modello autoritario costruito da Giuseppe Bottai. Cosa di buono può venire da tutto ciò?
Il ministro Profumo è da poco al ministero e non è responsabile di tante cose negative accumulatesi nei decenni e di cui portano la massima responsabilità diversi suoi predecessori. Ma è ormai il caso di chiedersi cosa abbia fatto di buono in questa breve permanenza.
1. Si è trovato davanti al dossier del nuovo regolamento per la formazione degli insegnanti e invece di implementarlo ha dato spazio alla guerra della dirigenza ministeriale contro i numeri proposti dalle università per le lauree magistrali e per il Tirocinio formativo attivo (Tfa).
2. Ha definitivamente affossato le dette lauree magistrali per la formazione degli insegnanti, che erano uno degli aspetti più innovativi di quel regolamento e la cui preparazione aveva stimolato un inedito coinvolgimento delle università nel rapporto con le scuole.
3. Ha lasciato che le prove di ammissione al Tfa fossero gestite nel modo più contrario allo spirito del regolamento e cioè con batterie di test che, anziché servire a una scrematura iniziale, sono state un’esibizione indecorosa di nozionismo e di errori sesquipedali.
4. Anziché cassare queste prove, chiedere scusa e ricominciare in modo serio, ha fatto “aggiustare” la baracca da una commissione in forme a dir poco discutibili.
5. Alla vigilia dell’esame di maturità, di fronte alla richiesta di pronunciarsi contro la prassi del “copiare”, ha nicchiato ed ha evitato di prendere posizione. Basterebbe questo a dire quanto sia “internazionale” la posizione del ministro, ove si pensi a quanto sia considerato scandaloso copiare negli Usa, dove si è scatenato un dibattito acceso circa le vie oblique che offrirebbe al copiare la procedura del “copia e incolla” da internet.
6. Ha preso posizione con grande leggerezza sul tema dei compiti a casa, che merita riflessione e non dichiarazioni estemporanee e su cui, comunque, il ministero non deve mettere becco, lasciando al docente la libertà di metodologia didattica, a meno di non tornare a stili autoritari di stampo “bottaiano”.
7. Ha fatto dichiarazioni a ruota libera sulla scuola che deve diventare web community, con la sostanziale abolizione dei libri, mentre le conoscenze debbono essere costruite attraverso lo studio collettivo e in rete degli studenti, “verificate” in classe con l’aiuto dei docenti, in un’alternanza docente-studente sulla cattedra. Il tutto per finire con la proposta della scuola come “centro civico”.
8. Ha promosso un concorsone per la scuola il cui bando sulla Gazzetta ufficiale fa inorridire: sembra un esame per la patente di guida, con la pretesa di verificare con test le competenze “logiche e deduttive” e un esame per discutere come si gestisce una classe. Ciò si accompagna alla ripetuta affermazione del ministro secondo cui le conoscenze sono meno importanti dello “stare in classe”. Il ministro dovrebbe avere il buon gusto di rendersi conto che egli non è Aristotele e che non basta affermare una cosa (tanto discutibile) perché sia vera e tantomeno per farne l’ossatura di un concorso di Stato (torna ancora Bottai).
9. Ha fatto una proposta di aumentare l’orario dei professori a 24 ore che non merita altro commento se non quello del professor Ferratini sul Corriere della Sera: “chiacchiere da bar”. Le quali però rischiano di diventare realtà, di provocare un altro sconsiderato taglio proprio sul fronte su cui andrebbe evitato e di produrre un ulteriore degrado della figura dell’insegnante verso quella dell’“istruttore”, che passa di classe in classe come una sorta di badante (il che sembra essere voluto, perché è plateale la coerenza con i propositi di cui al punto 7.
10. Sul fronte universitario il ministro Profumo ha lasciato che l’Anvur (Agenzia nazionale per la valutazione dell’università e della ricerca) si arrogasse poteri non previsti dalla legge di riforma, in particolare quello di definire mediante criteri numerici chi ha o non ha diritto di essere commissario per l’abilitazione nazionale e di presentarsi al concorso. Ha lasciato che l’Anvur definisse criteri basati su un calcolo della “mediana” a livello nazionale, che non sono adottati in nessun paese del mondo, ignorando con intollerabile supponenza le critiche pur fondate su un’ampia letteratura internazionale. Ha patrocinato la messa in opera di un sistema di valutazione di Stato sotto il controllo di un ente irresponsabile, il che ancora rappresenta un caso unico al mondo di dirigismo che può essere spiegato soltanto con l’inossidabile eredità di stile bottaiano.
11. Ha ignorato gli innumerevoli errori commessi dall’Anvur nei suoi calcoli, il fatto stesso che il ripetuto cambiamento di algoritmo della mediana indicava il carattere totalmente arbitrario (altro che “oggettivo”!) del procedimento adottato. Ha ignorato lo scandalo di decine e decine (ma il numero continua ad aumentare) di riviste per nulla scientifiche che l’Agenzia ha accreditato come scientifiche. Ha ignorato il fatto che con i calcoli dell’Anvur sono state escluse a priori dal ruolo di commissari persone riconosciute in Italia e all’estero come di grande prestigio, magari ammettendone altre che tale prestigio non hanno.
12. Non ha fatto quel che doveva, ovvero sconfessare e sciogliere l’Anvur, e in tal modo si è reso corresponsabile delle sue imprese.
Vi sarebbe dell’altro ma quanto precede basta e avanza. Il ministro Profumo è riuscito nell’impresa di fare un numero incredibile di cose sbagliate e perniciose in un tempo ristrettissimo. Dovrebbe avere almeno la sensibilità di ritirarsi prima di provocare altri guasti.
Giorgio Israel
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